Pubblicato
per la prima volta nel 1995 dalle Editions Jannick, Parigi, e inserito
nell'antologia The Words of Gilbert & George (Violette
Editions, 1997), torna lo sfrontato decalogo della famosa coppia di
artisti: un dizionario dei luoghi (non) comuni dell'arte contemporanea.
First published in
1995 by Editions Jannick, Paris, and recently reprinted in The
Words of Gilbert & George (Violette Editions, 1997), here
comes G&G's decalogue: a precious introduction to (un)common sense.
© G&G, Violette Editions
|
I
- Combatti il conformismo
Le relazioni tra
le persone e il mondo sono compromesse da enormi fraintendimenti e
frustrazioni. Le barriere possono essere abbattute soltanto dalla
cultura: è questo il nostro obiettivo, lo scopo delle nostre fotografie,
oggi più che mai.
Le frustrazioni discendono dalle opinioni dogmatiche della gente,
alla quale è stato detto in cosa credere. Ciascuno, dentro di sé,
crede di possedere un nucleo, una verità che impone un certo comportamento:
inglesi, cittadini della comunità europea, uomini, donne, tutti credono
di conoscere le proprie radici e il proprio destino. Tutto ciò è falso,
artefatto, e vorremmo cambiare radicalmente questa situazione. Forse
è giunto il momento in cui non sappiamo cosa sia un uomo o una donna,
tutto è cambiato negli ultimi anni. E tutti stanno gridando: tutte
le donne sono insoddisfatte, infuriate, stanche di essere donna; ciascun
uomo è infelice dell’essere uomo. Ogni sera, al ristorante, ci capita
di ascoltare qualche terribile conversazione a un tavolo vicino: le
solite storie di ragazzo e ragazza, fidanzati, matrimoni e soldi.
È come se l’intera umanità stesse vivendo la più terrorizzante delle
vite possibili. E ciò accade semplicemente perché nessuno ha capito
– così come noi non abbiamo capito – che forse esiste un altro modo
in cui possiamo immaginarci. È il problema più importante di tutta
la nostra esistenza. Nel nostro piccolo, con le nostre fotografie,
cerchiamo di partecipare a questo dibattito. L’idea di amore, l’immagine
tradizionale del matrimonio, l’idea di società dovranno cambiare –
come è sempre successo.
Per secoli è stata la religione a imporre una precisa morale. In qualche
modo questa situazione si è dissolta. La cultura ha preso il posto
della religione e pretende di imporre comportamenti, parole, di insegnarci
cos’è l’amore, la famiglia…
L’arte è stata prima nelle mani della chiesa, poi in quelle dell’aristocrazia.
Infine gli esteti hanno liberato l’arte dal problema del significato.
L’arte non aveva nulla a che spartire con il contenuto: era solo questione
di linee, colori e forme. Oscar Wilde, l’esteta per antonomasia, diffondeva
queste teorie, ma curiosamente sacrificò la propria vita al contenuto,
non alla forma. Soffrì e morì per il contenuto della propria vita.
Noi crediamo nella struttura e nei sistemi, le cui radici però devono
affondare nella libertà, non nelle restrizioni. Crediamo che le forme
debbano sempre servire un contenuto.
II
- Sii il messaggero delle libertà
La nostra più grande
ambizione è migliorare la libertà dell’individuo. Nonostante la crescita
dei nostri privilegi e delle opportunità, continuiamo a vivere in
un mondo oppresso.
Certo, oggi viviamo in un mondo molto diverso da quello di venticinque
anni fa. Da allora la cultura è cambiata moltissimo. Oggi se non vuoi
lavorare, non lavori. Se non vuoi credere in dio, non ci credi. Se
non vuoi essere omosessuale né eterosessuale, nessuno ti costringe.
Puoi fare quello che ti pare. Eppure, dietro le quinte, l’infelicità
e l’oppressione sono ancora molto diffuse a causa delle religioni
e della politica. Tutti hanno paura della vita; anche noi siamo spaventati,
come chiunque altro.
