INDICE DEL MATERIALE SUL NEO NAZISMO IN SVEZIA
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lettera proveniente dal movimento anarchico che testimonia l’omicidio
di un compagno per mano di elementi dell’estrema destra datata 4 novembre
1999 |
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15/04/2003 - Consiglio d'Europa: sei nuovi rapporti sul razzismo |
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LE MONDE diplomatique - Marzo 2000 CRISI
SOCIALE, BLOCCHI POLITICI E XENOFOBIA Le estreme destre d'Europa,
populiste e "rispettabili" |
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Corriere della Sera, 27/4/2000
Il razzismo democratico in svezia |
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Uscire dai movimenti
neonazisti non è facile ma esiste un'organizzazione che fornisce aiuti Il progetto "EXIT" |
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Cinquantamila svastiche su Internet |
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nazismo |
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CRISI SOCIALE, BLOCCHI POLITICI E XENOFOBIA
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Neo-Nazis'
international connections
By Mikael Karlsson In international neo-Nazism
today, there are two major positions, the “first position” and the “third
position”. |
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dal
http://www.adl.org/ la criminalità nazi in svezia December, 1999 |
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WHITE
PRIDE WORLDWIDE: The Major Players |
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DECISIONE-QUADRO DEL CONSIGLIO
- Bruxelles, 28.11.2001 sulla
lotta contro il razzismo e la xenofobia - ALCUNE CIFRE |
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EUMC
- European monitoring centre on racism and xenophobia |
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Sweden's Nazi menace |
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Da: Orizzonti Libertari <orizlib@hotmail.com>
Data: giovedì 4 novembre 1999 18.23
Oggetto: Omicidio anarcosindacalista in Svezia
Svezia: 40.000 contro fascismo e razzismo. No pasaran!
lettera da orizzonti libertari datata 4 novembre 1999
Svezia, sabato 23: manifestazioni
contro fascismo, nazismo e razzismo Nella notte precedente un attentato
dinamitardo contro una sede della SACSabato 23 ottobre, manifestazioni in
memoria di Björn Södeberg, il membro del sindacato libertario SAC recentemente
assassinato, si sono svolte in tutta la Svezia. Circa 40.000 persone hanno manifestato il
loro dolore e la loro rabbia in 20 diverse città. È stata la più grande
manifestazione antifascista dallaseconda guerra mondiale. Björn Söderberg è
stato ucciso il 12 ottobre dopo aver rivelato che un'attivista fascista si era
infiltrato nella L.O. (un'omologa svedese della C.G.I.L.). Nella notte tra
venerdì 22 e sabato 23 ottobre intorno all'una di notte una forte esplosione ha
scosso la cittadina di Gävle, nella Svezia centrale.
L'obiettivo era la sede locale del SAC. L'edificio colpito, oltre che sede
delle federazioni locali e del sindacato industriale della SAC era anche la
casa natale dell'agitatore sindacale statunitense Joe Hill, nato in Svezia ed immigrato negli
Stati Uniti dove fu attivo nell'IWW-Industrial Workers of the World. Fu
assassinato dallo Stato, dopo in processo-farsa per un crimine mai commesso.
L'attentato era ovviamente un tentativo, peraltro fallito, di terrorizzare chi
si preparava a partecipare alle manifestazioni del sabato: infatti nella sola
Gälve hanno sfilato 2000 persone. A Stoccolma, la manifestazione ha attratto
20.000 partecipanti che si sono accalcati per ascoltare gli interventi della
SAC e di altre tre organizzazioni sindacali. Un coro anarco-femminista ha
intonato canzoni antifasciste di lotta; è inoltre intervenuto un rappresentante
della Rete contro il razzismo. Bandiere rosse e nere e striscioni libertari
hanno dominato il palco. A Göteborg, la manifestazione ha
coinvolto 8.000 partecipanti; è intervenuto, fra gli altri, Helmut Kirschey,
antinazista tedesco e volontario nella Rivoluzione Spagnola. A Malmö, nella Svezia meridionale, circa
1000 persone hanno partecipato; cortei si sono svolti anche nellontano nord del
paese. Il compito che sta ora di fronte al movimenti antirazzista, anarcosindacalista e sindacale, é quello di
unire le forze per continuare a mobilitare l'intera classe lavoratrice contro
il fascismo, ovunque presenti il suo turpe volto.
Info: Kurt Svensson c/o Brand, box 150 15 104 65 Stockholm Sweden;
e-mail: ksvensson@motkraft.net
(tratto da A-Infos, traduzione di Amria)
ORIZLIB
da "Umanità Nova" n.34 del 31 ottobre 1999
Strasburgo,
15.04.2003 - La Commissione europea contro il Razzismo e l'Intolleranza (ECRI),
organo del Consiglio d'Europa specializzato nella lotta contro il razzismo, ha
pubblicato quest'oggi sei nuovi rapporti sul razzismo, la xenofobia,
l'antisemitismo e l'intolleranza relativi a: Andorra, Azerbaigian,
Liechtenstein, Lituania, Moldavia e Svezia. L'ECRI prende atto degli sviluppi positivi avvenuti in
tutti i sei paesi membri del Consiglio d'Europa. Allo stesso tempo, però, nei
rapporti persistono elementi preoccupanti per la Commissione, tra cui:
In
Andorra, l'ECRI ha rilevato l'assenza, nella legislazione andorrana, di
disposizioni giuridiche penali, civili e amministrative relative alla lotta
contro il razzismo e l'intolleranza. Un gran numero di immigrati si trovano in
situazione precaria e il termine richiesto per la naturalizzazione dei
residenti di lunga durata è molto esteso. L'ECRI teme che la situazione
impedisca una piena integrazione nella società andorrana degli immigrati.
In
Arzebaigian, le nozioni di razzismo e discriminazione appaiono, sembrano
limitate alle manifestazioni più dure ed estreme di questi fenomeni, mentre
vengono sottovalutate le manifestazioni più comuni. Tuttavia, in Arzebaigian,
certe persone sono vittime di discriminazione diretta e indiretta nella loro
vita quotidiana. Tra questi, i rifugiati, gli stranieri, i membri di minoranze
religiose e gli armeni.
In
Liechtenstein, resta preoccupante un certo tipo d'interesse rivolto
all'estrema destra, soprattutto da parte dei giovani. L'ECRI nota che devono
ancora essere elaborati e attuati un mandato e una strategia chiari e specifici
che mirino a integrare nella società i non-cittadini e le persone di origine
immigrata.
In
Lituania, persistono problemi di razzismo e intolleranza, soprattutto
nei confronti della comunità Rom, ma che riguardano anche i richiedenti asilo e
i profughi ceceni e afgani. L'ECRI osserva che gli attuali provvedimenti
normativi diretti a combattere le manifestazioni di razzismo e discriminazione
razziale non sono sempre adeguati a questi fenomeni e raramente vengono
applicati.
In
Moldavia, la difficoltà principale risulta essere la necessità di
assicurare, in maniera pacifica e per evitare discriminazioni future o tensioni
interetniche, la coesistenza di varie lingue. L'ECRI ha inoltre rilevato, che a
causa delle tensioni politiche e sociali, l'attuazione dei provvedimenti
penali, civili e amministrativi, relativi alla lotta contro il razzismo e la
discriminazione razziale, risultano molto difficili e che a questo proposito la
comunità Rom è molto vulnerabile.
In
Svezia
sussistono problemi di razzismo e intolleranza, in particolare, le persone di
origine immigrata non hanno la sensazione di essere completamente parte della
società e restano parzialmente escluse dalle sue strutture, affrontando la
discriminazione e gli svantaggi sul mercato del lavoro, nella possibilità
d'alloggio, nell'accesso a certi luoghi aperti al pubblico, quali ristoranti e
discoteche, così come nel campo dell'educazione e in diversi altri settori.
Infine, restano fattore di preoccupazione, secondo l'ECRI, le attività di
organizzazioni e movimenti di estrema destra, in particolare, atti di violenza
e la produzione di musica del "potere bianco".
I
sei nuovi rapporti fanno parte di un secondo ciclo di monitoraggio delle leggi,
delle politiche e delle pratiche degli Stati membri, nella lotta al razzismo. I
rapporti dell'ECRI, paese per paese (disponibili in inglese e francese sul sito
Internet www.coe.int/ecri) coprono in posizione
egualitaria tutti gli Stati membri, per quanto riguarda la protezione dei
diritti dell'Uomo. I secondi rapporti esaminano l'attuazione delle proposte
fatte ai governi nei rapporti precedenti, contengono informazioni generali
aggiornate e offrono un'analisi approfondita di alcuni aspetti particolarmente
preoccupanti nei paesi coinvolti.
LE MONDE
diplomatique - Marzo 2000
L'evoluzione delle vicende austriache (leggere a pagina 3) lo
conferma: l'estrema destra non è mai sparita dal paesaggio europeo. Mentre
alcuni movimenti esclusi dal sistema elettorale, come in Scandinavia o in Gran
Bretagna, hanno fatto ricorso al terrorismo, gli altri prosperano
sull'evanescenza del divario destra/sinistra, che priva di senso la
rappresentanza politica. Il problema allora non è tanto il presunto riaffiorare
del "fascismo" quanto l'anestetizzazione di una democrazia attuata
attraverso il consenso politico-economico.
di Jean-Yves Camus*
La scissione del Fronte Nazionale francese e il tracollo
delle estreme destre alle elezioni europee del 13 giugno 1999 avevano dato
l'impressione che il loro declino fosse ormai iniziato. Ma da allora, diversi
risultati elettorali hanno contraddetto questa previsione. Il 3 ottobre 1999 il
Partito liberale dell'Austria (Freiheitliche Partei àsterreichs FpÜ) di
JÜrg Haider è diventato il secondo partito austriaco, con il 26,9%; il
24 ottobre in Svizzera, l'Unione democratica del centro, partito agrario
conservatore diretto da Christoph Blocher, ha ottenuto il 22,5% dei voti,
affermandosi così come primo partito del paese, a parità con i socialisti (1); e mentre la Deutsche Volksunion (Dvu)
entrava nei parlamenti di vari Lènder della Germania Est, in Norvegia, alle
elezioni comunali del 14 settembre 1999, si è confermata la lenta avanzata del
Partito del progresso (13,4%, con un aumento dell'1,4%).
Nell'Europa occidentale, i persistenti successi elettorali dei partiti
xenofobi sono legati al progredire di una concezione ultraliberista
dell'economia e della società, caratterizzata tra l'altro dalla netta volontà
delle élites politiche ed economiche di considerare superato il quadro degli
stati-nazione. L'estrema destra europea ha acquisito così una base sociale, e
si esprime oramai più attraverso le urne che con un attivismo violento.
Quest'ultimo fenomeno rimane invece preoccupante nei paesi in cui le formazioni
estremiste non trovano sbocchi elettorali, a causa di un sistema elettorale che
penalizza i partiti "anti-sistema", come in Gran Bretagna (il
micidiale maggioritario uninominale a un solo turno) oppure, come in Svezia, a causa della
fortissima pressione sociale, tendente a emarginare le idee non consensuali.
Inoltre, qui come altrove il frazionamento organizzativo e l'assenza di
dirigenti carismatici possono impedire al movimento di catalizzarsi.
Così, a fianco dei partiti legali o anche al loro interno (non è rara la
doppia appartenenza dei militanti) si manifestano da alcuni anni gruppuscoli
violenti, di ideologia apertamente neonazista e razzista. Secondo l'analisi dei
politologi Jeffrey Kaplan e Leonard Weinberg (2), queste formazioni hanno imitato, sia
nelle idee che nei metodi d'organizzazione e d'azione, alcuni gruppi
terroristici americani (The Order, Aryan Nations); e come ha dimostrato la
campagna d'attentati in Svezia
hanno acquisito una certa capacità di attuare azioni di considerevole rilievo.
Questi pericolosi movimenti compresi anche quelli degli skinheads non
hanno tuttavia innescato dinamiche politiche o sociali, se si eccettuano i
gruppi giovanili dei Lènder della Germania orientale. Nei paesi in cui si
esprimono, questi gruppi violenti si riferiscono esplicitamente all'ideologia del
nazionalsocialismo o dei vari fascismi, e utilizzano i loro simboli, sfidando
spesso i divieti. Ma questa famiglia dell'estrema destra è oramai minoritaria,
mentre i successi maggiori vanno ai partiti populisti e xenofobi. Nella maggior
parte delle democrazie occidentali quest'estrema destra elettoralmente
rappresentativa, che tra il 1945 e gli anni 80 era confinata all'Italia e alle
dittature dell'Europa meridionale, si afferma sul terreno di una crescente
povertà di massa, in una società che evolve verso il "multi-
culturalismo". L'immigrazione è caratterizzata in effetti da ondate di
naturalizzazioni e di sanatorie, accompagnate, in numerosi paesi, dalla
concessione della cittadinanza e dei diritti politici, oltre che da una
politica di riconoscimento giuridico dei diritti delle lingue e culture
minoritarie.
