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  G i a n n i R o m a n o
Anton Vidokle

 

Anton Vidokle ha appena tenuto la sua prima personale alla galleria Audiello Fine Art di New York. Ma Vidokle non è solo un artista: è anche curatore e animatore di E-flux, un sito internet dedicato alla promozione dell’arte contemporanea in rete. In questa intervista racconta gli inizi della sua carriera cominciata in Russia, tra lezioni di disegno, critica marxista e la presenza più o meno rassicurante di sua madre.

Anton Vidokle just had his first solo show at Audiello Fine Art in New York. But he is not just an artist: he also works as curator and has created E-flux, a web site devoted to the promotion of art in Internet. In this interview Vidokle introduces us to his work and also recalls the beginnings of his career back in Russia, with fond memories of drawing classes, marxist esthetics and the reassuring presence of his mother.

© Gianni Romano - Trax

Questa personale da Massimo Audiello è la tua prima mostra? Come hai cominciato?
Sì, è la prima personale in una galleria. L’arte era una fissazione di mia madre che, quando ero bambino, mi portava alle mostre, ai concerti, a teatro… All’età di 12 o 13 anni decise che dovevo prendere lezioni private di arte. Credo che allora mi colpisse l’atmosfera: lo studio dove avevano luogo queste lezioni era nel sotterraneo di un vecchio palazzo in un’area molto bella di Mosca. C’era un odore stagnante di pittura, sigarette e tè. La gente che frequentava questi corsi mi sembrava straordinaria. Il tutto mi rapì all’istante.

Quali sono stati i tuoi primi riferimenti in arte?
Le mie prime influenze erano stranamente conservatrici. Ricordo ancora, molto chiaramente, che dopo le prime lezioni private la mia idea di perfezione era il dipinto di un busto di Giulio Cesare su un piedistallo, con una bella stoffa rossa che l’avvolgeva.

Oggi invece lavori a una ridefinizione dell’astrazione?
I lavori che realizzo ora non sono tanto una riflessione sull’astrattismo, quanto un’indagine sul progetto utopista dell’arte del Novecento: sembra impossibile concepire l’arte contemporanea senza considerarne il suo aspetto etico. Non ho dipinto per molti anni e, a essere onesti, ho un rapporto imbarazzante con la pittura. Per molti aspetti, ciò che la pittura rappresenta oggi è diametralmente opposto a ciò che mi interessa davvero, a ciò che trovo significativo e rilevante. Proprio per questo la pittura diventa lo strumento perfetto per affrontare i problemi che mi interessano: è l’opzione meno probabile. I miei quadri non sono esattamente dipinti: sono riproduzioni di copertine di libri dalle quali è stato rimosso il testo, per essere stampate digitalmente e montate su un telaio.

Che relazione c’è tra il contenuto di questi libri e le scelte estetiche, tra significato e vocabolario astratto?
All’incirca un anno fa ho scoperto per caso il libro di un teorico messicano, Sanches Vasquez, intitolato Marxist Aesthetics. Quando ho trovato il coraggio di leggerlo, con grande sorpresa, ho scoperto che le predizioni di Marx sull’arte erano molto precise. Marx immaginava una società futura nella quale sarebbe scomparsa la divisione del lavoro: non ci sarebbero più stati pittori o scultori, solo persone che si sarebbero occupate, quasi accidentalmente, anche di queste attività. Il lato negativo di questo pensiero è che Marx proponeva una società di hobbisti; mentre, leggendolo da un’altra prospettiva, possiamo rintracciare nel suo pensiero un filone di ricerca che da Duchamp prosegue fino ad artisti come Rirkrit Tiravanija o Gabriel Orozco.
Ma torniamo ai miei quadri. La copertina di Marxist Aesthetics era un disegno astratto, assolutamente inespressivo, che faceva sorridere quasi. Leggere Marx mi aveva spinto a dipingere, a diventare artista: dipingere quella copertina mi sembrava fosse la cosa più giusta. Dopo questo primo quadro, mi accorsi a poco a poco che tutti i libri di saggistica pubblicati fino alla metà degli anni Ottanta avevano copertine molto simili, quasi identiche- E così ho cominciato a dipingerle. Per questo le immagini dei miei quadri saranno familiari ai laureati in storia dell’arte o in sociologia: è da quei libri che vengono i miei quadri. Ciò non significa che il mio lavoro si esaurisca in una critica alla teoria, o in un esercizio didattico; piuttosto direi che il mio è un atteggiamento di natura speculativa.

In effetti, questi quadri, più che riflessioni estetiche sullo stato della pittura, hanno un aspetto seriale, come se tu avessi raccolto queste immagini negli anni.
Infatti, un altro lavoro che ho esposto quest’anno è la collezione d’arte dei miei genitori. Si tratta perlopiù di acquerelli, grafiche, oggetti di design, i miei lavori da studente, una dozzina di oggetti in tutto. Da studente mi faceva orrore, perché si tratta di una collezione davvero fuori dagli standard dell’arte e del gusto contemporanei. Ma è anche una collezione dalla quale non riesco ad allontanarmi, dalla quale è impossibile prendere le distanze: non sono scarti della cultura di massa o oggetti acquistati al mercatino delle pulci, sono cose con cui sono cresciuto. Ciascun pezzo mi piace perché, in maniera semplice, stabilisce una relazione complessa all’interno della galleria, con altri lavori, con i lavori di altri artisti, con i miei genitori, con me stesso.

Qual è il tuo prossimo progetto?
Non lo so ancora, ci sono varie cose: "e-flux", il mio website, cresce rapidamente e bisogna pensare a come farlo crescere: farlo diventare una webzine, un sito d’arte, un portale, o una combinazione di tutte queste cose. Poi c’è Maydayproduction, un progetto curatoriale collaborativo in cui sono coinvolto, stiamo preparando una mostra insolita che avrà luogo alla Kunsthalle di Vienna la prossima primavera. Insomma, sono progetti diversi, sto anche sviluppando un nuovo lavoro, una serie di fotografie.

Come mai questo interesse per la fotografia?
La fotografia ha un aspetto da readymade che m’interessa molto. Anche manipolarla può essere interessante, il modo in cui lo fai da artista. Le foto che sto facendo ritraggono un barcone da costruzione che si trovava sul fiume Hudson. Mi piacevano i colori, le macchine che trasportava, rosse, gialle, blu, verdi, come grandi giocattoli, molto modernisti. Il barcone era attraccato all’imbarco e offriva quella frontalità tipica dei quadri classici, come Tiziano o Veronese. Anche gli operai avevano qualcosa d’insolito, qualcosa di utopico, una profonda dignità.

 

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