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J a c k S t e v e n s o n
Perle e porci: la storia segreta dei cult movie

 

La storia dei film di culto è popolata da personaggi dimenticati, incompresi e soli. È una storia fatta di coincidenze spiazzanti, errori banali e incontri fatali. Una strada impervia, lastricata di fallimenti, che misteriosamente conduce agli inevitabili quindici minuti di fama. In alcuni casi il successo si deve a personaggi ossessionati dal volto di un attore o dall'opera di un regista, altre volte la gloria si deve a un miracolo.
Accostare i film di culto alla religione è ormai una metafora frusta. Eppure quante persone che non hanno mai letto la bibbia credono agli angeli grazie a La vita è meravigliosa? E se dobbiamo ammettere che nessun regista ha ancora trasformato l'acqua in vino, non dobbiamo dimenticarci che John Waters ha saputo trasformare una cacca di cane in una miniera d'oro e in una carriera da professionista. A quando i miracoli?
Nel novembre del 1996, a Detroit, una folla vociante ha atteso per ore e al freddo l'arrivo di una signora di 56 anni dal nome poco evocativo: Karolyn Grimes. Nel 1946 la donna aveva recitato la parte di Zuzu, la figlia di George Bailey (Jimmy Stewart), il protagonista di La vita è meravigliosa. Quando finalmente è arrivata, la gente si è messa a urlare e applaudire. Molti avevano le lacrime agli occhi. Un uomo tra la folla mi ha confessato che quel film gli aveva cambiato la vita e da allora lui aveva creduto nella signora Grimes.

© Jack Stevenson

Febbraio 1953
A quattro passi dall'università di Harvard, Cy Harvey e Bryant Haliday decidono di rilanciare il Brattle Theater, un vecchio cinema a forma di fienile.

La stagione si apre con una rassegna dedicata ad attori famosi ormai passati di moda, col fascino blasé degli abiti retrò. Non manca un tributo a Humphrey Bogart che attende ancora la glorificazione che gli verrà da The African Queen. È un vero e proprio colpo di fulmine: gli studenti di Harvard si innamorano della classe di Humphrey.
Bogart è il loro maestro, Casablanca il loro vangelo.
La "settimana Bogart" diventa un appuntamento fisso: a maggio, dopo gli esami, gli studenti prendono d'assalto il Brattle Theater. La febbre si diffonde in tutti gli Stati Uniti e in pochi anni anche i college più scalcinati organizzano la loro brava "settimana Bogart" con cui celebrare la fine dell'anno scolastico.
Gli adepti aumentano e il cerimoniale si fa sempre più complicato: alle proiezioni si urlano i nomi dei protagonisti. Claude Rains, Dooley Wilson e Peter Lorre sono i nuovi eroi degli universitari. Ma gli studenti si mettono a imitare anche le comparse più insignificanti. Tutti conoscono a memoria le battute di Casablanca. Gli esegeti più attenti riescono persino a datare i film di Bogart in base al suo taglio di capelli.

Stesso anno, qualche tempo prima
Dall'altra parte dell'oceano, Hollywood, California. Una voce grida nel deserto: "Ventisei mila dollari?". L'urlo proviene da un lurido ufficio, una baracca prefabbricata in chissà quale strada degli studios. A gridare è un ometto grassoccio, perennemente in preda a crisi d'ansia. Nome: George Weiss. Professione: Produttore, con una predilezione per il cinema a basso budget e ad alti incassi. Un genio dell'exploitation, a sentire le opinioni dei cultori. Per il resto del mondo Weiss è solo il pazzo che ha prodotto successi del calibro di Pin Down Girls e The Devil's Sleep.
"Ventisei mila dollari!" ripete e fissa esterrefatto un giovanotto di nome Ed Wood che ama definirsi regista.
Grazie a Weiss, Wood è riuscito a girare il suo primo film: Glenn or Glenda. Gli accordi con la produzione erano chiari: un film, costi zero, stile documentario, nessuna pretesa artistica, niente di niente. Solo che si parli dell'operazione di Christine Jorgesen. Wood, mi fido di lei. Mi racconti la storia dell'operazione che ha cambiato sesso alla signorina Jorgesen. Vedrà che successo.
Risultato: Wood gira un film assolutamente incomprensibile, con costi proibitivi ("Ventisei mila dollari!") e inspiegabili inserti horror.

Per Wood Glenn or Glenda è una specie di toccante autobiografia, per il resto del mondo non è altro che un centinaio di metri di pellicola da gettare al macero. Il film esce nell'aprile del 1953, non se ne accorge nessuno.
Se Wood avesse rispettato il contratto con la produzione, saremmo qui a parlare di lui?