Il centro di gravità della nebulosa estremista, che negli anni 60 e 70
si collocava nei paesi in via di industrializzazione, si è spostato oggi verso
il centro e il nord dell'Europa.
Parallelamente, al Movimento sociale italiano (Msi), partito-faro
dell'estrema destra di allora, si è sostituito negli anni 80 e 90 il Fronte
nazionale francese (Fn), che ha ispirato in altri paesi numerose formazioni,
con esiti variabili, quanto meno nell'Europa occidentale: successi reali ma
effimeri (l'Fn belga di Daniel Ferret), non trascurabili ma insufficienti a
eleggere rappresentanti (la Sverigedemokraterna, Svezia), oppure nella maggioranza dei casi del
tutto marginali (Democracia nacional in Spagna, Fronte nazionale in Italia).
Dopo la scissione e il calo elettorale, il partito di Jean Marie Le Pen
non è più un modello incontestato.
Elettori venuti da sinistra Oggi però una terza ondata, più consistente,
si incarna nei "populismi alpini" (Haider e Blocher, la Lega Nord di
Umberto Bossi e quella dei ticinesi) e in quelli scandinavi (il Partito del
progresso norvegese di Carl Hagen e il Partito del popolo danese di Pia
Kjaersgaard) (3). Questi partiti non hanno alcun
collegamento con il fascismo e il nazismo (ad eccezione di quello di
JÜrg Haider); postulano uno stato ridotto ai minimi termini; sono
xenofobi, ma nei loro discorsi ufficiali respingono il razzismo gerarchizzante
e l'antisemitismo; rifiutano di cooperare con formazioni che giudicano
estremiste, quali l'Fn o il Vlaams Blok, ma accettano l'idea di governare in
coalizione con la destra. Poiché questi partiti non corrispondono al fascismo
tradizionale, i fattori di tipo "essenzialista" (mancata
denazificazione in Austria, xenofobia di antica data in Svizzera) non bastano a
spiegare il loro successo; e non spiegano neppure i buoni risultati ottenuti da
formazioni di tipo "misto" (tra recupero del voto di protesta e
filiazione di estrema destra) quali l'Fn francese o il Vlaams Blok (4). Quest'ultimo, ad esempio, è stato
spesso descritto come erede della frangia filo-nazista del movimento fiammingo
d'anteguerra. Ma il politologo Marc Swyngedouw ha dimostrato che solo il 4-5%
degli elettori "blokkers" adducono come motivazione della loro scelta
la difesa del nazionalismo fiammingo, mentre tra chi ha dato il suo voto alla
Volksunie questa percentuale raggiunge il 17%.
Anche qui, come nell'Fn, si nota quindi una distinzione fondamentale tra
un inquadramento ancora segnato, nella sua traiettoria come nelle convinzioni
dei suoi militanti, dall'estrema destra tradizionale, e un elettorato che ne è
del tutto distaccato, e proviene anzi in parte dalla sinistra. Nelle Fiandre,
il 21% dei giovani elettori che nel 1991 avevano votato socialista sono passati
in seguito al Blok; e alle legislative del 1999, l'FpÜ austriaco ha sottratto
al partito socialdemocratico (SpÜ) circa 213.000 voti. In Danimarca, il 10% di
coloro che nel 1998 avevano votato per la Dansk Folkeparti (partito del popolo
danese) provenivano dai ranghi socialdemocratici.
A ciò si aggiunge il fatto che spesso i dirigenti di queste formazioni
non hanno affatto un passato estremista: Mogens Camre, dirigente della Dansk
Folkeparti, era un deputato socialdemocratico; neppure Thomas Prinzhorn, astro
nascente dell'FpÜ, ha un passato ultrà, ma è stato come del resto Blocher
dirigente aziendale. La differenza è notevole rispetto al Movimento nazionale
repubblicano (Mnr) di Bruno Mégret, e spiega in parte l'insuccesso del suo
tentativo di acquistare consensi tra gli elettori della destra classica: non
soltanto la scissione dall'Fn non ha dato luogo a svolte ideologiche di sorta,
ma l'Mnr, che pure si presentava come partito rinnovatore, dissociato dagli
eccessi lepenisti, è di fatto guidato da elementi impregnati di un'ideologia
nazionalista rivoluzionaria (il movimento "Terre et Peuple" di Pierre
Vial) o delle tesi identitarie della "nuova destra" degli anni 70.
Si contrappongono dunque due concezioni della lotta politica: da un lato
la testimonianza storica, generalmente a partire da posizioni
controrivoluzionarie o nostalgiche, o da forme di integralismo religioso;
dall'altro l'accettazione di una modernizzazione programmatica e organizzativa
per la conquista del potere. E i partiti che non si sono aggiornati finiscono
per emarginarsi e trasformarsi in gruppuscoli: L'Msi-Fiamma tricolore italiano,
che aggrega i refrattari all'aggiornamento imposto da Gianfranco Fini nel 1995,
non supera oggi l'1,6% dei voti. Le formazioni che non hanno altro programma al
di fuori della difesa e celebrazione dei regimi autoritari (Spagna, Portogallo;
Grecia) sono praticamente scomparse (5).
I "populismi" xenofobi (6) hanno sfondato soprattutto tra le
categorie di popolazione più minacciate nel loro status sociale e
occupazionale. A questo riguardo, la situazione francese, con l'Fn che alle
legislative del 1997 ha raggiunto anche il 30% in talune circoscrizioni, non
rappresenta un'eccezione. E' una tendenza ben percepibile anche tra i giovani
(il 33% sotto i 35 anni in Francia, il 35% sotto i 30 in Austria).
Questa situazione può essere spiegata attraverso la cosiddetta teoria
degli "interessi economici minacciati" o degli "interessi
simbolici": le fasce di popolazione a rischio a causa della crisi
percepiscono la manodopera estera come concorrente, e tendono a votare per le
formazioni xenofobe che promettono di assicurare loro in esclusiva il beneficio
del diritto al lavoro e altri diritti fondamentali. Sono infatti gli operai o
impiegati meno qualificati a costituire il grosso dell'elettorato del Vlaams
Blok; e nel 1999, il 48% degli operai austriaci ha scelto l'FpÜ, divenuto ormai
di gran lunga il primo partito rappresentativo dei "colletti blu".
Quanto ai Republikaner tedeschi, il politologo Patrick Moreau sottolinea
"la correlazione della scelta estremista con un basso livello di
organizzazione sindacale, l'esperienza della disoccupazione, l'appartenenza a
una famiglia numerosa e la dipendenza dall'aiuto sociale", valutando al
17% la base operaia del partito alle elezioni regionali del 1996.
Al contrario, in Danimarca e in Norvegia, dove l'estrema destra ottiene
rispettivamente il 9,8 e il 15,3%, non è stata individuata nessuna correlazione
tra la disoccupazione e il voto per questi partiti. Eppure, il loro elettorato
è costituito, oltre che da imprenditori e lavoratori autonomi, anche da una
proporzione crescente di operai: in questi due paesi, i rispettivi Partiti del
progresso sono anche i primi partiti operai e hanno sorpassato i
socialdemocratici. Una delle possibili spiegazioni è che nei paesi in cui lo
stato sociale ha fatto grandi passi avanti non solo grazie ai
socialdemocratici, ma anche sotto governi "borghesi", la fedeltà
della classe operaia nei confronti della sinistra tende ad erodersi, lasciando
prevalere la componente autoritaria di una frazione della cultura operaia, che
non trova altra incarnazione al di fuori della nuova destra.
Esiste quindi un paradosso da spiegare: un elettorato essenzialmente
popolare vota per formazioni appartenenti all'estrema destra
"post-industriale", accomunate dal fatto di incorporare nei loro
programmi, in proporzioni variabili, il fattore "nazionale", accanto
ad elementi neoliberisti o anche libertari.
Ad esempio, il programma economico dell'FpÜ raccomanda una completa
"deregulation economica, che garantisca la competitività e la prosperità
dell'economia austriaca e la creazione di posti di lavoro". Quello
dell'Udc condanna "il ricorso abusivo alle prestazioni sociali", e
chiede "orari di lavoro e sistemi salariali flessibili", nonché
"la soppressione di talune prestazioni dello stato", il tutto
ovviamente accompagnato da un "sistema fiscale vantaggioso per tutte le
imprese". Anche i partiti scandinavi hanno avuto origine dalla protesta
contro il fisco e dalla volontà di limitare le prerogative dello stato sociale:
una tematica che si ritrova nell'ala liberale minoritaria del Vlaams Blok,
diretta dalla deputata Alexandra Colen.
La Lega Nord, dal canto suo, costituisce un fenomeno più complesso, che
può essere interpretato come la risposta delle classi medie emergenti e dei
piccoli imprenditori dell'Italia settentrionale a una situazione nella quale la
modernizzazione del capitalismo locale, caratterizzata dall'esplosione della
micro- impresa, non è stata accompagnata da un adeguamento altrettanto rapido
del quadro istituzionale e politico. E' in questo contesto approfittando anche
dello spazio liberato a destra dalla disgregazione della Democrazia cristiana -
che la Lega ha potuto emergere, con la sua duplice xenofobia verso gli
stranieri e gli italiani del sud la sua protesta fiscale e una rivendicazione
indipendentista basata su un'identità e una storia mitizzate (la Padania e il
"popolo padano" non sono mai esistiti).
Il politologo Herbert Kitschelt (7) spiega l'adesione delle fasce popolari
al neoliberismo con la globalizzazione dell'economia, che ostacola le politiche
di attenuazione delle disuguaglianze attraverso l'intervento dello stato. Di
conseguenza, la fascia più modesta dell'elettorato è indotta a credere che la
giustizia sociale si possa raggiungere riducendo lo stato ai minimi termini e
lasciando agire il libero gioco del mercato (che secondo i populisti e gli
ultraliberisti favorirebbe l'ascesa sociale liberando le energie creative e
l'iniziativa individuale). Quest'analisi può anche spiegare in parte la
componente xenofoba del voto populista. In effetti, chi si sente minacciato
dalla concorrenza degli stranieri sul mercato del lavoro accetta il programma
liberale dei partiti populisti soltanto nella misura in cui vi si postula
l'esclusione degli immigrati dai benefici delle prestazioni sociali, e persino
dai posti di lavoro. In termini di analisi costi/benefici, l'ultraliberismo
appare allora sopportabile, se temperato dalla preferenza nazionale. In Francia
tuttavia, a partire dalla "svolta sociale" dell'autunno 1995, il
Fronte nazionale, assai più degli altri partiti estremisti, ha in parte voltato
le spalle al suo passato liberismo, che convive oramai con una certa difesa del
servizio pubblico e delle conquiste sociali, purché riservate ai francesi.
In questo stesso discorso, l'accoppiata politici-funzionari viene
regolarmente associata alla corruzione e allo sperpero. La si assume a simbolo
del fallimento delle funzioni di mantenimento dell'ordine dello stato e difatti
la domanda di ordine e sicurezza è onnipresente nonché della soffocante
pressione fiscale, imputata al peso crescente degli "improduttivi",
in contrapposizione con i creatori di ricchezza (piccoli imprenditori, liberi
professionisti, artigiani, agricoltori e persino operai). Benché non si possa
individuare una correlazione sistematica tra la percentuale degli stranieri e
il voto estremista, la protesta contro l'immigrazione figura incontestabilmente
tra le sue principali motivazioni. L'inchiesta Eurobarometro del 1997 ha
dimostrato che gli elettori dell'Fn, del Vlaams Blok e dei Republikaner si
schierano in favore di una discriminazione anti-immigrati, e rifiutano
qualsiasi forma di "multiculturalismo". Tutti questi partiti sono
caratterizzati da un razzismo di tipo gerarchizzante, nella cui ottica il
meticciato appare come un vero incubo. Tra gli aderenti ad altri movimenti, tra
cui le varie forme del populismo scandinavo, l'Alliance nationale, la Lega e il
FpÜ, l'insistenza sul razzismo è minore, e l'opposizione all'immigrazione viene
giustificata con le differenze culturali, come dimostra chiaramente il programma
di Haider: "La coscienza che si possiede delle qualità specifiche del
proprio popolo è inseparabile dalla volontà di rispettare ciò che è specifico
degli altri popoli": la stessa formulazione è ripresa, in buona misura,
dall'etno-differenzialismo della nuova destra.
