K a r l S. C h
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Karl S. Chu, docente al Southern California Institute of Architecture, ha fondato a Los Angeles lo studio X Kavya e lavora alla riconcettualizzazione dell’architettura come espressione strutturale dell’architettura dell’informazione. Karl S. Chu, teacher at the Southern California Institute of Architecture, founded X Kavya Studio in Los Angeles. He reconceptualizes the field of architecture as the structural expression of information architecture. © Karl S. Chu |
La
musica è l’esercizio aritmetico nascosto dell’anima, inconscia di
stare calcolando.
Leibniz La storia ha visto molte forze unirsi e congiurare per scatenare cambiamenti rivoluzionari che portassero al mutamento dei paradigmi o alla creazione di nuovi ordini mondiali. Il ventesimo secolo è stata l’epoca di queste convergenze. Nessun’altra era ha visto una quantità e un’intensità di eventi vagamente paragonabili a quelli del Novecento. Visioni storiche e scoperte epistemologiche, finalmente liberate dall’Illuminazione, si sono incanalate in grandi innovazioni che sembrano dover alterare le modalità dell’esistenza e il concetto stesso di universo fisico. La sintesi di energia, materia e informazione in un sistema triparametrico ha creato le condizioni per permetterci di pensare l’impensabile e di estendere la nostra immaginazione fino ai limiti dell’inconcepibile. A quest’intersezione, mentre ci avviciniamo alla fine del secondo millennio, è emersa una nuova idea di spazio genetico. Questo nuovo spazio non è un ricettacolo passivo, ma uno spazio attivo ed evolutivo dotato delle proprietà dinamiche e dei comportamenti dell’ambiente epigenetico. Secondo Kant, lo spazio e il tempo sono forme universali dell’intuizione dei fenomeni. Ne deriverebbe che ogni modificazione della nostra idea di spazio e di tempo non solo sarebbe inutile, ma addirittura impensabile. Per quanto possa sembrare impensabile, i cambiamenti profondi nella visione del mondo e le mutazioni dei paradigmi sono quasi sempre accompagnati da una ri/valutazione dell’epistemologia dello spazio e del tempo. Era dall’antichità, quando la virtualità reale del mito permeava tutti i livelli della vita umana, che non veniamo messi di fronte alla possibilità di essere sbalzati in una zona ai confini della realtà, in cui il sublime e il fantastico si intersecano in uno spazio etereo di origine elettronica. Si tratta della zona di emissione che si irradia dalla decompressione del reale, una compressione supercritica dello spazio genetico. Questa trasmissione nello spazio genetico è conseguenza della biforcazione che si divide in due rami di relazioni vita-mondo: il fisico e il virtuale. I primi segnali e le prime radiazioni emesse da questo spazio genetico hanno già iniziato a infiltrarsi nella sfera della virtualità. Il suo stato metafisico, comunque, è occultato dall’esuberanza tecnoromantica della forma-cyberspazio. Il cyberspazio sta per diventare la zona in qui il fantasma delle quantità e delle qualità scomparse, generato dall’energia repressa del Capitale, trova una forma aliena di comunicazione dentro e attraverso il proprio delirio, nell’oceano dei codici binari. Nella sua attuale versione (la realtà virtuale) si tratta della simulazione di un desiderio iperinfetto di immersione in un ambiente allucinogeno. Stiamo comunque parlando di un prototipo di una realtà alternativa ancora in stato embrionale. Con il passare del tempo apparirà chiaro che il cyberspazio è il preludio alla logica genitiva più ampia di uno spazio modale generato dalla volontà (per ora ancora oscura) del demiurgo, non più il dio del cosmo come nel Timeo di Platone, ma la volontà autopoietica sottesa a tutti i fenomeni emergenti dell’universo. La struttura modale del mondo non è immediatamente evidente. Potrebbe sembrare un fatto privo di conseguenze in rapporto ai bruti accidenti dell’esistenza fisica. Eventi controfattuali riguardanti storie possibili o futuri possibili sono ritenuti frutto d’invenzione e, quindi, puri fingimenti dell’immaginazione. Ma dal punto di vista delle metafisiche della modalità il possibile è una funzione della possibilità e della necessità implicita in ogni dato aggregato di correlazioni prima che venga attualizzato come una direzione specifica tra miridiadi di altre possibili. Al livello più profondo, la modalità è una proprietà dell’universo stesso. Già Liebnitz speculò sulla possibile esistenza di altri mondi e propose una macchina astratta, precorritrice della moderna teoria delle combinatorie. Nel suo De arte combinatoria inventò un sistema di scrittura universale o di poligrafia universale basato sull’alfabeto dei pensieri umani, attraverso il quale «si otterrà una conoscenza