J a c k S t e v
e n s o n |
L'inesauribile
Jack Stevenson - granmaestro e portavoce di tutti coloro che ai ruffiani
preferiscono le puttane - contrappunta l'articolo di Gideon Bachman
sul futuro dell'esperienza cinematografica con un free ride
nel suo (dell'esperienza, non di Jack) passato più scabroso.
Grandmaster of ceremonies Jack Stevenson tells us the funny story of gimmicks: a few tools to drag people to cinemas, long before Gideon Bachman gave his anthropological explanations for moviegoing. © Jack Stevenson |
A
differenza di tutti gli altri mezzi d’intrattenimento di massa, il cinema
si è sempre trovato in uno stato di costante evoluzione. Ci lavoravano
sempre sopra, continuavano a ritoccarlo e a fargli le pulci: geniali
topi di laboratorio si mettevano in combutta con i professionisti del
divertimento per implementare innovazioni tecniche e nuovi metodi di
presentazione. E tutto per mantenere sempre "nuovo" il cinema. Dall’avvento
del colore e del sonoro nei primi anni del cinema, fino ai tardi Quaranta
e Cinquanta quando i boss delle major terrorizzati dalla TV riscaldarono
febbrilmente la minestra del 3D e gettarono in padella una caponata
di formati tipo Todd-AO, Cinemascope e Cinerama, il settore era stato
costantemente ingaggiato in una battaglia per risultare competitivo
e accattivante. Negli anni Settanta fecero la loro comparsa nuovi procedimenti
audio tipo il Sensurround, e oggi abbiamo la Ridefilm Corporation di
Douglas Trumbull che crea ambienti cinematografici in cui il pubblico
si muove fisicamente in sincronia con l’azione sullo schermo.
Benché la maggior parte dei procedimenti che abbiamo menzionato siano stati tecnologicamente superati – o semplicemente dimenticati – col trascorrere dei decenni, si trattava indubbiamente di innovazioni, e non di meri trucchetti. Showman come Mike Todd e pionieri della scienza come Dan Comstock e Helbert Kalmus – che fondarono la Technicolor Corporation – sono importanti per la storia del cinema quanto qualsiasi attore o produttore. Un bel po’ sotto questa ridda visionaria e imprenditoriale –meno importante e celebrato – stava l’universo infimo, umile e squallido dei trucchetti, creature generate per un unico scopo: far tintinnare i registratori di cassa e – una volta svolto il loro lavoro – essere gettati nella spazzatura come una vecchia parrucca calva. Nelle profondità di questo regno sotterraneo vivevano gli schifidi mercanti del dollaro facile, i produttori una botta e via, le battone e i rifiuti umani in abiti di rayon che lottavano sul fondo del barile per far notare – con qualsiasi mezzo – i loro film. Ma in fondo il cinema era un mezzo che si prestava ai trucchetti: era stato considerato esso stesso un trucchetto quando l’avevano inventato. I trucchetti, al cinema, erano proprio a casa loro. Dalla metà degli anni Cinquanta per tutti i Sessanta e un bel po’ dei Settanta il piede lasciò definitivamente il pedale del freno e vi fu il fiorire di una sorta di "Età dell’oro dei trucchetti". Niente pareva troppo inconsistente o pretestuoso per accaparrarsi il pubblico, e un’armata di produttori/registi/tagliaborse indipendenti e spudorati – armati di filmacci da due lire che andavano dall’horror alla fantascienza alla teensploitation – si lanciò all’attacco dei teenager d’America. La competizione era feroce e ogni idea che riuscisse a ottenere un mezzo successo dava immediatamente vita a una pletora di imitazioni. Durante questa "Età dell’oro dei trucchetti", gli spettatori non avevano solo il film da tenere sott’occhio: ricevevano oggetti, promesse, fogli da firmare, si sottoponevano a test e s’iscrivevano a concorsi. Cantavano e urlavano, venivano fatti entrare in trance, ipnotizzati e zombificati. Venivano inseguiti, afferrati, presi d’assalto, e il tutto allo scopo di dare loro qualcosa in più d’un film: una sensazione. E loro l’adoravano. La tradizione dei trucchetti ha radici che affondano negli anni Trenta e Quaranta, quando dei tipacci da baraccone come Dwain Esper e Kroger Babb applicarono alla promozione cinematografica l’estetica delle fiere paesane. A un certo punto Esper prese in affitto una mummia umana, la battezzò "Elmer il Tossico" e la portò in tournée insieme al proprio film antidroga del 1932 intitolato Narcotic. Nel 1949, quando stava promuovendo Freaks di Tod Browning, Esper affittò una ganga di veri fenomeni da