Altro segno della correlazione tra globalizzazione ultraliberista e
avanzata degli estremismi: secondo la stessa inchiesta, l'87,5% dei sostenitori
dei Republikaner, il 68,4% di quelli dell'Fn e il 45% degli elettori dell'FpÜ
danno dell'Europa un giudizio negativo. Ma tra l'elettorato del Vlaams Blok
questa proporzione scende al 40,8% (poco più del 38,9% riscontrato presso i
socialisti). Il motivo va ricercato senza dubbio nella popolarità dell'idea di
un'Europa delle etnie in seno al movimento fiammingo, che la considera come
principale mezzo di rottura dello stato-nazione, al quale sono invece legati i
populisti tedeschi, austriaci e francesi. La dimensione anti-europea è
percepibile anche in Scandinavia (il Partito norvegese del progresso ha fatto
campagna contro l'adesione all'Ue) e in Svizzera.
Le estreme destre professano di fatto una sorta di "liberalismo
autarchico" senza il libero scambio: un liberalismo che dovrebbe fermarsi
ai confini nazionali, e si tradurrebbe nello smantellamento dello stato e delle
conquiste sociali. Sono in atto però alcune evoluzioni: ad esempio, l'Fn
francese ha condotto una campagna come del resto varie altre formazioni
omologhe contro l'Organizzazione mondiale del commercio (Omc).
Dal canto suo, il partito di Blocher non mette in discussione
quest'organizzazione. Quanto a Haider, ha appoggiato l'adesione dell'Austria
alla Nato.
Infine, come non sottolineare il ruolo determinante dell'assenza di una
vera contrapposizione politica nell'avanzata delle destre in Europa? In
Scandinavia, in Svizzera (come in Austria e in Belgio fino alle elezioni del
1999), la vita politica si riassume in due formule: quella della coalizione
permanente (SpÜ- àvp, socialdemocratici/conservatori, la "formula
magica" svizzera che garantisce una stabile ripartizione dei seggi tra i
grandi partiti al Consiglio nazionale), o quella di una regolare alternanza tra
una socialdemocrazia e una destra liberale, i cui programmi non presentano
praticamente più alcuna differenza, se non sul piano delle rispettive ricette
per la regolazione o l'ulteriore liberalizzazione del mercato. Il clientelismo
dei grandi partiti e la loro compenetrazione con l'apparato dello stato
impediscono qualsiasi riforma di fondo delle strutture istituzionali,
cristallizzando il sistema di rappresentanza. E la conseguente insofferenza per
il ceto politico appare come una delle determinanti essenziali del voto in
favore dell'Fn francese, del Vlaams Blok, dell'FpÜ e della Lega mentre
l'elettorato di Alleanza nazionale si distingue per la sua accettazione del
gioco democratico e delle élites alle quali si è integrata. Unici esempi
contrastanti: l'insuccesso della Nationalbewegong del Lussemburgo e dei
Centrumdemokraten in Olanda, due paesi nei quali tuttavia il consenso è altissimo.
Al di là della loro innegabile dimensione autoritaria e xenofoba, le
destre radicali hanno incontestabilmente tratto un grande vantaggio
dall'evanescenza del divario destra/sinistra e dal larghissimo consenso intorno
all'associazione tra socialdemocrazia e "nuovo centro". Se queste
destre incarnano oggi la principale forza di dissenso, all'interno di contesti
sociali in cui il dibattito delle idee si riduce alla discussione sui metodi
per gestire il modello liberista, la sinistra innanzitutto deve interrogarsi
sulle proprie carenze e rinunce, e la destra conservatrice sul suo accecamento
e la sua codardia.
E' difficile prevedere come si comporterebbero questi partiti, una volta
al potere. L'esempio italiano fa pensare a una certa "plasticità" dei
movimenti estremisti, confermata anche dall'opportunismo dei loro dirigenti
come dimostra l'esempio Haider. Una volta abbandonata la funzione di tribuni,
essi potrebbero inserirsi tra i mutevoli quadri della democrazia liberista. Per
il momento, bisognerà in ogni caso mettere in conto il fatto che queste
formazioni esercitano una pressione autoritaria sui pubblici poteri e
reintroducono nel discorso politico valori estranei alla democrazia,
minacciando così di avallare una certa violenza xenofoba.
note:
* Politologo, autore de Les Extrémismes en Europe, rapporto annuale del Centro
europeo di ricerca e d'azione sul razzismo e l'antisemitismo (Cera), Editions
de l'Aube, 1999, e Front National: eine Gefahr ffr die franzÜsische
Demokratie?, Bouvier Verlag, Bonn, 1998.
(1) Leggere Peter Niggli, "Il balzo in
avanti della nuova destra in Svizzera", Le Monde diplomatique/il
manifesto, dicembre 1999.
(2) Jeffrey Kaplan, Leonard Weinberg, Fade to black: the
emergence of an Euro-american radical right, Rutgers University Press,
Piscataway (New Jersey) 1998.
(3) Sul neo-nazismo svedese, leggere
Démokratins fÜrgÜrare (opera collettiva), Statens Offentliga
Utredningar, Stoccolma, 1999; sulla nuova destra danese, leggere Johannes
Andersen et al.
, Valelgere med omtanke. En analyse af folketingsvalget 1998, Forlaget Systime,
Arhus, 1999.
(4) Leggere Serge Govaert, "L'esterma
destra alla conquista di Bruxelles". Le Monde diplomatique/il manifesto,
gennaio 1998.
(5) I cinque partiti falangisti o radicali che
hanno partecipato alle europee del giugno 1999 hanno riportato 61.522 voti; in
Portogallo, il partito neo-salazarista Aliança Nacional non si è
presentato; in Grecia, due formazioni antisemite, Proti Grammi e Enosis
Kentroon, hanno ottenuto insieme l'1,57% (101.044 voti).
(6) Sull'uso ideologico di questo termine,
leggere Serge Halimi, "Il populismo, un nemico ritrovato", Le Monde
diplomatique/il manifesto, aprile 1996.
(7) Herbert Kitschelt, The Radical Right in Western
Europe, University of Michigan Press, 1995.
(Traduzione di P.M.)
Giovanni Belardelli (Corriere della Sera, 27/4/2000)
Uscire dai
movimenti neonazisti non è facile ma esiste un'organizzazione che fornisce
aiuti
Il progetto "EXIT"
Si chiama EXIT
Deutschland l'organizzazione di assistenza all'uscita dal neonazismo presieduta
da Ingo Hasselbach. Il progetto,
pensato per la prima volta in Norvegia come programma di contrasto dei gruppi
razzisti e violenti, si
è poi affermato in Svezia e quindi in Germania. Punta all'offerta di strumenti concreti
per chi decide di abbandonare le organizzazioni di estrema destra, ed ha
bisogno non solo di confronto culturale e di formazione professionale per
reinserirsi in un contesto civile, ma spesso anche la necessità di cambiare
città o la stessa identità, per sottrarsi alla violenza che quelle
organizzazioni riservano a chi "tradisce". Oltre alla
reintegrazione degli appartenenti alla scena estremista, EXIT può
produrre un enorme serbatoio di conoscenze utili agli studi sull'estremismo di
destra, all'assistenza sociale e al lavoro con i giovani a rischio.
A.T.
Il giornale di Vicenza, Mercoledì 19 Luglio 2000 tratto
dal sito fasciata la legione
Stoccolma. Il nazismo è una malattia, dalla quale si
può uscire a patto di disporre dei trattamenti adeguati: su questo principio si
basa l’iniziativa di una quarantina di Comuni svedesi, che stanno preparando un
programma per aiutare i giovani estremisti "pentiti" a liberarsi dal
culto dell’odio e della violenza. L’iniziativa si basa su una ricerca di due
studiosi, che attraverso una serie di interviste hanno individuato le
motivazioni che spesso portano i giovani ad aderire a gruppi nazisti, e nello stesso
tempo la frustrazione di quegli stessi giovani per la mancanza di strutture che
li aiutino a fermarsi in tempo o a tornare indietro quando ne hanno abbastanza.
Autori della ricerca sono Karl-Olov Arnstberg, etnologo, e Jonas Hallen,
giornalista: il loro lavoro nasce dalla preoccupazione per un fenomeno che sta
assumendo in Svezia dimensioni inquietanti, come dimostrano i ripetuti e
crescenti episodi di violenza di cui sono protagonisti giovani nazisti. A
queste conclusioni Arnstberg e Hallen sono arrivati sulla base delle
confessioni di 15 ragazzi, i quali hanno lamentato che quando hanno deciso di
liberarsi, e di smettere di andare in giro ubriachi gridando "sieg
heil", non hanno trovato aiuti: la società li tratta da paria.
L’esercizio dei due studiosi è
stato accolto con attenzione: il problema del nazismo interessa almeno cento
Comuni, e i sindaci hanno deciso di passare all’azione. In che cosa consisterà
il "pacchetto" non è ancora chiaro: lo stanno elaborando con
l’assistenza dell’ organizzazione Exit, fondata dall’ex nazista-skinhead Kent
Lindhal. L’idea è che ai giovani "pentiti" si debbano fornire
informazioni, riferimenti e contatti locali, e ai ragazzi a rischio si debbano
proporre barriere e strumenti di prevenzione.
http://qn.quotidiano.net/art/2000/08/16/1200989
Cinquantamila svastiche su
Internet
BERLINO, 14 AGOSTO - Cinquantamila svastiche su
internet: questa la sconfortante scoperta fatta da una società informatica di
Kassel (Assia, Germania centrale).
Soltanto su siti internet tedeschi - ha detto oggi un portavoce della
società 'Only Solutions' - sono stati scoperti 2 mila websites con simboli
nazisti e contenuti di estrema destra. Servendosi di uno speciale programma per
il rilevamento di immagini, gli esperti di Kassel nel giro di tre settimane
hanno visitato un miliardo di siti internet sparsi in tutto il mondo alla
ricerca di simboli nazisti.
L'85% delle pagine online con contenuto di orientamento nazifascista è
risultato essere su server americani. Molto presenti sono paesi come la Svezia,, la Finlandia,
l'Austria e il Giappone. Proprio ieri il capo della comunità ebraica in
Germania Paul Spiegel - nel lanciare un nuovo appello alla lotta contro il
dilagare in Germania del neonazismo e dell'estrema destra - aveva invitato in
particolare a intensificare la vigilanza per ciò che concerne la propaganda
della violenza xenofoba via internet.
http://www.dweb.repubblica.it/archivio_d/2000/10/03/attualit/attualit/213omb220213.html
Attualità >
nazismo
ombre nere
In Germania
fanno più paura. Ma, dalle
democrazie scandinave alla Francia, dalla Spagna, all'Inghilterra,
nessuno è immune dal virus della xenofobia. Che dalle piazze, nella musica,
sulla rete, contagia il centro di una società che fatica a riconoscerne i
sintomi
di
Paolo Rumiz
Achtung.
Attenti, prima di dire che tornano. Oggi, i nazisti non sbucano più dalle
birrerie, ma da Internet. Non hanno il passo cadenzato, non li annuncia il
maschio tamburo, ma un rock "degenerato". Si tatuano, si infilano
nelle crepe del sistema globale che contestano e ne assumono il linguaggio. Il
loro nemico non è più il comunismo - crollato col Muro - ma l'America,
l'imperialismo del grande capitale. Molti, in Germania, vengono dalle terre
comuniste dell'Est. Uno dei loro capi si chiama Horst Mahler, ex militante
della Raf, la Frazione armata rossa. Disseppelliscono i vecchi simboli, il mito
della razza, l'odio per il negro e l'ebreo, ma gridano contro lo sfruttamento
dei padroni. In Italia li invitano i fascisti di Forza Nuova, ma persino
Rifondazione Comunista dice di loro: "Avranno delle ragioni".
Sfuggono agli schemi della politica e delle ideologie. I giornali faticano a
descriverli, i governi a schedarli. È un virus nuovo, quello che dilaga a
cavallo delle vecchie rune. Come sarebbe facile se venissero ancora dalla
Baviera o dall'Austria, culle contadine e ipercattoliche del fanatismo
hitleriano. E invece no. Anche qui i numeri ci sorprendono. Nel mondo subalpino
del Nord, persino in zona Haider, le aggressioni razziste sono inferiori alla
media europea. Forse, è solo una pentola in ebollizione tenuta chiusa
dall'ipercontrollo della polizia. Di certo accade che proprio lì, tra le quieti
sorgenti del Danubio e l'Inn che dilaga spumeggiando dalle valli tirolesi, poco
spazio sia lasciato al mito dei Nibelunghi. In Baviera i simboli identitari
della Germania rurale - pantaloni di cuoio, feste campestri, torrenti e purezza
alpina - sono già gestiti dal partito di Centro-destra che governa il Land: la
Csu. Il suo grasso corpo cattolico gioca col vecchio demone da cinquant'anni.
Lo lusinga, lo provoca. Ma, così, lo tiene chiuso in bottiglia. Assorbe e
digerisce tutto. Alla Destra estrema non lascia nulla. Neanche uno scaffale di
birreria. Chi sono i neonazi? Assai più facile sapere cosa non sono.
