ateatro 106.62 Cascina Eppure non firmerò Una mail a Roberto Scarpa di Concetta D'Angeli
Prosegue la discussione sul futuro della Città del Teatro di Cascina, dopo lettera-appello di solidarietà di cui abbiamo già dato notizia. Come contributo al dibattito, pubblichiamo qui di seguito la lettera di Concetta D’Angeli a Roberto Scarpa, proprio su questo tema. ateatro auspica naturalmente che le difficoltà di Cascina trovino presto una soluzione, attraverso un’ipotesi di rilancio; riteniamo che per questo possa essere utile un dibattito pubblico, al quale cercheremo di dare spazio sia nella webzine sia nel forum.
Caro Roberto,
ho letto la tua lettera e ne ho apprezzato intenti e tono. Ne condivido anche molti argomenti, eppure ho deciso che non la firmerò. Ti scrivo per spiegarti.
Il punto principale sul quale concordo con te è la necessità che i teatri della nostra provincia, insieme a coloro che a vario titolo s'interessano di spettacolo, pensino in termini critici e attenti alla loro situazione, e lo facciano tutti insieme, al di là delle differenze che li/ci separano. Sono convinta, in genere, che solo la collaborazione permetta di trovare alternative. Nel caso specifico, solo collaborando (e individuando i modi anche concreti per farlo) si potrà evitare il collasso e un degrado di cui già da tempo si sperimentano manifestazioni ed effetti.
Ciò che mi lascia perplessa nella tua analisi è la vaghezza.
Da quel che ho capito, il problema dei teatri è economico e organizzativo, oltre che culturale. Si tratta insomma di trovare le strade per risparmiare senza perdere il decoro; di rendere i teatri più frequentati da utenti che pagano; di collaborare sui servizi... Sono cose spiacevoli, tutte. Ma sono certa che non si possa uscire dalla crisi se non si passa di lì, se non si trova il coraggio di affrontare questi nodi spinosi. I teatri non possono continuare ad essere delle monadi incapaci di mettersi in comunicazione, nonostante i buoni propositi che di tanto in tanto, fumosamente, senza vera convinzione, si sentono riaffermare. In tutti questi anni io non ho visto attivarsi una reale collaborazione, e nemmeno ho sentito parlarne con un briciolo di concretezza.
Poi, certo, c'è la necessità di creare un pubblico capace di apprezzare il teatro, e non i suoi cascami, non la mitologia dei personaggi famosi, resi tali perché c'è di mezzo la televisione (il Verdi stracolmo, l'altra settimana, tutti in delirio a vedere Celestini, da una parte mi ha fatto piacere perché spero che si sia realizzato un buon incasso; d'altra parte non depone a favore del pubblico, sgomitante per un artista che sembra avere dato in anni passati il meglio della sua creatività e viene accolto con entusiasmo acritico per il semplice fatto che si fa sentire alla radio e soprattutto si fa vedere in TV).
Sulla formazione del pubblico - non solo dei giovani - bisognerebbe pensare di più. Perché non coltivare, informare, educare il pubblico adulto, in modo che sia pronto ad apprezzare il nuovo - senza disdegnare il vecchio, se dignitoso? Così i teatri potrebbero accentuare le differenze dell'offerta senza troppa paura di rubarsi l'utenza.
Insisto sul punto dell'educazione perché è l'unico sul quale mi sento di poter offrire collaborazione effettiva (dico nel senso di università, oltre che nel senso stretto di Concetta D'Angeli). Di qui la mia enorme frustrazione a dover partecipare alle riunioni del Collegio d'Indirizzo (per fortuna scarsissime tanto da essere diventate quasi passaggi di un fantasma), dove mi è proibito pronunciarmi sull'unico terreno di mia competenza (la qualità degli spettacoli e degli artisti) e sono invece costretta a votare bilanci e faccende amministrative di cui non so niente, anzi ci sono negata e mi annoiano a morte.
Non voglio tacere nemmeno un importante punto di dissenso.
La tua lettera, aperta da una lunga riflessione sull'importanza della cultura nel mondo contemporaneo (e chi di noi non sarà d'accordo con te?), si conclude di fatto con la richiesta agli enti pubblici perché siano più disponibili e generosi verso i teatri.
Onestamente, Roberto: con quel che sta succedendo in Italia nella politica sociale, nell'economia, nella sanità, con le pesantissime decurtazioni a danno dei Comuni e delle Regioni, chi se la sente di pretendere che gli Enti si sobbarchino a spese più elevate per raddrizzare le sorti dei teatri (o delle università, per parlare anche di me)?
Credo che la conclusione di una qualunque analisi della stato attuale della cultura non debba finire in una richiesta di tal genere. Che a me non piace e (per essere sincera fino in fondo) che non sento nemmeno legittima.
Penso che i teatri dovrebbero imporre la necessità della loro esistenza. Non come fatto politico calato dall'alto o dipendente dalla buona/cattiva disposizione degli amministratori (o dalla logica partitica dei voti), ma come conseguenza di un bisogno avvertito da tutti, o almeno da molti. Questo non succede. Per maleducazione del pubblico, certo; ma anche, secondo me, per inerzia dei teatri, per il loro attardarsi in una condizione che è stata di privilegio e che ormai non può più sussistere.
Non vedo spiragli se, almeno tra noi, in quel confronto d'idee fra persone interessate che tu auspichi, non si muove da una seria autocritica.
Mi auguro comunque che la discussione che tu hai aperto, al di là del sostegno che chiedi per rivolgerti agli enti sovvenzionatori, si mantenga viva. Per il piccolo contributo che posso offrire, sarò lieta di partecipare.
Un abbraccio
Concetta
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