B i l l y B r a
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Il musicista Billy Bragg per anni si è mosso nel panorama musicale britannico coniugando musica folk, punk e impegno politico. Autore di toccanti ballate sulla condizione operaia inglese, corrispettivo musicale del cinema engagé di Ken Loach, Bragg si sofferma sulla recente scomparsa di Lady D, analizzando la reazione del pubblico ai funerali della principessa: il parrucchino di Elton John, le sue sdolcinate canzoni, il toccante discorso del fratello di Diana sono letti come segnali di un nuovo rapporto tra monarchia e sudditi. Working class hero Billy Bragg describes British reaction to the death of princess Diana: the Brits have split in two parties. On one hand Charles’ allies shake their heads and blush, offended as they are by the scandalous and ridiculous funeral ceremony: cheap, not British at all, Elton John is wearing a wig! they protested on The Guardian. On the other side common people stood up in Hyde Park when they heard the first, moving (after all) notes of English Rose. © Billy Bragg |
It's a little bit funny, this feeling inside Credo che anche il più distaccato cittadino londinese abbia sorriso alle reazioni della Brigata delle Buone Maniere, che ha storto il naso e insultato l’opinione pubblica per la sua commossa partecipazione alla morte di Lady D. I sostenitori del principe Carlo (i "Carlisti", come li ha definiti senza alcuna ironia Andrew Roberts) hanno fatto di tutto per difendere l’erede al trono dalla folla londinese che tra pianti e urla invitava il principe a prendere parte al lutto della nazione. Come in una moderna rivolta dei poveri, i protocolli reali sono stati violati, come statue dell’ancien régime sono stati divelti dai loro piedistalli e gettati nel fango. Questo è troppo, hanno protestato i membri della Brigata. Signori, è così poco britannico. Non è questo il modo di comportarsi. Tra i portavoce di quest'indignata reazione spiccano senz’altro gli autori delle famigerate sette lettere pubblicate sul Guardian. Tutte prendevano di mira l’intervento di Elton John. "Ignobile" per il primo portavoce, "Un brutto colpo" echeggiava un altro, con dubbio gusto. "Rosa d’Inghilterra? Ma non era la principessa del Galles?" aggiungeva un terzo, quasi insinuando che il matrimonio con il principe del Galles avesse per sempre sminuito l’integrità razziale di Diana. Le ultime due lettere si appuntavano sul dettaglio più inquietante: Elton John indossava una parrucca! Paffuto, occhialuto, piegato dalle lacrime e da un nome che sembra un cognome, il povero Elton John è l’epitome del ragazzino maltrattato dai compagni di classe. La sua performance è stata un crudele intermezzo: l’hanno gettato in pasto ai bulli della scuola, sicuri che avrebbe attirato l’ira dei reali e l’ironia dei sudditi, sbeffeggiando Diana e le sue dubbie amicizie. Ma è sin troppo facile prendersi gioco di Elton John. In fondo possiamo fare a lui ciò che abbiamo fatto a Diana Spencer fino al giorno prima della sua tragica morte. I due infatti sono molto più simili di quanto sembri: entrambi sono stati perseguitati dalla stampa nei momenti più intimi della loro vita, ed entrambi hanno un gusto per gli abiti che non stenteremmo a definire originale. Non hanno mai cercato di nascondere le loro insicurezze, l'una rivelando all’intera nazione i propri problemi di appetito, l’altro sventolando un parrucchino, chiaro segno di una totale mancanza di fiducia nel proprio aspetto. Benché così vulnerabili, entrambi hanno sempre rifiutato di piegarsi e lasciarsi sottomettere da uomini e donne molto più potenti e determinati. Perciò tra tutti i vip che affollavano la cattedrale (il pelosissimo George Michael, il magrissimo Chris de Burgh, ugola d’oro Pavarotti e il buon vecchio Sir Cliff) solo Elton John poteva incarnare davvero lo spirito al quale Diana aveva improntato la propria esistenza. Solo Elton John poteva violare un tabù proprio nel giorno in cui si seppelliva la principessa della trasgressione. Quando le telecamere hanno ripreso l’ingresso di Elton John, lo speaker della BBC con gravitas tutta britannica ha annunciato l’arrivo della nota rockstar e del suo partner. Si trattava del primo ingresso ufficiale di una coppia gay a una cerimonia regale. Sotto gli occhi di sei miliardi di testimoni, Elton John e il suo boy sono usciti dall’armadio per entrare direttamente nella cattedrale di Abbey, insediandosi una volta per tutte nel circolo degli eletti. Mi sono chiesto se qualcuno dei sette portavoce della Brigata sia stato di recente a un funerale. Quasi tutte le famiglie inglesi ormai accompagnano la cerimonia con una canzone cara al defunto. E in tutto il Regno Unito I Will Always Love You di Whitney Huston ha segnato il momento più alto di molte cerimonie funebri. Tutti sanno che i funerali non sono cerimonie piacevoli, alle quali si possa partecipare senza imbarazzo e dolore. Spesso si svolgono in ambienti poco familiari, avvolti nelle formalità del linguaggio ecclesiastico che ancora echeggia di espressioni medioevali, di Thou e di Thee che rimbombano tra le arcate. Noi non seppelliamo i nostri morti, li consegnamo al passato. Ecco perché la Brigata delle Buone Maniere avrebbe preferito un buon vecchio salmo accompagnato da un paludato I Vow To Thee My Country. Eppure dopo le omelie, dopo il requiem di Verdi intonato dal coro della BBC, quali momenti del funerale di Lady D hanno saputo sollevarsi dal passato e raggiungere le migliaia di persone che affollavano le strade di Londra? Solo le parole del fratello di Diana e Candle in the Wind di Elton John hanno saputo parlare al popolo. La canzone di Elton John ha trascinato milioni e milioni di telespettatori fin dentro la cattedrale. Tutti devono aver tirato un sospiro di sollievo. Ecco finalmente qualcosa che riconosciamo, devono aver pensato. Era come sentire una vecchia canzone alla radio: quella sensazione di malinconia un po’ melensa che è tipica delle stazioni Top 40. Certo quella delle radio e della musica pop è una cultura generosamente ricoperta di melassa e condita con facili strizzatine d’occhio, ma è una cultura che sa anche commuovere. Tra il pubblico che ha seguito il funerale sul megaschermo di Hyde Park, nessuno si è alzato sentendo l’inno nazionale, eppure quasi tutti hanno pianto alle prime note di Candle in the Wind. Per questo credo che la scelta di invitare a cantare Elton John sia uno dei molti segnali di cambiamento che hanno accompagnato la morte di Diana Spencer. In questa settimana, abbiamo assistito alla nascita di una nuova generazione di sudditi della corona inglese: persone che non sono più disposte ad accettare l’immagine di composto stoicismo tradizionalmente associata agli inglesi. Chi è cresciuto negli anni Ottanta e Novanta si è scoperto insofferente alle buone maniere, preferendo una responsabilità nuova e apertamente democratica. Forse grazie all’esempio di Diana e della sua morte, questa nuova generazione potrà costruire una comunità di cittadini fondata sull’empatia, la compassione, l’amore e il perenne cambiamento. Forse i Carlisti non se ne rendono ancora conto, ma ormai viviamo in una monarchia che si divide tra chi è offeso dalle parole del conte Spencer e chi vorrebbe stringergli la mano alla fine della messa. |