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  C h a r l e s R a y
Una storia

 

Charles Ray is one of the most important artists of the Nineties. His mannequins and oversized dolls have been recently exhibited at the Museum of Contemporary Art in Los Angeles, on the occasion of a retrospective show dedicated to the artist. In this short piece of writing Charles Ray recalls a childish trauma and a terrible form of amnesia that struck him when he was just a kid: what is the very first time that Charles Ray perceived bodies as empty mannequins?

© Charles Ray & Grand Street

Da anni ormai Charles Ray lavora sulla spersonalizzazione e la clonazione dell’uomo, senza usare strumenti scientifici o intrugli genetici, ma semplicemente riproducendo centinai di manichini, dai lineamenti gelidi, inumani. La sua è una legione di corpi vuoti, di carcasse di automobili, di cubi e mobili trasparenti o di figure schiacciate contro i muri da pertiche e assi che ricordano in maniera minacciosa gli spigoli vivi e le forme taglienti della scultura minimalista. Difficile dire se questo universo di plastica e replicanti sia nato dal trauma infantile che l’artista ci racconta in queste poche righe. Di certo quell’amnesia infantile, quel senso di vuoto si sposano davvero con le atmosfere sospese delle sue sculture, alle quali il Museum of Modern Art di Los Angeles ha dedicato di recente un’importante mostra retrospettiva.

Ti racconterò una storia. Da ragazzino me ne stavo a giocare in un cantiere e mi cadde in testa una trave. Mi fece perdere la memoria e iniziai a vagare senza meta per la città. Non mi dava fastidio non sapere chi fossi, ed ero affascinato dal fatto che tutto ciò che vedevo mi apparisse vagamente familiare. Girovagai per un paio di giorni chiedendo l’elemosina, mangiando dalla spazzatura e cagando nei cespugli. Poi arrivai a un porticciolo. L’oceano mi parve così bello che chiesi a una coppia di vecchi ricconi se potevo fare loro da mozzo. "Ma certo", mi risposero. Non lo so perché, ma pare che da ragazzino sembrassi proprio un angelo. Dietro mia insistenza salpammo diretti verso l’Artico, un posto che mi ha sempre affascinato. Erano una coppia davvero carina, ma terribilmente noiosa. Dato che io non avevo una storia o delle idee mie, ero costretto a stare a sentire le loro 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. E non avendo un sistema di valori pensavo che tutte le loro storie di cocktail party e di maldischiena e di seconde case fossero semplicemente fantastiche. Non ne avevo mai abbastanza. Durante la seconda settimana di navigazione la barca ebbe dei problemi al motore e ci venne a salvare la Guardia Costiera. Quella notte – in un albergo da qualche parte del Canada – mi svegliai tutto sudato e mi ricordai tutta la mia vita fino al momento della botta in testa, ma non ricordavo nulla di quanto era successo dopo. Non riuscivo a immaginare chi potessero essere quei tizi vecchi e nudi che mi dormivano accanto. Così mi vestii e scesi le scale in punta di piedi e alla reception chiesi che telefonassero ai miei genitori, che vennero a prendermi in aereo. Anni dopo ero in piedi nudo in una galleria d’arte a fare una delle mie performance da uomo/scaffale quando sentii una voce molto familiare e aprii un poco gli occhi. Era la donna. In qualche modo era riuscita a trovarmi e quando la galleria chiuse noi ce ne andammo in un ristorante lì vicino. Durante la cena fu ben felice di colmare il mio vuoto di memoria di due settimane, raccontandomi tutto del nostro viaggio per mare.

 

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