La libertà in sé non significa molto. Può solo crescere insieme al
senso di responsabilità individuale. Solo quando proveremo lo stesso
senso di responsabilità gli uni verso gli altri, solo allora potremo
davvero progredire. Ci serve una nuova idea dell’amore, un amore più
grande. Con le nostre fotografie cerchiamo di costruire un nuovo modo,
più delicato, di guardare a certi aspetti della vita, per scoprire
cosa è e cosa non è un individuo. Il messaggio è trasmesso allo spettatore,
che riceve una certa informazione. La fotografia trasmette delle informazioni
che conducono alla comprensione, la comprensione porta alla tolleranza,
e la tolleranza all’amore: l’amore è la madre della creatività. E
la creatività è una chiave universale, perché dà forma al nostro domani.
Senza creatività siamo spacciati.
La gente ha bisogno di attenzioni, ciascuno di noi ne ha bisogno.
È questa la richiesta più grande, urlata da tutti: avvolge il mondo
interno. Tutti gli artisti di questo secolo hanno concentrato le loro
attenzioni sull’arte, ma noi crediamo si tratti di un terribile errore.
Noi vogliamo dedicare la nostra attenzione alla vita. La dottrina
cristiana ci ha insegnato a unirci gli uni con gli altri per pregare
il Signore – In tutto il mondo i tuoi figli riconoscono la tua canzone,
da Oriente a Occidente le loro voci si mescolano in una dolcissima
armonia e pregano il Signore… Questo ideale è crollato perché ci incoraggiava
a essere tutti uguali, identici, spogliati della nostra individualità.
Non è così che vogliamo vivere. Tutti devono essere liberi di avere
le proprie idee, ma allo stesso tempo devono tollerare quelle degli
altri.
III
- Usa il sesso
Per essere nuova
l’arte deve creare uno shock. Ma, allo stesso tempo, noi crediamo
nel "de-shock". Se qualcuno ci dice: "Ehi, quella foto, Shitty,
non l’avreste mai dovuta fare, non dovrebbe venire esposta, non voglio
nemmeno vederla", noi gli rispondiamo: "Mi spiace, è troppo tardi:
l’abbiamo già fatta. Esiste, occupa un posto in questo mondo". Ecco,
questa è una forma di "de-shock". D’altra parte se un tizio ci dice:
"Ehi, quella foto, Shitty, è davvero grandissima, mi piace",
be’, anche lui è de-scioccato.
Noi provochiamo il pensiero. Vogliamo che il "de-shock" sia normalizzato,
che l’idea della sessualità venga normalizzata. Tutti ci dicono: "oh,
che schifo, c’è un pene su quel muro". E noi rispondiamo: "Perché
ti fa schifo?". Quando riusciremo ad accettare, insieme ai nostri
spettatori, ritratti come Bum Holes, allora tutto sarà cambiato.
Le nostre radici affondano nel peccato. L’intera civiltà occidentale
si basa su questa idea. Atei, protestanti o cattolici, poco importa;
alle radici della cultura occidentale si percepisce sempre l’ispirazione
di Cristo: "Siamo tutti peccatori". Anche la nostra idea di una nuova
personalità sessuale nasce da questo contesto.
Gli artisti che amano solo l’arte producono opere decadenti. Ogni
giorno noi cerchiamo la nostra ispirazione chiudendo gli occhi e immaginando
tutte le persone che abitano il pianeta, le pensiamo mentre si ammazzano,
amano, ribellano o attraversano un deserto, una città, la giungla.
È questa la nostra più grande tristezza e la più importante fonte
di ispirazione.
IV
- Reinventa la vita
Molto tempo fa abbiamo
stabilito un’importante distinzione. Un’arte che parlasse della vita
e non dell’arte: è stata la nostra più grande scoperta. Arte vuol
dire esplorare, reinventare la vita, non solo una nuova forma o un
nuovo stile. Tutto si fonda sugli esseri umani che inventano un nuovo
modo di vivere.
