ateatro 102.3
Istambul e dintorni
Cronache dal quindicesimo festival teatrale
di Mimma Gallina
 

Una versione ridotta di questo testo è apparsa su “Hystrio” (n.d.r.).

Istanbul è stata candidata a capitale europea della cultura per il 2010 da organizzazioni nazionali e della società civile. Con una convinzione evidente nello sforzo organizzativo e pubblicitario messo in campo, la Turchia gioca la sua carta migliore nel percorso verso l’Europa.
E ce l’ha quasi fatta: la commissione incaricata l’ha selezionata assieme a Pecs e Essen (il consiglio d’Europa dovrà decidere entro l’anno) sulla base del tema "Istanbul, città dei quattro elementi", ponte tra l'Europa e l'Oriente.
Naturalmente Istanbul non è la Turchia, e il rischio che le luci della città sprofondino ancora di più nel buio il resto del paese è molto forte (la distanza fra centro e periferia è uno dei problemi più gravi, a maggior ragione perché ignorato per anni), ma si può sperare che qualche briciola dell’attività e degli investimenti sulla cultura che si ipotizzano e dell’orgoglio più che autorizzato ricada anche sulla provincia e contribuisca a dare al dialogo internazionale un taglio non subalterno.
Perfino la nostalgia di Orhan Pamuk, recente Premio Nobel per la letteratura, per la città che non c’è più (i vecchi quartieri greci e francesi, gli antichi palazzi ottomani in legno…) e l’immagine di irrimediabile tristezza che comunica il suo Istambul contribuisce ad alimentarne il mito e rafforza nel visitatore europeo occidentale l’impatto con la sua storia multiculturale, la convivenza di costumi diversi, il dinamismo: la frenesia diurna dei bazar e quella notturna della (bellissima) popolazione giovane.
IKSV, la Fondazione di Istanbul per la Cultura e le Arti, probabilmente la sigla più prestigiosa nell’organizzazione culturale turca, è fra gli organismi promotori dell’iniziativa ed è attrezzata da oltre trent’anni a fare della città una capitale culturale. Fin da quando è stata istituita da un gruppo di imprenditori nel 1973 (nel cinquantesimo anniversario della Repubblica), si è affermata come importante vetrina internazionale, ma anche come supporter per la produzione artistica contemporanea nazionale: attraverso il festival musicale fin dall’inizio, poi quello cinematografico, la biennale d’arte contemporanea, il festival teatrale dall’89, ultimo arrivato quello dedicato al jazz e, ancora più di recente, progetti legati alle diverse discipline nel corso di tutto l’anno.

Scopi e strutture ricordano quelli della nostra Biennale di Venezia, se non per un dato per noi abbastanza sorprendente: a fronte di un bilancio che nel 2005 è stato di 14 mil. di dollari, l’apporto pubblico statale e locale è solo del 5%, il 20% circa arriva dal botteghino, e ben il 75% (in contributi o in natura) da sponsorizzazioni private turche, o pubbliche e private legate ai paesi ospitati.
La prima impressione su questo equilibrio economico non può che essere positiva: è molto significativo che su una organizzazione certo di rilevanza istituzionale e con un immagine forte, ma pur sempre aperta e internazionale, confluiscano aiuti così consistenti. Ma si ridimensiona se lo colleghiamo all’investimento decisamente irrisorio dello Stato e delle amministrazioni locali in cultura: per quanto riguarda il teatro in particolare, i fondi pubblici confluiscono quasi esclusivamente verso il Teatro Nazionale (articolato in numerose sedi). Si è creato insomma in questo paese un sistema di sostegni allo spettacolo più affine a quello americano che a quello dei paesi europei, che costringe gli operatori – in condizione di precarietà cronica - a costruire, progetto per progetto, la loro economia. E’ una condizione che certo non avvantaggia le proposte più rischiose, ma non è detto che lo Stato (o meglio: qualunque stato) sia meglio del privato (che fra l’altro, quando funge da supplente dell’intervento pubblico è, non di rado, più lungimirante). Per gli operatori culturali turchi è infine molto importante l’UE, che è intervenuta e interviene attraverso i programmi per la cooperazione Mediterranea, per i diritti umani e - sempre più in prospettiva - con il programma di assistenza per la pre-adesione alla Comunità.