"Kanake Verrecke!", crepa straniero, gridano nelle loro canzoni le
teste rapate in terra tedesca. Ma, a ben guardare, le loro aggressioni xenofobe
non hanno molto a che fare con gli stranieri. Gli atti di criminalità contro
gli immigrati si concentrano proprio nei Länder dove la presenza straniera è bassa.
Nella regione più "calda", il Sachsen-Anhalt (dove i sondaggi
attribuiscono il 15 % alla Destra estrema), la percentuale di non tedeschi è di
1,7% contro l'8% della media nazionale. A Rathenow, nel Brandeburgo, si
bastonano gli africani, ma gli africani quasi non ci sono. Schwedt, ai confini
con la Polonia, è considerata dai neonazi una "zona nazionalmente
liberata", ma gli stranieri erano poche decine. In Svizzera, il cantone
meno xenofobo è quello di Ginevra, dove i forestieri raggiungono il top della
Confederazione e dell'Europa intera: 40 %. L'esatto contrario dei cantoni
subalpini del Nordest, dove gli immigrati sono meno di uno su dieci abitanti,
ma i nazi proliferano. Sigle sempre nuove: Hammerskin, Morgenstern, Nationale
Initiative, Patriotische Ostfluegel, Sangue e Onore, Kameradenschaftensbund. Oggi l'allarme sta in Germania, ma essi non stanno
solo nel mondo tedesco. I giornali italiani ne parlano poco, e rischiano il
presbitismo. In Svezia, i
giovani di Potere bianco hanno ammazzato prima due poliziotti e poi un
sindacalista impegnato con gli immigrati; la musica razzista del gruppo Ultima
Thule vende centinaia di migliaia di Cd. Nelle tolleranti democrazie
scandinave, le teste calve e il mercato di chincaglieria simbolica che le
circonda trovano straordinari spazi di impunità. In particolare in Danimarca,
dove i nazi hanno le loro centrali di propaganda al riparo dalla legge tedesca.
In piazza e via Internet la mitologia hitleriana è apertamente diffusa: in
America dal gruppo Aryan Nations di Shaun Winkler; in Francia i nazionalisti di
Le Pen finanziano gruppi antisemiti e si collegano a numerose organizzazioni
neonaziste d'Europa. In Inghilterra, il National Party è fiancheggiato da
gruppi dell'ultradestra anti-ebraica. Sempre più spesso, li trovi in Paesi che
furono avversari del nazismo. In Polonia, per esempio, invasa da Hitler nel
'39, i fanatismi hitleriani esplodono fra le teste calve ai margini di una
società cattolica di forte tradizione antisemita. È ovvio che quei naziskin
cercano le sue svastiche e le sue aquile solo perché, nel loro bricolage
ideologico, trovano nella Germania, come nel bancone di un supermercato, il
serbatoio di simboli più forti e a portata di mano. E allora ecco farsi avanti
un'impressione strana. Quella che il pericolo maggiore si annidi proprio fuori
dalla Germania, dove la presunzione di diversità dal nazismo può alimentare
illusioni innocentiste e inibire analisi serie. E che l'allarme-Germania esista
perché è stata la Germania stessa a lanciarlo, impaurita com'è dal proprio
passato. È accaduto anche con Haider. Forse, se la società civile austriaca non
ne avesse denunciato il pericolo, l'Europa non se ne sarebbe accorta. "È
come se i fantasmi del passato tornassero in libera uscita proprio nei Paesi
dove sono stati più a lungo chiusi a chiave", spiega il professor Claudio
Bonvecchio, specialista di simboli in politica. In Germania Est, per esempio,
dove il passaggio veloce dal nazismo al comunismo impedì - a differenza
del'Ovest - una rielaborazione dell'Olocausto, bloccando ogni riflessione sulla
colpa collettiva, e fornendo a tutti una patente antifascista a costo zero. Ed
ecco che, dietro alle Kameradenschaften, dietro alle pattuglie di picchiatori
che terrorizzano Eisenach o Dessau, Wenigerode o i dormitori periferici di
Magdeburgo, non c'è solo quello, la disoccupazione, la delusione per una
Riunificazione imperfetta e a due velocità, la nostalgia per un mondo dove
tutto era in ordine, in bianco e nero. Non c'è solo l'abitudine all'obbedienza,
a un'autorità suprema cui tutto è delegato e che risolve i conflitti in modo
repressivo. C'è anche altro. Ci sono cinquant'anni di amnesia sul nazismo, e
quindi una presunzione di innocenza che ha consentito al virus di restare in
vita. Quel virus non è l'ideologia nazista, ma qualcosa di più ancestrale. La
xenofobia, annidata in un habitat perfetto. Ibernata in un altro totalitarismo,
libera da complessi e controlli. Quando, in nome dell'amicizia dei popoli, la
Germania Est "importò" alcune migliaia di lavoratori da altri Paesi
comunisti come Cuba, il Vietnam o l'Angola, quegli stranieri furono nascosti ai
tedeschi e segregati in spazi privi di comunicazione col mondo. Dei lager,
praticamente. Sempre in nome della fratellanza universale, quegli Ausländer
furono obbligati a non avere contatti con tedeschi, a non sposarsi, a non avere
bambini. Ma quando cadde il Muro, anche quei piccoli muri dentro la Rdt
caddero. E allora angolani, caraibici e vietnamiti uscirono dai ghetti e
chiesero di vivere, oltre che di lavorare. Ma subito videro che intorno c'era
un mondo che non aveva mai conosciuto stranieri, che li vedeva per la prima
volta, e che spesso li detestava. I nuovi naziskin sono i figli di questa
cultura. "La cosa più impressionante", conferma Christine Bergmann,
ministro federale per la famiglia, "è che questi ragazzi si sentono
esecutori della volontà dei loro genitori". Eppure, quando credi di avere
isolato il virus, appena ne scopri le radici in una società povera, totalitaria
e spesso spaesata dal mercato, ecco i canti della Neue Waffe, la nuova ondata
musicale razzista, levarsi anche dai Länder ricchi dell'Ovest, a Düsseldorf
come a Ludwigshafen. "Grazie Hitler, grazie Goering / che la loro forza
non ci abbandoni / contro la grande trama ebraica!". Ecco le urla lacerare
persino le notti brumose del Baltico, nelle terre protestanti, timorate e
prussiane, nello Schleswig-Holstein e persino nella libera città-stato di
Amburgo. "Combatto per la mia razza / per il mio sangue! / Non c'è posto /
per tutti questi immigrati! / Eutanasia, eutanasia!". Allora ti accorgi
che la peste accomuna i perdenti e i vincenti della globalizzazione, viene
dalla stessa subcultura che affianca i sazi e gli impauriti, da un identico
humus che fermenta sia nei villaggi tristi dell'Est sia nel ventre grasso del
Continente. La realtà ce la ricorda Jochen Tschiche, attivista dei Verdi
nell'ex Rdt: in Germania come in Italia, in Spagna come in Francia, la
diffidenza o la paura verso ciò che è straniero si è spostata dall'estrema
destra al centro della società. Come dire: c'è un potenziale xenofobo
pericolosamente diffuso anche tra i benpensanti, un mormorio di fondo che
cresce nella provincia europea, trova eco nei giornali, dalla pianura padana
all'Ile de France. Una bomba a tempo costruita da un ceto medio che
economicamente ha sempre più bisogno di immigrati, ma culturalmente ha sempre
meno la capacità di assorbirli. "Kinder statt Inder!", vuol dire:
"Bambini, non indiani". È la risposta all'idea del cancelliere
Schröder di offrire il permesso di soggiorno ai tecnici indiani di cui la
Germania ha bisogno. Sarà anche uno slogan della Npd, il partito di estrema
destra di Ugo Vogt, che offre un "ombrello politico" alle teste
rasate. Ma è anche - si scopre - uno slogan dei democristiani tedeschi, i primi
a chiedere la messa al bando del partito della Npd. "Dico le stesse cose
di Le Pen e Berlusconi", protesta Vogt, e ha qualche ragione a parlare di
ipocrisia. Sul piano delle parole, la parentela con i populismi europei è
impressionante. Bossi, che con Berlusconi si propone di governare l'Italia,
sostiene che esiste una congiura massonica e capitalista che, attraverso la
denatalità e gli immigrati, punta a distruggere le patrie e la religione. Le
Pen grida che la globalizzazione e il suo cavallo di Troia, l'Europa Unita,
porteranno l'identità francese nel baratro. In Svizzera il capo dei populisti
Christoph Blocher, un miliardario che si dichiara di centro e
"incompatibile con Haider", si serve dei turchi nelle sue fabbriche e
poi si presenta agli elettori col manifesto di un turco che lacera la bandiera
elvetica. Anche Berlusconi, Bossi e Fini si affannano a proclamare la loro
estraneità da Haider, salvo sparare smargiassate haideriane su clandestini e
potere della magistratura. In realtà, sottolinea Joe Berghold, sociologo
viennese che ha studiato sia Haider che Bossi, gli estremisti sono
perfettamente funzionali al sistema globalizzato che dicono di detestare:
servono "a un'economia che ha bisogno di avere immigrati impauriti, per
poterli pagare meno". Ma non basta: il trucco ha anche una ricaduta
politica. Gli immigrati tenuti ai margini della società, a loro volta,
impauriscono gli elettori e li spingono verso Destra. Ma il gioco è pericoloso,
fa esplodere delitti spaventosi, rivela che gli italiani non sono solo brava
gente: a Verona un professore di origini ebraiche pestato a sangue da un
commando di sconosciuti, un maghrebino massacrato in una discoteca di Modena,
barboni incendiati per divertimento a Roma e dintorni. È come se si fosse rotta
una diga nei valori. Scrive Claudio Magris: "Non credo che il fascismo
possa tornare, ma se tornasse troverebbe, temo, poca resistenza. Si ha la
sensazione che sia venuto a mancare quell'ethos condiviso che unisce chi crede
nella libertà e nell'umanità, e rende più facile, quasi inevitabile, resistere
al Leviatano". "Gli intellettuali sono spiazzati da questi movimenti
ventrali della società", lamenta Marie Claire Caloz Tschopp, filosofa
ginevrina che denuncia da anni il rischio di una risposta solo poliziesca al
problema immigrazione. "Soprattutto la Sinistra non sa sciogliere un nodo
che non è riconducibile alla geometria di una bella equazione ideologica. In
questo campo, il mondo delle idee magari rassicura, ma inganna. Comprende il
cervello, ma non lo stomaco". Così, ci si limita a dire mai più,
"Plus jamais ça", ci si riduce all'appello morale o all'esortazione
pedagogica. C'è un vuoto politico, incalza Bonvecchio. "Le democrazie non
sono più in grado di produrre valori forti e capaci di mobilitare i giovani; i
ceti medi non hanno più la cultura e i simboli per opporsi alle rune del
totalitarismo". E allora, di fronte allo spaesamento delle Heimat, alle
tempeste identitarie di questa era globale, "quelle vecchie rune, quei
simboli generici di cui nemmeno i neonazi sanno il significato, possono
riattivare il loro maledetto potenziale di attrazione nel ventre di una società
impaurita".
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Marzo-2000/0003lm04.01.html
L'evoluzione
delle vicende austriache (leggere a pagina 3) lo conferma: l'estrema destra non
è mai sparita dal paesaggio europeo. Mentre alcuni movimenti esclusi dal
sistema elettorale, come in Scandinavia o in Gran Bretagna, hanno fatto ricorso
al terrorismo, gli altri prosperano sull'evanescenza del divario destra/sinistra,
che priva di senso la rappresentanza politica. Il problema allora non è tanto
il presunto riaffiorare del "fascismo" quanto l'anestetizzazione di
una democrazia attuata attraverso il consenso politico-economico.
di
Jean-Yves Camus*
La scissione del Fronte Nazionale francese e il tracollo delle estreme
destre alle elezioni europee del 13 giugno 1999 avevano dato l'impressione che
il loro declino fosse ormai iniziato. Ma da allora, diversi risultati
elettorali hanno contraddetto questa previsione. Il 3 ottobre 1999 il Partito
liberale dell'Austria (Freiheitliche Partei àsterreichs FpÜ) di JÜrg
Haider è diventato il secondo partito austriaco, con il 26,9%; il 24 ottobre in
Svizzera, l'Unione democratica del centro, partito agrario conservatore diretto
da Christoph Blocher, ha ottenuto il 22,5% dei voti, affermandosi così come
primo partito del paese, a parità con i socialisti (1); e mentre la Deutsche Volksunion (Dvu)
entrava nei parlamenti di vari Lènder della Germania Est, in Norvegia, alle
elezioni comunali del 14 settembre 1999, si è confermata la lenta avanzata del
Partito del progresso (13,4%, con un aumento dell'1,4%).