Tutti noi siamo delle entità culturali. La nostra natura dipende dai
romanzi che tua nonna e la tua bisnonna hanno letto, dalla musica
che hanno ascoltato e da quella che hanno snobbato.
Tutto è cominciato dal giorno in cui siamo diventati sculture viventi:
ci siamo consegnati agli spettatori, invece di erigere una barriera
tra artisti e gente comune. Tutto è cominciato quando siamo saliti
su quel tavolo, quando abbiamo iniziato a cantare: stavamo donando
la nostra vita.
Siamo riusciti a trasformarci sia in oggetti sia in artisti: un oggetto
vivo, che parla. Di solito gli artisti creano oggetti morti: noi siamo
diventati una forza vivente. È questo il nostro dovere, il nostro
impegno.
La vera arte non rappresenta né riflette la vita, ma può dare forma
al nostro futuro e a un nuovo mondo.
V
- Afferra l’anima
Cerchiamo di conquistare
lo spettatore, afferrando le sue emozioni. Vogliamo entrare nelle
persone. Vogliamo avere successo, avere ragione, ecco perché cerchiamo
di penetrare nell’anima più intima dello spettatore, così che si ricordi
le nostre foto per sempre. La vita è un poco cambiata da quando esistono
le nostre fotografie.
VI
- Dacci il tuo amore
Noi siamo totalmente
ossessionati: vogliamo amare gli spettatori. Vogliamo che pensino
alle nostre foto come lettere d’amore visive. E vogliamo che ci rispondano
con un’altra lettera d’amore. Succede spesso, ma non sempre.
In una società organizzata, se vieni derubato, telefoni alla polizia.
Se ti fa male una gamba, vai all’ospedale. Nonostante tutte queste
cure, nel cuore di ognuno c’è ancora un dolorosissimo buco nero che
può essere riempito solo con un romanzo, una canzone, una poesia o
un’opera d’arte – solo con la forza della cultura, dell’amore.
Ci piace fare qualcosa per la gente. Siamo forse dei socialisti? Di
sicuro accettiamo la complessità dei pensieri e delle idee. Le nostre
fotografie rivelano le nostre anime, noi stessi. E agli spettatori
viene offerta la possibilità di guardare e cercare da soli. Tutti
gli esseri umani sono alla ricerca di qualcosa. Si legge solo per
scoprire chi si è davvero, paragonandosi a un personaggio o a un particolare
stile di scrittura. Come ci si può paragonare a un artista? Tutto
nasce dal paragone. Abbiamo sempre bisogno di uno spettatore. Crediamo
che un’opera d’arte sia finita, completa, solo quando viene mostrata
a uno spettatore. Altrimenti è morta: un manufatto inutile, senza
senso. Ma davanti allo spettatore l’opera comincia a parlare.
VII
- Crea un’arte artificiale
L’arte è artificiale,
perché è invenzione. Non ci sono regole definite. Esistono solo nuove
regole, artificiosamente imposte, e siamo sempre liberi di distruggerle
e crearne di nuove.
Lavoriamo lentamente. Quando creiamo una nuova immagine, siamo sempre
molto concentrati, svuotati persino. A volte incappiamo in un immagine,
ci capita addosso. Possiamo creare un’immagine con un soggetto molto
semplice, ma deve sempre essere un’immagine vera.
La realtà quotidiana è invisibile. Quando congeli un secondo della
vita – come nelle nostre fotografie – allora assume un significato.
Puoi camminare tra diecimila persone, magari sul London Bridge alla
mattina, ma ricorderai solo chi ti si avvicina, ti prende per il braccio
e dice: "Voglio dirti una cosa".
