ateatro 104.5 BPSUD consuntivo Che senso ha se solo tu ti salvi? Che cosa è successo a BP3 La questione meridionale del teatro di Redazione ateatro
Il tavolo della presidenza: da sinistra, Franco D'Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino ascoltano la relazione di Antonio Taormina.
Uno scenario splendido come Castel dell’Ovo, circa 150 presenze, un dibattito ricco e articolato, un moderato uso del timer (per gli adepti: il mitico peperone è stato sostituito dal raffinato oggetto che Mimma Gallina ha portato dal Moma di New York). Questo è stata la terza edizione delle Buone Pratiche 2006. La questione meridionale del teatro. Alcune delle relazioni e delle Buone Pratiche sono già state pubblicate sul sito, altre lo saranno nelle prossime settimane e certamente anche il forum si arricchirà di interventi e repliche.
Ninni Cutaia del Teatro Mercadante e Rocco Laboragine del curcuito della Basilicata: al BPsud si è parlato molto della crisi del circuito lucano e delle possibili soluzioni.
Quelle che seguono sono solo alcune rapide impressioni generali, in attesa di ulteriori approfondimenti. Al di là dell’affluenza, un primo elemento significativo riguarda l’ampio spettro degli interventi: si sono incontrati amministratori, politici e gente di teatro, dal vicepresidente della Commissione Cultura della Camera onorevole Alba Sasso ai giovani artisti che lavorano al DAMM (il centro sociale napoletano), dai responsabili dei maggiori circuiti teatrali del Meridione a gruppi con il siciliano Mandara Ke.
Patrizia Ghedini tra Franco D'Ippolito e Oliviero Ponte di Pino.
Un secondo aspetto riguarda il clima costruttivo della discussione, ferma restando l’ovvia diversità delle posizioni e delle esigenze. E’ proprio questo l’obiettivo delle BP, di cui - visto che una edizione 2007 è pressoché inevitabile - ci sembra utile ribadire le linee guida (anzi, prendiamo in considerazione eventuali ospitalità per il prossimo anno). Quello che le Buone Pratiche possono e vogliono essere è - creare uno spazio di incontro indipendente e un’opportunità di libera discussione.
Perché questo avvenga in maniera costruttiva (e non dispersiva) è necessario creare le condizioni più adatte; in particolare, si tratti di: - facilitare la costruzione di una rete di rapporti e relazioni, anche al di là degli incontri;
- raccogliere e diffondere informazioni (oltre alle Buone Pratiche presentate e pubblicate sul sito, gli interventi di Giulio Stumpo dell’Osservatorio dello Spettacolo e di Patrizia Ghedini sull’iter della legge sullo spettacolo e sul rapporto Stato-Regioni in materia hanno offerto un punto di vista “in progress”, in continuità con BP2);
- fornire spunti di riflessione che possano innestare nuove progettualità (abbiamo lavorato su idee guida: nel 2004 la Banca delle Idee, nel 2005 La cultura come valore e nel 2006, appunto, La questione meridionale del teatro);
- costruire un’occasione pubblica di conoscenza, verifica e di incontro (ancora 1000 grazie agli organizzatori di questa tornata, in particolare Lello Serao e Luigi Marsano per l’impeccabile accoglienza, la disponibilità e la discrezione: capita di rado di trovare amici così);
- mettere (e tenere) a disposizione di tutti attraverso il sito www.ateatro.it il materiale raccolto, per stimolare ulteriori contributi, ma anche per sottoporre a verifica, nel corso del tempo, le Buone e le Cattive Pratiche che riusciamo a individuare (vedi per esempio il caso dei Teatri di Napoli, presentata come Buona Pratica due anni fa e al centro della riflessione di questa tornata, con un mix luci e ombre).
Giulio Stumpo dell'Osservatorio dello Spettacolo sorregge eroicamente le BPsud (o viceversa?).
Date queste “condizioni al contorno”, per quanto riguarda la discussione del 7 dicembre a Napoli possiamo provare a cogliere e rilanciare alcune indicazioni.
In primo luogo, la “questione meridionale” non è stata mai declinata - da nessuno - in termini di vittimismo e rivendicazionismo. Ci sono certamente delle differenze (anche clamorose) nella distribuzione dei consumi e delle risorse nel settore della cultura e dello spettacolo (vedi la clamorosa situazione del Molise denunciata da Stefano Sabelli); ma la questione è stata sempre affrontata nella sua complessità: perché c’è una distanza tra Nord e Sud (ma anche il Nord ha i suoi Sud, a cominciare dal Veneto); ma c’è anche quella tra Cemtro e Periferia (le metropoli e le periferie, le città e il territorio); e c’è infine - ed è un altro Sud - il nodo del giovani, il problema dell’accesso al sistema (e prima ancora della possibilità di sperimenarsi e di ottenere un minimo di visibilità).
In questo scenario, la transizione del sistema verso una base regionale è ovviamente un nodo centrale (e per questo l’impegno delle Regioni del Sud nella definizione della nuova legge è ovviamente determinante). Quella che è emersa con una forza inedita, questa volta, è la consapevolezza (da parte di tutti, dal vertice alla base) che l’attuale sistema di regole - a cominciare dal FUS - non è più adeguato: non solo crea barriere all’accesso pressoché insuperabili, ma non sembra neppure più in grado di garantire l’evoluzione e la stessa sopravvivenza del sistema così come si è sedimentato (e bloccato) in questi decenni.