Nell'Europa occidentale, i persistenti successi elettorali
dei partiti xenofobi sono legati al progredire di una concezione ultraliberista
dell'economia e della società, caratterizzata tra l'altro dalla netta volontà
delle élites politiche ed economiche di considerare superato il quadro degli
stati-nazione. L'estrema destra europea ha acquisito così una base sociale, e
si esprime oramai più attraverso le urne che con un attivismo violento.
Quest'ultimo fenomeno rimane invece preoccupante nei paesi in cui le formazioni
estremiste non trovano sbocchi elettorali, a causa di un sistema elettorale che
penalizza i partiti "anti-sistema", come in Gran Bretagna (il
micidiale maggioritario uninominale a un solo turno) oppure, come in Svezia, a causa della
fortissima pressione sociale, tendente a emarginare le idee non consensuali.
Inoltre, qui come altrove il frazionamento organizzativo e l'assenza di
dirigenti carismatici possono impedire al movimento di catalizzarsi.
Così, a fianco dei partiti legali o anche al loro interno
(non è rara la doppia appartenenza dei militanti) si manifestano da alcuni anni
gruppuscoli violenti, di ideologia apertamente neonazista e razzista. Secondo
l'analisi dei politologi Jeffrey Kaplan e Leonard Weinberg (2), queste formazioni hanno imitato, sia
nelle idee che nei metodi d'organizzazione e d'azione, alcuni gruppi
terroristici americani (The Order, Aryan Nations); e come ha dimostrato la campagna d'attentati in
Svezia hanno acquisito una certa capacità di attuare azioni di considerevole
rilievo.
Questi pericolosi movimenti compresi anche quelli degli
skinheads non hanno tuttavia innescato dinamiche politiche o sociali, se si
eccettuano i gruppi giovanili dei Lènder della Germania orientale. Nei paesi in
cui si esprimono, questi gruppi violenti si riferiscono esplicitamente
all'ideologia del nazionalsocialismo o dei vari fascismi, e utilizzano i loro
simboli, sfidando spesso i divieti. Ma questa famiglia dell'estrema destra è
oramai minoritaria, mentre i successi maggiori vanno ai partiti populisti e
xenofobi. Nella maggior parte delle democrazie occidentali quest'estrema destra
elettoralmente rappresentativa, che tra il 1945 e gli anni 80 era confinata
all'Italia e alle dittature dell'Europa meridionale, si afferma sul terreno di
una crescente povertà di massa, in una società che evolve verso il "multi-
culturalismo". L'immigrazione è caratterizzata in effetti da ondate di
naturalizzazioni e di sanatorie, accompagnate, in numerosi paesi, dalla
concessione della cittadinanza e dei diritti politici, oltre che da una
politica di riconoscimento giuridico dei diritti delle lingue e culture
minoritarie.
Il centro di gravità della nebulosa estremista, che negli
anni 60 e 70 si collocava nei paesi in via di industrializzazione, si è
spostato oggi verso il centro e il nord dell'Europa.
Parallelamente, al Movimento sociale italiano (Msi),
partito-faro dell'estrema destra di allora, si è sostituito negli anni 80 e 90
il Fronte nazionale francese (Fn), che ha ispirato in altri paesi numerose
formazioni, con esiti variabili, quanto meno nell'Europa occidentale: successi
reali ma effimeri (l'Fn belga di Daniel Ferret), non trascurabili ma insufficienti a eleggere
rappresentanti (la Sverigedemokraterna, Svezia), oppure nella
maggioranza dei casi del tutto marginali (Democracia nacional in Spagna, Fronte
nazionale in Italia).
Dopo la scissione e il calo elettorale, il partito di Jean
Marie Le Pen non è più un modello incontestato.
Elettori venuti da sinistra Oggi però una terza ondata, più
consistente, si incarna nei "populismi alpini" (Haider e Blocher, la
Lega Nord di Umberto Bossi e quella dei ticinesi) e in quelli scandinavi (il
Partito del progresso norvegese di Carl Hagen e il Partito del popolo danese di
Pia Kjaersgaard) (3). Questi partiti non hanno alcun
collegamento con il fascismo e il nazismo (ad eccezione di quello di
JÜrg Haider); postulano uno stato ridotto ai minimi termini; sono
xenofobi, ma nei loro discorsi ufficiali respingono il razzismo gerarchizzante
e l'antisemitismo; rifiutano di cooperare con formazioni che giudicano estremiste,
quali l'Fn o il Vlaams Blok, ma accettano l'idea di governare in coalizione con
la destra. Poiché questi partiti non corrispondono al fascismo tradizionale, i
fattori di tipo "essenzialista" (mancata denazificazione in Austria,
xenofobia di antica data in Svizzera) non bastano a spiegare il loro successo;
e non spiegano neppure i buoni risultati ottenuti da formazioni di tipo
"misto" (tra recupero del voto di protesta e filiazione di estrema
destra) quali l'Fn francese o il Vlaams Blok (4). Quest'ultimo, ad esempio, è stato
spesso descritto come erede della frangia filo-nazista del movimento fiammingo
d'anteguerra. Ma il politologo Marc Swyngedouw ha dimostrato che solo il 4-5%
degli elettori "blokkers" adducono come motivazione della loro scelta
la difesa del nazionalismo fiammingo, mentre tra chi ha dato il suo voto alla
Volksunie questa percentuale raggiunge il 17%.
Anche qui, come nell'Fn, si nota quindi una distinzione
fondamentale tra un inquadramento ancora segnato, nella sua traiettoria come
nelle convinzioni dei suoi militanti, dall'estrema destra tradizionale, e un
elettorato che ne è del tutto distaccato, e proviene anzi in parte dalla
sinistra. Nelle Fiandre, il 21% dei giovani elettori che nel 1991 avevano
votato socialista sono passati in seguito al Blok; e alle legislative del 1999,
l'FpÜ austriaco ha sottratto al partito socialdemocratico (SpÜ) circa 213.000
voti. In Danimarca, il 10% di coloro che nel 1998 avevano votato per la Dansk
Folkeparti (partito del popolo danese) provenivano dai ranghi
socialdemocratici.
A ciò si aggiunge il fatto che spesso i dirigenti di queste
formazioni non hanno affatto un passato estremista: Mogens Camre, dirigente
della Dansk Folkeparti, era un deputato socialdemocratico; neppure Thomas
Prinzhorn, astro nascente dell'FpÜ, ha un passato ultrà, ma è stato come del
resto Blocher dirigente aziendale. La differenza è notevole rispetto al
Movimento nazionale repubblicano (Mnr) di Bruno Mégret, e spiega in parte
l'insuccesso del suo tentativo di acquistare consensi tra gli elettori della
destra classica: non soltanto la scissione dall'Fn non ha dato luogo a svolte
ideologiche di sorta, ma l'Mnr, che pure si presentava come partito
rinnovatore, dissociato dagli eccessi lepenisti, è di fatto guidato da elementi
impregnati di un'ideologia nazionalista rivoluzionaria (il movimento
"Terre et Peuple" di Pierre Vial) o delle tesi identitarie della
"nuova destra" degli anni 70.
Si contrappongono dunque due concezioni della lotta politica:
da un lato la testimonianza storica, generalmente a partire da posizioni
controrivoluzionarie o nostalgiche, o da forme di integralismo religioso;
dall'altro l'accettazione di una modernizzazione programmatica e organizzativa
per la conquista del potere. E i partiti che non si sono aggiornati finiscono
per emarginarsi e trasformarsi in gruppuscoli: L'Msi-Fiamma tricolore italiano,
che aggrega i refrattari all'aggiornamento imposto da Gianfranco Fini nel 1995,
non supera oggi l'1,6% dei voti. Le formazioni che non hanno altro programma al
di fuori della difesa e celebrazione dei regimi autoritari (Spagna, Portogallo;
Grecia) sono praticamente scomparse (5).
I "populismi" xenofobi (6) hanno sfondato soprattutto tra le
categorie di popolazione più minacciate nel loro status sociale e
occupazionale. A questo riguardo, la situazione francese, con l'Fn che alle
legislative del 1997 ha raggiunto anche il 30% in talune circoscrizioni, non
rappresenta un'eccezione. E' una tendenza ben percepibile anche tra i giovani
(il 33% sotto i 35 anni in Francia, il 35% sotto i 30 in Austria).
Questa situazione può essere spiegata attraverso la
cosiddetta teoria degli "interessi economici minacciati" o degli
"interessi simbolici": le fasce di popolazione a rischio a causa
della crisi percepiscono la manodopera estera come concorrente, e tendono a
votare per le formazioni xenofobe che promettono di assicurare loro in
esclusiva il beneficio del diritto al lavoro e altri diritti fondamentali. Sono
infatti gli operai o impiegati meno qualificati a costituire il grosso
dell'elettorato del Vlaams Blok; e nel 1999, il 48% degli operai austriaci ha
scelto l'FpÜ, divenuto ormai di gran lunga il primo partito rappresentativo dei
"colletti blu". Quanto ai Republikaner tedeschi, il politologo
Patrick Moreau sottolinea "la correlazione della scelta estremista con un
basso livello di organizzazione sindacale, l'esperienza della disoccupazione,
l'appartenenza a una famiglia numerosa e la dipendenza dall'aiuto
sociale", valutando al 17% la base operaia del partito alle elezioni
regionali del 1996.
Al contrario, in Danimarca e in Norvegia, dove l'estrema
destra ottiene rispettivamente il 9,8 e il 15,3%, non è stata individuata
nessuna correlazione tra la disoccupazione e il voto per questi partiti.
Eppure, il loro elettorato è costituito, oltre che da imprenditori e lavoratori
autonomi, anche da una proporzione crescente di operai: in questi due paesi, i
rispettivi Partiti del progresso sono anche i primi partiti operai e hanno
sorpassato i socialdemocratici. Una delle possibili spiegazioni è che nei paesi
in cui lo stato sociale ha fatto grandi passi avanti non solo grazie ai
socialdemocratici, ma anche sotto governi "borghesi", la fedeltà
della classe operaia nei confronti della sinistra tende ad erodersi, lasciando
prevalere la componente autoritaria di una frazione della cultura operaia, che
non trova altra incarnazione al di fuori della nuova destra.
Esiste quindi un paradosso da spiegare: un elettorato
essenzialmente popolare vota per formazioni appartenenti all'estrema destra
"post-industriale", accomunate dal fatto di incorporare nei loro
programmi, in proporzioni variabili, il fattore "nazionale", accanto
ad elementi neoliberisti o anche libertari.
Ad esempio, il programma economico dell'FpÜ raccomanda una
completa "deregulation economica, che garantisca la competitività e la
prosperità dell'economia austriaca e la creazione di posti di lavoro".
Quello dell'Udc condanna "il ricorso abusivo alle prestazioni sociali",
e chiede "orari di lavoro e sistemi salariali flessibili", nonché
"la soppressione di talune prestazioni dello stato", il tutto
ovviamente accompagnato da un "sistema fiscale vantaggioso per tutte le
imprese". Anche i partiti scandinavi hanno avuto origine dalla protesta contro
il fisco e dalla volontà di limitare le prerogative dello stato sociale: una
tematica che si ritrova nell'ala liberale minoritaria del Vlaams Blok, diretta
dalla deputata Alexandra Colen.
La Lega Nord, dal canto suo, costituisce un fenomeno più complesso,
che può essere interpretato come la risposta delle classi medie emergenti e dei
piccoli imprenditori dell'Italia settentrionale a una situazione nella quale la
modernizzazione del capitalismo locale, caratterizzata dall'esplosione della
micro- impresa, non è stata accompagnata da un adeguamento altrettanto rapido
del quadro istituzionale e politico. E' in questo contesto approfittando anche
dello spazio liberato a destra dalla disgregazione della Democrazia cristiana -
che la Lega ha potuto emergere, con la sua duplice xenofobia verso gli
stranieri e gli italiani del sud la sua protesta fiscale e una rivendicazione
indipendentista basata su un'identità e una storia mitizzate (la Padania e il
"popolo padano" non sono mai esistiti).
Il politologo Herbert Kitschelt (7) spiega l'adesione delle fasce popolari
al neoliberismo con la globalizzazione dell'economia, che ostacola le politiche
di attenuazione delle disuguaglianze attraverso l'intervento dello stato. Di
conseguenza, la fascia più modesta dell'elettorato è indotta a credere che la
giustizia sociale si possa raggiungere riducendo lo stato ai minimi termini e
lasciando agire il libero gioco del mercato (che secondo i populisti e gli
ultraliberisti favorirebbe l'ascesa sociale liberando le energie creative e
l'iniziativa individuale). Quest'analisi può anche spiegare in parte la
componente xenofoba del voto populista. In effetti, chi si sente minacciato
dalla concorrenza degli stranieri sul mercato del lavoro accetta il programma
liberale dei partiti populisti soltanto nella misura in cui vi si postula
l'esclusione degli immigrati dai benefici delle prestazioni sociali, e persino
dai posti di lavoro. In termini di analisi costi/benefici, l'ultraliberismo
appare allora sopportabile, se temperato dalla preferenza nazionale. In Francia
tuttavia, a partire dalla "svolta sociale" dell'autunno 1995, il
Fronte nazionale, assai più degli altri partiti estremisti, ha in parte voltato
le spalle al suo passato liberismo, che convive oramai con una certa difesa del
servizio pubblico e delle conquiste sociali, purché riservate ai francesi.