Il festival teatrale, diretto da dieci edizioni da Dikmen Gurun - anche docente al dipartimento di critica teatrale dell’Università di Istanbul - costituisce in questo contesto una delle principali opportunità per la creazione contemporanea, attraverso forme di sostegno a progetti innovativi nazionali. La missione del festival è infatti “costruire un ponte il più solido possibile tra il teatro turco e il teatro del mondo, invitando gli artisti più importanti e emergenti a Istanbul e presentandoli all’attenzione del pubblico turco e della gente di teatro turca, ma anche incoraggiare progetti comuni, sostenere i giovani artisti turchi più dinamici, organizzare per loro momenti di incontro e laboratorio”.
La quindicesima edizione si è svolta dall’11 maggio al 6 giugno, con più appuntamenti al giorno molto affollati, concentrati prevalentemente nelle sale del grande centro culturale dedicato ad Atatürk e in altre sedi del municipio di Beyoglu, il cuore della città.
Sul piano internazionale è stata un’edizione particolarmente ricca. La scelta di ospitare la quarta edizione della manifestazione Olimpiadi del teatro, promossa dal greco Theodoros Terzopulos (e che fa riferimento, dal 1995, a un comitato costituito da personaggi del calibro del giapponese Suzuki, Lyubimov dalla Russia, Bob Wilson, l’inglese Tony Harrison, Antunes Filho dal Brasile e Nuria Espert dalla Spagna, all’origine nel club c’era anche Heiner Müller) ha rafforzato quantità e prestigio delle ospitalità, dando forse – però - una patina di eccessiva ufficialità rispetto alle rivelazioni delle edizioni passate. E se Bartabas/Zingaro (con un progetto speciale) o Rosas/Anne Teresa De Keersmaeker o il Culberg Ballet costituivano una novità assoluta, e Nekrosius, Brook (con due spettacoli: inutile dire che anche qui l’apporto della Francia è preponderante), e Jan Fabre un ritorno atteso, una vecchia Medea di Lyubimov e il nostro Arlecchino rischiavano di stendere sul festival, almeno per il visitatore europeo occidentale, una patina un po’archeologica.
(Va detto però che il famoso e quasi sessantenne spettacolo di Strehler – che continua a rappresentare l’Italia all’estero nelle sedi più prestigiose - ha anche questa volta conquistato il pubblico. Certo costituisce un vertice del teatro italiano, ma si potrebbe lanciare una petizione ai diversi organismi pubblici che sostengono le tournèes di Arlecchino all’estero perché gli affianchino SEMPRE una compagnia giovane, o almeno una produzione recente. Il vecchio glorioso spettacolo potrebbe accompagnare una visione della scena italiana più articolata e reale, meno museale).

I criteri di scelta relativi alle presenze nazionali e alle coproduzioni con partner stranieri tendono a combinare partecipazioni caratterizzate da grande qualità-notorietà presso il pubblico (che si sono in parte identificate con la celebrazione di due anniversari: Beckett e Lorca), con produzioni di autori, registi e gruppi spesso già affermati e presenti in edizioni precedenti del festival, caratterizzate da elementi di ricerca sul piano della drammaturgia, dell’incontro fra teatro e danza, dello spazio scenico. Questa classificazione è arbitraria – non emerge dal programma, intendo - mentre la sezione etichettata “giovane teatro” accoglie gruppi esordienti o quasi.
Fra gli spettacoli del primo gruppo spicca un’edizione memorabile di Finale di partita, una coproduzione turco-francese (IKSV con il festival internazionale parigino dedicato a Beckett), regia di Pierre Chabert con Genko Ekal, uno dei massimi attori turchi. Chabert ha creato uno spettacolo di grande semplicità, ma pieno di ritmo, energia, soprattutto humor, grazie soprattutto a un Ekal ironico e carismatico (anche per uno spettatore italiano che non consoce il turco) e al Clov di Bulent Eòy Yaran.

Ma le sorprese più interessanti arrivano dalle proposte di ricerca.
Ariza (Disadattati) è stato ideato da una regista giovane e già molto affermata, Emre Koyuncuoðlu.



Un grande letto in scena, dove si alternano freneticamente coppie verosimili e improbabili, timide e audaci, fra fantasie, incubi e realtà, travestimenti e parodie. Una compagnia numerosa, di professionisti e dilettanti presi dallo sport, dalla danza, dal circo. Uno spettacolo coinvolgente e molto divertente (contrariamente ai precedenti della Koyuncuoðlu, a quanto ci dicono, affascinata dai giovani arrabbiati inglesi e tendente al cupo), su quella particolare condizione esistenziale che consiste nell’essere o sentirsi fuori posto essendo se stessi, uno stato di spaesamento che ha a che fare col sentimento della diversità più che con la diversità “in sé” (e, se esiste, sono molte le diversità in sena), ma soprattutto un lavoro sulla forma in cui, scrive la regista “la deformazione diventa la forma”.
Punto di forza di Una commedia per due è invece la sintesi di spazio scenico (di Bülent Erkmen -attivo anche nelle arti visive - come la regia) e drammaturgia (testo di Yekta Kopan).



La storia di una coppia che si è amata in un passato non troppo remoto e cerca di rincontrarsi si esprime in una drammaturgia frammentaria (singole parole, brevi frasi), all’interno di una gabbia-labirinto in cui i personaggi si inseguono attraverso meandri geometrici senza mai raggiungersi.