VIII
- Abbi sempre uno scopo
Se sei malato, se
devi vedere un dottore, sceglierai quello più bravo, che usa la tecnologia
più avanzata. Non ti affideresti mai a un dottore che dica: "Ehi,
ma provo a tagliare qui. A dire il vero non so se cambia qualcosa,
vedremo". Sceglierai sempre un professionista molto preciso, che sappia
quello che fa. Allo stesso modo noi crediamo che l’artista debba sempre
avere uno scopo, debba sapere ciò che fa. Mentre il tipico artista
di questo secolo dice cose del tipo: "Non so quello che faccio, lo
faccio e basta. Se ti piace, bene, altrimenti te ne puoi andare affanculo
per quanto me ne frega". Questo è un atteggiamento datato.
Quando entriamo nel nostro studio, noi siamo eccitati e svuotati allo
stesso tempo. Cerchiamo di cancellare la nostra coscienza, e di pensare
solo a come amiamo, odiamo; pensiamo solo a ciò che ci spaventa. Non
siamo di quegli artisti che vanno in studio e pensano: "Allora, facciamo
un dipinto con un albero, una scimmia o qualcosa di giallo…" No, così
non funziona. Per conquistare l’amore, per far scattare il desiderio
di raggiungere gli spettatori, dobbiamo essere completamente vuoti.
Solo così l’immagine sarà vera, sarà come siamo davvero noi. Questo
è l’unico modo in cui riusciamo a lavorare.
Crediamo che la nostra sia un’arte psicologica. Ma naturalmente non
ci paragoniamo affatto a dottori dell’inconscio. Siamo delle sculture
viventi, celebriamo la vita.
IX
- Non sapere mai esattamente ciò che fai, ma fallo lo stesso
Quando lavoriamo
a un’immagine, cerchiamo in tutti modi di sbagliare. In tutta la storia
dell’umanità non c’è nessuno che abbia scritto un libro o composto
una partitura sapendo in anticipo cosa fare. Se inizi un lavoro sapendo
di sbagliare, allora avrai qualche possibilità di scoprire qualcosa.
Non sappiamo dire con esattezza ciò a cui lavoriamo. Quest’anno abbiamo
più o meno sviluppato l’idea "Cos’è un uomo?" o "Cosa sono due uomini?".
E probabilmente stiamo solo cercando di umiliarci, come nella serie
The Naked Shit.
Quando un’immagine è finita, siamo liberi: si crea una forza incredibile,
una potenza psicologica. Ci stiamo distruggendo forse? Stiamo cercando
la verità, che non è mai rigida. Di fronte a noi si distendono nuvole
di idee. Nel mondo non esiste nulla che non viva all’interno dell’essere
umano. Tutto è contenuto in ogni singola persona. Noi sperimentiamo
in solitudine, ma, con le nostre foto, creiamo un sentiero verso il
nostro spettatore. È un viaggio che intraprendiamo insieme a lui.
Nella mostra a The Hague un tizio ci si avvicina e dice: "Grande mostra,
in tutta la mia vita non ho mai visto nulla di così deprimente, di
tanto triste. È così affascinante vedere che qualcuno ha il coraggio
di affrontare questi temi". Ci ha stretto la mano e se ne è andato.
Due secondi dopo un altro tale ci ferma e dice: "Congratulazioni:
questa mostra è un’incredibile celebrazione della vita. Queste immagini
mi fanno rinascere, mi riempiono di speranza". Le foto erano le stesse:
la reazione dipende dalla vita degli spettatori.
X
- Dai qualcosa in cambio
Ci identifichiamo
con chiunque abbia donato la propria vita, ubbidendo all’idea che
noi non siamo qui per il nostro piacere, né per la nostra felicità.
Sentiamo di dover dare qualcosa in cambio a chi dona la propria vita.
Non diremo mai di essere diversi da come la gente ci vede. Vogliamo
sperimentare insieme ai nostri spettatori. Non sappiamo se sia per
il bene di tutti, ma chi può saperlo? Siamo tutti dei dispersi.
Siamo finiti qui per caso, non credi?
Extracted from
the book The Words of Gilbert & George published in the USA and
Canada by Violette Editions and elsewhere by Thames and Hudson, available
at all good bookshops. For further information please email mailto:robertviolette@compuserve.com.
|