In questo stesso discorso, l'accoppiata politici-funzionari
viene regolarmente associata alla corruzione e allo sperpero. La si assume a
simbolo del fallimento delle funzioni di mantenimento dell'ordine dello stato e
difatti la domanda di ordine e sicurezza è onnipresente nonché della soffocante
pressione fiscale, imputata al peso crescente degli "improduttivi",
in contrapposizione con i creatori di ricchezza (piccoli imprenditori, liberi
professionisti, artigiani, agricoltori e persino operai). Benché non si possa
individuare una correlazione sistematica tra la percentuale degli stranieri e
il voto estremista, la protesta contro l'immigrazione figura incontestabilmente
tra le sue principali motivazioni. L'inchiesta Eurobarometro del 1997 ha
dimostrato che gli elettori dell'Fn, del Vlaams Blok e dei Republikaner si
schierano in favore di una discriminazione anti-immigrati, e rifiutano
qualsiasi forma di "multiculturalismo". Tutti questi partiti sono
caratterizzati da un razzismo di tipo gerarchizzante, nella cui ottica il
meticciato appare come un vero incubo. Tra gli aderenti ad altri movimenti, tra
cui le varie forme del populismo scandinavo, l'Alliance nationale, la Lega e il
FpÜ, l'insistenza sul razzismo è minore, e l'opposizione all'immigrazione viene
giustificata con le differenze culturali, come dimostra chiaramente il programma
di Haider: "La coscienza che si possiede delle qualità specifiche del
proprio popolo è inseparabile dalla volontà di rispettare ciò che è specifico
degli altri popoli": la stessa formulazione è ripresa, in buona misura,
dall'etno-differenzialismo della nuova destra.
Altro segno della correlazione tra globalizzazione
ultraliberista e avanzata degli estremismi: secondo la stessa inchiesta,
l'87,5% dei sostenitori dei Republikaner, il 68,4% di quelli dell'Fn e il 45% degli
elettori dell'FpÜ danno dell'Europa un giudizio negativo. Ma tra l'elettorato
del Vlaams Blok questa proporzione scende al 40,8% (poco più del 38,9%
riscontrato presso i socialisti). Il motivo va ricercato senza dubbio nella
popolarità dell'idea di un'Europa delle etnie in seno al movimento fiammingo,
che la considera come principale mezzo di rottura dello stato-nazione, al quale
sono invece legati i populisti tedeschi, austriaci e francesi. La dimensione
anti-europea è percepibile anche in Scandinavia (il Partito norvegese del
progresso ha fatto campagna contro l'adesione all'Ue) e in Svizzera.
Le estreme destre professano di fatto una sorta di
"liberalismo autarchico" senza il libero scambio: un liberalismo che
dovrebbe fermarsi ai confini nazionali, e si tradurrebbe nello smantellamento
dello stato e delle conquiste sociali. Sono in atto però alcune evoluzioni: ad
esempio, l'Fn francese ha condotto una campagna come del resto varie altre
formazioni omologhe contro l'Organizzazione mondiale del commercio (Omc).
Dal canto suo, il partito di Blocher non mette in discussione
quest'organizzazione. Quanto a Haider, ha appoggiato l'adesione dell'Austria
alla Nato.
Infine, come non sottolineare il ruolo determinante
dell'assenza di una vera contrapposizione politica nell'avanzata delle destre
in Europa? In Scandinavia, in Svizzera (come in Austria e in Belgio fino alle
elezioni del 1999), la vita politica si riassume in due formule: quella della
coalizione permanente (SpÜ- àvp, socialdemocratici/conservatori, la
"formula magica" svizzera che garantisce una stabile ripartizione dei
seggi tra i grandi partiti al Consiglio nazionale), o quella di una regolare
alternanza tra una socialdemocrazia e una destra liberale, i cui programmi non
presentano praticamente più alcuna differenza, se non sul piano delle
rispettive ricette per la regolazione o l'ulteriore liberalizzazione del
mercato. Il clientelismo dei grandi partiti e la loro compenetrazione con
l'apparato dello stato impediscono qualsiasi riforma di fondo delle strutture
istituzionali, cristallizzando il sistema di rappresentanza. E la conseguente
insofferenza per il ceto politico appare come una delle determinanti essenziali
del voto in favore dell'Fn francese, del Vlaams Blok, dell'FpÜ e della Lega
mentre l'elettorato di Alleanza nazionale si distingue per la sua accettazione
del gioco democratico e delle élites alle quali si è integrata. Unici esempi
contrastanti: l'insuccesso della Nationalbewegong del Lussemburgo e dei
Centrumdemokraten in Olanda, due paesi nei quali tuttavia il consenso è
altissimo.
Al di là della loro innegabile dimensione autoritaria e
xenofoba, le destre radicali hanno incontestabilmente tratto un grande
vantaggio dall'evanescenza del divario destra/sinistra e dal larghissimo
consenso intorno all'associazione tra socialdemocrazia e "nuovo
centro". Se queste destre incarnano oggi la principale forza di dissenso,
all'interno di contesti sociali in cui il dibattito delle idee si riduce alla
discussione sui metodi per gestire il modello liberista, la sinistra
innanzitutto deve interrogarsi sulle proprie carenze e rinunce, e la destra
conservatrice sul suo accecamento e la sua codardia.
E' difficile prevedere come si comporterebbero questi
partiti, una volta al potere. L'esempio italiano fa pensare a una certa
"plasticità" dei movimenti estremisti, confermata anche
dall'opportunismo dei loro dirigenti come dimostra l'esempio Haider. Una volta
abbandonata la funzione di tribuni, essi potrebbero inserirsi tra i mutevoli
quadri della democrazia liberista. Per il momento, bisognerà in ogni caso
mettere in conto il fatto che queste formazioni esercitano una pressione
autoritaria sui pubblici poteri e reintroducono nel discorso politico valori
estranei alla democrazia, minacciando così di avallare una certa violenza
xenofoba.
note:
* Politologo, autore de Les Extrémismes en Europe, rapporto annuale del Centro
europeo di ricerca e d'azione sul razzismo e l'antisemitismo (Cera), Editions
de l'Aube, 1999, e Front National: eine Gefahr ffr die franzÜsische
Demokratie?, Bouvier Verlag, Bonn, 1998.
(1) Leggere Peter Niggli, "Il balzo in
avanti della nuova destra in Svizzera", Le Monde diplomatique/il
manifesto, dicembre 1999.
(2) Jeffrey Kaplan, Leonard Weinberg, Fade to black: the emergence of an
Euro-american radical right, Rutgers University Press, Piscataway (New Jersey)
1998.
(3) Sul neo-nazismo svedese, leggere
Démokratins fÜrgÜrare (opera collettiva), Statens Offentliga Utredningar,
Stoccolma, 1999; sulla nuova destra danese, leggere Johannes Andersen et al.
, Valelgere med omtanke. En analyse af folketingsvalget 1998, Forlaget Systime,
Arhus, 1999.
(4) Leggere Serge Govaert, "L'esterma
destra alla conquista di Bruxelles". Le Monde diplomatique/il manifesto,
gennaio 1998.
(5) I cinque partiti falangisti o radicali
che hanno partecipato alle europee del giugno 1999 hanno riportato 61.522 voti;
in Portogallo, il partito neo-salazarista Aliança Nacional non si è
presentato; in Grecia, due formazioni antisemite, Proti Grammi e Enosis
Kentroon, hanno ottenuto insieme l'1,57% (101.044 voti).
(6) Sull'uso ideologico di questo termine,
leggere Serge Halimi, "Il populismo, un nemico ritrovato", Le Monde
diplomatique/il manifesto, aprile 1996.
(7) Herbert Kitschelt, The Radical Right in Western Europe, University of
Michigan Press, 1995.
(Traduzione di
P.M.)
http://www.greenleft.org.au/back/1995/176/176p14.htm
By Mikael Karlsson
In international neo-Nazism today, there are two major
positions, the “first position” and the “third position”.
The first are political parties like National Front in
Britain, Front National in France, the Republicans in Germany, MSI in Italy,
Vlams Blok in the Netherlands and Sverigedemokraterna in Sweden. “Umbrella
organisations” like Liberty Lobby in the US and World League of Freedom and
Democracy are in this group also, to name a few. The total number in the first
category is large. The third position is more interesting, though.
Third position organisations are found in Sweden and other European
countries. Sweden's
history of neo-Nazism up to the mid-1980s bears comparison with Australia's,
because the situation and development are similar.
In Australia, there are not huge problems with these
organisations. Terrorist attacks on people or property are minimal, and
neo-Nazi marches are driven away by anti-Nazis.
Sweden in the early 1980s
also had few big problems with neo-Nazis. There were few fascist parties,
mostly relics from the beginning of the century. The members were as old as the
parties. They did not do much bar the occasional press release and
demonstration. All this, however, was about to change.
No-one can say exactly when the change came. The
Swedish equivalent to ASIO maintained for a long time that there was no change.
Journalists and anti-Nazis say that the change came in the early 1980s.
Sweden was lucky enough
not to have had terrorist action for a long time. Perhaps this was one of the
reasons no-one was prepared when all hell broke loose in the early 1980s.
In 1980, the Bologna railway station in Italy was
blown up by the Italian neo-fascist organisation NAR (Armed Revolutionary
Cells); 85 people died and 250 were wounded. Italian intelligence started to
hunt NAR members. Many fled abroad.
Roberto Fiore, the leader of an NAR cell, fled to
London, where he was safe-housed by members of the National Front. Fiore helped
his British comrades, among other things, to fire-bomb a left-wing bookshop and
gave the British Nazis something they had wanted for a long time -- a modern
terrorist's knowledge.
The English National Front member Thomas Edwards (who
acted as an unofficial representative of the National Front) lived in Sweden in the mid-1980s.
Edwards met with the Swedish skinheads Goran Gustavsson and Peter Rindell, and
is one of the key people in the founding of the organisation Rock Against
Communism, RAC. RAC brought another Briton, Ian Stuart Donaldson and his band
Screwdriver, to Sweden
on several occasions.
RAC developed into Vitt Ariskt Motstand, Swedish for
White Aryan Resistance, WAR, nicked from Tom Metzger's group of the same name
in the USA.
Swedish WAR soon became a nasty ingredient in Swedish
society. It took its politics from a US organisation, Silent Brotherhood . The
FBI called it “The Order”.
The Order assassinated the Jewish radio talk show host
Alan Berg in 1984, among numerous other acts of terrorism after its formation
in the early 1980s by Robert Jay Mathews from Arizona. Its purpose was to
create “Aryan” guerilla fighters to take on ZOG, the name used by neo-Nazis to
describe governments, Zionist Occupational Government. This tag is based on the
conspiracy theory that all governments are part of a huge Zionist world
conspiracy.
The Order committed acts of terrorism and armed
robberies and organised paramilitary training of members. On December 7, 1984,
200 heavily armed FBI agents surrounded a building housing members of the
Order. After a fight lasting 36 hours, Mathews followers' surrendered; he was
killed in the fight.
The Order is one of the groups that the Swedish WAR
uses as an inspiration. Now most members of the Swedish WAR are in custody
serving long terms for charges varying from murder to armed robbery. But new
followers join the organisation all the time. After all this, the Swedish
equivalent to ASIO has finally made a statement that maybe there is a problem.
David Greason, author of I was a Teenage Fascist, says
contacts exist between groups in Australia and Europe. For instance, in
Australia a group called World League for Freedom and Democracy (WLFD) is not a
purely neo-Nazi organisation, but it is extreme right. It has member organisations
in more than 100 countries worldwide and links with neo-Nazi groups like ARENA
in El Salvador, Tecos in Mexico, MSI in Italy and CEDADE in Spain.
WLFD used to be called World Anti Communist League
(WACL) and was formed as a merger between the Asian Peoples Anti Communist
League (Asia) and Anti-Bolshevik Bloc of Nations (Europe) in 1967. At the end
of the 1970s, the English Nazi and race biologist Roger Pearson was elected
international president of WACL.
In mid-1980, the former US general John K. Singlaub
was elected chairman, and he tried to reshape WACL a bit. The worst Nazi sects
were expelled, but its ideas remained the same. During its international
congress in 1990, the Belgian General Robert Close was elected chairman and it
changed its name to the World League for Freedom and Democracy.
