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L o r e n z o P e l l i z z a r i
Mars Day

 

Film critic from outer space.

© Trax

Anche senza sapere bene che cosa siano i flip books (libri o album leggibili sia da un lato che dall'altro) si può acquistare per sole cinquemila lire lo strillatissimo numero zero di una nuova rivista della Magic Press di Albano Laziale (Roma) appunto à double face: da una parte è Mars Attacks!, dall'altra è Indipendence Day. Sono, giochino editoriale incluso, le due facce di un solo fenomeno, come lo sono i rispettivi film di Tim Burton (purtroppo in America quasi un flop) e di Roland Emmerich (un primato di incassi assoluto) che attirano comunque un pubblico indifferenziato, secondo la formula "dai 7 ai 70 anni".
Si ammirano gli effetti (che poi, almeno nel secondo caso, non sono poi così speciali), ci si diverte tanto più la credibilità dell'impianto e della vicenda sono rarefatte, si resta indifferenti a stragi e ammazzamenti tanto più risultano spettacolari, si fa scorrere nel sangue un po' di adrenalina senza provare mai un vero brivido di paura, si esce rintronati dal dolby stereo e quasi delusi del fatto che, fuori della sala, tutto sia così normale e banale. Soprattutto si dimentica subito buona parte di ciò che si è visto perché i prodotti sono tali (come un tempo quelle Guerre Stellari che ora vengono proposte ridigitalizzate) da offrirsi per una fruizione infinita.
Ma, intendiamoci, si è ben lungi dal voler disprezzare i due prodotti, anzi il prodotto. Un pomeriggio al luna park può utilmente conciliarsi con austere abitudini di vita e di lavoro, con letture serie, con frequentazioni giudiziose e meditazioni sull'assoluto, e ogni età è buona per salire sull'ottovolante, esercitarsi al tiro a segno, pilotare un autoscontro. Con il luna park, del resto, questo fantacinema ha molto in comune: a cominciare dalle rutilanti scenografie per finire con la contiguità in uno spazio limitato di tutto quanto può destare meraviglia, un'attrazione dietro l'altra o accanto all'altra. Non è la logica sequenziale ad amalgamare il tutto, ma un misto di luci sfavillanti, di colori esasperati, di rumori assordanti.

Come il luna park (e come certe sue attrazioni: i tunnel, i taboga, le ruote, le piste) anche questo fantacinema ha un suo inizio e una sua fine, un'"entrata" e un'"uscita", il che non prevede necessariamente un percorso: essendo quest'ultimo inventabile al momento, secondo l'estro, il capriccio o la forza del richiamo. Sia Indipendence Day sia Mars Attacks! mettono in campo quasi a casaccio azioni o vicissitudini parallele di gruppi diversi, e le carte possono essere mischiate a piacimento, alcune addirittura eliminate, senza che il gioco si interrompa o ne soffra.
Nel luna park, almeno quelli di una volta, non mancavano i fenomeni più o meno viventi (basti pensare ai "mostri" di film quali Freaks o La fiera delle illusioni o anche solo a La donna scimmia). Nel nostro fantacinema il ruolo è coperto e assicurato dagli alieni o dai marziani, entrambi vagamente umanoidi e sufficientemente bipedi (basta con gli insettoni giganti, con le piovre tentacolute, con gli ammassi gelatinosi o con gli ectoplasmi fluttuanti), ma non meno orrendi o ridicoli ai nostri occhi. Caricature di uomo e di donna, insomma (e anche, almeno nel film di Burton, divertenti e divertite caricature di attori: da Jack Nicholson a Glenn Close, da Danny DeVito a Michael J. Fox, da Annette Bening a Rod Steiger, dal curioso Tom Jones alla decrepita Sylvia Sidney) o addirittura caricature (come nel film di Emmerich) di alieni già presenti nell'immaginario. Il bello è che, in entrambe le pellicole, la caricatura si estende agli umani, ai "tipi" e ai "caratteri" di una commedia dell'arte tutta americana, quella ovviamente nata dai comics e dai film trash: il forzuto, la bellona, l'alcolizzato, la megera, il fanatico, l'indiavolato, il maniaco, il ragazzino terribile. Al punto che le audaci imprese degli uni e le nefandezze degli altri, grazie a una duplice dimensione antropologica, si incontrano senza soluzione di continuità in un microuniverso (contaminato da un macrouniverso) che resta pur sempre a dimensione umana e dove i buoni e cattivi sentimenti, apparentemente scacciati dal plot, vi rientrano grazie alle reazioni degli spettatori.
Il mondo del luna park gode di una sua autonomia e di un suo spirito di corpo, è una sorta di città-stato: lo si può dipingere con i colori romantici dell'utopia come si può scavare nelle sue viscere per coglierne miserie e falsità. Lo stesso accade nel nostro fantacinema dove i ruoli non sono mai determinati in partenza e dove non vale la legge degli opposti e contrari. È un mondo alla rovescia dove la ragazza leggera si rivela generosa e la dama raffinata (si tratti persino di una presidentessa degli USA) poco più che una baldracca; dove il mingherlino sfodera doti atletiche invidiabili e il muscoloso si sgonfia come un pallone; dove la sicurezza del Paese (e del mondo, che con esso ovviamente fa tutt'uno, semplice periferia folcloristica dell'impero americano) non va affidata a generali idioti alla Stranamore (quello di Kubrick, non quello di Castagna) bensì a umili minutemen tesi al farsi una birra e a fare sesso, nonché esperti di giardinaggio, di modellismo e di bricolage elettronico.
L'ultranazionalismo di Indipendence Day e lo sciovinismo di Mars Attacks! (perché atterrare nel deserto del Nevada?) nei confronti del resto del mondo si scontrano però con un gusto sadomasochistico ancora una volta da luna park: tra esplosioni di strutture e implosioni di edifici i due film fanno a gara nel distruggere i simboli architettonici del potere e della potenza, proprio come succede alle piramidi di barattoli o alle sagome dei baracconi, e questo antiamericanismo dall'interno può far pensare: gusto della beffa o insoddisfazione, scherzo pesante o critica delle istituzioni? È un po' come la storia dello snack Mars, che non riuscirò più ad addentare: fuori è una superficie gradevole, dentro attacca sul palato e sembra viscido come un marziano.
Se il ripieno fosse verde, sarebbe un gadget perfetto.

 

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