fondamentale di tutte le cose». Questo è il migliore dei mondi possibili, dichiarò Leibniz, a causa del principio di ragione sufficiente. La sua macchina astratta avrebbe dischiuso la ragione causale sottesa a ogni proposizione sul mondo, anche se dopo Godel si è stabilito che esistono dei limiti alla conoscenza e alla calcolabilità. Trascurando l’invocazione satirica di Voltaire alla nozione di mondo possibile, il ventesimo secolo ha riscoperto i germi di una metafisica leibniziana in un momento in cui il clima intellettuale è storicamente saturo di sospetti circa le metafisiche. Ciononostante, siamo infine giunti all’alba di un nuovo ordine mondiale che cambierà radicalmente il panorama concettuale e teorico dell’esistenza stessa. La forma del nuovo ordine mondiale è una clessidra composta da due imbuti invertiti connessi all’apice di ciascun cono. La metà superiore corrisponde alla sfera emergente della virtualità proiettata dal meccanismo generativo del cono inferiore. Il suo destino è di esfoliarsi nel vuoto infinito dell’ipersfera generando al contempo una complessa ragnatela di paesaggi epigenetici che nel tempo formeranno il flussostrato multilivello dell’ecologia virtuale. Il cono inferiore è la macchina semiotica del mondo fisico che agisce da progenitore dei pattern cromogenici di cui è completamente permeato il cono virtuale della metà superiore. C’è una comunicazione reciproca tra i due coni, attuata attraverso secrezioni metronomiche composte da picchi affettivi dissipati lungo l’orizzonte degli eventi di ogni cono. Il cono virtuale sarà popolato da simulazioni autocatalitiche di agenti autonomi generati da e per agenzie che possederanno una propria economia fluttuante omeoretica. Il meccanismo generativo (o motore di realtà) che permette l’incanalamento verso la sfera conica della virtualità è la Universal Turin Machine (UTM), l’equivalente moderno del fuoco prometeico e l’anima archetipica di una nuova generazione di specie biomeccaniche in evoluzione geometrica all’interno del philum meccanico del cono inferiore. Già Duchamp ebbe un’intuizione di una struttura in qualche modo omologa, che espresse attraverso il suo Grande Vetro. La divisione del Grande Vetro in un livello superiore e uno inferiore è simbolo della biforcazione in livelli differenti dei meccanismi volitivi implicati in ambito semiotico. Se il Grande Vetro è una macchina semiotica che rappresenta l’alchimia del desiderio che porta alla produzione di un’economia trascendente, un’economia dell’eccesso diretta verso l’altro senza la certezza di un ritorno, la nostra Clessidra rappresenta un’economia digitale sostenuta dalla logica oscura del demiurgo stesso, implicato in un’infinita traiettoria senza limiti. L’architettura, da quando se ne ha memoria, ha privilegiato lo spazio rispetto al tempo. La storia delle forme architettoniche è una storia di morfologie spaziali, più che di morfologie temporali. La concezione normativa e la pratica dell’architettura sono largamente determinate dalle metafisiche classiche: una paradigma meccanicistico universale, deterministico, atemporale e oggettivo, senza alcun riferimento all’osservatore. Tutto è scomponibile attraverso una riduzione formale basata su un sistema di assiomi che ambisce alla completezza. «Il tempo assoluto, vero e matematico in sé e per sua stessa natura scorre regolarmente senza alcuna relazione con fattori esterni» proclamò Newton. Il tempo e lo spazio sono strumenti concettuali per misurare gli intervalli delle mutazioni e quindi non sono immuni dalle metafisiche. Il tempo, come lo spazio, è normalmente costruito come entità continua. Secondo John Wheeler il tempo, tra tutti i concetti, ha dimostrato la maggiore resistenza a essere detronizzato dal continuum ideale al mondo dell’astrazione, dell’informazione, del bit. Nel suo saggio It From Bit, Wheeler ha sottolineato come la realtà abbia in fin dei conti una fonte immateriale e una spiegazione originariamente informativo-teoretica. E di tutti gli ostacoli che si oppongono a una spiegazione dal vero dell’esistenza, quello che si ripropone con più snervante insistenza è il tempo, ha detto Wheeler. Spiegare il tempo? Non senza spiegare l’esistenza. Spiegare l’esistenza? Non senza spiegare il tempo. La Sfera della Virtualità è il piano di consistenza su cui le permutazioni delle variabili cronomorfiche si sviluppano ed evolvono in uno spazio di più alta fase dimensionale. Il passaggio dal possibile all’attuale avviene dentro un tempo virtuale ed è determinato dalla convergenza di intensità all’interno della matrice virtuale di infrastrutture che risiede negli strati intersecantesi della meccanosfera. Gli effetti di questa transizione porteranno a una riconfigurazione delle relazioni tra