baraccone perché tenessero uno spettacolino nelle entrate dei cinema, che aveva fatto cospargere di segatura. Il suo compatriota Kroger Babb anticipò l’idea del merchandising cinematografico attualmente in voga svendendo di tutto, dai manualetti di educazione sessuale alle bibbie in miniatura alle trousse per signore, frodando allegramente spettatori forniti di più soldi in tasca che sale in zucca. Ma fu il regista William Castle a essere incoronato "Re dei Trucchetti" e a mantenere il trono dai tardi anni Cinquanta a metà dei Sessanta. Castle iniziò a usare i suoi trucchetti per il teatro, quando nel 1928 fu il direttore di scena quindicenne di un’edizione itinerante di Dracula e appese una vera cassa da morto fuori dalla sala, bruciò incenso per creare un po’ d’atmosfera e attrezzò Dracula in modo che scomparisse dal palco in una nuvola di fumo per ricomparire ringhiante in galleria, tra gli spettatori terrorizzati. Nel 1944, impegnato nella regia della commedia teatrale Meet A Body fece saltare un assassino giù dal palco, con sei poliziotti che lo inseguivano in mezzo al pubblico sparando a salve. Tutto questo con un unico scopo: rendere il pubblico parte dello spettacolo. Qualche anno dopo avrebbe adattato questi approcci al cinema, per ridare vita a un mezzo moribondo. Ma perché aspettare che lo spettacolo avesse inizio? Ogni buon imbonitore cinematografico poteva mettere in mostra il proprio inesauribile repertorio di trucchetti ancora prima che il pubblico entrasse in sala, con la promozione stradale. Per fare pubblicità al Figlio di Sinbad, una banda di sinbadette sessose girò il paese in treno, mentre per promuovere Le meravigliose avventure di Pollicino venne inviata una masnada di veri nanerottoli a strombazzare per Times Square. Il regista di The Creeping Terror scarrozzò il patetico mostro del film in giro per tutta Hollywood sul retro di un pick-up per far parlare di uno dei peggiori film che la storia ricordi, mentre una fantasmatica macellaiomobile solcò le strade di New York per pubblicizzare Dr. Butcher M.D. (Medico Deviato). Fu un William Castle incappucciato che si presentò a bordo di un carro funebre alla prima di Macabre a Minneapolis. Poi si infilò in una bara che aveva estratto dal lugubre veicolo e posato sul marciapiede, davanti al cinema. Ben presto si radunò una gran folla di curiosi. Il coperchio, per sbaglio, si chiuse e Castle – in preda al panico – svenne per le testate tirate al coperchio nel tentativo di sfuggire alla trappola che si era costruito da solo. Non si contano i pelosissimi gorilla che pedalavano per le strade sbraitando il titolo di film che narravano le gesta di enormi mostri scimmieschi, e nemmeno gli sventurati sottoproletari che sudavano dentro improbabili tute da palombari/astronauti per invogliare gli spettatori ad assistere alla proiezioni di filmacci di fantascienza. Una volta intruppate nelle sale, le orde di ragazzini pronti a tutto per qualche brivido venivano equipaggiate di ogni sorta di bizzarri apparecchi dalle maschere coscienziose. Qualche esempio: agli spettatori di Thirteen Ghosts di Castle vennero affibbiati degli "spettrovisori", e per The Mask di Julian Roffman al pubblico venne consegnata una maschera da indossare quando lo psichiatra del film si infilava la propria (in questo modo avrebbero potuto vedere gli orrori più reconditi della psiche in 3D!) Per Plague of the Zombies alle ragazze vennero dati degli "occhi da zombie" (degli occhiali) e ai ragazzi delle zanne da vampiro, mentre i convenuti ad altri spettacoli ricevevano cicatrici temporanee, falsi artigli, mantelli da mago e altri ammennicoli degni della notte di Halloween. Una volta iniziato il film ogni fortunato possessore d’un biglietto vedeva il proprio subconscio pestato e stiracchiato come l’impasto d’una pizza da filmacci del calibro di The Hypnotic Eye, The Thrill Killers, A Date With Death e Terror in the Haunted House, che lo ipnotizzavano, lo seducevano e lo manipolavano in modo subliminale. Il pubblico veniva costantemente avvertito e preparato con ogni mezzo ai brividi e agli orrori che lo attendevano. Per Curse of the Living Corpse veniva chiesto agli spettatori di firmare una "liberatoria del terrore". Castle consigliava al pubblico di "urlare per le loro vite!" durante la proiezione di The Tingler, mentre alla perversa tripla proiezione di The Undertaker