Tre anni dopo, in un mese imprecisato del 1956
Di nuovo un ufficio lurido, un ventilatore che soffia aria calda e polvere su una pila di sceneggiature, fotografie e pellicole. Suona il telefono. Un uomo, un certo Dwain Esper, sussulta. Si passa una mano sugli occhi per risvegliarsi, poi con aria assorta si gratta la guancia. Non si rade da giorni. Contempla se rispondere o meno al telefono. Infine alza il ricevitore, biascica qualche parola, si stiracchia, tossisce.
Dopo un paio di minuti di conversazione, sul viso di Esper si distende il più radioso dei sorrisi - c'è una pollastrella all'altro capo del telefono e sembra che è piena di soldi e vuole comprare un film, un vero bidone, che Dwain non riesce a piazzare da anni, Freaks, si chiama 'sto flop. La pollastrella ha un nome che profuma di soldi: signora Willy Werby di San Francisco, erede della fortuna dei Folgers, gran commercianti di caffè. La bambola va pazza per il cinema, ha un'associazione a San Francisco - la Camera Obscura Film Society - e il suo direttore artistico - un certo Anton Lavey, con una curiosa passione per il satanismo - vuole assolutamente includere Freaks in un'importante retrospettiva sul cinema dell'orrore. "È da mesi che la cerco, signor Esper. Sono così felice di averla trovata finalmente".
Esper sorride di nuovo: erano mesi che non riceveva una telefonata da una donna. Ultimamente solo creditori, avvocati ed esecutori fallimentari.
Stacco. È il 1948. Dwain Esper è un po' più giovane, ma ha sempre lo stesso pessimo fiuto per gli affari. Compra dalla MGM i diritti per Freaks, diretto da Tod Browning nel 1932. Il film è andato maluccio con gli incassi e soprattutto è stato tagliato, censurato, proibito e, in alcuni stati, persino bandito per interi decenni. Sarebbe finito in fondo alla baia di San Francisco (e in effetti si dice che lì giacciano i negativi) se non ci fosse stato il nostro Esper, distributore instancabile di pellicole inguardabili nonché membro onorario dei Quaranta Ladroni.
Dwain compra i diritti, stampa repellenti foto pubblicitarie e batte tutte le redazioni dei giornali di provincia per montare un caso sul suo Freaks. Dopo di che parte a bordo del suo furgone. Prima tappa i cinema abbandonati delle grandi città. Poi i municipi dei paesi di campagna. Proietta il film direttamente sul muro, se c'è un muro, altrimenti monta una piccola tenda da circo. Il boom dei drivein coinvolge anche Esper: fa la sua comparsa ovunque ci sia un cinema. Proietta Freaks con l'aggiunta di qualche minuto di immagini vagamente pornografiche per saziare l'appetito degli spettatori attirati da manifesti inneggianti alla depravazione e alla perversione del povero Browning.
Quando gli incassi iniziano a scendere, Esper mette assieme un'armata di freaks in carne e ossa. Con qualche metro di tela colorata trasforma l'ingresso del cinema in una tenda da circo. Sul pavimento, davanti alla biglietteria, una manciata di segatura. I mostri allineati a dare il benvenuto al pubblico.

Ma quelli erano altri tempi. A metà degli anni Cinquanta gli affari cominciano ad andargli male. Ed eccolo, mezzo sbronzo, la barba sfatta, non riesce nemmeno a parlare al telefono...
Dopo quella telefonata Esper e Werby si sarebbero incontrati di persona: la signora Werby con la complicità del suo satanista di fiducia resuscitano Freaks. Esper le stringe la mano, dopo aver firmato il contratto. Cede i diritti ma la povera Willy dovrà procurarsi da sola una copia del film: Dwain non ha idea di dove sia finita la sua.

Cinque anni dopo: la gelida notte del 20 febbraio 1961
Vesterbrogade, Copenaghen: il cinema Saga Biograf sta letteralmente crollando per le risate e i fischi del pubblico impazzito. Sullo schermo un impacciato rettile cerca invano di distruggere una versione miniaturizzata di Copenaghen: schizzi di sangue finto, bambolotti di plastica e altre amenità.
Il quotidiano danese B.T. descrive la scena: in platea un uomo si alza di scatto ed esce urlando in preda a una crisi nervosa. È Sidney Pink, proprietario del cinema, produttore e regista del film. Reptilicus fa un buco nell'acqua che manco il Titanic... E pensare che Pink era riuscito ad attirare l'attenzione della stampa danese e a scritturare anche qualche celebrità locale.

