Henrietta Moraes è scomparsa all'inizio del 1999, dimenticata
starlet della boheme di Soho, Londra, anni Cinquanta. Amica di Bacon, amante di Lucian
Freud, compagna di sbronze di Marianne Faithful e dei Rolling Stones, la Moraes ha
pubblicato anni fa la sua autobiografia, dalla quale abbiamo tratto le parti dedicate ai
ritratti che Bacon e Freud dipinsero per lei. Henrietta Moraes became the celebrated muse of
Francis Bacon and Lucian Freud in 1950s Soho Bohemia. Drinking buddy of Marianne Faithfull
and the Stones, lover of Lucian Freud, Henrietta Moraes published her memories in Henrietta,
a social history of London and a honest account of 40 years of alcoholism. Henrietta
Moraes died in 1999.
© Henrietta Moraes |
Cerano altre due
persone delle quali volevo diventare a tutti i costi amica: mi sentivo attratta da loro,
irrimediabilmente. Erano Lucian Freud e Francis Bacon. Allepoca erano entrambi due
giovani pittori, pressoché sconosciuti, ma assolutamente irresistibili: Lucian grazie al
suo sguardo ipnotico e Francis per la sua effervescenza e per laffascinante vizio di
offrire costose bottiglie di champagne.
Una notte stavo ballando con Lucian al Gargoyle e gli sussurai: "Ti voglio". Ci
demmo appuntamento a pranzo per il giorno seguente, e ci incontrammo in uno scantinato
dalle parti di Brewer Street dove consumammo la nostra amicizia sul bordo di uno
scomodissimo lavandino da cucina.
Mi innamorai di Lucian e subito mi ritrovai a fargli visita ogni giorno nello studio di
Paddington per essere ritratta da lui. Era un lavoro davvero romantico: mi sedevo su una
specie di panchina, svogliatamente avvolta in una coperta grigia sullo sfondo
scorreva il canale nel quale nuotavano tre piccole papere. Mangiavamo sempre fuori orario,
ingozzandoci di uova sode e toast, mentre guardavamo gli ubriachi che si trascinavano
davanti alle vetrine del caffè.
La nostra storia continuò così per un anno e Michael, il mio ragazzo ufficiale, era
completamente esasperato dalla situazione: decise di partire per Roma, dove avrebbe
scritto sceneggiature nella capitale europea del cinema a buon mercato. Solo allora
cominciai a sentire la sua mancanza. Mi aveva detto che se mai avessi voluto raggiungerlo
a Roma e sposarlo, avrei dovuto semplicemente scrivergli. Tuttavia io ero ancora vittima
del fascino di Lucian: ero come un coniglio ipnotizzato da qualche illusionista. Ma la
trance non cancella il dolore; così quando scoprii delle tracce di mestruo in quello che
pensavo fosse il mio il nostro letto, decisi che non avrei sopportato altre
umiliazioni e scrissi a Michael.
Mia zia Jo era felicissima del mio matrimonio e mi comprò vestiti, coperte e asciugamani
di lino, tutti accuratamente e graziosamente ripiegati in un baule. E così cominciò il
mio viaggio(
)
Un pomeriggio stavo bevendo una cosa al French Pub in
compagnia di Francis Bacon e Deakin e un paio di altri amici, quando Francis mi disse:
"Sto pensando di ritrarre qualche amico e mi piacerebbe dipingere te, ma io lavoro
solo su fotografie, quindi, se vuoi, Deakin può venire a casa tua e farti qualche foto.
Io gli dico che immagini mi servono. Cara, tu sei perfetta e bellissima, non devi
preoccuparti, verrai benissimo".
Deakin venne allApollo qualche giorno dopo. Bevemmo un paio di drink e poco dopo ci
ritirammo in camera mia.
"Vuole che ti spogli" mi disse Deakin. "Ha detto che devi stare sdraiata
sul letto e mi ha spiegato anche in che posa devi stare. Mi ha spiegato tutto, non ti
preoccupare".
