H u b e r t D a
m i s c h |
Lo storico e filosofo della visione, Hubert Damisch passeggia accanto al muro di Berlino e le crepe, le scritte, i graffiti diventano pretesti per un viaggio nella memoria culturale tedesca, tra architettura, autobiografia ed antropologia. Il pezzo che presentiamo costituisce un capitolo di Skyline. La città Narciso, ultimo titolo di Damisch in preparazione da Costa & Nolan. Historian and philospher Hubert Damisch takes a close look to the Wall in Berlin: graffiti, writings and cracks guide him into a journey through German culture and architecture, mingling anthropology, history of art and politcs. This article is taken from Skyline. La Ville Narcisse, Damisch's latest book soon to be translated in Italian by Costa & Nolan publishing house. © Hubert Damisch & Costa & Nolan |
Berlino
Ovest, maggio 1978: città assediata e tuttavia aperta, senza muri né
difese apparenti oltre alla ronda discreta delle jeep della Military
Police americana e delle BMW della polizia federale. Siccome in ogni
assedio ci vuole una fortificazione o almeno una muraglia, qui sono
gli assedianti e non gli assediati ad averla costruita, più che per
accerchiare l'altro, per difendersi dalla fascinazione che ne emana
e per rinchiudersi in questa cerchia allo scopo di impedire ogni diserzione
dai propri ranghi. In questo senso, il muro di Berlino veniva a corrispondere
al singolare avamposto di una "de-costruzione" dei giochi di opposizione
sui quali poggia la nostra cultura: si era lontani da quel muro detto
di Adriano che segnava di fronte alle genti del Nord il limite del mondo
romano, lontani anche dalla Grande Muraglia cinese, come da qualunque
nozione di frontiera fra l'umanità e la barbarie; del tutto lontani
dall'idea di una possibile separazione fra le due.
Un muro: a dire la verità, almeno nella versione più recente (1967), una semplice parete, una ridicola e miserabile paratia - passato il tempo della sommossa e della tragedia, del muro di vopos gomito a gomito, del blocco e del ponte aereo, degli spari a vista sui fuggitivi - che la polizia dell'Ovest sembra aver dovuto proteggere con una rete metallica contro l'assalto dei graffiti politici e delle scritte di un'oscenità estrema, e le due cose possono procedere di pari passo: Honecker = Breichnevs Schuhputzer (servo di Breznev); Dirty needs; Wìr werden die Mauern mit sprengen (butteremo giù i muri); Axeman rules all, suck my cock; Jimmy Carter, wir grüben dich (Jimmy Carter ti salutiamo). La "modernità" (il muro appartiene già alla storia dell'architettura; persino il rivestimento di plastica che inalberava qua e là - di plastica gialla: Start Jagd auf Juden) non smettendo di estendere il suo influsso su tutta la frontiera: altrove, il muro era stato tirato su alla bell'e meglio, visto che gli assedianti-assediati non dovevano difendersi da altri attacchi che non fossero il lavoro di piccone o la carica disperata dei loro dissidenti. Sulla Bernauer Straße le facciate degli stabili svuotati dei loro occupanti erano state semplicemente livellate, tutte le uscite murate (la passeggiata a mare di Mers-les-Bains, di fronte al Tréport, ricòrdati, nel 1946, con le sue facciate a colombage, tutte annegate nella massa del cemento made in France, per conto dell'organizzazione Todt).Quando andai a vederlo per la prima volta, nel giugno del 1978, all'altezza del vecchio Reichstag, alcuni operai erano intenti ad arretrare il muro di qualche metro, come a sottrarlo da quella vampata di scrittura. Una gru ne spostava uno dopo l'altro i pannelli di cemento prefabbricati ai quali dei soldati passavano una mano di bianco dopo averli agghindati con una specie di tubo di grondaia a mo' di coronamento, mentre un cordone di vopos montava la guardia davanti alla breccia provvisoria imposta dall'operazione. Uno di loro, un sottufficiale che portava binocoli e una macchina fotografica, munita di un enorme teleobiettivo, fotografava sistematicamente le targhe delle automobili dei turisti stranieri, convenuti là come a uno spettacolo, tanto per vedere, per guardare dall'altra parte, arrampicandosi sugli osservatori di legno eretti a tale scopo di fronte alle