Gli studios Saga riescono a insabbiare il film ma nulla possono fare per difendere la reputazione di Pink. Ancora oggi nel mondo dello spettacolo danese chiunque pronunci il nome di Pink è costretto a offrire una cassa di birra a chi si trovi nel raggio di un centinaio di metri.

Stesso anno, cinque mesi dopo
Upper West Side, Manhattan. Tra Broadway e l'Ottantesima, al New Yorker Theater, una giovane e sconosciuta fotografa di moda, una certa Diane Arbus, sprofonda nella poltrona e fissa come ipnotizzata lo schermo. È la sesta volta questa settimana che vede Freaks. Il film le cambierà la vita insegnandole un nuovo modo di fare fotografia e di guardare la realtà.
L'idea di proiettare il film a New York è venuta a Dan Talbot che ha affittato la pellicola da un distributore indipendente, Raymond Rohauer, che a sua volta ha acquistato i diritti da una certa Willy Werby. Grazie a questa proiezione newyorchese e alla partecipazione al festival di Cannes nel 1962 Freaks conoscerà la sua prima felice stagione di successi: inizia il revival.

Baltimora: una notte calda e appiccicosa del 1968
Un drivein. In cartellone c'è Faster, Pussycat! Kill! Kill! Un tizio magro, con uno sguardo stralunato e una passione sfrenata per il cinema, compra un biglietto. Il suo nome è John Waters. È stato fulminato da uno spot alla radio: "Faster, Pussycat! vi lascerà in bocca il gusto del peccato". A Waters non basta una sola visione. Per una settimana torna al drivein, si fa prestare l'auto dagli amici e li trascina ad assistere alla follia di Russ Meyer: tre gattone inguainate in salopette di pelle scorrazzano in motocicletta seminando il terrore in tutti gli Stati Uniti. Le curve pericolose di Tura Satana sembrano dilatarsi oltre lo schermo e invadere il paesaggio.
John Waters ne è estasiato e sconvolto: inizia a collaborare con qualsiasi giornale che accetti di pubblicare i suoi inni al genio di Russ Meyer.
Purtroppo il resto del mondo non la pensa come Waters: con Faster, Pussycat! Russ Meyer ha rinunciato alla nudità e al softporno per poter entrare nel circuito dei drivein, ma i suoi estimatori sembrano non aver gradito. Gli incassi crollano e il film è presto dimenticato.

Da qualche parte a San Francisco, 1968
Un altro tizio magro, sui vent'anni, capelli impomatati, acne e un nome destinato a perdersi in qualche dossier della polizia. Si spoglia e si adagia su un materasso chiazzato di umidità. Accanto a lui c'è una puttanella più o meno della stessa età: porta una parrucca bionda, le labbra sepolte sotto uno spesso strato di rossetto. I due sono i protagonisti del peggior film softporno della storia del cinema. Trenta minuti di croce/delizia per ogni cultore del genere. Niente titoli di testa, nessuna prova o indizio che possa far risalire al suo autore o almeno alle ragioni che lo hanno spinto a concepire un titolo come My Father's Call Girl. Il film non ha trama, è girato in parte per le strade di San Francisco, in parte in un sex-shop all'angolo tra la Sesta e Mission. Le scene più piccanti invece hanno come sfondo un tristissimo appartamento che risulta peraltro la cornice migliore in cui inquadrare i nudi meno appetibili della storia del cinema. Per dire: le scene di sesso sono così noiose che la protagonista femminile interrompe un rapporto per aprire un cassetto, estrarre una borsetta e darsi una sistemata al trucco, aggiungendo un altro buon centimetro di rossetto.
Il film resiste per qualche settimana: le proiezioni si tengono in un piccolo cinema di Tenderloin. Ma il boom della pornografia più hard farà perdere le tracce di My Father's Call Girl, presto dimenticato in qualche scantinato di San Francisco.
Anche se non avrà mai l'onore di essere scelto da Ted Turner, né potrà mai aspirare a essere spedito nello spazio come documento della civiltà umana a disposizione di affamate popolazioni aliene, questo film riuscirà ad attraversare lo spazio e il tempo per imporsi agli occhi del pubblico più attento. Fidatevi.