Ancora più drammatica e urgente, in quest’ottica, appare la crisi dell’ETI: ridotta in pratica a costoso gestore di quattro sale, ha abdicato alle sua funzioni primarie e grava con un peso insostenibile sull’intera rete distributiva. La diffusa nostalgia del “Progetto aree disagiate” è solo un’ulteriore prova della necessità di una profonda riforma (o in alternativa della chiusura) dell’ETI. Più in generale, si tratta di inventare (o immaginare) un nuovo sistema di regole, di uscire dalla gabbia delle categorie. Un esempio tra tutti: nel documento dell'ANCRIT (Associazione Nazionale Compagnie e Residenze di Innovazione Teatrale) inviato da Luciano Nattino si chiede di inserire un apposito articolo per riconoscere una delle più proficue novità del sistema in questi anni, le residenze; questa è stata la strada seguita dal regolamento nel corso degli ultimi decenni per riflettere (o meglio inseguire) l’evoluzione del teatro italiano. L’intenzione è certo ottima, ma forse la maniera migliore di affrontare il problema non è la creazione di una nuova categoria ministerial-burocratica.
La sensazione diffusa è che gli attuali modelli siano inadeguati e che perciò sia necessaria una profonda riforma di sistema - e che questa riforma debba essere illuminata da dosi massicce di fantasia e di immaginazione creativa.
Beato tra le donne: nell'Antro di Virgilio, Luigi Marsano tra Costanza Boccardi e Mimma Gallina, felici dopo il raffinato buffet...
Perché oltretutto il teatro non può più restare chiuso nel suo specifico, quello dove lo rinserrano a doppia mandata le “categorie” e i “dati quantitativi”, ma deve confrontarsi con altri ambiti, per contaminarsi e arricchirsi: da un lato accettando il confronto con i nuovi media (come ha sottolineato Angelo Curti), e dall’altro misurandosi con la sfera del “sociale”, nelle sue varie declinazioni: solo per fare qualche esempio, i “teatri delle diversità”, le esperienze giovanili e dei centri sociali, il rapporto con il territorio e con la sua storia, la scuola e la formazione del pubblico. E’ una delle strade - certo non la sola - per arricchire di “valore” la cultura.
Un secondo aspetto riguarda l’evoluzione degli strumenti più adatti per individuare gli obiettivi del sostegno alla cultura e allo spettacolo (le linee strategiche di sviluppo); e in secondo luogo per valutare l’efficacia dell’investimento. E’ il nodo degli Osservatori della Cultura e dello Spettacolo, anch’esso evocato in numerosi interventi. Si tratta certamente di istituzioni utili e necessarie per una più efficace e trasparente gestione del denaro pubblico, ma anche in questo caso non mancano i rischi: da un lato quello di ridurre il problema ai suoi aspetti economico-statistici (con il rischio di mettere in secondo piano quali culturali e più specificamente artistici); dall’altro quello di subordinare l’attività a una forma ancora più sottile di controllo politico.
All’ordine del giorno, intimamente legato al problema dell’accesso, anche il nodo della formazione, che deve essere intimamente legato all’innovazione e alla ricerca. Anche in questo caso la crisi può essere una opportunità (anche di lavoro: per gli attori, ma soprattutto per tecnici e organizzatori...).
Da sinistra, Marina Rippa e Davide Iodice di liberamente, Saverio La Ruina di Scena Verticale e Sergio Longobardi di Babbaluck
Questo sono solo alcuni dei temi rilanciati dall’incontro di Napoli, ma possono già fornire una traccia per il futuro. Ma si possono - e si debbono - seguire anche altre tracce. Eccone un paio.
La notte prima dell’incontro del 7 dicembre è stato compiuto un furto a Piscinola, al Teatro Area Nord, quello di Lello Serao (il nostro ospite) e di Renato Carpintieri, lì c’è anche il set di uno dei nostri telefilm preferiti, La squadra. E’ stata divelta un’inferriata, sono stati portati via i computer e altre attrezzature. Il valore commerciale della merce rubata è pressoché nullo, il danno è grande (come sa chiunque abbia un pc con la memoria piena di doc, xls, jpg, mp3 eccetera), ma soprattutto quel furto tradisce la volontà di dare un segno (pochi giorni prima negli stessi locali era stato appiccato il fuoco alla biblioteca). Quel furto è una conferma - drammatica - del valore della cultura e del teatro.
E poi una frase di Antonio Neiwiller, grande artista napoletano scomparso, citata da Davide Iodice come snodo problematico di fronte alle difficoltà del presente, alle speranze e ai fallimenti: “Che senso ha se solo tu ti salvi?”. Una frase semplice, che esprime il senso profondo delle Buone Pratiche.
E alla fine, per riprendersi dalle fatiche della giornata, al Teatro Trianon a vedere la sceneggiata: 'O schiaffo con Pino Mauro, Oscar Di Maio, Antonio Buonuomo, regia di Carlo Cerciello.
PS Il dibattito napoletano può aiutare a capire anche quello che è successo all'incontro sullo specialemilano: per certi aspetti, Milano è più Meridione del Meridione...
PS2 le paparazzate sono di Mimma Gallina & Co.
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