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  M a r i n e l l a G u a t t e r i n i
Britdance
La danza inglese dai DV8 a Matthew Bourne

 

© Marinella Guatterini & Trax A poco più di dieci anni dal debutto di My Sex, Our Dance, cioè del duetto omosessuale che fece conoscere a Londra le nuova danza arrabbiata di Lloyd Newson e del suo partner Nigel Chamock e il nome del loro gruppo, DV8 (all'origine di questa strana sigla il termine "deviate", cioè traviato, deviato) si torna a parlare di un’ultimissima wave londinese: danza "hard", teatro fisico, coreografia ribelle. Ma a giudicare dalle tranquille compagnie britanniche ospitate di recente in Italia potrebbe trattarsi di un falso avviso. O meglio di una confusione prospettica; l’indiscutibile crescita numerica e l’affermazione dei gruppi di danza anglosassoni – spesso "under 30" – non va necessariamente abbinata all’onda del nuovo, incalzante, teatro arrabbiato, né deve essere sovrapposta a quella penultima wave, ben più dissacrante, che vide l'affermazione dei DV8 e delle loro pièce sul degrado, l'emarginazione, l'estrema follia sessuale (penso soprattutto allo sconcertante Dead Dreams of Monochrome Men del 1988, ispirato alla vita del serial killer Dennis Nilsen). A metà degli anni Ottanta si impose anche l'energia forte dei V-Toll, e quella tutta particolare dei Cando-co: la compagnia composta di handicappati e guidata da David Tolle – eccellente performer-danzatore ma senza gambe che ora compare, di sfuggita, nel suggestivo film di Sally Potter Lezioni di tango. Non solo. Dopo aver deriso il proverbiale puritanesimo anglosassone con pièce segnate dalle natiche al vento come New Puritans, il ribelle storico e ambiguo della nuova danza inglese, Michael Clark (ex allievo della Royal Ballet School: un danzatore di formazione squisitamente classica, poi convertito al postmodern da Karole Armitage) si permetteva, al traguardo del 1990, performance sempre più estreme: veri e propri coiti esibiti in gallerie d'arte e allegramente definiti "le mie danze più sincere".

Ben altre e più pudiche Iiaison di corpi danzanti nascono, ora, dai duetti di Russell Maliphant, ospite, assieme alla Ricochet Dance Cornpany e alla Shobana Jeyasingh Dance Company, del festival roveretano "Oriente-Occidente" che ha accolto una piccola sezione britannica all'interno del suo variegato cartellone ’97. Maliphant si è formato alla scuola accademica, ma nonostante varie esperienze di altro tipo, tra l’altro proprio coi DV8 e Michael Clark, resta per ora nell'alveo degli interpreti di talento, più che non in quello dei veri creatori; la sua danza è una lenta analisi di corpi che si studiano a vicenda e si plasmano, come se fossero uno lo scultore dell'altro e viceversa, senza stacco tra l'opera e chi la esegue. Ma l’interesse delle sue perlustrazioni è assai limitato e soprattutto laboratoriale. Molto più accattivante, ma anche meno sofisticato, è il lavoro multiforme e poliglotta della Ricochet Dance Company fondata nel 1989 dalle danzatrici Kate Gowar e Karin Potsik. È un gruppo che muta spesso il suo referente artistico, così come capita, in genere, ad analoghe formazioni coagulatesi all’intemo di college e università. Una realtà per tutte: quella della Phoenix Dance Company, espressione di un lavoro amatoriale che si è trasformato in professionismo, ma con molte lacune progettuali.

Al ballerino statunitense Javier De Frutos, noto per essersi esibito nudo anche a Londra in performance ancora una volta a carattere sessuale, la Ricochet ha commissionato All Visitors Bring Happiness, Some By Coming, Some By Going: ovvero, la revisione dell'oratorio stravinskiano Les Noces, che divenne coreografia già nel 1923, grazie a Bronislava Nijinska e ai Ballets Russes. Ne è nato un pezzo di trenta minuti, sufficientemente furioso per essere definito dal Times "un atto sessuale", cosa che prova, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto la sessuofobia e sessomania (ma è chiaro che i due termini sono sinonimi) degli inglesi sia davvero diventata il caso clinico degli ultimi anni, senza distinzione di rango e dl cultura e con un'incidenza sugli artisti, specie i più giovani, che fa riflettere. Anche perché se è lecito diffidare della sensualità poetica delle nuove Noces di De Frutos, ancor meno probabile è la paranoia sessuale e l'ansia pomografica di Flesh, l'ultima creazione del gruppo di teatro fisico Frantic Assembly, spacciato come portavoce degli arrabbiati e naturalmente come "il più scandaloso". Ciò che più colpisce, però, nella pièce presentata alla Limonaia di Sesto Fiorentino, ma anche al Salone CRT di Milano, è l'innocenza degli sguardi dei protagonisti e la paffuta simpatia dei loro fisici tondi da merenda paneburromarmellata. Il fatto che si ficchino le mani nei pantaloni è un gesto che alla fine sembra frutto di cattiva educazione più che sortilegio teatrale; certo cattiva è la preparazione fisica dei componenti di questo giovanissimo ensemble, brutale nelle aggressioni e nelle cadute a terra come i La La La Human Steps, ma senza lo charme del gruppo canadese.