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la criminalità nazi in svezia
December, 1999
A critical level of extreme rightwing activity has
brought a sense of terror to Sweden. Virtually
unreported in the United States, killings and threats of violence from an
estimated one-thousand active Nazi-style militants recently led the four major
Swedish newspapers, normally highly competitive, to join in publishing an
appeal to the public to speak out and report any indication of such activity.
The papers considered it necessary to do this, because in trials of some of the
rightwing criminals, witnesses either refused to testify or recanted what they
had earlier reported to the police. The papers also published mugshots of 62
"active Nazis" to help the public identify and report them.
The terrorists are mostly young, have killed
immigrants, mistreated a Jew, seriously wounded a journalist by placing a bomb
in his car and murdered a trade unionist in his house. This crime and the
murder of two policemen in the town of Malalexander triggered a major outcry
and led to the joint newspaper appeal.
The criminals, whom the Swedes
openly call Nazis ("National Socialists"), have built a network, buttressed
by Internet communication, and accumulated substantial funds by robbing banks.
They have been able to develop their current strength and impact in a society
that gives a wide berth to the most extreme and unpopular ideas. As Per
Ahlmark, a longtime human rights activist in Stockholm, put it: "Swedish
intellectuals are unsophisticated. The country has not experienced war and
terror, and does not realize that words can lead to murder."
Thus, Sweden’s most
famous playwright, Lars Noren, established a relationship with an imprisoned
young "Nazi", upon release housed and befriended him, wrote a play
for and with him and his rightwing friends, in which these had a chance to
spell out their anti-foreign, anti-Semitic, anti-gay propaganda and calls for
violence. The "actors" then turned out to be the murderers of the two
Malalexander policemen. Playwright Noren said that he simply wanted to show how
these people think and feel, and was utterly surprised when they proceeded to
move from acting to killing. A Swedish journalist, Anna-Lena Lodenius, who has
written four books on Swedish rightwing activities, wrote in a German paper (Frankfurter
Allgemeine Zeitung): "Sweden’s
situation is absurd: The government has spent millions of crowns on printing
and distributing a million copies of a publication about the Holocaust, yet is
unable to recognize, understand and combat present-day nazism."
Why the sudden current intensification of Nazi
activity? It seems that the number of activists has not increased
substantially. But the Nazi activists operate more deliberately and more
violently. They committed 2,000 crimes in 1998-- twice as many as the year
before. The planning of these acts is illustrated by the murder of trade
unionist Bjoern Soederberg in a Stockholm suburb. Soederberg had identified a
fellow worker as a Nazi, who was then ousted by the union. The Nazis took
revenge.
Today’s high levels of rightwing extremist actions
were preceded by almost ten years of less frequent incidents. In the late
eighties, British skinhead influence began to develop. Skinhead music--
"white noise"—and the "White Power" movement gained
adherents in Sweden. It was then that
the Nazis murdered a homosexual Jew. American rightwing influence then made
itself felt. "Brothers Silence" and the "White Aryan
Resistance", which had a record of violence, were models for a Swedish
counterpart, "Vit Ariskt Motstand", which in the early nineties
robbed several post offices and banks.
In 1993 the first big Swedish rightwing band,
"Ultima Thule", moved on the rock hit list. It avoided outright
racist propaganda, but spoke of the pride of being Swedish and of fighting
unnamed enemies. The implication was that the chief "enemies" were
immigrants. Ultima Thule’s success led to a series of rock productions in the
style of "White Power." A 1997 survey of listening habits showed that
more than 12 percent of Swedish pupils were listening to rightwing rock and
that 17 percent had read right extremist publications.
The next stage was the development of new group
activity by those who had been convicted and used their time in prison to make
contacts and establish organizations. Two of the accused in the case of the
Malalexander police murders met in prison. Self-glorification seems to play an
important role. As Ms. Lodenius puts it: "Nazism presumably is the perfect
ideology for a criminal. He has a motive, has found a justification (for his
beliefs and actions), and sees himself as an actor in a larger context."
While it is punishable in Sweden to wear or display actual Nazi symbols like Swastikas,
the Swedish extremists manage to show Nazi-style emblems that make them
unmistakable yet not subject to arrest. The Swedish case is one of blurred
lines between free speech and terrorist activity. The tension between
democratic principle and its misuse for crime is unresolved in other democratic
societies. But in many, it is an issue for sustained public debate and
legislation that face up to the public interest. In Sweden, the question is whether the society will come to grips
with the issue and find a balance between the exercise of freedom of speech and
its protection against obstruction of justice through violence.
WHITE
PRIDE WORLDWIDE: The Major Players
LA MUSICA E IL NEONAZISMO
January 2002 -- The growth of white power music did not just bring
international cooperation among extremists. It also caused a number of violent
conflicts.
Most visible was the war in Sweden
between Nordland and Ragnarock, along with their international allies. The
combatants took to firebombing each other’s bookstores, hiring hit men and
mailing letter bombs. One British leader, looking to mete out retribution to
his neo-Nazi enemies, started carrying a machete to concerts.
The industry was thrown into
disarray in 1997-98 on both sides of the Atlantic. Michigan tax authorities
raided Resistance Record’s Detroit-area offices, confiscating as many as
200,000 tapes and CDs worth up to $3 million, and Resistance leader George
Burdi left the movement after his 1997 imprisonment for assault.
In Europe, government raids brought
some labels to the verge of bankruptcy, while others changed leadership and
moved their headquarters. Leading white power music distributors in Britain
were imprisoned for crimes including murder.
Since 1998, the white power music
industry’s major players have largely ended their rivalries and reorganized. No
new battles seem to be in the offing, although there is still violence against
bootleggers.
Today, the four leading
international distributors seem to be cooperating, or at least not battling,
with one another. They are:
Il lato oscuro dell'Europa
Il sociologo svedese Tom Burns si misura con i temi della
xenofobia e del razzismo e del loro impatto sul processo di unificazione
Intervista a cura della redazione
Razzismo e xenofobia sono da tempo al centro
del confronto politico, in stretta connessione con il dibattito
sull'immigrazione extracomunitaria in Europa. Tuttavia, raramente la
questione è stata affrontata secondo una prospettiva sociologica,
l'unica che forse consentirebbe di spiegare come mai, in un'Europa sempre più
democratica e aperta alla diversità, siano ancora così diffuse forme di
intolleranza e di discriminazione verso gli immigrati e verso le minoranze
etniche e culturali. Lo facciamo con Tom Burns, docente di Sociologia
all'Università di Uppsala, in Svezia, responsabile di un progetto di ricerca finanziato dalla
Commissione Europea su razzismo e xenofobia in Europa.
Razzismo e xenofobia sembrano porsi all'opposto dei principi di tolleranza su
cui si fonda la cultura europea. Eppure, orientamenti razzisti e xenofobi sono
sempre più diffusi nella società europea. Come spiegare questa contraddizione?
La domanda va dritta al cuore del problema. L'Europa è una realtà
estremamente complicata. Essa indubbiamente racchiude una cultura liberale
e può esibire una lunga tradizione di tolleranza, ma ha anche una
forte cultura dell'esclusione sociale, a cominciare dai rapporti tra
europei. Questo significa che il razzismo e la xenofobia sono profondamente
radicati nelle strutture e nella cultura delle società europee.
Anche se le dimensioni del problema non sono le stesse dappertutto, ritengo che
l'attitudine a produrre pregiudizi sull' "altro", la cultura
dell'escludere l'"altro" siano all'interno del tessuto sociale di
ogni paese europeo.
Razzismo e xenofobia sono spesso interpretati come fenomeni connessi alla
costruzione della modernità europea (quella che si è ad esempio manifestata
attraverso il colonialismo), ma meno compatibili con la cosiddetta post-modernità,
che si basa proprio sul riconoscimento della diversità. Quali relazioni è
possibile cogliere tra Europa post-moderna, il razzismo e la xenofobia?
Il razzismo e la xenofobia sono profondamente connessi con la forma
dello stato-nazione. In questo senso possiamo certamente dire che essi siano
un'eredità della modernità europea. Non credo che questo riguardi solo i
paesi con un passato coloniale. Forme di xenofobia si possono trovare, ad
esempio, anche in Polonia o nella Repubblica Ceca che non hanno mai avuto
colonie.
Quanto alla post-modernità, essa può essere colta come una progressiva
erosione e trasformazione delle istituzioni. Si tratta di un processo
che può produrre una maggiore tolleranza e una maggiore apertura, rendendo le
persone più preparate ad accettare la diversità. Ma non sempre accade. Il
processo di erosione e di trasformazione delle istituzioni può determinare una
maggiore paura nei confronti degli altri. Questo è il rischio di lavorare con
categorie troppo astratte, come quelle di modernità e post-modernità. Credo sia
più utile ragionare in modo concreto sui fattori che incrementano o
contrastano il razzismo e la xenofobia.
Quali fattori, ad esempio?
Un fattore è certamente rappresentato dalla competizione economica.
Se si hanno alti livelli di disoccupazione e una riduzione significativa dei
livelli di welfare, la gente comincia a sperimentare una condizione di
scarsità. Uno dei modi più semplici per ridurre la competizione è quella di
escludere altri gruppi; ed è molto facile, per una nazione, escludere gli
immigrati.
Altri tipi di meccanismi sono più inquietanti. In ogni società moderna si
rileva la presenza di gruppi marginalizzati. Essi percepiscono la continua
minaccia del loro status. Un modo semplice per incrementare il loro senso di
orgoglio è quello di escludere gli immigrati e le minoranze facendo leva
sulla nazionalità ed etichettandoli come "non svedesi",
"non tedeschi" o "non francesi". Spesso le persone
aderiscono a gruppi di skin-heads o di nazi-skin non perché abbiano forti
convinzioni ideologiche, ma perché stanno cercando un posto dove stare, perché desiderano
appartenere a qualcosa.
Un altro meccanismo è attivato dalla paura che gli immigrati possano minacciare
l'integrità culturale della società di accoglienza. Questo è un punto di
vista condiviso anche da molti intellettuali. D'altro canto, essere
intellettuali non significa necessariamente essere liberali e tolleranti. Anzi,
spesso accade l'opposto.
Un ulteriore meccanismo è rappresentato dalla paura nei confronti delle azioni
illegali degli immigrati. Può accadere, ovviamente, che alcuni di essi
assumano comportamenti di questo tipo o atteggiamenti devianti. La gente allora
reagisce attraverso un processo di generalizzazione, esprimendo giudizi
che toccano l'intera categoria. Questo perché le persone sono in cerca di una
formula rapida per rappresentarsi alcuni fenomeni e questa funziona molto bene.
Diventa un modo per rispondere a certe domande: "Perché quegli immigrati
hanno la BMW?", "Perché sono in qualche modo coinvolti in qualche
cosa di illegale". Storie del genere poi circolano, diventano una
narrazione che influenza il comportamento sociale della gente nei paesi di
accoglienza. Attraverso certi meccanismi, gli immigrati e gli appartenenti a
minoranze entrano nell'area di attenzione degli assistenti sociali o della
polizia, anche se non hanno fatto nulla di illegale. Forse i loro bambini
incontrano qualche problema a scuola; e di nuovo questa circostanza può far
scatenare un processo che li differenzia e che, in un modo o nell'altro, li
esclude. In Svezia,
ad esempio, molti immigrati e rifugiati sono sostenuti dai servizi di welfare.
Alla gente, però, non piace il fatto che essi ricevono una particolare
attenzione da parte degli assistenti sociali o dalle agenzie di welfare e
comincia così a lamentarsi delle tasse che paga per sostenere questi servizi.
Un altro fattore importante che genera orientamenti xenofobi è il fatto che la
società non è abituata a trattare con la diversità e a gestirla adeguatamente, soprattutto
nei luoghi di lavoro o nelle scuole. Gli immigrati spesso non conoscono i codici
culturali propri della società di accoglienza, codici che rendono molto più
facile la convivenza tra le persone, e diventano così una fonte di problemi. In
tal modo, si attiva una forte tendenza a escluderli.
Insomma, se vediamo le cose in modo concreto, troviamo un complesso insieme di
meccanismi che in qualche misura si rinforzano vicendevolmente; per di più c'è
una scarsa consapevolezza in merito a essi e un'altrettanto scarsa riflessione
su come funzionano. Il risultato è quello che noi chiamiamo razzismo e
xenofobia.
Questo significa che atteggiamenti esplicitamente razzisti sono molto
rari.
Effettivamente sono molto rari. I discorsi xenofobi sono normalmente
attivati o da leader politici opportunisti o da persone che realmente
disprezzano gli stranieri e si sentono minacciate da essi. I politici
opportunisti pensano di poter sfruttare i sentimenti razzisti e xenofobi
delle persone. È una soluzione molto economica, perché far leva sul contesto
xenofobo mette in grado di mobilitare rapidamente la gente. Naturalmente c'è
anche chi è realmente razzista. Ma il ruolo dei leader opportunisti è più
rilevante. Alcuni uomini politici possono esibire una storia di attacchi agli
immigrati più coerente e lunga di quella che hanno i veri razzisti.
