ateatro 106.61 Cascina Il documento con le firme Perché il teatro è patrimonio di tutti di Redazione ateatro
Nell’ultimo Totonomine si parlava della Città del Teatro di Cascina e di un documento sulla situazione che stava raccogliendo adesioni tra teatranti (e non solo). Sul testo, che pubblichiamo qui di seguito, si sta accendendo un dibattito, di cui abbiamo cerato e cercheremo di dar conto nelle news e nel forum (vedi gli interventi di Concetta D'Angeli e Renzo Boldrini).
In ogni caso eventuali adesioni vengono raccolte da Roberto Scarpa scarpa@teatrodipisa.pi.it e
Fabrizio Cassanelli centrostudi.cassanelli@lacittadelteatro.it.
Si ode a questo punto, potentissimo da fuori, il frastuono della cavalcata dei Giganti della Montagna che scendono al paese… con musiche e grida quasi selvagge. Ne tremano i muri della villa…
Quaquèo Ecco i giganti! Ecco i giganti!
Milordino Scendono dalla montagna!
Mara-Mara Tutti a cavallo! Parati a festa!
Quaquèo Sentite? Sentite? Paiono i re del mondo!…
Spizzi Tremano i muri!
Cromo Pare la cavalcata d’un orda di selvaggi!
Diamante Io ho paura! ho paura!
(Luigi Pirandello, I giganti della montagna)
Alcuni amministratori locali, preoccupati dall’attuale fase economica, ritengono che le risorse che vengono destinate ai teatri e alla produzione culturale non rappresentino una inviolabile necessità territoriale per salvaguardare la civiltà. L’ossessione dei nostri giorni è tutta contenuta in due parole: economia e sviluppo. Ma quale economia? Quale sviluppo? Lo sviluppo che conosciamo sta purtroppo conducendo al collasso e dimostra che la scena della crisi in cui viviamo non può essere descritta soltanto con gli strumenti, cui ormai obbediamo servilmente, dell’economia e delle sue presunte leggi indiscutibili. I pericoli che incombono si radicano piuttosto nelle coscienze, come Pasolini aveva lucidamente e senza essere ascoltato previsto trent'anni fa.
Forse dovremmo riconoscere che abbiamo perso e partire da questo riconoscimento - e da una conseguente critica e auto critica -, anziché insistere nell’orgoglio dei vittoriosi. Avere perso non significa, ovviamente e soltanto, avere momentanee difficoltà economiche o istituzionali. Quelle ci sono sempre state. Abbiamo perso perché abbiamo accettato un mondo nel quale la cultura non rientra nello scenario che avevamo immaginato utopicamente. Essa è stata fagocitata dai meccanismi turistici - commerciali - mediatici che dominano le nostre esistenze. Il teatro patisce questa condizione in massimo grado. In un’epoca in cui scambiamo la democrazia per un sistema freddo di regole (mentre essa è soprattutto amore per l'essere umano e per il diverso) e consentiamo al fatto acclarato che essa dipenda come un pupazzo dalla sfera economica, cosa ci resta da sperare per il teatro, che solo assieme a una democrazia reale può vivere?
Dal fatto che abbiamo perso non deriva comunque che ci arrendiamo.
Sono tempi tristi e di ebete intrattenimento, e più triste di ogni cosa è assistere alla dissipazione delle energie dei giovani e all'assenza di futuro che contamina le nostre vite e le nostre città. Triste è l'allegria superficiale e intontita che vediamo contagiare i volti degli adolescenti. Triste è la rissa quotidiana in cui nessuno pare più capace di parlare se non entro i confini del proprio naso e della propria pelle. Triste è il trionfo dell'estetico sull'etico. Triste la ricerca effimera di estasi al posto delle emozioni.
Non abbiamo ricette se non continuare, per quanto saremo capaci, a cercare di ascoltare la voce dei tanti che si opposero e si oppongono a una deriva che sembra inarrestabile. Il teatro è sempre stato in crisi ma non muore mai. Nessuno può farne a meno. Risorgerà sicuramente in modi e forme che ci stupiranno. A noi il compito di facilitare questa sua nuova nascita, soprattutto, nei e con i giovani. Accompagnandoli e sostenendoli.
