ateatro 100.18 I dieci anni di Atir Gli auguri di una zia rompiscatole di Mimma Gallina
Cara Atir,
dieci anni! Succede a noi zie rompiscatole e un po’ sempre uguali se stesse, di accorgerci che il tempo passa quando ci si rende conto che i nipotini sono cresciuti. E tu: “Come sei cresciuta!”, bruciando le tappe dell’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza che il nostro sistema teatrale - come la nostra società - tende invece a dilatare, procrastinando la vita adulta, o saltando - delle vita - intere fasi.
Eppure sembra ieri l’inizio - a scuola ma già “gruppo” e alla fine di un bel triennio, con maestri veri e agitazioni permanenti - con quello scoppio di energia che era (ed è rimasto per anni), Romeo e Giulietta. Forse il termine energia, il più ricorrente agli esordi, ti ha un po’ perseguitato, ti sembrava riduttivo. Ma era quella l’impronta di partenza, assieme all’entusiasmo e, appunto, alla giovinezza.
Ma dietro, e dentro, c’era già molto altro.
C’era la volontà di fare un percorso assieme di personalità tutte a loro modo precise e forti ma determinate ad essere collettivo, e quindi tutte determinanti nella complessità delle dinamiche di gruppo: Arianna, Fausto, Mapi, Maria, Mattia, Nadia, Sandra, più tardi Michela e Stefano (mi piace nominarvi uno a uno: un gruppo di ragazzi belli - nella vostra trascuratezza un po’ démodé - e di belle persone) così diversi eppure capaci di costruire un nucleo legato e solido, burrascoso - certo - come tutti i nuclei vivi, intorno a cui hanno potuto ruotare apporti esterni-interni significativi, numerosi e liberi, trasformando negli anni il collettivo potenzialmente chiuso in un una sorta di famiglia allargata.
E c’era e c’è il punto di riferimento riconosciuto, Serena, senza cui l’avventura non sarebbe partita. E certo non avrebbe potuto proseguire se la sua leadership non fosse stata continuamente riconfermata.
Dietro la timidezza e l’allegra serietà, Serena brillava di intelligenza e sprizzava carisma già a vent’anni, senza (voler o poter) nascondere le incertezze dell’età, che trasparivano anche “fisicamente”, nella chioma di folti, ricci e lunghi capelli rossi, ad esempio, eccessiva, come eccessiva sarebbe stata la fase successiva, con zazzera cortissima (quasi una esternazione ancora un po’ adolescenziale della ricerca della propria complessità e delle proprie contraddizioni).Ma c’era altro ancora.
C’erano in te, cara Atir, e sono rimaste, forti motivazioni ideali che intenerivano noi vecchie zie sessantottine, e che dieci anni fa erano, in un gruppo giovane, un’eccezione: non si era ancora affermata - a parte Paolini - la generazione dei narratori “impegnati” e i tuoi coetanei di “teatri Novanta” sembravano attratti da forme meno “convenzionali” delle tue (la loro formazione dl resto non era “accademica”), ma molto spesso (non sempre certo) povere di senso (secondo me).
C’era in te invece la voglia di interrogarsi a trecentosessanta gradi sul mondo, sul passato recente, da “giovani” e da “cittadini”. Da questi interrogativi è nato il “ciclo” degli spettacoli sulla storia del presente (da Come un cammello al 68 all’89), ma anche un modo particolare di affrontare i “classici” e questo atteggiamento ha determinato molto del vostro stile, un “gioco epico” che ricorre come marchio di fabbrica anche nelle Baccanti, in Lear, nelle Troiane. Non basta l’impegno a fare teatro, soprattutto a fare del buon teatro, certo, ma senza convinzioni, come senza tecnica e senza idee, non credo che si possa creare uno stile.
Il tuo si è modellato anche attraverso la volontà e la capacità di elaborare l’esperienza scolastica in un legame stretto ma autonomo coi maestri: penso in particolare a come hai saputo cogliere il meglio del metodo e dello “stile Vacis”, emancipandoti ed evitando il rischio della “maniera Vacis”.
E l’emancipazione è iniziata molto presto.