torrette d'osservazione dell'Est. Qualche giorno più tardi passammo senza complicazioni, ma non senza un certo numero di formalità e una perquisizione minuziosa, l'unico punto di transito aperto alle automobili private, il "Check-point Charlie". All'altezza della porta di Brandeburgo, là dove durante i moti del giugno 1953 i manifestanti strapparono sotto gli occhi dei soldati sovietici, presto sostituiti dai blindati, la bandiera rossa che ne sovrastava la quadriga, il muro lasciava il posto a una palizzata che permetteva di intravvedere, attraverso i propilei di Langhans, la prospettiva dei Linden. Davanti al parapetto dove il pubblico dell'Ovest si accalcava, questo cartello a esso rivolto: Achtung. Sie verlassen jetzt Berlin-West, "Attenzione, state lasciando Berlino Ovest". E là, dietro un'aiuola di fiori, la gente di fronte che ci guardava, la sola breccia aperta nel muro ad altezza d'occhi (la no man's land a nord di Central Park, prima di entrare ad Harlem; cinque o sei strade deserte, non attraversate da alcuno sguardo, come il Bianco che si avventuri oltre la Centoventicinquesima strada: nel 1963, durante la visita di Kennedy a Berlino, erano stati tesi dei grandi teloni rossi fra le colonne dei propilei per impedire la prospettiva e ostacolare lo scambio degli sguardi). In lontananza si indovinava appena il pronao della Vecchia Guardia di Karl Frederic Schinkel, trasformato in Mausoleo delle vittime del fascismo e del militarismo (sic), davanti al quale il cambio della guardia si effettuava ogni mattina al passo dell'oca. Sorpresa: oltrepassato il muro (regolarmente reimbiancato, e non da molto, per la visita del presidente Carter) ed entrato nel grigiore dell'Est e nella bruma in cui l'isola dei Musei era immersa, per visitarvi il Pergamon Museum, una volta percorsa la via delle Processioni di Babilonia e superata la porta di Ishtar (la tensione dei colori, Oriente blu e oro - tanto l'Est è grigio) il cui retro è occupato dalla porta del mercato di Mileto; sorpresa di scoprire, al termine di questa progressione murata, che i frammenti della Gigantomachia che si sviluppava un tempo intorno all'altare di Pergamo (la visione, all'improvviso, ricòrdati ancora, davanti alla porta di Mileto sotto una luce di tempesta, del semplice cubo di terra rimasto in piedi, a Pergamo, in mezzo ai pini, scorto in una veduta dall'alto, dall'acropoli, nella grande apertura del sole di mezzogiorno); sì, la sorpresa di scoprire che il fregio esterno era stato applicato - come già nel British Museum quello del Partenone - sulle pareti interne della sala, da ambo le parti della facciata dell'altare, e perciò il monumento era, per così dire, rivoltato come un guanto, nella defezione del fuori imposta dal museo, ed era appeso a una parete fatta di lastre dello stesso tipo e più o meno dello stesso formato di quelle che componevano il muro detto "della vergogna". Recto/verso, diritto/rovescio:
il muro - nient'altro che una scorza, nulla più che una rovina: la
rovina che era fin dall’inizio - non aveva un rovescio suo proprio.
E per quanto riguarda la decorazione che vi si sviluppava, che lo
imbrattava, questa scriptomachia furiosa non era altro che lo spettacolo
che l'Occidente offriva a se stesso fra le vetrine dei negozi di souvenir
e di cartoline illustrate, e di cui la gente dall'altra parte, come
i prigionieri della caverna platonica, non percepiva che l'eco (da
lontano, dietro ai lotti di terreno abbandonati e disseminati di cavalli
di Frisia che occupavano il luogo della vecchia Potsdamer Platz, la
torre della televisione tedesca dell'est, la Fernsehturm, colonna
di cemento di duecentocinquanta metri di altezza che offre su Berlino,
secondo la Guida blu, una vista "imprendibile" - proclama di
un'altra modernità, la stessa?). "L'anima tedesca" (di fronte al muro
eravamo tutti "ebrei tedeschi") esibiva così sullo schermo dietro
al quale si trincerava il suo doppio, e a uso esclusivo ed esclusivo
ammaestramento dei turisti dell'Ovest e dei visitatori di riguardo,
la sua superficie senza faccia. Un'iscrizione fra le altre, allo sbocco,
segnalato da un cartello, di quella che fu la Potsdamer Straße: |