ateatro 102.10 Dopo questa Milano Sulla necessità e le modalità del rinnovamento di Umberto Angelini - Direttore Uovo
“Stavolta si tratta, non di continuare e migliorare, ma di cambiare e correggere. E cambiare gli uomini che non si possono correggere”. Cosi si esprimeva Antonio Giolitti all’VIII Congresso del PCI all’indomani dell’invasione sovietica dell’Ungheria. E da qui vorrei partire.
Se riteniamo che il sistema dello spettacolo milanese sia in crisi o comunque manifesti forti debolezze (accanto a innegabili potenzialità), bisognerebbe riflettere anche sulla responsabilità individuale degli uomini e delle donne che hanno (avuto) il potere di indirizzo e gestione del sistema stesso.
E’ certamente conseguenza, come tanti sostengono, della mancanza di un’alta e lungimirante Politica; ma è paradossale che queste voci giungano anche da chi è nominato da consigli d’amministrazione a loro volta indicati da questa stessa politica. Curioso strabismo, ma anche a ciò siamo abituati in questo Paese. Tutto ciò è sentire condiviso e potrebbe apparire noioso e pleonastico ribadirlo. Tuttavia io ne sento la necessità. Troppo spesso le storiche istituzioni culturali cittadine, anche al fine di distogliere l’attenzione sulla propria inadeguatezza di fronte alle nuove forme della scena e alle gigantesche trasformazioni socioculturali del tessuto urbano, hanno preferito ‘responsabilizzare’ la politica piuttosto che avviare una riflessione critica e costruttiva sul proprio ruolo, sulla propria funzione, sui propri compiti.
Come se la politica milanese le avesse in questi anni dimenticate, emarginate per favorire la nascita e il consolidamento di altre realtà giovani e indipendenti!
Se si vuole avviare una riflessione costruttiva credo sia opportuno individuare tre aree di crisi e quindi di potenzialità:
. il deficit di competenza e la debolezza produttiva. Oggi il sistema dello spettacolo milanese (in particolare quello della ricerca) non ha più un ruolo da protagonista nello scenario artistico italiano e internazionale. Non si viene più a Milano (tranne rare eccezioni) né dall’Italia né dall’Europa per scoprire talenti e nuovi linguaggi teatrali. Il sistema Milano attrae sempre meno. In Europa (ad eccezione di Emma Dante) non girano produzioni teatrali milanesi. E’ solo un deficit artistico o anche organizzativo? Una città come Milano può permettersi questa afasia produttiva in campo europeo? E che dire dell’assenza del networking internazionale?
. il mancato rinnovamento (soprattutto generazionale) nei luoghi decisionali. Non credo di conoscere persone che, diplomatesi almeno negli ultimi dieci anni alla Paolo Grassi, occupino oggi posizioni dirigenziali nelle strutture teatrali milanesi. E cosa accadrà ai laureati della Bocconi e della Cattolica in management culturale? Sono le scuole di formazione inadeguate o c’è un blocco occupazionale preoccupante? Il costo sociale dell’esclusione di tanti giovani è enormemente più alto di una sana chiusura o ridimensionamento di strutture esistenti. Non è forse il caso di applicare al sistema dello spettacolo (come avviene per altri settori economici) incentivi di tipo previdenziale e fiscale per la dismissione di realtà teatrali non più idonee o per il significativo rafforzamento di quelle virtuose? Facilitare l’uscita dal sistema, facilitare l’ingresso: questo deve essere l’obiettivo primario, questa l’emergenza milanese.
. i criteri di finanziamento e la redistribuzione delle risorse. Il sistema dello spettacolo milanese chiede giustamente più risorse finanziarie e il rispetto della tempistica dei finanziamenti. E’ inevitabile però riconsiderare il peso dell’anacronistico e oramai insostenibile (non solo dal punto di vista finanziario ma anche etico) premio alla rendita che è il parametro della storicità. Presentato come il riconoscimento di una storia e di un ruolo “sociale”, oggi è divenuto un blocco per qualsiasi circolazione verticale nel sistema, divenendo di fatto una vera e propria barriera all’entrata che rende impossibile un positivo dinamismo competitivo.
Cosa vuole essere il sistema teatrale milanese? Qual è il modello che Agis e Comune di Milano stanno disegnando per i prossimi dieci anni? E non per la prossima convenzione. Come il teatro milanese intende affrontare le trasformazioni migratorie della città quando già oggi è escluso da normali attività di networking internazionale?