Fra tutti i tuoi spettacoli, le Baccanti è a mio parere il primo del tutto originale, e quello che forse mi è più caro. (anche perchè ho in qualche misura contribuito alla sua genesi). Io mi occupavo allora di Mittelfest e in quell’anno (il ’97? il ’98?) intendevamo dedicare un spazio all’Albania. Tu Atir (Serena e gli altri) cercavi per Baccanti una “Tebe percorsa da gravi malanni” e così Serena si aggregò - un po’ da un giorno all’altro mi sembra - a un mio viaggio a Tirana.
Tirana era Tebe (i classici vivono in funzione del presente): e in quel viaggio fu letta sede di prove e debutto e si imbarcarono nel progetto le ragazze della locale Accademia d’Arte Drammatica.
In quell’occasione io ti aiutai a trovare una coproduzione: si trattava dell’Olimpico di Vicenza, anche se lo spettacolo si fece in una discoteca (e approdò a Mittelfest l’anno successivo), quell’anno diretto da Glauco Mauri. E’significativo che la ricerca di sbocchi organizzativi da parte tua sia sempre stata disponibile alla “trasversalità”: avere motivazioni ideali non significa, anzi, dividere il sistema teatrale in buoni o cattivi, vecchi e giovani, in ricerca avanzata e convenzione. Questo forse non ti ha giovato dal punto di vista di una collocazione precisa fra le aree del sistema, e di un’immediata ricaduta critica (ma non devi soffrire troppo se quel tale o talaltro critico ci ha messo sette o otto anni per venire a vederti), ma è stata positiva sul piano della libertà e del consolidamento economico-organizzativo.
Negli ultimi anni abbiamo lavorato assieme per altri “progetti speciali”, tutti molto importanti per me, forse un po’ meno per te, che, pur nella disponibilità a recepire proposte, hai comprensibilmente sempre considerato prioritari, sul piano organizzativa e ideale, i progetti “interni”. In due casi è stato in rapporto al Festival Castel dei Mondi (nel periodo in cui lo dirigevo assieme a Pamela Villoresi) e a quello spazio strepitoso che è Castel del Monte: si trattava di “interpretare” l’anima del luogo. Ammetto, cara Atir, cara Serena, di avervi un po’ “usato”: ma ne sono dati due “eventi”, il Gran torneo delle religioni e Beati quelli che (ispirato alle Beatitudini evangeliche), carichi della spiritualità laica che volevamo, e che non credo sarebbe stato facile trovare in altri gruppi. Ma voi, spero almeno, avete a vostra volta fatto un ulteriore passo avanti attraverso quelle esperienze, perchè progettare su temi “dati” (e “interpretare” spazi dati), e coordinare apporti esterni di diverse discipline (come è stato per le Beatitudini), non è certo poco creativo.
Anche quando si è trattato di giocare un po’ con i generi (o anche di giocare tout court), ho pensato in primo luogo a te (a te Atir e a te Serena). E’stato l’anno scorso, a Pergine, con Cose turche, un pastiche rossiniano lirico/teatrale fra Italiana in Algeri e Turco in Italia: bisogna un po’ reinventare anche il modo di fare lirica e avere il coraggi di avventurarsi fra le discipline.
Così, esperienza dopo esperienza, spettacolo per spettacolo, hai affinato un tuo metodo, fra laboratori, periodi di prova rigorosi, tournée intense, qualche rapporto internazionale, sei cresciuta (e quasi quasi oggi potremmo dire che esiste - per i colleghi più giovani per cui costituisci un punto di riferimento prestigioso- una “maniera Sinigaglia”), hai saputo favorire - o hai accettato - le opportunità esterne per i singoli (per tutti mi sembra: ciascuno in rapporto ai suoi specifici talenti).
Ora forse ti senti troppo matura per permetterti di sbagliare, ma in fondo sei ancora troppo giovane per non avere attenuanti. Quindi prendi la tua età con leggerezza. Non sarà facile, ma profetizzo un grande futuro, individuale e collettivo.
Ciò non toglie che, da vecchia zia, vorrei ancora un po’ sgridavi e proteggervi.
(4 giugno 2006)
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