Stesso anno, 16 Ottobre
Il regista George Romero sfoglia Variety alla ricerca della recensione del suo ultimo film Night of the Living Dead. Si schiarisce la voce e legge: "Assolutamente imperdibile per i membri della Corte Suprema: Night of the Living Dead è l'esempio più estremo di ciò che si può vedere al cinema in un paese in cui non esiste ancora una regolamentazione chiara contro la pornografia della violenza".
Il film viene lanciato a New York da Walter Reade nel dicembre del 1968 e cade nel dimenticatoio poco dopo. Ma non è solo colpa dei critici cinematografici: il film è troppo violento per poter attirare gli spettatori più giovani, sui quali si basa la fortuna del cinema horror.

1970, fine dicembre, New York
Un capellone si accascia sulla poltrona di un cinema chiamato The Elgin. Si accende una canna e si guarda in giro: i seicento posti sono occupati da altri brutti ceffi come lui, tutti in attesa di assistere a una vera e propria rivelazione. Buio in sala, l'oscurità è solcata da un solo cono di luce che si fa largo tra il fumo stantio. Sullo schermo prende vita El Topo, il capolavoro di Alexandro Jodorowsky. È mezzanotte: come recita il manifesto all'ingresso, il film "è troppo violento per poterlo mostrare a qualsiasi altra ora".
Nasce la moda dello spettacolo notturno, e El Topo diventa subito culto.

Fine 1972, New Orleans
Una cabina telefonica. Attraverso i vetri sporchi e offuscati scorgiamo una figura famigliare: qualcuno muove nervosamente le mani, alza la voce, grida. Ci avviciniamo: è John Waters. Non ha più una lira e vive in uno squallido appartamento di New Orleans in compagnia di due suoi attori.
Con l'ennesima carta di credito rubata, John sta telefonando al suo distributore newyorchese, la New Line. Ce la sta mettendo tutta: vuole convincerli a lanciare il suo ultimo film, Pink Flamingos. A dire il vero, il film ha già avuto diritto a un'anteprima a Boston al South Station Cinema, un locale gay. I cronisti ancora ricordano con passione la notte passata alla toilette, ma hanno idee piuttosto confuse sul film e la reazione del pubblico (pubblico?).
L'ultima telefonata ha funzionato: la New Line ha convinto quelli del cinema The Elgin. Sembra che El Topo non tiri più. Serve un nuovo colpo. Vada per Pink Flamingos: proiezione a mezzanotte, questo fine settimana, nessuna pubblicità in anticipo purtroppo.
Waters salta sull'auto, direzione New York: guida da solo, senza soste, senza dormire, non lo ferma nemmeno un tornado che lo sorprende lungo la strada.
Arrivato in città si accampa a casa di amici e improvvisa una campagna pubblicitaria. Chiama tutti quelli che conosce, nessuno escluso. La prima sera riesce a riempire mezzo cinema. Gli affari non vanno malissimo. The Elgin gli concede un altro weekend.
Il Venerdì seguente la fila fa il giro dell'isolato: il teatro è esaurito, senza che ci fosse stato un manifesto o un annuncio alla radio. Puro e semplice passaparola.

1974, nel solito ufficio sudicio dimenticato da dio
Un impiegato sta battendo a macchina un protocollo sui diritti d'autore. Una svista, un insignificante errore di battitura e Frank Capra perde tutti i diritti sul suo It's a Wonderful Life. La sua favola natalizia diventa così di dominio pubblico: le stazioni televisive si avventano sul film e lo trasmettono a ripetizione durante le vacanze di Natale. In breve la pellicola esce dall'oblio in cui era precipitata dopo una rovinosa stagione condita da pessimi incassi e recensioni impietose.

Primi di aprile, 1976. New York, Waverly Theater
Ufficio sudicio dimenticato da dio: il custode del Waverly Theater si lamenta con il suo principale. Da quando hanno lanciato il nuovo spettacolo di mezzanotte, il lavoro del povero custode è aumentato di un buon 1000%. Ogni mattina gli tocca pulire il pavimento coperto da uno spesso strato di riso. Nonostante le proteste del nostro custode, The Rocky Horror Picture Show rimarrà in cartellone per un bel po'. Il Waverly Theater conosce una seconda giovinezza e ogni sera gli spettatori accorrono allo spettacolo. È ancora il passaparola ad avere la meglio sulla pubblicità degli studios.

