e d o a r d o n e s i |
fughe da fermo una giornata pesante (buster) Ieri notte ho sognato Buster Keaton. Eravamo io e lui in una campagna polverosa di strade sterrate. Tutte le persone che ci passavano accanto, uomini e donne vestiti da sera in lunghissime macchine scoperte, erano più alte e più grosse di noi. Arrivammo a una casetta bianca con il tetto a punta e un piccolo steccato di legno dipinto di rosso, che saltammo tenendoci per mano. Buster si piegò a raccogliere qualche fiore proprio sulla porta di casa, e mi indicò di fare lo stesso. Bussò delicatamente e dopo una breve attesa vennero a aprirci una filippina sorridente con i capelli corti a onda, tirati indietro, e Cristina. Porgemmo loro i nostri fiori e ne furono molto contente. Per un po' sedemmo tutti e quattro su un divano e le nostre donne ci tenevano la testa sulla spalla, poi la donna di Buster e Cristina andarono al pianoforte e suonarono un pezzo a quattro mani, credo Per Elisa. Io e Buster eravamo appoggiati al piano, in frac, a occhi socchiusi. Ogni tanto annuivamo. Finito il pezzo prendemmo le mani delle nostre fidanzate, le salutammo guardandole negli occhi e ce ne andammo per le stesse strade sterrate, superati dalle stesse macchine di prima, verso un enorme pino mediterraneo dietro cui c'era lo scintillio del mare. Arrivati al pino trovammo una barca a remi, che mettemmo in acqua. Io remavo fino alle boe, poi Buster si alzava in piedi, si tuffava e non tornava più sù. Intanto il mare si alzava e le onde e i marosi. Quando mi sono svegliato, poi, non sono più riuscito a riaddormentarmi, m'è presa l'insonnia ma non è niente di speciale, tutti almeno una volta hanno avuto l'insonnia. Vorrei ripetere, non è niente di speciale. Nel viaggio d'andata mi riuscì difficile pensare a Cristina. Nonostante One sentita senza interruzione fin dalla partenza da Prato non riuscivo a uscire da uno stato di attesa imbarazzata da timidino in cui, il minuto sì mi vergognavo molto di quest'impresa idiota e non vedevo altra possibilità che fare inversione a U sull'autostrada come il TIR che uccise Bitti Bergamo e tornare velocissimo a casa, e il minuto no invece mi sembrava corretto andare a prendere Cristina a Fiumicino, una cosa bella, da fare sicuramente e via e via e via. E comunque anche quando la vidi uscire dalla dogana con due borse a tracolla tirandosi dietro una immensa Samsonite rossa con le ruote, quando mi cercò con gli occhi finché non mi vide e sorrise venendomi incontro risoluta e splendente di fuso orario, quando un poliziotto coi baffi la puntò e poi guardò me con invidia tangibile, persino quando le presi le borse e la feci camminare davanti a me non mi venne niente da dirle. Continuava invece a passarmi davanti agli occhi la mia prima immagine di lei, alla festa per il diciottesimo di un amico fiorentino in una villa medicea affittata per l'occasione. La prima volta che vidi Cristina, la primissima volta, lei era stravaccata su un divano, con una camicia di jeans scolorita a morte e una microscopica minigonna di pelle, abbracciata a un picchiatore con il ciuffo, e rideva. Alla festa tutti parlavano di lei, ragazzi e ragazze. Quando per un attimo mi incrociò lo sguardo mentre regalmente scannerizzava la sala e io mi sentii la gola secca come un cane di Pavlov al contrario, capii che: 1) Lei per me sarebbe stata allo stesso tempo il traguardo e il limite. Su di lei e solo su di lei avrei accettato di misurarmi. 2) Avrei dovuto averla o accettare di aver fallito nella vita, perché niente avrebbe potuto consolarmi. Tra l'altro avevo diciotto anni anch'io e durante quel suo distratto e lancinante sguardo, colonna sonora del quale era una canzone che faceva, giuro, (ho tutto in mente come se fosse ora),