and his Pals, The Embalmer e The Corpse Grinders un’infermiera in divisa offriva un servizio gratuito di misurazione della pressione. Un lampeggiante rosso – durante When the Screemin Stops – avvertiva gli spettatori del sopraggiungere di una scena truculenta, mentre le Cannibal Girls erano dotate di una campana d’allarme. Per The Hatchet Murders l’approccio fu più rilassato: si consigliava semplicemente agli spettatori di scambiarsi dei pizzicotti. William Castle interruppe nel 1961 la proiezione del proprio Homicide prima della fine e offrì il rimborso del biglietto a chiunque fosse troppo spaventato per restare a vedere la – a suo dire – spaventosissima conclusione del film, mentre Drive-In Massacre terminava con una voce – a quel che si dice quella del gestore del cinema – che diceva che uno spettatore era stato ucciso e "tu potresti essere la prossima vittima!" Dato che i teenager erano famosi per ignorare i consigli degli adulti, i gestori dei cinema offrivano loro una quantità di talismani di protezione. Per Frankenstein Meets the Space Monster venne loro data una "visiera protettiva a scudo spaziale" per "proteggere gli spettatori dai raggi al cobalto ad alta densità e prevenire il teletrasporto nello spazio più remoto". Il solito William Castle, per I Saw What You Did, fece installare delle poltroncine dotate di cinture di sicurezza. Alle proiezioni di Black Sunday gli spettatori vennero attrezzati di una cartoncino speciale sul quale era riportato un mantra protettivo, mentre il pubblico di Burn, Witch, Burn ricevette un sacchetto di sale speciale insieme ai versi di un antico incantesimo. Per The Flesh Eaters vennero distribuiti pacchetti di "sangue solubile istantaneo" nel caso che i cannibali uscissero dallo schermo, e furono numerosissimi i film (tra questi Beast of Blood e Mark of the Devil) che offrivano l’ultimo e il più basso di tutti i comfort: il sacchetto per il vomito. Se ogni altra protezione falliva, agli spettatori si offrivano dei risarcimenti in denaro nel caso passassero a miglior vita per la paura durante la proiezione di Macabre, Night of Bloody Horror e un sacco d’altri film, mentre un povero diavolo che avesse tirato le cuoia mentre si godeva Castle of Evil avrebbe ricevuto solamente un funerale gratis. Per altri film si pensò ad amuleti di natura più peccaminosa e perversa. Per Strait Jacket Castle diede agli spettatori delle asce di cartone, mentre ai visitatori del Torture Garden vennero consegnati dei sacchetti di "semi del terrore" con i quali far crescere il proprio "giardino delle torture". Il pubblico di The Castle of Blood fu tanto fortunato da avere una possibilità di vincere "un cadavere ibernato e uno scalpo di donna". Alcuni ragazzi intervenuti alla proiezione di Ben ebbero gratis delle foto del protagonista, un topo. Andy Mulligan invece offrì la possibilità di vincere un ratto vivo "per la vostra matrigna" agli spettatori del suo Z-movie horror The Rats Are Coming, the Werewolves Are Here. Ma tutti i consigli più melodrammatici e tutte le asce di cartone dell’universo non avrebbero potuto proteggere gli spettatori dall’orrore superterreno che si trovavano ad affrontare durante la proiezione di film come The Thrill Killers, The Incredibly Strange Creatures Who Stopped Living and Became Mixed-Up Zombies, The Vampire Coffin e The Robot Versus The Aztec Mummy. In quelle occasioni mostri, fantasmi e psicopatici in carne e ossa uscivano dagli angoli bui dei cinema, strisciavano per i corridoi, afferravano e rapivano ragazzine urlanti. Se William Castle era il re dei trucchetti, Ray Dennis Steckler – che si specializzò in questo genere di living theatre wagneriano di serie Z – incarnò il buffone di corte. In altre occasioni l’orrore si accontentava di impadronirsi del palco, come per il lancio a Las Vegas di The Worm Eaters, salutato da una gara in cui i concorrenti facevano a chi riusciva a mangiare la maggiore quantità di vermi vivi. A volte i trucchetti parevano assumere una vita propria e creavano anche più isteria di quanta non ne volessero i produttori. Alla prima di House on Haunted Hill di William Castle – svoltasi nel 1958 al cinema Golden Gate di San Francisco – uno scheletro di plastica di 12 metri avrebbe dovuto a un certo punto del film sorgere da una scatola nera accanto allo schermo e dirigersi verso la galleria sorvolando il pubblico