Dicembre 1978, New York, località sconosciuta
Un pittore ventiquattrenne di Brooklyn, cantautore a tempo perso, fan sfegatato dei film anni Cinquanta, nascosto dietro l'insignificante pseudonimo di Rudolph Grey, ha appena acquistato un biglietto in un oscuro cinema di Manhattan, il Thalia. Danno Glen or Glenda, uno dei film del regista preferito di Grey, un certo Ed Wood. Di Wood Rudolph ha già visto tutti i film che la TV ha passato agli orari più improbabili.
Grey entra, niente e nessuno potrebbe impedirglielo. All'uscita sarà una persona nuova: la sua vita per sempre cambiata.
Come confesserà anni dopo, quella sera Grey ebbe una rivelazione e decise che avrebbe dedicato la sua intera vita alla ricerca di documenti e testimonianze sulla vita di Ed Wood. Purtroppo non ha né una lira né un editore disposto a concedergli un anticipo. E allora vende la sua collezione di poster cinematografici e chiede qualche prestito qua e là, alla madre, amici, fratelli, cugini, chiunque.
Intervista più di cento persone, molte delle quali deve scovare a Los Angeles, viaggiando a proprie spese naturalmente.
Il libro di Grey viene rifiutato da dodici editori, ma Rudolph non si perde d'animo.

10 dicembre 1978, 5636 Laurel Canyon Boulevard, Los Angeles
Ed Wood muore di infarto. Rudolph Grey non incontrerà mai il suo eroe. Naturalmente questo incidente non fa che accrescere la morbosa attrazione di Grey. Grazie a lui, Wood diventerà immortale.

Notte di mezza estate del 1981, New York, Quarantaduesima
Serata speciale al cinema Harold Clurman: John Waters - ormai acclamato regista di culto - è stato invitato a decidere il programma della serata. Ha scelto di affiancare il proprio Female Girl a Faster, Pussycat! Kill! Kill! di Russ Meyer. Un anno prima Waters ha pubblicato il suo primo libro, Shock Value, che contiene una lunga intervista a Russ Meyer: sarà grazie agli sforzi di Waters che Meyer e i suoi film conosceranno uno straordinario successo negli anni Ottanta.
Un ultimo dettaglio: tra le poche centinaia di persone intervenute quella sera, si aggira un giovane scrittore disoccupato, costretto a vivere all'ostello della gioventù sulla Trentaquattresima. Vede Waters, il suo idolo, ma non ha il coraggio di presentarsi. Dopo il film si allontana e si perde tra la folla della Quarantaduesima. Di chi sto parlando?

Un giorno imprecisato del 1983
I fratelli Medved pubblicano il loro famoso libro, The Golden Turkey Award, una specie di antiOscar assegnato ai peggiori prodotti cinematografici. Ed Wood vince il premio del peggior regista del 1956 grazie al suo stralunato Plan 9 from Outer Space. Scoppia il boom di Wood: molti cinema universitari programmano retrospettive in suo onore e finalmente le sue pellicole escono dagli armadi in cui erano sepolti.
Nel frattempo Rudolph Grey continua le sue ricerche. È indispettito dall'improvviso successo di Wood: odia lo spirito sarcastico col cui lo hanno lanciato i fratelli Medved. Per Rudolph la loro ironia è un sacrilegio. Wood è un grande regista, non si discute. E allora via a collezionare altri fotogrammi persi, ricordi, tracce, testimonianze manco fossero frammenti della croce.

San Francisco, California, un giorno imprecisato del 1986
Lo scrittore Jim Morton pubblica una guida al cinema di culto e di serie B. Il prezioso volume si intitola Incredibly Strange Films e comprende anche un saggio dedicato a Ed Wood in cui si discute della sua "ossessione per i maglioni di cachemire". A pochi giorni dall'uscita del libro, Morton riceve per posta un biglietto: "Wood era ossessionato dall'angora, non dal cachemire". La firma è quella di Rudolph Grey.

20 gennaio 1987: una gelida notte, nel ghetto di Highlandtown, Baltimora, Maryland
Due ladri si intrufolano nella casa di Johnny e Robert Eck. Per due ore saccheggiano l'abitazione e tengono legati i due anziani fratelli. "Dove sono i soldi?" continuano a chiedere. Johnny, nato senza la parte inferiore del corpo, si limita a guardare i due ladri dal basso in alto, disperato. Alle tre e un quarto del mattino i due malviventi lasciano la casa con qualche spicciolo racimolato in fondo a un cassetto. "Siamo stati molto fortunati" scriverà Johnny a un vecchio amico, "ci avrebbero potuto uccidere e saremmo rimasti lì per giorni senza che i nostri vicini si accorgessero di nulla. L'unica persona che viene a farci visita è un nipote che però passa di qui solo di venerdì".