Il pubblico è a sua volta accolto all’interno della struttura scenica, e segue da poltrone girevoli (solo 27) l’inseguimento e l’incontro impossibile. Il testo, ovviamente in turco è “doppiato” in diretta e dal vivo in inglese. La compagnia DOT si è costituita solo nel 2005, ma con la sua sede in un appartamento/teatro in quella che era l’antica Rue de Pera, è diventata uno dei punti di riferimento della cultura contemporanea cittadina.
In questi due spettacoli diversissimi fra loro, ricerca formale, spazio, lingua, le stesse storie sono indicativi – mi sembra - della tendenza alla ”occidentalizzazione” che ha caratterizzato la cultura turca attraverso tutto il Novecento, nello sforzo di conciliare la consapevolezza di un’identità complessa con aspirazioni progressiste e laiche.
Questo non vuol dire che il teatro ignori una Turchia più antica e il suo scontro col presente. Nel cono d’ombra della tradizione ci catapulta per esempio Interrompi il gioco, che cerca una nuova forma per un tema di impegno civile: il delitto d’onore, la violenza sulla donna, l’incesto (in Turchia e non solo). Ideato e diretto da Mustafa Avkiran con il gruppo KAMER (già passati in qualche festival europeo), in coproduzione con Anadolu Kültür e Züercher Theater Spektakel, Stadtschouwburg Amsterdam, Stadtschouwburg Utrecht, Rotterdamse Schouwburg, 0090 Kunstenfestival, lo spettacolo non soddisfa forse tutte le aspettative che le coproduzioni internazionali alimentano, ma presenta molti punti di interesse. Il pubblico è sistemato sui due lati di una gabbia bianca trasparente. All’interno una donna danza, mentre intorno cammina silenzioso un uomo in nero. Sulle pareti bianche della struttura si proiettano volti collegati alle interviste registrate (di esperte e testimoni che offrono il fitto materiale verbale) e le ombre deformate dei due attori. Vero colpo di teatro, al termine dello spettacolo, per un’ora impeccabile ma troppo statico, la figura maschile muta e un po’minacciosa intona Pietà signore di Stradella con voce da sopranista, confondendo in un attimo ruoli e identità sessuale (un finale da brivido).

Vale la pena di aprire una parentesi sul coproduttore turco di questo spettacolo. Anadolu Kültür è una società privata senza scopo di lucro di grande importanza per il tessuto culturale del paese (ma proprio privata: per costituirsi, per esempio, in ONG – una modalità che sarebbe coerente con gli scopi - si richiede l’approvazione statale e solo la forma privata consente una reale indipendenza).
AK sostiene produzioni ma soprattutto realizza in proprio e distribuisce progetti nel campo del cinema, della letteratura, delle arti visive, del teatro, nei territori periferici della Turchia. Il ruolo che si è saputa ritagliare ha portato l’organizzazione a dialogare col Ministero, tanto da essere parte del gruppo di lavoro che elabora indicazioni per le future politiche culturali (che il processo di adesione all’UE suggerisce di elaborare).
Per raggiungere il proprio scopo – in sintesi, il decentramento culturale orientato a precise tematiche come cittadinanza, identità, coesione sociale, dialogo internazionale - Anadolu Kültür raccoglie e rinveste in rapporto a specifici obiettivi e progetti fondi privati, europei – con riferimento ai programmi comunitari sopra accennati - e anche degli enti locali, che ultimamente sono stati coinvolti. Fra le realizzazioni più rilevanti, i centri culturali permanenti a Diyarbakir, nel sud est del paese e a Kars (al centro di uno dei romanzi di Pamuk -
Neve - che senza volerlo ha fatto un “marketing territoriale” formidabile): la città è al crocevia con l’Armenia, l’Azerbaijan, la Georgia, l’Iran, qui convive una popolazione turca, curda, armena. Ma anche interventi diffusi in più sedi legati a temi come la valorizzazione delle minoranze (la cultura orale degli Ezidi per esempio, e i Curdi: è stata realizzata un’antologia per valorizzarne la poesia), o la riscoperta del patrimonio storico e archeologico comune ai paesi del Caucaso, ma con precisi collegamenti a problematiche del presente (per esempio: le antiche fortezze col tema della giustizia). I diritti umani sono del resto una preoccupazione costante: si articolano su questo tema rassegne cinematografiche, ma anche animazione teatrale nelle prigioni. Per questa attività AK intrattiene rapporti con molti paesi europei (non con l’Italia), e mentre la giovane operatrice del centro che incontro in Francia (a un laboratorio per operatori culturali del Mediterraneo) racconta questa esperienza non posso fare a meno di pensare al film Fuga di mezzanotte (l’esatto opposto del “marketing territoriale”!), a come deve essere difficile e esaltante lavorare in questo paese ma anche a come, con molte contraddizioni, la situazione debba cambiata negli ultimi vent’anni.

