ateatro 106.55 Le recensioni di ateatro Il Circo dei Peluches al Politeama di Cascina Kammertheater en Exil di Sara Ficocelli
aiuto regia Horst Hawemann
idea Marlis Hirche e Oliver Dassing
con Marlis Hirche e Oliver Dassing
scenografia Knut Hirche e Otto Sander-Tischbein
costumi Klemens Kühn
luci Marcus Dassing
musica Dogtroep
Che ci fanno decine di bambini in cerchio, al buio del retropalco di un teatro? Raccontano storie. A se stessi. Immaginando personaggi che esistono solo per un attimo e poi tornano nell’ombra, nascosti tra le pieghe di un sipario che non c’è. Eppure loro lo vedevano davvero quel sipario, e con lui anche il tendone, e con lui anche i trapezisti, le majorettes, la donna cannone, il mangiafuoco, il gigante. Ed ecco che il teatro si trasforma in circo e dei semplici pupazzi in artisti di raffinata prodezza: è accaduto davvero, a Cascina, presso il Teatro Politeama, sabato 13 gennaio. La città del teatro ha inaugurato così il cartellone 2007, come sempre molto interessante e coraggioso, capace di coniugare facilità commerciali con scelte di più ampio respiro. Come questa. Che ha portato in scena i tedeschi Marlis Hirche e Oliver Dassing nei panni di due clown innamorati di una magia che non c’è più, quella che nasconde i trucchi sotto il tendone di un Circo. Lo spettacolo di Kammertheater en Exil punta tutto sulla fantasia e lascia allo spettatore la possibilità di scegliere. Ci si può mettere un paio d’occhiali con spesse lenti di cinismo, e fissare le scimmiette di peluches che corrono sul filo con lo sguardo annoiato di chi non vede l’ora di tornare a casa e dormire. Oppure ci si può mettere in coda alla fila dei genitori recitanti, che applaudono malcelando sorrisi forzati, troppo stanchi per divertirsi davvero e troppo buoni per non partecipare alla gioia del proprio pargolo. E infine, ma questa è l’opzione segreta, quella che opzione non è, ci si può semplicemente dimenticare di tutto, di avere da tempo sorpassato i 20 anni, di avere un lavoro, delle responsabilità, chili e chili di razionalità sul groppone. Restituendo tutto questo in cambio del numero da equilibrista di un vecchio ippopotamo trovato in un cassonetto della spazzatura. Anzi, di una vecchia ippopotamessa, per esser precisi. Si può scegliere l’opzione numero tre in automatico, lasciando in default la voglia di divertirsi che c’è dentro ognuno di noi. E mentre il clown passa tra gli spettatori ricordando che “i nostri orsetti vivono ancora”, qualche bambino si alza e inforca i pedali di un vecchio triciclo di legno, qualche altro riconosce nelle fauci di pezza di una tigre sgualcita i denti aguzzi del felino più feroce, e qualcun altro ancora applaude, chiede che il topolino nascosto nel cappello venga liberato, ma soprattutto ride, ride, ride. Spaccature melense, fratture anacronistiche alle solide braccia della maturità? Ma che bisogno c’è di solide braccia, per sollevare la mente di bambino, che già vola per conto suo? Il teatro della compagnia tedesca ha inaugurato il palco del Politeama 2007 facendo dimenticare per un attimo tutte le beghe legate al deficit economico, all’amarezza di un pubblico sempre meno affascinato dalla qualità e sempre più attento alla notorietà dei protagonisti. Riportando, nella piccola arena di legno costruita su misura per gli spettatori, un po’ di sana visceralità. Sono pupazzi, sono vecchi peluches raccattati per strada, alcuni senza occhi, né braccia, né nome. Sono eroici gladiatori che sfidano la morte appesi a un filo di spago. Sono i giocattoli che 50 anni fa riempivano i sogni sigillati nelle lettere a Babbo Natale, ancora vivi, bellissimi e utili. Sono tutto e il contrario di tutto, carichi d’infinite possibilità, come gli occhi dei bambini.
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© copyright ateatro 2001, 2010
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