Quella notte cambierà la vita del povero Johnny, che ha ottenuto i suoi quindici minuti di successo con una parte nel film Freaks. I ladri non hanno trovato nemmeno un dollaro perché i due fratelli vivono in gravi condizioni di povertà, nonostante la MGM/UA si stia arricchendo grazie alla versione in videocassetta del film di Browning. Johnny non ottiene un soldo dalla casa di produzione e il successo della pellicola contribuisce solo a rendere la sua vita ancora più difficile. La sua casa infatti diventa bersaglio di fan indiavolati a caccia di autografi e foto col mostro. Johnny è costretto a una vita da recluso e decide di non rilasciare mai più interviste o dichiarazioni sul film.

19 maggio 1991, ore 20,50, San Francisco, Valencia Street
Tutto esaurito al Club Chameleon, un vecchio bar frequentato dai punk dello squallido quartiere Mission di San Francisco. Un vecchio lenzuolo appeso ai tubi del sistema di areazione; un proiettore a sedici millimetri in equilibrio precario su una torre di casse di birra. My Father's Call Girl rinasce: è un immediato successo. La pellicola viene persino ribattezzata Sixth Street Love in onore della strada di San Francisco in cui sono state girate alcune scene.
L'ultima copia di questo oscuro film è stata ritrovata nella casa di un anziano custode di un cinema porno. Il film inizia a circolare nei locali più squallidi e ambigui di San Francisco. È una vera e propria caccia ai proiettori a sedici millimetri: presto tutti i bar e i club più eccentrici saranno orgogliosi di proiettare My Father's Call Girl.
Attorno al film cresce anche un piccolo gruppo di attenti estimatori: sono circa in ottanta e seguono le proiezioni di bar in bar. Conoscono a memoria le battute e le recitano ad alta voce durante le proiezioni o quando si incontrano per strada, al bar, sugli autobus. Il culto ingloba anche altre forme in un perfetto esempio di sincretismo religioso: gli adepti di My Father's Call Girl scoprono anche "la saga di Pete e Ray", due ubriaconi che hanno condiviso un sudicio appartamento per qualche anno, per la gioia dei vicini che hanno videoregistrato le liti e gli abusi dei due alcolisti. Nel mercato underground cominciano a circolare copie di questi filmati casalinghi e violenti.
Ma la vera attrazione di My Father's Call Girl sono gli attori, assolutamente incapaci di recitare anche la frase più idiota: ai cultori i tre personaggi principali - il ragazzo, la ragazza e il vecchio - appaiono come persone in carne e ossa. Nessuna pretesa artistica, niente sceneggiatura, nessun significato: vita vera al cento per cento. Involontariamente il film incarna al meglio i presupposti tecnici che hanno reso famoso il cinema americano underground di un Andy Warhol: dialoghi improvvisati, attori non professionisti, nessun montaggio, camera a mano e riprese in tempo reale. Ma a differenza di Warhol, l'ignoto regista di My Father's Call Girl non stava giocherellando con concetti estetici dai nomi esotici: camp, kitsch, cult, trash... Il poverino era solo un pessimo regista, tutto qui. Il suo film non è ironico, non è una parodia, non è... Dio solo sa che cosa sia, ma di certo è un successo.

All'inizio del 1992, New York, Hell's Kitchen
In un appartamento con i muri tappezzati da manifesti di film e il pavimento ricoperto da vecchi 45 giri Rudolph Grey si accomoda sulla sua poltrona preferita. Nella stanza c'è un fastidioso odore di muffa e polvere. Rudolph sta scartando un voluminoso pacco postale: contiene le bozze del suo libro Nightmares of Ecstasy - The Life and Art of Ed Wood, pubblicato dalla Feral House. Dopo quattordici anni passati nell'oscurità, Grey ha visto la luce e ha condiviso la sua visione con il resto del mondo. Le pagine che sta sfogliando saranno responsabili di un vero e proprio miracolo: Ed Wood verrà resuscitato per sempre.

5 marzo 1992, San Francisco, all'angolo tra la Sedicesima e Valencia
Il Roxie Theater festeggia il suo sedicesimo compleanno con la proiezione del film preferito dal proprietario Robert Evans, Female Trouble di John Waters. Il programma della serata comprende anche champagne in omaggio, cotillon all'ingresso e una gara per la migliore imitazione del travestito Divine. La coda all'ingresso si estende per due isolati. Tutto esaurito ovviamente, e una strana elettricità nell'aria.
Inizia la competizione: sul palco una lunga schiera di travestiti. Un imitatore di Divine si passa tra le cosce un pezzo di carne cruda e quindi lo lancia verso la platea. Uno spettatore restituisce il proiettile al legittimo proprietario ma nella foga manca il travestito. Il pezzo di carne si spiaccica contro lo schermo provocando un suono sgradevole ma evocativo.
Viene proclamato il vincitore: è un uomo che fino a qualche anno prima conduceva una vita normale. Dopo un incidente d'auto che ha sterminato la sua famiglia, il poveretto ha venduto quel poco che possedeva e ha dedicato la propria vita all'imitazione di Divine.
Inizia la proiezione: c'è come un mormorio sommesso in sala. Il rumore si fa sempre più forte, finché la platea esplode. Gli spettatori conoscono a memoria tutte le battute e le intonano come se fossero lodi pronunciate in una vecchia chiesa battista.

