La casa editrice Costa&Nolan
con la collaborazione dell'associazione culturale Mutation inaugura
la nuova collana Estensioni dedicata ai più importanti segnali
di mutazione del contemporaneo. Il primo titolo è dedicato all'opera
di Franko B., artista-performer italobritannico, che di recente ha
presentato i suoi lavori presso la galleria Inga-Pin. L'altro titolo,
già in libreria, è una monografia su Cesare Fullone.
Publishing house Costa&Nolan
has created a new series of essays about contemporary artists. In
Trax an interview from the first book: Franko B.
© Costa&Nolan - Virus
|
Betti
Marenko
Vuoi parlarci degli effetti del tuo background sul tuo lavoro?
Franko
B.
Penso che il background di ognuno è quello che io chiamo 'gli effetti
della storia'. Non è importante chi sei, da dove vieni, tu non c'entri
niente con tutto questo, né c'entra con il tuo lavoro. I miei lavori,
le mie performance non sono dirette a 'un certo pubblico', non lavori
per un certo pubblico, quando faccio un lavoro lo faccio soprattutto
per me. Quel che succede durante una performance è che ognuno arriva
con il suo personale vocabolario, la sua esperienza e la sua maturità,
è un incontro tra esperienze... Penso, quindi che il mio background
ha obiettivamente molto a che fare con il mio lavoro, ma è lo stesso
per chiunque altro, non trovi?
B.M.
Ogni volta che vedo una delle tue performance provo la sensazione
di essere di fronte a una testimonianza molto forte e a una serie
di ossessioni personali che prendono posto con te sulla scena dell'azione.
È questo che vuoi condividere con il tuo lavoro?
F.B.
Sì. Molte delle mie ossessioni hanno creato immagini meravigliose,
che sono meravigliose per me, altrimenti sarebbero insopportabili
e sarebbero anche pericolose. Quello che sto facendo è rendere sopportabile
l'insopportabile... Faccio un'icona delle cose che obiettivamente,
per la loro storia, vengono lette diversamente, come tutto quello
che viene sbrigativamente 'bollato' come insopportabile. Io
vedo le mie nevrosi, le mie paure, i miei 'viaggi' con una valenza
creativa, le metto in scena, le condivido, le uso per quello che sono,
cerco di non contaminarle, cerco di esprimerle in una direzione che
sia pura, come nella mia testa.
B.M.
Vedi questo come un processo catartico?
F.B.
Oh sì, per me è un processo di purificazione che significa essere
totalmente libero, è la mia ricerca della libertà. Quando realizzo
una performance mi sento libero. È un processo emozionale perché alla
fine sento che sono totalmente andato fuori dalle mie nevrosi, che
ho dato totalmente me stesso nei miei gesti.
B.M.
Cosa puoi dirmi a proposito del pubblico? Quanto è importante per
te avere un pubblico che testimoni le tue azioni?
F.B.
Cinque o dieci anni fa facevo questo genere di cose probabilmente
per me stesso o per le persone con le quali ero coinvolto in quel
periodo. Ora, come artista credo sia molto importante che ci sia il
pubblico. È molto importante che quello che fai abbia più pubblico
possibile. Anni fa pensavo a questo tipo di interventi come qualcosa
da salvaguardare intimamente, come se la mancanza di pubblico fosse
necessaria per una forma di totale purezza. Oggi capisco che obiettivamente
era come attivare una sorta di terapia. Oggi capisco che invece è
molto importante che questo tipo di performance diventi pubblica,
che sia visibile. Voglio che il mio lavoro sia visibile, e dunque
il pubblico è molto importante! Negli ultimi anni ho pensato che se
non avessi un pubblico probabilmente non farei quello che faccio,
ora quando sono sul palco ho bisogno che ci sia gente. Ora il mio
lavoro è anche su un sito web, quindi totalmente pubblico, e penso
che questo sia molto. Sono molto ambizioso a proposito del lavoro
e non è una questione di avere un grande ego. Io credo in quel che
faccio. Perché dovrei essere spaventato dal mio lavoro? Tutto il mio
lavoro è basato sulla mancanza di vergogna, io non voglio vergognarmi,
io non mi vergogno più.
B.M.
Nel catalogo dell'ICA Totally Wired le tue performance vengono
definite sadomasochistiche. È una definizione con la quale sei d'accordo?
F.B.
È divertente che tu dica questo perché la persona che ha scritto quell'articolo,
(che era l'agente di Orlan in quel momento), mi spedì un questionario,
ed io mi annoiai per alcune domande che mi fece, per esempio a proposito
del mio stato di 'presunto' malato di HIV... e anche sull'importanza
degli spinaci nella mia dieta!