Everybody makes mistakes everybody makes mistakes nobody is perfect we all make mistakes mi sembrò addirittura che avesse fatto un'impercettibile sosta su di me. Non era vero, un giorno gliel'ho anche chiesto ma lei non si ricorda di me a quella festa, che le sembrò noiosa, e non si ricorda neanche del picchiatore con il ciuffo. Poco prima di Orvieto il sole ancora alto venne coperto da dei nuvoloni bassi strappati, e per almeno un'ora una luce falsa continuò a annunciare un tramonto imminente e fraudolento. La macchina viaggiava da sola e io pur con Cristina accanto riuscivo a pensare solo ai nuovi basket warrant della Bankers Trust di cui mi aveva parlato Romano, mio fratello maggiore, strumenti finanziari nuovissimi che consentono di investire su un paniere di titoli di mercati in espansione. Il warrant è quotato in franchi svizzeri, eliminando così il rischio di perdite dovute a svalutazioni delle valute di quei paesi; Borse incluse nel paniere: Brasile, Cile, Argentina, Perù; titolo raccomandato del mese: Compania Telefonos de Chile; fortemente consigliate, comunque, tutte le compagnie telefoniche statali del Sudamerica. Dopo avermi raccontato di New York in due parole Cristina si era zittita, aveva telefonato a sua madre e da qualche minuto aveva chiuso gli occhi. Pensai a tutte le telefonate che le avevo fatto. Per nove anni, dovunque andassi le telefonavo. Dietro alla sua voce c'erano spesso i disturbi della preistoria della comunicazione cellulare/satellitare, quali fruscii, echi, voci metallizzate che interferivano, silenzi anecoici. Ho tenuto a battesimo tutte le compagnie telefoniche mondiali, sentendomi sempre come quell'omino che al tempo delle prime automobili doveva precederle di venti metri sventolando una bandiera rossa perché nessuno venisse arrotato. Così il nostro è diventato un amore modernissimo, disincarnato, e come tale durerà tutta la vita. L'ho chiamata da Rio, Londra, New York, Manchester, Liverpool, Amburgo, Monaco, Stoccarda, Salisburgo, Dublino; da Boston, San Francisco, Ginevra, Barcellona, Ibiza, anche da Tokio l'ho chiamata, e da Seul, e lei era a Londra. E quando lei prende la cornetta e dice ciao, sembra sempre molto contenta di sentirmi e a telefono mi dice tutto, le manco, mi vuole bene e per lei sono una persona speciale. Sono cose molto belle. Nella cassetta che avevo appositamente registrato la sera prima, il cui programma è: SIDE A - SIDE B One - U2 Ultraviolet (Light my way) - U2 Ultraviolet (Light my way) - U2 Stay - U2 Stay - U2 Light my fire - DOORS Break on through - DOORS The Severed Garden - DOORS I can't help falling in love with you - ELVIS cominciò The Severed Garden, la poesia di Jim Morrison letta sulle note dell'Adagio di Albinoni che c'è alla fine del film sui Doors, quando si vede la tomba di Jim al Père Lachaise. È la stessa nenia che suonano sempre all'organo durante i matrimoni, quella che fa piangere le mamme e rende sacri e candidi i nubendi e quando Jim alla fine della poesia e del film dice "Prefer a Feast of Friends to the Giant Family" mi venne da guardarla, e Cristina fissava la strada davanti a sé, noncurante come una imperatrice aliena. Pensai alla pazienza rettilea che avevo imparato negli anni in cui lei era rimasta a casa a guardare la televisione con il suo fidanzato, oppure era andata a letto presto con la camicia da notte di Bianca-e-Bernie mentre io bevevo vodke e vodke aspettandola in discoteche dove non sarebbe mai apparsa, e quante volte per un attimo un'altra mi era parsa lei nel sorriso, nei vestiti, nei capelli, negli stivali, quante volte mi ero accorto di essermi sbagliato e avevo inghiottito saliva che fino a quel momento non sapevo di avere in bocca, fregato per sempre come quelle anatre che appena sveglie videro gli stivali di Konrad Lorenz e pensarono che lui era la mamma e lo seguivano dappertutto, e quando lui non le faceva entrare in casa piangevano. Spero di essere perdonato per tutta questa storia perché sono piuttosto onesto e sincero come persona, un buon soldataccio fedele come Heimdall, il semidio nordico che per tutta l'eternità starà di sentinella al Ponte Arcobaleno che porta dalla terra a Asgard. Se invece non fosse così, se con il tempo mi fossi innamorato più del mio dolore che di Cristina, allora per favore qualcuno me lo dica che in realtà sono solo un crapulone allegro, un John Candy della Val di Bisenzio che si diverte a fingere dolori immensi per essere compatito e avere l'occasione di compiere gesti romantici. Non mi arrabbierei, potrebbe anche essere, potrebbe anche essere. Forse non ho più capito un cazzo di me e della mia vita da quando questa signorina mi lasciò, forse dovrei scenderla quì, poco sopra Orvieto, sull'incerto confine tra Umbria e