T r a c e y E m
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Tracey Emin (Londra,
1963) è uno dei personaggi più eccentrici della nuova scena londinese:
cuce, disegna borse e magliette, apre un negozio insieme all’amica
Sarah Lucas con la quale confeziona piccoli oggetti artigianali. Tracey Emin (1963) is one of the most eccentric artist in the newest swinging London art scene. Her work is a systematic and ironic exploration of her own biography, skipping from embarrassing memories of her youth to diarylike confession of her most intimate desires and fears. She produced videos, pieces of writing, small art objects made with junk, wool and other scrap materials. After closing the art shop run with her friend Sarah Lucas, Tracey Emin opened a small museum dedicated to her own work where she exhibits, performs and keeps revealing her private life, just as she does in this article. © frieze. |
Spesso chi vede il mio lavoro si chiede "Per quanto ancora riuscirà a esporsi, a parlare di sé?". Io sono sempre felice di rispondere "Amico, hai visto solo la punta dell’iceberg". Gli artisti non dovrebbero più produrre oggetti, dovrebbero parlare, discutere di se stessi: cosa mi piace, che cosa odio. Io scrivo, parlo e mi ispiro sempre e soltanto alla mia vita. Mi muovo in fretta, sempre più sicura di me. La vita è fatta di avvenimenti molto semplici che possono trasformarsi in catastrofi. Tutti si innamorano, tutti si sentono soli, hanno paura, scopano e muoiono. Facciamo tutti le stesse cose, le conosciamo bene ormai, eppure nessuno ne parla. È come se ci fosse una patina di educazione che ricopre ogni cosa, anche l’arte. Così i quadri restano oggetti puliti, dedicati a una classe privilegiata e altamente sofisticata. Molti
credono che io lavori soprattutto sul dolore e la paura, In realtà io odio la paura e l’oscurità. Sin da quando ero bambina sono stata perseguitata dall’oscurità. Ora la paura mi appare come un immagine alla quale mi sento fortemente attratta. Ho una specie di sogno ricorrente, molto realistico, in cui una persona mi si avvicina e mi tocca o mi accoltella a morte. Nel 1987 vivevo in Bell Street: stavo dormendo, feci un sogno terribile. Una persona con la pelle fatta di foglie secche si era seduta sul mio divano. Aveva capelli bianchissimi e fragili, al posto degli occhi due buchi rossi molto profondi. Ero io, come se fossi tornata alla vita dopo essere stata sepolta per mesi. Ero così terrorizzata che mi sono messa a pregare: "Mio dio - dicevo - non avere paura, non farmi del male ti prego, non avrò paura". All’improvviso tutto si è dissolto in una nuvola colorata: prima aveva i colori dell’arcobaleno, lentamente si è fatta più verde, sembrava contenere tutte le sfumature dell’erba e del mare. Sarah Lucas mi ha regalato un libro intitolato The Other World in cui ci sono descrizioni molto simili a quella scena. Alcune persone che sono andate in coma raccontano di aver visto persone che passeggiano in paradiso indossando vestaglie argentate. Alcune litigano tra loro, altre continuano a fare gli stessi lavori che facevano sulla terra. E in paradiso ci sono anche gli animali. Le anime gironzolano per il paradiso nella loro bella vestaglia argentata e tengono al guinzaglio tutti gli animali che hanno amato quando erano in vita. C’è violenza nel mio lavoro, soprattutto violenza contro le donne. Molti sono stati crudeli con me perché sono donna. Sono stata violentata a tredici anni da un ragazzino poco più grande di me. Si dovrebbe parlare più spesso di queste cose perché capitano anche agli uomini. È tempo di rompere questa catena di omertà: ecco perché nelle mie opere mi confronto spesso con l’adolescenza. È il momento in cui tutti possono farti ciò che vogliono. Quando
ero più giovane, accettavo la violenza come se fosse normale. Non
mi aspettavo nemmeno di poter essere felice. Aggressività, sesso e
bellezza sono state sempre legate nel mio immaginario. Molte mie opere
sono ispirate da ricordi di amori passati e raramente si tratta di
amori gentili. Ho anche fatto un video che racconta la mia vita a Margate quando avevo quattordici anni. Allora mi sono fatta un sacco di ragazzi. Loro avevano diciannove, vent’anni, qualcuno ventiquattro. Avrebbero potuto farsi ragazze più grandi e invece si scopavano me. Quando camminavo in High Street gli stessi ragazzi con cui ero andata a letto mi gridavano "Puttana, brutta puttana". Non gli avevo mai fatto niente di male, eravamo solo stati insieme. L’anno scorso ho incontrato uno di quei tipi. Abbiamo parlato un po': lui ora ha una figlia e si è pentito del modo in cui mi ha trattato. La storia del mio video è vera, anche se un po’ rimaneggiata. Mi sono divertita un sacco a girarlo. C’è una scena in cui partecipo a una gara di ballo e tutti mi gridano "Puttana, puttana" e io non smetto di ballare, continuo a saltare, a muovermi, così come ho continuato a scopare o a fare l’amore con chi mi piace. Dopo essere stata violentata mi sono lanciata in una specie di esplorazione sessuale. Lentamente ho scoperto che il sesso mi dava un senso di libertà straordinario. E mi faceva sentire più forte, più potente. Poi ho capito che fare l’amore poteva essere uno strumento di conoscenza. A volte penso al sesso come a un viaggio o una mappa. Quando vai a letto con qualcuno è come se visitassi un altro paese. E io adoro la geografia, da quando ero piccola. Il mio ultimo lavoro è una tenda blu. Sono stata ispirata da una mostra sull’arte tibetana. Viaggerò con questa tenda - ovunque ci sia un prato o solo un poco d’erba - e farò delle performance. Non proprio delle vere performance, racconterò storie. Le storie sono importanti. Oppure mi inventerò qualcos’altro, di giorno in giorno. Di recente ho ballato la stessa canzone per un’ora di seguito: Oh Girl di Marc Bolan, ma pensavo fosse Oh God. |