B.M.
Spiegaci il
questionario...
F.B.
Io non credo che un artista sia diverso da chiunque altro, da, che
ne so, un fornaio, o chiunque faccia dei mobili. Come loro io faccio
un prodotto e lo metto fuori. Chiunque può comprarlo. Naturalmente
usare concetti come vergogna, dignità, o tematiche come quelle della
sessualitù, decide e seleziona chi verrà a vedere o a 'comprare'.
È come se facessi il pane, pane francese, pane scuro, pane con le
noci, anche questo seleziona e decide l'identità della gente che viene
a comprarlo. È lo stesso con le mie performance.
B.M.
Diresti che il tuo lavoro produce comunicazione?
F.B.
Faccio arte, sono un artista e sono molto professionale a proposito
di quello che sto facendo. Ho i miei standard su cos'è un buon lavoro
e cerco di essere onesto nel mio lavoro come nelle mie relazioni,
ma sono anche molto critico su quello che produco.
B.M.
Sebbene l'immaginario
che hai creato sia molto forte, trovo in esso una componente di umore
nero. È intenzionale o casuale?
F.B.
Ah, ah, ah! Entrambe... Una delle mie intenzioni è di scoprire l'ironia
in qualsiasi cosa e questo emerge obiettivamente nel mio lavoro. Senza
ironia saremmo tranquillamente fottuti!
B.M.
Il tuo corpo
è la tua zona di guerra, la tua stanza di tortura, lo spazio della
tua performance: qual è la relazione tra l'esperienza quotidiana del
tuo corpo e l'uso che ne fai durante le tue performance?
F.B.
Il mio corpo è la mia casa, quindi non ci penso normalmente. Mi garantisce
la vita di tutti i giorni, non sono focalizzato su di esso.
B.M.
Le immagini che tu crei si riferiscono alle istituzioni totali: l'asilo,
l'ospedale, e alle limitazioni del corpo: la sedia a rotelle, la gabbia,
il catetere. È il corpo sociale inscritto nel corpo fisico?
F.B.
Bene, questo è qualcosa che non voglio dire, perché potrebbe essere
troppo ovvio, ma parte di questo immaginario ha qualcosa a che fare
con il fatto che io provengo da un'istituzione, ma dimmi cosa non
è un'istituzione. qualsiasi cosa è un'istituzione O.K.? Uso queste
immagini puramente come metafore per le limitazioni che sono dentro
te stesso. È difficile decidere cosa viene da dentro e cosa viene
da fuori, come quando pensi: questo è successo a me? Davvero? Questo
ha qualcosa a che fare con i meccanismi della sopravvivenza. Pensa
alla sedia a rotelle: la sedia a rotelle per me ha a che vedere con
l'idea di diventare disabile, impedito nei movimenti naturali, e questo
naturalmente modifica anche 'dentro'. Noi diamo un senso a noi stessi
e questo è ciò che accade quando faccio una performance. La mia esperienza
emozionale sul palco è di liberazione, è come se tutte quelle situazioni
in cui sono stato costretto a vergognarmi, come quando, anche adesso,
mi vergogno e dico a me stesso: mai più! MAI! Sono io che lascio che
questa situazione venga fuori, sono io e la mia insicurezza. L'idea
su cui fondano le istituzioni è la vergogna, la nostra vergogna...
B.M.
Le istituzioni sociali imprimono il loro marchio direttamente nel
corpo perché il controllo possa passare attraverso il corpo...
F.B.
È un linguaggio. Tutte le istituzioni come la famiglia ti bombardano
con il loro linguaggio che tu lo capisca o no. Stavo parlando con
Rachel (Armstrong, n.d.r.) di questo problema con il linguaggio
e lei pensava che io mi riferissi ai problemi di lingua... Ma io parlo
di comunicazione! Sto parlando di contaminazione. Siamo costantemente
bombardati, e nessuno è controllabile. Controllarsi e farsi controllare
sono due cose differenti. Io non voglio essere controllato e non lo
vorrò mai essere... So cosa vuol dire... Quando faccio una performance
io non perdo mai il controllo su di me. Ma il punto non è proposito
del controllo, ma sull'affermare: questo è il mio corpo, questa
è la mia vita, questo è il mio linguaggio. È difficile se non
conosci il mio background, ma io non voglio che il mio background
diventi il nocciolo del problema, il lavoro deve esistere per se stesso...
Il mio passato è un linguaggio differente. Non è così importante quali
sono le tue intenzioni.
B.M.
Senti che il tuo lavoro e le tue sofferenze siano indissolubili? C'è
sofferenza nei tuoi lavori?