Tutti e quattro i performer, però, recitano con convinzione il testo di Flesh (l'autore è Spencer Hazel) che biasima il mercimonio degli adolescenti e insinua, grazie a una serie di ritratti personali, come l'ossessione sessuale sia sinonimo di horror vacui. Solo a qualche attimo di suspence iniziale dobbiamo il fascino di una pièce che alla lunga diviene quasi scontata.

Ma va detto che non tutta la danza inglese odierna si distingue per la capacità di stupire. Persino un gruppo multietnico e sulla carta già interessante come quello guidato, a partire dall'88, dall'indiana Shobana Jeyasingh, coreografa originaria di Madras, resta molto spesso intrappolato in ricerche che si esauriscono nella bella scrittura e nella messa in scena, decorativa, di un incontro tra Oriente e Occidente, in cui sfuggono, però, le finalità poetiche. Il disegno di una delle coreografie presentate a Rovereto, Romance... With Footnotes è programmatico e obiettivo. La coreografa sposa i principi tecnici della più difficile e completa delle danze classiche indiane, il Baratha Natyam, alla musica del compositore Glyn Perrin e agli jathis (serie di sillabe) del filosofo indiano Karaijudi Krishnamurthy, ma l'impaginazione di questi "matrimoni" non è più orientale. Assistiamo a una coreografia occidentale e al divenire di un discorso ibrido, con momenti di autentica bellezza pseudoindiana e pseudocontemporanea, ma del tutto formali.

Con Shobana siamo lontani dai clamori della wave arrabbiata ma la scena inglese offre grande scelta: se i DVB, con il capriccioso direttore Lloyd Newson, sono i più richiesti dai teatri internazionali e il loro ultimo Enter Achilles, atteso in novembre al Festival d'Automne di Parigi potrebbe doppiare il successo del pluripremiato Strange Fish (questa volta Lloyd indaga sull'ideologia del maschio macho, tra pinte di birra, acceso cameratismo, paura delle emozioni, restituendoci il perfetto ritratto dei suoi connazionali hooligans) i Cando-co segnano il passo a riprova che non basta agitare la giusta causa dei disabili per ottenere buoni risultati artistici. Tra luci e ombre la speciale adesione ai cosiddetti temi sociali, politici ed esistenziali, da tempo ricorrente nella danza contemporanea inglese, lascia però intendere un fermento importante, anche perché, a differenza di altre new wave "atteggiate", gli inglesi partono da una condizione preliminare di schietta verità: cioè non recitano a fare i disabili, lo sono e quando occorre portano in scena l'eventuale etero o omosessualità. Il problema, per ora irrisolto dal gruppo Frantic Assembly è come conciliare il tumulto di una generazione imberbe e sbigottita ma decisa a rifiutare le regole della bella danza o del movimento fisico levigato, alla ricerca di un'altra danza o di un altro modo di essere in teatro che lasci però trapelare una vera qualità espressiva. C'è il rischio di un dilettantismo diffuso, fresco ma ancora inconcludente e il rifuto di portare alle estreme conseguenze ciò che si annuncia trasgressivo a parole, mentre poco lo è nella danza. A meno che non ci si imbatta in coreografi come Matthew Bourne, destabilizzatore dei classici del repertorio in un ottica grottesca e freak. Con le sue Silfidi insanguinate, i suoi Cigni ubriachi, le sue Cenerentole ripugnanti, l'ironico e iperprofessionale Bourne si è aperto una breccia nel cuore dei ballettomani inglesi; la sua "trasgressione" english rose è finita nei grandi teatri da musical e recita tutte le sere, sempre uguale, a teatro straesaurito.

 

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