Non sono pochi, per fortuna, gli esempi di Sindaci e assessori che, proprio in questi ultimi anni, hanno ampliato le somme destinate alla cultura. Ma più numerosi sono i politici che pensano agli investimenti in cultura come a un lusso superfluo e considerano una sorta di spreco anche il sostegno che, inevitabilmente, richiede la funzione pubblica che svolgono in particolar modo i teatri d’interesse nazionale. I tagli, la crisi, il deficit dello Stato divengono così fattori regressivi che, anziché mettere in discussione costi ed efficienza della politica e della macchina amministrativa, finiscono per avvilire gli investimenti sulla qualità del sapere e sui modi di vita delle comunità, riducendo le università, la didattica, la produzione artistica e la ricerca a svolgere ruoli subalterni e marginali.
La cattiva politica, incapace di comprendere i bisogni immateriali, contribuisce così a costruire cittadini indifferenti, occupati soltanto negli affari e nella dissipazione delle loro vite, obbedienti a un modello che ruota attorno al cibo, ai soldi, al sesso. Tutt’intorno il nulla. In quei territori la cultura non è più un collante esistenziale di cittadinanza, ma un bene di consumo, puro intrattenimento, un innocuo contenitore di consenso a basso costo.
Questi governanti, purtroppo presenti in ogni schieramento, sono portatori di una inadeguatezza che sta logorando proprio quelle risorse (soprattutto umane) di cui necessitano le nostre economie avanzate. Le politiche di pura sopravvivenza, basate unicamente sul contenimento della spesa, stanno producendo fenomeni preoccupanti di demagogia e localismo, e disperdendo il respiro di progettualità necessario a competere con le sfide europee e globali di cui il nostro Paese ha bisogno per uscire dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il teatro è l’ambito più fragile, il più sottoposto alla disattenzione e al degrado, ma è anche quello che più di ogni altro fa crescere, educa spiritualmente e materialmente, coltiva sensibilità e intelligenza, formando cittadini più consapevoli, più critici e umanamente più ricchi.
Non volendo rischiare che il nostro territorio divenga invece sempre più povero, più anonimo e triste, rivolgiamo un appello a tutte le forze politiche, alle istituzioni, alle associazioni territoriali, affinché si uniscano ulteriormente attorno a noi per salvaguardare il patrimonio culturale realizzato in decenni di lavoro e di comune impegno, valorizzando gli investimenti compiuti e i risultati conseguiti sul piano della produzione artistica e della formazione culturale. Chiediamo sostegno e cura per potenziare le relazioni nazionali e regionali certi che questo appello, lanciato da operatori del teatro, dell’università e della scuola che credono nella funzione culturale, non lascerà i nostri stessi amministratori indifferenti.
Roberto Bacci, Marina Bailo, Anna Barsotti, Lorenzo Bennardo, Alessandro Benvenuti, Luca Biagiotti, Marinella Bini, Martine Bismuth, Simon Blackhall, Renzo Boldrini, Giorgio Bosco, Mariangela Bucci, Fabrizio Cassanelli, Massimo Castagna, Giancarlo Cauteruccio, Giada Centofanti, Ugo Chiti, Lorenzo Cuccu, Maria Valeria Della Mea, Carla Dente, Franca Di Nasso, Renzia D’Incà, Luca Dini, Enrico Di Pastena, Franco Farina, Gloria Farina, Rita Farina, Roberto Farné, Michele Fiorillo, Roberto Frabetti, Luigi Frosali, Manuela Gabriele, Flora Gagliardi, Alessandro Garzella, Paola Gennai, Susan George, Maurizio Giacobbe, Lamberto Giannini, Daniela Gimmelli, Paolo Giommarelli, Elisa Giovannetti, Melanie Gliozzi, Federico Guerri, Maurizio Iacono, Gianni Iotti, Isole Comprese Teatro, Hélene de Jacquelot, Vittoria Lamagna, Giovanni Lancellotti, Cristina Lazzari, Sandra Lischi, Mariella Loffredo, Samuele Lo Piano, Chiara Manzini, Alberto Marini, Maria Massimetti, Lucia Monasterio, Roberto Monteverdi, Luca Mori, Francesco Niccolini, Gianmarco Olivè, Massimo Paganelli, Silvano Patacca, Maria Simona Pezzica, Luciana Piddiu, Gianfranco Pietracaprina, Claudio Proietti, Emiliana Quilici, Renzo Raccanelli, Maria Teresa Rosalini, Fedele Ruggeri, Anna Rusconi, Elena Salibra, Antonietta Sanna, Giuliano Scabia, Roberto Scarpa, Marianella Sclavi, Alberto Severi, Ruggero Sintoni, Liuba Taccola, Elisa Zanni.
5 febbraio 2007
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