F.B.
No, non ce n'è. Il mio lavoro non è sulla sofferenza. Inoltre il concetto
di sofferenza è molto astratto, cos'è la sofferenza alla fine? Se
qualcuno viene da te e di dà un pugno pensi che stai soffrendo, perché
sei dentro SM... ma, aspetta un momento! Tu mi hai fatto male! Durante
le performance è differente. Qualcuno si alza e mi dà uno schiaffo,
io non lo sento, perché durante la performance io sono qualcun altro.
Divento un oggetto, un oggetto che trasmette. Il corpo diventa un
mezzo di trasporto, e non posso fingere. Nella mia vita sono stato
schiaffeggiato in continuazione per due o tre ore fino a quando ho
ammesso che avevo sbagliato qualcosa. Sei tramortito. Non senti la
sofferenza. Non è a proposito del diventare macellaio oppure macho,
piuttosto sul non volersi arrendere. Tuttavia, finisci con il farlo...
B.M.
Usi sostanzialmente una quantità del tuo sangue nel tuo lavoro: cosa
vedi nel sangue? Un simbolo? La forza della vita che si spande da
dentro a fuori? Un modo per provocare disgusto?
F.B.
Potrà sembrare ingenuo, ma per me il sangue è qualsiasi cosa. Il mio
sangue è il mio corpo. La gente muore per esso, va in guerra per esso.
il cancro è sangue. Quando lo sento, mi da un senso di libertà, specialmente
il fatto che sia il mio sangue, non lavoro con il sangue animale,
o qualsiasi altro sangue perché non potrei avere relazioni con esso.
Inoltre la gente ha vergogna dei propri fluidi corporali. Sono spaventati
dai loro rifiuti, pensano che siano cose molto private, che quel che
c'è nel corpo deve rimanere nel corpo.
B.M.
Vedi le tue performance come i tuoi riti personali? Senti di aver
bisogno di rituali che facciano da processi purificatori?
F.B.
AH! AH! AH! No, niente di questo! Preferisco che tutto diventi cabaret,
piuttosto che rituale. Voglio essere chiaro su questo. In una performance
qualcuno mi taglia, ma non lo faccio fare mai in pubblico, esco già
'ferito', non voglio che la gente pensi che la pièce è su me che mi
taglio. La pièce non è su quello. È piuttosto sulla mia mancanza di
vergogna. Questo è il mio corpo: io lo apro e lo voglio portare fuori.
Il taglio
diventa una metafora. Quando incido sentenze su di me, non lo faccio
sul palco, non perché non sarei in grado di farlo, ma perché si leggerebbe
il lavoro in maniera diversa. Pensa all'attesa... a commenti tipo:
"...uh, lui non è divertente, è così estremo..." e tutte queste cose.
Il mio interesse è sul cosa significa tagliare più che sul farlo sul
palco. Sono responsabile di quello che faccio, e voglio essere il
più chiaro possibile. Non c'è posto per i malintesi. Sarebbe come
qualsiasi altro show se chiunque tagliasse se stesso.
B.M.
Cosa pensi del crescente numero di artisti che decidono di usare il
loro corpo per esprimere i loro viaggi, ossessioni e desideri? Ci
sono altri artisti/performer con i quali senti affinità?
F.B.
Ci sono molti gruppi, come il lavoro che stanno facendo al Torture
Garden (London fetish club, n.d.a.) gente che taglia
se stessa in pesanti rituali, ma, ripeto, non sono dentro quelle cose.
Ron Athey è diverso, sta fuori da quelle scene. Ho molto rispetto
per lui, anche se i nostri background sono molto differenti come sono
differenti le metafore che usiamo. Quando faccio una performance dipingo
me stesso di bianco perché non voglio che la gente veda in me un altro
Moderno Primitivo, quindi copro i miei tatuaggi per indirizzare la
gente verso il giusto significato. Il corpo è un canovaccio e voglio
che la gente sia in grado di leggerlo, non che venga a vedere i tatuaggi
di Franko B.
B.M.
Tu scrivi sul tuo corpo, intagli le parole nella tua carne e usi il
tuo sangue. Questo uso del corpo come se fosse un testo, è un'esperienza
che è allo stesso tempo inevitabile e più forte di qualsiasi parola.
Ma quanto ti raccontano le parole scritte da te, come questa intervista?
F.B.
Sono un artista performer e sono molto coerente con quello che faccio.
Sono solo stili differenti, come quando tu scrivi ed hai la scelta
tra fonti differenti. Io sono io. Ognuno dovrebbe essere il confidente
di se stesso, altrimenti si è fottuti.
|