Per la danza contemporanea, appena un po’ sbilanciata verso il teatro, vanno citate almeno due creazioni molto diverse sul piano delle caratteristiche produttive. La prima è una convincente produzione giovane, un po’ cerebrale (come da titolo, del resto), per uno spazio contenuto.



Pubblico molto partecipe, quattro elementi giovanissimi in scena oltre alla coreografa: Phronemophobia (Paura di pensare) di Tuðce Ulugün Tuna.
La seconda è 4 gambe del coreografo Zeynap Tanbay, molto noto e affermato (pienissima alla prima la sala grande del centro Atatürk, almeno 1000 posti).



A partire da questa produzione, caratterizzata da assolo e pezzi a due o tre elementi molto spettacolari e accompagnati da musiche e canzoni del repertorio internazionale, particolarmente accattivanti, Tanbay intraprende, con il suo preparato gruppo di dieci ballerini, il salto dall’attività “per progetti” alla costituzione di una compagnia permanente. Questo grazie alla sponsorizzazione convinta di una banca, Akbank Sanat, che consolida così la sua missione nel sostegno della danza contemporanea, anche allo scopo di colmare la distanza fra la situazione turca del settore e quella europea.

Gli spettacoli della sessione “teatro giovane”, dichiaramente per esordienti, erano nella media molto meno interessanti e più vecchi di quelli dei fratelli maggiori, ma è apprezzabile che il festival abbia accettato di rischiare qualche debutto.
E’ il caso dell’azione mimico coreografica Valige del Tiyatro Boyalý Kuþ (formalmente interessante sulla carta, ma decisamente scolastica) e di Attenti al cane, che incuriosiva per due elementi: l’autore, Melih Cevdet Anday, è considerato lo Ionesco turco (anni sessanta); è una coproduzione turco-americana, Türkar Çoker & New York Ensemble Theatre. Lo spettacolo era invece decisamente banale e neppure troppo divertente.
Con un’eccezione: il bel monologo, basato molto sul movimento, Est, ovest e una goccia di pioggia, ospite del Centre Culturel Français. Il progetto di Hazal Selcuk interroga quattordici diversi personaggi-flash su che cosa è una “casa”, in una riflessione leggera, parlata e quasi danzata, sull’emigrazione e sul concetto di appartenenza.

Non aveva uno spazio dichiarato nel festival il teatro d’autore, basato sul testo, ma in tutti gli spettacoli visti – anche in quelli più visivi - la componente drammaturgica era fondamentale e caratterizzata da forme sperimentali.
Da noi non è ancora arrivato nessun autore turco, ma si segnalano già traduzioni e messe in scena in Francia e Germania e alcuni autori, già attivi negli anni Settanta, come Tuncer Cücenoðlu, sono molto rappresentati in Russia: ho visto messe in scena interessanti nell’ambito di festival nelle repubbliche asiatiche (a Tyumen e Kazan: in gran parte della Siberia e in Tatarstan si parlano del resto lingue di ceppo turco).
Anche la fioritura culturale della diaspora turca e curda in Europa, letteratura e cinema soprattutto (e soprattutto in Germania) sta arrivando al teatro: più che un paese, la Turchia sembra un vasto continente culturale, tutto da esplorare, a cavallo fra Europa e Asia.

Una “incursione” nel teatro e nella cultura turca è prevista a Trento dal 29 novembre al 4 dicembre con il progetto del Centro Santa Chiara Al limite al confine/La Turchia fra Europa e Asia.

Trento
dal 29 novembre al 4 dicembre 2006
(prosegue nel 2007).

nel quadro del progetto internazionale
Al limite, al confine
promosso dal Centro Culturale Santa Chiara
in collaborazione con la Facoltà di Sociologia
a cura di Mimma Gallina

La Turchia fra Europa e Asia
spettacoli, laboratori, letture, un convegno internazionale

Prossimamente su ateatro il programma completo
Si segnala in anteprima per gli operatori

Giov.30 novembre e ven. 1 dicembre, ore 17,30/19,30
Laboratorio sul Teatro d’Ombre a cura di Cengiz Ozek
(costruzione e animazione nella tradizione turca)

Sabato 2 dicembre
La Turchia fra Europa e Asia (convegno internazionale)

Lunedì 4 dicembre
La nuova drammaturgia turca
autori e testi del teatro turco contemporaneo
Ozen Yula, Yesim Ozsoy Gulan, Murathan Mungan, Tuncer Cucenoglu
.
in collaborazione con Festival di Istanbul e AstiTeatro
incontri e letture finalizzate a promuovere la conoscenza del teatro contemporaneo turco e possibilmente il futuro allestimento, in edizione italiana, di un testo turco.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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