San Francisco 1992
Ha riaperto il Golden Peacock, una cadente sala sulla Lower Haight Street, a pochi metri dall'incrocio con Fillmore. Una settimana prima un tizio ha dato al proprietario duecento dollari per noleggiare il locale: ha parlato di un evento multimediale a bassa tecnologia. Nessuno ha un'idea precisa di cosa si debba intendere. E nessuno sembra essere interessato a scoprirlo: una pioggia leggera sembra compromettere la serata. A quindici minuti dall'inizio dello spettacolo non è stato staccato nemmeno un biglietto. Ma all'improvviso una piccola folla si raduna davanti all'ingresso e prima che lo spettacolo inizi il proprietario è costretto a interrompere la vendita di biglietti: tutto esaurito.
La serata è stata preparata da una decina di musicisti punk che per settimane si sono dati appuntamento nel solito lurido appartamento nel quartiere Mission. Hanno composto una colonna sonora per il leggendario e ormai miliardario Night of the Living Dead, che serve da pilastro per la notte di bagordi al Golden Peacock.
La sala è stata decorata con tre schermi allineati sui muri del bar all'ingresso. Un buon numero di proiettori da sedici millimetri è stato nascosto tra le poltrone. Comincia lo spettacolo: sullo schermo principale viene proiettato The Night of the Living Dead, mentre nel golfo mistico al di sotto del palco si affollano i musicisti: corni inglesi, batteria, oboe, chitarre elettriche e chi più ne ha più... Durante le pause del dialogo i musicisti si lanciano in gustose e rumorosissime improvvisazioni. La folla è impazzita: urla e applausi sommergono le performance dei musicisti che di tanto in tanto saltano sul palco per dare vita a numeri da avanspettacolo, tra i quali ricordiamo almeno un lugubre tip tap. Intanto i proiettori nascosti lanciano sui muri della sala frammenti di film amatoriali: pipistrelli, sermoni, bambini sorpresi proprio nel momento in cui lasciano il caldo grembo materno e altre chicche che l'organizzatore Jacques Boyreau ha raccolto nel corso della sua disordinata esistenza.

27 agosto 1993, in un vecchio deposito a Chinatown, San Francisco
Boyreau colpisce ancora. Un altro intricatissimo evento multimediale: questa volta la parte del leone è affidata a una lunga lista di gruppi musicali che si succedono sul palco per imbastire dal vivo un commento musicale a The Night of the Living Dead, l'ossessione di Boyreau.
Tutte tre le bobine che compongono il film vengono proiettate contemporaneamente da tre proiettori a sedici millimetri. Gli schermi sono semplici lenzuoli tesi sul soffitto e negli angoli. Così i visi degli zombie vengono distorti in smorfie ancora più spaventose, per la gioia di un pubblico a dir poco allucinato.

1993, Los Angeles California
Tim Burton sta girando alcune scene del suo nuovo, multimiliardario film Ed Wood. Il regista si accorge che quell'uomo nell'angolo è niente meno che Rudolph Grey. Burton sussurra qualcosa all'orecchio di un assistente e pochi minuti dopo Rudolph viene invitato ad allontanarsi dal set: a Burton non serve certo l'aiuto di un fondamentalista come Grey. Il regista sta per creare la leggenda di Wood, rendendola appetibile al pubblico di massa. I monomaniaci come Rudolph sarebbero solo d'impiccio.
Come Grey, anche Burton ha scoperto i film di Wood grazie alla TV. È il destino di tutti i Don Chisciotte della storia del cinema americana: registi come Wood, Al Adamson e Larry Buchanan hanno lottato tutta una vita per riuscire a girare film scadenti e sono stati dimenticati fino a che un'intera generazione di videodipendenti non li ha riscoperti. Questi ragazzini ammalati di TV erano a caccia di santi e personaggi che avessero mantenuto un poco di umanità nel mondo plastificato della televisione.
Nel 1992 Burton legge il libro di Grey dal quale decide di trarre il suo film. La produzione è affidata alla Touchstone, una divisione della Disney, che sgancia 250.000 bigliettoni per i diritti d'autore. Nel cast, lo ricorderete, tutte star di prima classe: Johnny Depp, Bill Murray e Martin Landau.
Ed Wood esce nell'estate del 1994 e, nonostante un'accoglienza piuttosto tiepida al botteghino, accende l'entusiasmo della critica e viene ripetutamente invitato a numerosi festival. È in concorso a Cannes e rilancia il mito di Wood in tutto il mondo. Il libro di Grey fortunatamente cavalca sull'onda del successo di Burton: esce una nuova edizione rilegata.
Burton pubblica anche la sceneggiatura e in tutto il mondo i video e i gadget di Wood spuntano come funghi dopo un acquazzone. Con un semplice cenno della mano, la Disney ha riesumato il corpo di Ed Wood gettandolo in pasto a milioni di fan.