grazie a dei binari posti sul soffitto. Mentre lo scheletro veleggiava sopra il pubblico all’improvviso un cavo si spezzò e il mostro cadde sugli spettatori. "I ragazzini si alzarono in piedi, afferrarono lo scheletro e urlando si misero a lanciarlo per aria" avrebbe ricordato anni dopo Castle. "Il cinema si era trasformato in un manicomio!" Nel 1988 lo Strand di San Francisco proiettò The Tingler e assunse un effettista mago dell’elettricità di nome Barry Schwartz per equipaggiare le poltrone con una ricreazione del sistema Percepto, il trucchetto originale del film. L’idea era quella di simulare – come aveva immaginato Castle – la presenza di un mostro sotto le poltrone del cinema, usando dei motorini presi dalle unità di raffreddamento di radar militari e dotati di alberi a camme sbilenchi, attaccati sotto le poltrone e attivati al momento opportuno dal proiezionista. Ma Schwartz decise che lui voleva davvero scioccare la platea, si infilò sotto il pavimento e collegò degli elettrodi a delle bande di metallo attaccate ai braccioli delle poltrone. Lo spettacolo attrasse un pubblico numerosissimo e al momento giusto venne schiacciato il bottone nascosto all’entrata che avrebbe dovuto dare la scossa ali spettatori. Ma con tutti i posti a sedere occupati, c’era troppa resistenza perché qualcuno potesse sentire anche la minima scossa. Poi, nel corso dell’intervallo, quando la maggior parte degli spettatori erano al bar o in bagno, il buon Schwartz ci riprovò e i pochi spettatori ancora ai loro posti si beccarono una scossa che si sarebbero ricordati per il resto delle loro vite! Nel 1991 al Roxie di San Francisco chiamarono Schwartz per una proiezioni di film di William Castle, ma alla fine decisero di non correre rischi e preferirono affidarsi al più sicuro dei trucchetti: costringere gli spettatori a firmare una polizza assicurativa per casi di "morte da spavento". Quattro anni più tardi, nell’ottobre del 1995, fu la volta del cinema Castro (sempre di Frisco): venne presentata una retrospettiva dedicata a William Castle, e anche in quell’occasione fu chiamato Schwartz. Avendo però ben presente il disastro dello Strand, e temendo che il vero orrore del giorno d’oggi (gli avvocati) si gettassero alla difesa di eventuali vittime di qualche trucchetto avventato, gli organizzatori lo dissuasero dall’elettrificare le poltrone, per cui sì finì per costruire un marchingegno elettrico sul palco, che anziché arrostire gli spettatori li accoglieva con scariche e fulmini artificiali. Nel gennaio del 1996 il Museo del Cinema di Amsterdam mise in cartellone The Tingler, senza tralasciare i trucchetti. I curatori dovettero improvvisare - visto che al giorno d’oggi un Percepto originale è raro quanto una Bibbia di Gutenberg - e quindi decisero di acquistare qualche centinaio di vibratori difettosi da un grossista per pornoshop, e li collegarono direttamente alle poltroncine per creare un effetto che forse generò più piacere che terrore in alcuni spettatori, quando il proiezionista spinse il fatidico interruttore. A questa versione a luci rosse del Percepto venne aggiunta una macchina per fulmini alla Schwartz e un campionamento rutilante del sonoro originale, che Castle avrebbe sicuramente apprezzato. Per gli accademici d’oggi, tutti presi dai più sofisticati sviluppi dell’interattività, il Festival del Cinema di Rotterdam del 1996 è stato un vero evento: la rassegna principale era intitolata Exploding Cinema – Exploring the digital revolution. Glorianna Davenport – una testa d’uovo del MIT – raccontò i più recenti sviluppi del settore in una ridda di laboratori, seminari e dimostrazione di software e hardware. Si videro tecnologie interattive che andavano dai videogiochi adventure ai Cd-Rom ai siti Internet in cui i visitatori potevano navigare ciberspazi e realtà virtuali in cui – udite udite – il pubblico può "entrare a far parte dello spettacolo". Tra le varie attrazioni di Exploding Cinema, persa tra le mille attrazioni hitech ultramoderne, c’era una proiezione di Mr. Sardonicus di William Castle. Si tratta di un film in cui Castle proponeva due finali diversi al pubblico, che poteva scegliere sollevando dei cartelloni fosforescenti se punire il signor Sardonicus o fargli salvare la pelle. Si trattava di un tributo ai giorni in cui i film – se anche non erano interattivi – erano senza dubbio iperattivi. |