Non fu facile spogliarsi di fronte a un uomo che non mi desiderava affatto e che vedeva
una donna nuda probabilmente per la prima volta. Avevo persino paura che mi trovasse
disgustosa. Perciò mi sedetti sul bordo del letto con le braccia e le gambe incrociate.
"Dio santo, dolcezza, cosè questa posa? Voglio dire, Francis non ha mai
dipinto una Pietà".
"E cosa dovrei fare, allora" squittii.
"Gettati sul letto, voglio che ti abbandoni. Apri le braccia e spalanca le gambe. Su,
fai qualcosa". E cominciò a scattare con il suo grandangolo, proprio dritto
dritto tra le mie gambe.
"Deakin, sei sicuro di quello che fai? Che gliene frega a Francis di tutti questi
primi piani delle mie parti intime? Non è così che dipinge. Te lha detto lui?
Davvero?". Alla fine mi rassegnai: Bacon aveva parlato con lui, non con me, e quindi
tanto valeva lasciarlo fare. Mi feci un paio di altri bicchieri e ci detti dentro.
"Okay, okay, amico, fai quello che vuoi. Sono solo immagini dopotutto, no?"
Click, click, click: lui continuava a scattare.
"Ecco fatto" disse alla fine.
"Sì, non hai dimenticato proprio niente: non cè un centimetro di pelle che
non sia finito in quella pellicola del cavolo. Allora, che si fa adesso? Andiamo a berci
una cosa?"
Qualche giorno dopo me ne stavo a sbevazzare con Francis Bacon e Deakin al Colony Room.
"Ehi, Henrietta, guarda qui. Questo idiota ha scattato tutte le foto al contrario.
Non era così che le volevo" mi disse Francis.
"No, davvero? Ah, questa sì che è una sorpresa. Lo dicevo io".
"Ascolta, Henrietta" continuò Francis, rimboccandosi le maniche e mostrando i
suoi polsi robusti, "ti dispiacerebbe se rifacessimo tutto da capo? Deve rifare
tutto, da un altro punto di vista. Al contrario".
Gli lanciai unocchiata. A diciottanni avevo passato tutti i miei pomeriggi, le
serate e le mattinate in compagnia di Francis. Cenavamo noi soli, sempre da Wheeler
ostriche e Chablis naturalmente oppure andavamo a ballare da Gargoyle. Io pendevo
dalle sue labbra, che dispensavano saggezza e ironia. A volte restavo senza parole,
raggelata dal sarcasmo pungente che di tanto in tanto sibilava tra le sue battute, ma che
non rivolse mai contro di me. Ogni secondo che avevo passato accanto a lui mi aveva
insegnato qualcosa di nuovo e imprevisto: mi sentivo come stregata e incatenata a lui.
Ogni volta in cui Francis entrava in una stanza, latmosfera si elettrizzava, la
gente cominciava a discutere animatamente, come se una nuova energia si agitasse nellaria;
ovunque si materializzavano bottiglie di champagne.
"No, non mi dispiace affatto. Quando vuoi, io sono pronta" gli dissi. Glielo
dovevo, in un certo senso.
E così Deakin e io scattammo le foto al contrario: gli davo le spalle questa volta e
tutto andò alla perfezione. "Un giorno ti regalerò il quadro" mi promise
Francis.
"Okay, be, grazie" gli dissi, senza nemmeno capire quanto fosse
importante.
Un pomeriggio, doveva essere passata una settimana al massimo, mi ritrovai in un bar di
Soho: ero già un po ubriaca, ma entrai comunque. La sala era piena di marinai, che
circondavano una figura familiare: era Deakin. Stava agitando in aria un pacco di
fotografie: erano quelle che mi aveva scattato, le stava vendendo a dieci sterline luna.
"Deakin" gli urlai. "Senti, non me ne frega niente delle foto, ma almeno
una birra me la devi, no?".
John Deakin non si scomponeva mai: mi rispose con un ghigno e mi offrì una serie
memorabile di drink. |