l’uomo, la natura e la macchina nel contesto di una cosmologia digitale basata sulle metafisiche dell’informazione. L’evoluzione dal piccolo al grande in pochi decenni ha già costretto i computer ad assumere una struttura con reminiscenze biologiche, segregando differenti attività in organi distinti. Al livello più evidente, l’incarnazione tecnologica di un UTM, il computer, è una macchina di tempo virtuale. Produce e processa la più astratta di tutte le sostanze, la logica astratta dei bit. Lo si pensa sempre più spesso come una forma primitiva di specie biomeccanica con dinamiche temporali proprie. Il tempo virtuale è il costituente interno del tempo-potere sospinto da correnti di flusso informatico ed è il cuore del computer come lo concepiamo oggi. Per quanto complesso possa essere il coordinamento di tempo bioecologico e tempo astratto, è concepibile un tempo virtuale che operi all’interno di una cornice cibernetica modulare e adattabile in relazione a stimolazioni esterne. Il tempo virtuale è generato per eterogenesi meccanica, il suo ritmo determinato dal flusso relativo di iterazioni differenziali e transizioni fasiche tra modulazioni meccaniche. La diversità dei ritmi temporali che abitano il tempo ecologico sarà rispecchiata dalla diversità dei ritmi meccanici che abiteranno il philum meccanico. Questo influsso eterogeneo di oscillazioni differenziali, ognuna con un relativo grado di autonomia e adattabilità, dovrà essere mediato attraverso le cronodinamiche di complessi sistemi adattativi. L’interazione di molteplici dinamiche temporali basate su massicci processi informativi non lineari daranno luogo a biforcazioni delle topologie e delle iperstrutture spaziotemporali, in cui misurazioni di probabilità e formazioni statistiche governeranno la logica generativa di interazioni e trasformazioni all’interno della meccanosfera. Dal punto di vista della fenomenologia del percezione del tempo, il tempo dell’esistenza è esperito da un soggetto umano come la sensazione emergente generata dalle complesse dinamiche del tempo cronobiologico. È in consonanza con il ritmo dinamico del tempo ecologico all’interno del quale il soggetto è inserito. La tensione insorge quando il tempo dell’esistenza è fatto oggetto delle modulazioni esterne del tempo astratto, che è in dissonanza con il concetto di durata esperito dal soggetto. Il tempo astratto pertanto è uno strumento delle politiche del tempo investito dell’autorità di organizzare le azioni umane. Resta una domanda: il tempo virtuale può adattarsi e modularsi per raggiungere e sostenere una cronodinamica di armonia dissonante allo scopo di rendere giustizia alla complessità del ritmo collettivo entro il socius di un accordo cronomorfico? Si tratta di un dilemma etico che sorge all’intersezione tra soggettivizzazione e temporalità, un’occasione che collega i maldestri aggiustamenti delle azioni umane alla domanda di tempo-potere. Se il tempo potenziale è costruito come pura forza di un tempo che si scrolla di dosso la subordinazione al movimento del mondo, provocando movimenti aberranti di ogni tipo (come suggerisce Eric Alliez), allora il tempo virtuale o il tempo-potere convergeranno a loro volta nel tempo potenziale, dando luogo a una potenzialità per la differenziazione del potere in differenti modalità dell’essere. Quando questo accadrà, il mondo dell’architettura sarà permeato da armonie differenziali e vibrazioni anarmoniche. L’architettura emergerà allora dalle orchestrazioni caleidoscopiche delle topologie multispaziotemporali come il dono della musica proiettato nel flussostrato in perenne mutazione della realtà: il corpo collettivo di organi autogenerati di un’informazione autosintetizzata entro uno spazio demiurgico. Lo spazio demiurgico della Clessidra è uno spazio aperto dall’assenza di mito. «L’assenza di mito è un mito, il più freddo e il più vero di tutti miti» scrisse Bataille. Rivela una realtà privata di fondamenta ed è conseguenza di una ragione che prende atto della propria inabilità a rispondere alla domanda «Perché esiste qualcosa, anziché nulla?» Il mito si erge da questa opacità per efoliarsi come suo velo. Come modalità della realtà virtuale infonde una presenza demiurgica nei bruti fatti dell’esistenza. L’assenza di mito è la dissoluzione del velo, dell’impossibilità di mascherarsi davanti alla pura assenza. Se c’è un mito indotto dall’assenza di mito, quel mito giace sospeso tra il mito del possibile e quello dell’impossibile. Il suo destino è oscillare tra questi due poli e, nel fare ciò, il demiurgo rivela inavvertitamente dimensioni insormontabili che si frappongono tra il mito e l’altro dal mito, il suo altro metafisico che resiste all’incasellamento, alla codificazione, all’incarnazione. |