Alto Lazio. Ha! Invece credo da sempre che quando la vita l'avrà delusa, allora Cristina tornerà da me a chiedermi di perdonarla, pentita per l'imperdonabile errore. Ma mi chiedo quanto tempo ci vorrà, quanti altri anni. E lei, durante questa quantità di tempo T, quantità temo immisurabile e immaginaria come la radice quadrata di -1 (i tachioni sono particelle subatomiche non ancora scoperte ma previste nella Teoria della Relatività Generale, la cui massa è una quantità immaginaria e dunque sono teoricamente capaci di superare la velocità della luce dato che nessuna particella dotata di massa può farlo, la scappatoia matematica ideale per chi con un astronave col motore, appunto, a tachioni, potrebbe vedere l'alba di due soli e bere una Pepsi nel bar di Guerre Stellari, quello con gli alieni con le proboscidi che suonano il sax, Luke Skywalker, Han Solo e Ciubecca, come il quale una volta a nove anni mi sono vestito a Carnevale; un'altra cosa interessante dei tachioni è che la loro velocità minima dovrebbe essere quella della luce, mentre la loro velocità normale tenderebbe all'infinito), durante questa quantità di tempo che temo le ci vorrà per accorgersi di amarmi, dico, tanto per far passare il tempo mentre riflette non si sposerà mica con qualcuno, non farà dei figli spero, perché io voglio avere una figlia da lei e chiamarla Carola. Mi fermai a fare benzina anche se non ce n'era bisogno e andai a lavarmi il viso nel bagno pulitissimo color crema dell' Autogrill, godendomi il fatto che, anche se per poco, Cristina era a aspettarmi in macchina. Mimai un jab allo specchio, poi diversi ganci corti, sorrisi a mille denti e tornai da lei salendo di corsa le scale. Non si parlò molto anche perché dopo il tramonto lei si addormentò e io andai più piano affinchè le scosse dell'autostrada non la svegliassero. Aprì gli occhi solo al casello, e mi chiese se aveva russato. "Naturalmente no", risposi. Davanti a casa sua Cristina mi salutò con un bacio leggero. Era così contenta di essere tornata, e io ero stato così carino a andarla a prendere, grazie davvero, disse. La salutai dicendo una genialità e rimasi in macchina a guardarla entrare nel portone di casa sua ritirandosi dietro la Samsonite, non aveva voluto che la aiutassi perché avevo fatto fin troppo, davvero, grazie ancora Fede. La distanza media di Plutone dal Sole è di circa 5900 milioni di chilometri, la sua orbita è estremamente inclinata e eccentrica. Appena sparì annusai per un po' il sedile dove era stata per tre ore; c'era solo l'odore delle salviette calde che danno sugli aerei, che però potrebbe anche essere stato l'odore del deodorante del lavaggio macchine dovero andato prima dell'importantissimo viaggio, per presentarmi ovviamente a Fiumicino con una macchina impeccabile. Nessun odore suo però, niente che rimanesse. Cercai subito Marty al cellulare, gli spiegai l'urgenza del momento durante l'insensato pezzo di autostrada che c'è tra Firenze e Prato, e lo trovai in macchina ad aspettarmi davanti a casa mia, dove senza lasciarmi raccontare nulla lanciò questa idea incredibile che io e lui avremmo dovuto andare a vivere insieme. Bastava trovare un rudere, una vecchia casa colonica subito fuori Prato, da ristrutturare piano piano, magari anche da soli nei finesettimana, il sogno di tutti i marocchini, e poi ci avremmo messo degli animali: maiali, polli, anatre, cigni, cammelli, dromedari, muli, daini, cervi, castori, conigli, canguri, una giraffa, le mucche, tutti liberi in giardino, ce li saremmo procurati dai circhi di passaggio, dai contadini, dal Parco Nazionale dell'Abruzzo, dai macelli. E pecore, cavalli, capre, oche, lepri, tacchini, struzzi, bardotti, fagiani, stambecchi, antilopi varie, mufloni, yak, gnu, ippopotami nani, capre sarde, renne, alci e caribù, in una totale anarchia erbivora. Naturalmente ci avremmo portato anche molti travestiti e/o puttasche di qualsiasi razza e colore, le avremmo potute ospitare gratis. Sarebbe stata una specie di missione, in cui dare rifugio a chi non ce l'ha. - E Fede, ci vorrebbe anche un animale stranissimo e sconosciuto, uno che faccia rimanere a bocca aperta i nostri numerosi ospiti.- disse Marty. Ci pensammo per un po', poi lo trovai io. - Un ornitorinco! |