Una notte di ottobre, 1994, Aarhus, Danimarca
In un vecchio cinema si proietta Reptilicus. Ci sono solo cinquanta posti che naturalmente vanno subito a ruba, come la birra in vendita nel piccolo bar all'ingresso.
Gli spettatori sembrano eccitati, anche se tutti conoscono già il film. Il mostro infatti è stato sepolto negli anni Sessanta dopo una rovinosa anteprima, ma è tornato a miglior vita godendo di un successo televisivo straordinario: Repticulus è stato visto in tutto il mondo grazie alla programmazione delle TV notturne. Ma attorno all'impacciato mostro di plastica è cresciuto anche un curioso culto sciovinista: i ragazzini danesi appassionati di film di serie B provano un brivido patriottico ogni volta che sentono pronunciare il nome di Repticulus.
Con questa serata si dà il bentornato a casa al simpatico rettile, mentre la reputazione di Sidney Pink attende ancora la pazienza di un Rudolph Grey danese che riveli al mondo il suo genio.

19 luglio 1996, Lower East Side, New York
È una notte afosa e il caldo è insopportabile nel piccolo cinema senza aria condizionata al 116 di Suffolk Street. Il proprietario Dennis Nyback sale sul palco e fissa attonito le sei persone che sono accorse alla prima e unica serata dedicata ai feticisti di Marsha Brady. Il programma comprende una selezione di episodi della popolare serie Brady Bunch e alcuni film di educazione sessuale in cui compare Marsha Brady alias Maureen McCormick, ultima star di culto degli anni Settanta. Immancabile la competizione per il miglior sosia di Marsha: purtroppo su sei spettatori solo due sono di sesso femminile e il povero Dennis è costretto a consegnare il premio a un'imitatrice della cantante dei Mamas and Papas, Mama Cass, che probabilmente ha sbagliato indirizzo.
Il cinema Lighthouse chiuderà da lì a tre mesi, ma i palati più raffinati lo ricordano ancora: tra i fondamentali testi filmici proiettati da Dennis Nyback in persona, ricordiamo almeno The Meatrack, Wild in the Streets, nonché un'intera serie di soapopera recitate da attori mormoni.

19 novembre 1996, ore 18,50 in una vecchia chiatta ormeggiata nel porto di Copenaghen
La luce autunnale fa da sfondo a una vecchia imbarcazione, la Hela, trasformata in cinema. In coperta si aggirano personaggi agghindati con costumi bizzarri: giubbotti di pelle, scarpe dai tacchi vertiginosi, parrucche e rossetto. Scendono una lunga scala a chiocciola e raggiungono il teatro: tutto è pronto per la celebrazione del ventesimo anniversario della risurrezione del Rocky Horror Picture Show. Il proprietario del cinema Jorgen Foght ha comprato la chiatta a un'asta della polizia e ha poi sistemato due proiettori sotto coperta, ha arredato il tutto con vecchi sedili d'auto, mobili da giardino e una piccola cucina in cui cuoce salsicce e popcorn.
Tra i progetti di Jorgen c'è anche un pista da bowling sul ponte della nave nonché una tournée che lo porterà lungo i fiumi fino in Polonia, per diffondere il verbo dei cinema di culto.
Una curiosità: sulla barca di Jorgen è stata girata una lunga sequenza di Breaking the Waves. È sulla Hela che Emily Watson compie il suo estremo sacrificio e si concede alle violenze del sadico capitano (Udo Kier).

5 dicembre 1996
Il New York Times dedica un lungo articolo al cinquantesimo anniversario di It's a Wonderful Life, definito il film più amato di tutti i tempi.
"Grazie a dio qualche idiota mi ha tolto i diritti, altrimenti non l'avrebbe visto nessuno" aveva confessato Capra a 94 anni, nel 1991, poco prima di morire.

 

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