ateatro 103.43 Il mito di Lepage in mostra a Intercity Un’occasione sprecata? di Anna Maria Monteverdi
A Sesto Fiorentino l’annuale rassegna Intercity quest’anno con la direzione artistica di Dimitri Milopulos dopo la scomparsa di Barbara Nativi, è stata dedicata a Toronto e all’area anglofona del Canada. Alcune prime teatrali di opere di registi e drammaturghi giovani o già molto affermati come Daniel Brooks, collaborazioni tra artisti fiorentini e canadesi, workshop, incontri sulla drammaturgia canadese, cineforum e iniziative per la durata dell’intero mese di ottobre.
A Toronto-Intercity si inaugura anche una sezione dedicata a Robert Lepage che per dirla tutta, non appartiene affatto all’area anglofona bensì a quella francofona (essendo nato a Québec City dove ha anche sede la sua struttura multidisciplinare Ex Machina) ma è senz’altro il regista canadese più famoso e rappresentativo (e dunque anche l’artista di maggior richiamo...). La sezione dedicata al quebecchese Lepage prevedeva una mostra fotografica e una retrospettiva dei suoi film.
Andersen secondo Lepage.
Per tutti coloro che conoscono e amano il teatro di Lepage la mostra non può che deludere fortemente: un pannello su una porzione di parete con accatastate una decina di fotografie a grande formato. E infatti di vera e propria mostra non si può parlare, ma di piccolissima esposizione - in un foyer molto ingombro e affollato - delle fotografie più note che già sono andate a riempire le locandine di tutto il mondo, i siti web, le recensioni on line di teatro, e le copertine di libri. Fotografie da La trilogie des dragons, Polygraphe, Vinci, La Face Cachée de la Lune, Andersen Project, Les plaques tectoniques.
Non vale la pena soffermarsi troppo su questa ennesima occasione sprecata per parlare del teatro di Lepage – a quando una seria retrospettiva al Riccione TTV?. Vogliamo sperare che alla recente e superficiale mitografia su Lepage sbocciata in Italia in tempi recenti dopo l’apparizione al Piccolo Teatro di Milano dei suoi spettacoli, segua una più profonda riflessione di natura scientifica e teatrologica come ha fatto recentemente l’Università di Manchester grazie ad Alexandar Dundjerovich. Allora emergerebbe per esempio, il ruolo affatto secondario per la scrittura, la messa in scena e l’interpretazione teatrale e cinematografica, di alcuni collaboratori storici, veri compagni di viaggio artistico come Marie Brassard e lo stage designer Carl Fillon.
Va da sé poi, che per allestire una mostra occorrono spazi adeguati e una ricerca seria e documentata di archivio; per una completezza di informazioni le didascalie dovrebbero spiegare non solo il titolo dell’opera e l’autore della fotografia, ma chi è l’attore immortalato, a quale versione dello spettacolo si riferisce, in quale anno è stata scattata e dove. E’ noto infatti che Lepage ha realizzato della Trilogie des dragons, di Les Sept Branches de la Riviére Ota e di Les Plaques Tectoniques almeno quattro versioni diverse, come è altrettanto noto che Lepage abbandona dopo circa un anno di repliche, la scena a vantaggio di altri artisti che lo sostituiscono nelle tournée internazionali. Non sarebbe stato male accompagnare la mostra poi con una rassegna stampa internazionale, facilmente reperibile agli archivi di Ex Machina e magari inserire piccoli documentari video (quelli di Télé-Québec per esempio, che hanno anche una versione fruibile in streaming audio-video su Internet) e i lungometraggi dei suoi spettacoli. Ne sono stati realizzati con la supervisione dello stesso Lepage, almeno tre particolarmente significativi: Les Plaques Tectoniques di Peter Mettler, Chercheurs de Miracle di David Clermont Beique (già presentati al Festival des Théâatre des Ameriques di Montréal), The Seven Streams of the River Ota (adattamento televisivo di Francis Leclerc con sceneggiatura di Lepage). E perché no, poi, anche l’unica intervista in italiano rilasciata a Lepage e ora negli archivi lucchesi del regista Giacomo Verde, che va a formare l’intrigante videodocumentario La faccia nascosta del teatro; girato tra la Caserne Dalhousie di Québec City dove è situato il quartier generale di Lepage e Montréal nel backstage e nel setting de La Face Cachée de la Lune allestito in occasione del Festival dei teatri delle Americhe edizione 2001 nello spazio Usine C della compagnia Carbone 14, è stato visto e approvato per la sua messa in circolazione, da Lynda Lepage per Ex Machina; o ancora l’intervista allo scenografo Carl Fillion ad opera sempre di Giacomo Verde sulla scenografia di Elsinore con la spiegazione delle fasi di progettazione del prototipo della scena.
Andersen secondo Lepage.
E poi perché non prevedere nel foyer un punto espositivo e di vendita dei numerosi libri che ultimamente sono in commercio di e su Lepage (il famoso libro-intervista di Remy Charest Connecting Flights, le monografie sul teatro lepagiano di Ludovic Fouquet, Irene Perelli-Contos e Chantal Hebert, quella sul cinema a firma di Alexandar Dundjerovich, l’antologia di saggi critici di Jane Koustas). In mancanza di altro almeno i testi dei suoi spettacoli: Methuen ha pubblicato nel 1999 il copione di The Seven Streams of the River Ota; La Trilogie des Dragons è stato recentissimamente ristampato (dopo una prima pubblicazione nel 1987 all’interno della rivista canadese di teatro “Jeu”) con un’introduzione a firma di Michel Tremblay, il “Moliere ancora in vita del teatro canadese” come lo ha definito Lepage stesso.
Per la rassegna cinematografica di Intercity compaiono le regie di Lepage o quelle in cui è stato protagonista (con regia di Denys Arcand); anche qui l’interrogativo sorge spontaneo: perché non appare il pluripremiato Polygraphe? Per quanto non distribuito nelle sale cinematografiche italiane è facilmente acquistabile in dvd via Internet (come ha fatto la sottoscritta) o dalla stessa compagnia Ex machina che commercializza i prodotti della società di produzione cinematografica di Lepage In extremis image (che ha sede a Montréal nello stesso palazzo della Softimage).
Nei giorni della presenza trionfale di Lepage in Italia al Festival RomaEuropa con un capolavoro come Andersen Project, come omaggio al suo teatro (e al suo cinema) non si poteva prevedere qualcosa di meglio?
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