ateatro 105.33 Della Rivoluzione di uno stabile A proposito di Prato di Emanuele Nespeca
Scrivo questa lettera dalle pianure bonificate del Sud-Est romano, a pochi passi dall’ostiense, la via che porta verso Ostia, verso il mare… scrivo per rispondere, o per aggiungere domande, a tutti coloro che hanno partecipato al blog sulla faccenda che riguarda il Teatro Metastasio di Prato – Stabile della Toscana.
Conosco bene il problema pratese, essendo nato a Prato nel pieno del boom economico, quando ancora non c’erano rotonde se non quella di piazza San Marco, la piazza col buco, quando i telai trottavano come cavalli al galoppo e le fabbriche parevano scuderie, quando nel bisenzio (il fiume) ci si andava a catturare i girini. Conosco bene, insomma, il problema della stabilità pratese, che di stabile da qualche anno non c’è più nemmeno il sistema industriale del tessile.
Io c’ero quando ragazzino guardavo curioso i grandi che discutevano della stabilità, di quei passi strategici che avrebbero finalmente e ufficialmente riconosciuto a Prato la sua importanza storica culturale e artistica all’interno della Regione Toscana. Sembra strano ma a Prato, a partire dalla fine degli anni ’60 fino all’inizio degli anni ‘90, ci sono stati Strehler, Ronconi, i Magazzini Criminali (Lombardi-Tiezzi), Remondi & Caporossi, e si potevano vedere spettacoli di Kantor, Brook, Stein e di altri importanti autori internazionali. Insomma, questa piccola laboriosa città toscana, che proprio in quegli anni assisteva ai primi spettacoli di Benigni e del Nuti, era viva e produceva “arte” oltre che stoffa. Tanto è vero che nel 1983 un gruppo di giovani artisti, riuniti sotto il nome di Teatro di Piazza o d’Occasione, poteva ambire a vincere e vincere con la loro opera prima il PREMIO ETI STREGAGATTO, premio riservato al teatro ragazzi. Forse “non era tutt’or quel che luccicava” però le basi erano certamente solide per consegnare alla cittadina un Teatro Stabile.
Eppure, la stabilità non è impresa facile! Problemi, invidie, necessità e volontà a volte non coincidono, a volte superano le possibilità di ogni comprensione. Viviamo in un paese che ha fatto lotte e rivoluzioni, che parla di pace, libertà ed eguaglianza, ma poi gli stessi fautori della libera circolazione della cultura sono gli stessi che la bloccano, la ingolfano, la ostacolano.
A Prato, oggi, potrebbe quindi essere arrivato il momento giusto per mettere in pratica una veloce inesorabile e stabile rivoluzione. Dopo i fasti di Castri, le intransigenze luconiane e la fugace esperienza di Paganelli, salutiamo con rispetto i dimissionari co-direttori Bertini-Sinisterra, e proviamo a immaginare una di quelle rivoluzioni che vengono dal basso, e proviamo a ridare a Prato il senso originario del termine Teatro.
Teatro è il luogo dove si ascolta, il luogo delle assemblee pubbliche, ma bisogna fare in modo che chi parla abbia veramente qualcosa da dire. Teatro è il luogo del cuore, delle emozioni, della carne e del sudore, e lo si deve far vivere. Il teatro, oggi più che mai, deve riaffacciarsi verso la città, raccontarla, anche drammaturgicamente, in tutte le sue sfaccettature e complessità, ormai globali. La comunità cinese, quella africana, gli albanesi, i rumeni, i pakistani sono una presenza visiva forte per chi passeggia nel centro di Prato. Ma soprattutto un teatro nel XXI secolo è una struttura complessa che deve essere gestita con efficienza ed efficacia da personale competente e qualificato, che deve rapportarsi con la tradizione e contemporaneamente con la ricerca, che deve salvaguardare il potenziale del proprio territorio e al tempo stesso proiettarsi oltre i confini regionali e nazionali. Insomma un teatro è un organismo vivido e politico, perché l’arte siamo noi stessi, ci rispecchia e ci permette di andare oltre.
Presidente, su dunque, renda effettiva quella rivoluzione che si trova, forse involontariamente, a dover guidare. Riguardo alla scelta del nuovo direttore?
Niente di più semplice!
1. Deve essere disposto a esserci fisicamente, perché il teatro lo rappresenta e lui rappresenta la struttura. Non deve solo produrre il suo spettacolo e il resto è silenzio.
2. Deve essere disposto a vivere la città, perché il teatro è il suo cuore.
3. Deve saper proseguire i progetti ottimi che pongono la città all’avanguardia, come il Festival Contemporanea, che rappresenta una vetrina internazionale di ampio respiro.
4. Deve interessarsi al territorio provinciale e comunale, riallacciando un tessuto formativo capillare che ha contraddistinto Prato negli ultimi decenni del 1900.
5. Deve essere in grado di dialogare con il circuito nazionale e internazionale del teatro.
6. Deve conoscere Prato e la sua realtà.
Finisco la lettera, mentre scende la notte, restando nel vago, per chissà magari un domani scendere nel dettaglio, se la luna me lo consiglierà… e dono un pensiero che qualche tempo fa… nella selva Lacandona proprio il Sub Comandante Marcos mi disse:
“Non vale la pena fare la rivoluzione, ma in un preciso momento della nostra vita dovremmo almeno tentare di rivoluzionare noi stessi”.
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© copyright ateatro 2001, 2010
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