E’ un’analisi cruda a cui spero si riconosca però il pregio non di una sterile e inutile polemica, ma la volontà sincera d’interrogare i teatri e le Istituzioni politico-culturali sull’attualità dei propri compiti e funzioni, per far emergere senza ambiguità una preoccupazione, spero condivisa da molti, che un patrimonio di storie e intelligenze come quello teatrale milanese, oramai autoreferenziale, si stia consumando nella rendita e invece avrebbe ancora probabilmente molto da dire.
L’articolo “Creatività Zero” di Renato Palazzi apparso su Linus tempo fa ne è un ritratto sistematico e puntuale. Difficile aggiungere molto di più a quanto da lui scritto.
Milano è una città che fa fatica ad interrogarsi sul proprio futuro perché è una città sazia, satura di ricchezza. L’economia, nonostante tutto, va, per ora. Non ha dovuto ricostruire in fretta il proprio modello economico come Torino o Genova. Ma deve darsi una missione oltre che una visione. Collocarsi senza indugi nel campo dell’innovazione e della contemporaneità e quindi abbandonare la logica miope della rendita (indubbiamente redditizia per molti ma non altrettanto per l’etica pubblica). Salvaguardare la memoria ma coltivare l’oblio; pensarsi non come un agglomerato di “individui spiritualmente separati” ma come una comunità condivisa, deve uscire cioè dalla logica della “città radice” e disegnarsi come una “città ramo”.
E’ qui che il sistema dello spettacolo milanese deve giocare la partita, dettando regole e obiettivi.
Lo sviluppo delle nuove sale teatrali milanesi può essere un elemento stimolante se agisce come moltiplicatore di linguaggi, se sa parlare e coinvolgere la pluralità di esperienze produttive del territorio. Ma è indubbio che se la logica di progettazione è la stessa seguita fino ad oggi, non vedo perché le cose dovrebbero andare in un’altra direzione. Ma si vuole andare veramente in un’altra direzione oppure il Teatro milanese non ne sente il bisogno e chiede legittimamente solo maggiori finanziamenti per rafforzarsi?
Il sistema teatrale milanese è troppo spesso profondamente scollegato dalle dinamiche creative della città. Non c’è scambio osmotico, non c’è contagio, solo rari episodi funzionali.
Io non mi riconosco oramai da molti anni, sia per interessi personali sia per estetiche e poetiche, all’interno delle sole frontiere del teatro. E questo è comune a molti curatori e organizzatori culturali europei e a molti giovani italiani. Non a caso m’interessano e m’interesso ad artisti che lavorano al superamento delle discipline, con un approccio unitario alla creazione contemporanea. Questo è quello che cerco di fare con Uovo.
Negli ultimi due anni al nostro “storico” staff di formazione e esperienza teatrale si sono aggiunte: una laureata in design del prodotto, una laureata in fashion design, una laureata in arti visive. Ed è stato un bene per tutti noi.
Uovo si meticcia con allegra passione e doveroso rispetto agli immaginari dell’arte, della moda, del design in una confusione di linguaggi e formati, alla ricerca della bellezza imperfetta delle cose, temporanee e incomplete. Da qui la scelta di ‘rappresentare‘ lo spettacolo contemporaneo fuori dai teatri, in luoghi non anonimi ma caratterizzati da specifiche identità e immaginari come il Superstudio, la Triennale, lo IED ModaLab, il Pac. Uovo ha cosi mutuato codici iconografici dell’arte e del design piuttosto che (con i progetti Superuovo) i dispositivi più decostruiti della moda come i “guerrilla stores” di Comme des Garcons o i “temporary stores” di Vacant.
Uovo nasce come risposta all’immobilismo delle istituzioni culturali, troppo spesso incapaci di cogliere i cambiamenti di un pubblico nomade e metamorfico e i nuovi segnali della scena produttiva. Ad Uovo va indubbiamente riconosciuto il merito di aver fatto emergere un pubblico “altro” (oltre che nuovi artisti) rispetto a quello abituale dello spettacolo milanese; un pubblico trasversale per competenze e formazione, curioso e attento a ciò che d’innovativo si muove nel campo della produzione culturale contemporanea.
Il futuro del sistema dello spettacolo milanese è per me inscindibile da un disegno che contempli una progettualità orizzontale con altri settori della produzione creativa contemporanea e tenga conto dell’enorme bagaglio di potenzialità e problematicità che la trasformazione urbanistica e demografica sta avendo sulla città. Questa è la vera unicità e ricchezza di Milano. Saranno le stesse persone che da trent’anni guidano il sistema teatrale ad indicarci la strada per i prossimi trenta? A questo risponderanno il pubblico e la Politica. Per ora, lunga vita a tutti.
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© copyright ateatro 2001, 2010
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