Una volta che questi uomini politici hanno avuto un parziale successo, può
scattare un altro meccanismo. Si tratta di un principio della società
democratica secondo il quale, se si ha il consenso della gente, si ha anche la
possibilità di far sentire maggiormente la propria voce. In tal modo si
acquisisce uno spazio nel dibattito pubblico. Ora, è molto rischioso
isolare le persone che hanno il consenso della gente. Quando Heider e il suo
partito vinsero le elezioni, si registrò una reazione al livello europeo, sia
da parte della stessa Unione Europea, sia da parte dei paesi membri. Ma la
risposta dell'Austria fu che quelle reazioni rappresentavano un attacco alla
propria democrazia. È questo il modo in cui è stato legittimato il fatto di
poter parlare - in Francia, in Austria, in Danimarca o nei Paesi Bassi - degli
immigrati come di un problema. Questo è il dilemma della democrazia. Fino a che
punto ci si può spingere? Quali limiti bisogna imporre?
In passato, alcuni di questi temi non erano discussi
pubblicamente. Oggi lo sono. E purtroppo un aperto confronto realizzato
secondo le regole della democrazia può rappresentare un pericolo per gli
immigrati o per i soggetti appartenenti alle minoranze. A causa di tale
confronto, essi sperimentano una situazione di incertezza nelle loro vite. Non
possono far venire le madri o le mogli a vivere con loro perché avvertono la
possibilità dell'avvio di nuove politiche indirizzate contro gli immigrati o le
minoranze. Tutto ciò può rappresentare un'esperienza traumatica. E tuttavia va
ribadito come tutto questo sia effetto di un processo democratico.
L'interazione positiva tra democrazia e xenofobia sembra
essere paradossale
Infatti lo è. Non si tratta di un puro aspetto tecnico del policy
making. È piuttosto una questione che attiene all'esperienza umana. La
gente soffre a causa di questa esposizione pubblica. Forse le politiche che ne
derivano non saranno poi così estremiste o così negative come ci si potrebbe
aspettare. Tuttavia, il trauma che subiscono gli immigrati e le
minoranze potrebbe essere molto forte. Immaginiamo, ad esempio, che
impatto può avere un'esposizione pubblica di questo tipo nel caso dei
nordafricani che hanno un passaporto francese e vivono in Francia da vent'anni.
In che misura e a quali condizioni le politiche pubbliche possono realmente
incidere su tali meccanismi?
Molte di queste politiche non li affrontano neanche. Quando lo fanno -
come ad esempio le direttive europee in materia di antidiscriminazione
applicate da ogni stato membro - esse non funzionano proprio a causa di questi
stessi meccanismi. Come poter applicare una legge contro la discriminazione se
una vasta parte della popolazione non è d'accordo? Molti immigrati, poi, non se
la sentono di avviare un procedimento giudiziario a tutela dei propri diritti
violati perché vedono i rischi ai quali vanno incontro. Così va a finire che le
politiche varate restano inattive. Sulla base delle mie ricerche e di ricerche
condotte da altri, mi sono convinto del fatto che i più importanti contro-meccanismi
per contrastare tali processi possono essere attivati dalle organizzazioni
della società civile e dalle imprese private.
Forse perché esse agiscono su quei livelli della società in cui si
producono gli orientamenti xenofobi…
Sicuramente le organizzazioni non governative impegnate nella lotta al
razzismo e alla xenofobia sono in grado di intervenire a quei livelli. Esse
sono interessate a sostenere l'immigrazione e l'integrazione perché lavorano
con gli immigrati. Possono aiutarli a conoscere i simboli e i codici della
società che li ospita. Io stesso, come immigrato in Svezia, so bene quanto sia importante
essere in contatto con qualcuno che spieghi come ci si debba comportare. Gli
immigrati possono infrangere alcune regole non scritte e la gente allora
reagisce. Magari non fanno nulla di illegale, ma fanno qualcosa di improprio. E
questo rende la loro vita molto più difficile.
Inoltre, la società moderna è molto complessa; ed è utile che ci siano
organizzazioni non governative che forniscono un aiuto legale agli immigrati,
che spieghino loro come funziona il sistema scolastico o che li
sostengano nel mondo del lavoro.
Quanto alle imprese, in molti casi esse sono preparate ad assumersi
qualche rischio. Lo fanno, in parte per la mancanza di risorse umane di cui
hanno bisogno e in parte perché, se vogliono competere nell'arena della
globalizzazione, devono diversificare il personale e assumere anche
personale immigrato qualificato.
Forse l'Unione Europea potrebbe fare di più per incoraggiare le imprese
europee. In Svezia
si stanno discutendo leggi che dovrebbero penalizzare quelle imprese
che intrattengono rapporti contrattuali con il governo e che hanno assunto
comprovati comportamenti discriminatori. Si tratta di un incentivo molto
forte. Un'impresa svedese, l'IKEA, è stata penalizzata - mi pare sia accaduto
in Francia - perché la dirigenza non voleva che persone di colore uscissero dai
loro negozi con il catalogo dell'azienda in mano in quanto riteneva che la
gente avrebbe associato il loro marchio ad esse. Si tratta evidentemente di una
forma di discriminazione. Non è stata una buona pubblicità per l'IKEA. La sua
immagine ha ricevuto un danno specialmente tra le persone del ceto medio che
sono in maggioranza contro il razzismo e la xenofobia.
Ma come si possono rendere le politiche più efficaci?
Penso che occorra predisporre una nuova agenda politica. Bisogna identificare
le forze presenti nella società che già operano contro il
razzismo e la xenofobia e sostenerle. È necessario anche
identificare le altre forze, quelle che invece rinforzano il razzismo e la
xenofobia, e contrastarle. Ad esempio, ora sappiamo che ogni aumento dei livelli
di disoccupazione, ogni incremento dell'insicurezza economica e ogni riduzione
dei livelli di welfare rappresentano una minaccia per la gente e sappiamo anche
che, se la gente è minacciata, incomincia a proteggersi. E la forma di
protezione collettiva più semplice è quella di distinguere tra "noi"
e "loro". Bisogna proprio avere un alto livello di solidarietà per
non assumere atteggiamenti discriminatori in tempo di scarsità. Conoscere
queste connessioni tra eventi dovrebbe aiutare a sviluppare politiche più
efficaci.
In Europa si stanno sviluppando soprattutto politiche di controllo dei
flussi migratori ma ancora poca attenzione viene prestata a quelle di
integrazione degli immigrati. All'Europa "fortezza" e chiusa delle
politiche si contrappone l'Europa aperta all'esterno e tollerante dei principi.
Perché accade questo?
Effettivamente si dedica molta più attenzione ai flussi migratori
e alla loro regolazione piuttosto che alle politiche di integrazione.
Non penso che questo accada a causa della presenza di forze xenofobe o
razziste. Credo che sia parzialmente dovuto al fatto che non c'è un'idea
precisa di come sostenere i processi di integrazione.
C'è una mancanza di conoscenza in questo ambito…
È così. Non è però l'unico problema. C'è una chiara contraddizione tra
la Fortezza Europa e l'Europa Aperta proclamata nei principi
dell'Unione Europea. Ma questo riflette la realtà delle cose. Entrambe le
tendenze sono infatti contemporaneamente presenti nella società. Ci sono forze
che vedono l'Europa come un'entità aperta, tollerante e disponibile ad
accettare le diversità, mentre ve ne sono altre che la vedono intollerante.
Queste ultime non sono solo contro gli immigrati extracomunitari, ma anche contro
gli immigrati che vengono da paesi comunitari. Ad esempio, in Svezia la diffusa
opposizione all'entrata nell'Unione Europea è dipesa dalla preoccupazione di
dover accogliere immigrati provenienti da altri paesi membri.
Si tratta di un aspetto da non sottovalutare. Studi condotti dal Centro
dell'Unione Europea di monitoraggio sulla xenofobia e il razzismo, che ha
sede a Vienna, mostrano come non c'è solo un'opposizione diffusa nei confronti
degli immigrati extracomunitari, ma una molto forte anche nei confronti degli
immigrati europei. Questi sentimenti sicuramente si intensificheranno con il
procedere del processo di allargamento dell'Unione Europea.
Questo significa che il razzismo e la xenofobia possono persino mettere
in pericolo il processo di unificazione europea?
Sì, è possibile. Potrebbe
accadere che in parecchi paesi europei vadano al potere governi orientati alla
xenofobia. Potrebbe anche accadere che essi non rispettino le direttive europee
in materia di diritti umani e di discriminazione. A quel punto, si porrebbero
al di fuori dei regolamenti europei. Questo fatto potrebbe creare una tremenda,
profonda frattura all'interno dell'Unione Europea. Non sarebbero
coinvolti solo i leader politici; sarebbe una frattura che spaccherebbe
l'intera società. Non sto pensando a conflitti bellici, semmai a un aspro
confronto culturale e politico. Trovo però che ci siano dei parallelismi con la
situazione che si venne a creare negli Stati Uniti quando si pose la questione
dello schiavismo che poi portò al conflitto civile.
Quali sono i tratti distintivi del multiculturalismo in Europa rispetto a
quello di altre società avanzate?
Gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo importante nello sviluppo di un
approccio multiculturale, soprattutto per quel che riguarda la gestione della
diversità. Ma il mondo è multiculturale nel modo in cui lo è l'Europa. L'Europa
è rivolta al Mediterraneo e al mondo islamico. Differentemente dagli Stati
Uniti, l'Europa è costretta a sviluppare le relazioni commerciali, gli
scambi nel settore dell'istruzione e gli scambi culturali con le aree vicine e
deve trovare i modi per garantire alti livelli di tolleranza e per gestire
la diversità e i conflitti. Molte cose le stiamo imparando proprio a
partire da come l'Europa affronta questi problemi. Ciò che ancora non sappiamo
è se stiamo imparando in modo sufficientemente rapido e se le lezioni apprese
si dimostreranno efficaci anche nel lungo periodo.
Qualcosa è cambiato dopo gli eventi dell'11 settembre?
Sì, qualcosa è cambiato. E non si tratta di un cambiamento superficiale.
Si sono attivati meccanismi molto gravi di xenofobia e di razzismo
o comunque si attiveranno nel caso in cui un altro evento terroristico accada
in Europa o in Nord America. Gli atteggiamenti liberali sono sempre meno convinti.
Ci sentiamo minacciati e non abbiamo tempo di elaborare nuovi materiali
culturali. Mettersi a distinguere tra persone di cultura islamica e pericolosi
movimenti fondamentalisti richiede tempo. Così rielaboriamo e usiamo materiale
culturale già disponibile.
È necessario prepararsi a
sviluppare nuove risposte perché può accadere che la situazione peggiori.
Dobbiamo tentare di mitigare le possibili reazioni. È importante creare
istituzioni che siano in grado di combattere il terrorismo efficacemente.
Alcuni sostengono la tesi secondo cui più c'è terrorismo, meno si può dedicare
attenzione alla protezione dei diritti umani e civili. La ritengo un'equazione
troppo semplicistica. Immagino piuttosto una relazione triangolare tra
istituzioni, diritti umani e terrorismo. L'esistenza di istituzioni
efficaci e la fiducia in queste istituzioni rappresentano un fattore decisivo.
Se si ha fiducia in istituzioni che danno la caccia ai terroristi e che
prevengano la loro azione, si può essere più preparati a mantenere gli alti
livelli di protezione dei diritti umani e civili di cui normalmente godiamo
anche quando è in atto una crisi. Questo non può avvenire se ci si trovasse
tutti in una situazione di emergenza.
In che misura gli orientamenti culturali e i comportamenti degli immigrati
possono incidere positivamente o negativamente sulla diffusione di
atteggiamenti xenofobi in Europa?
Quel che si ha di fronte è un'interazione tra immigrati e società di
accoglienza. Entrambi devono attivare un processo di apprendimento. Per
quel che concerne le società di accoglienza, ritengo che le ONG impegnate nella
lotta al razzismo abbiano un importante ruolo in tale processo. Esse vanno sui
media e agiscono in collaborazione con le pubbliche amministrazioni e con le
imprese.
Ma è anche importante che gli immigrati e le minoranze partecipino
a questo processo di apprendimento. Probabilmente essi hanno bisogno di
particolari programmi che li aiutino a capire come funziona la società di
accoglienza.
Da entrambe le parti è comunque richiesto un qualche livello di tolleranza. Ho
spesso notato che immigrati presenti in Europa hanno molti pregiudizi. Questo
non aiuta certamente il processo di apprendimento e non serve alla causa della
tolleranza.
Il quadro da lei tracciato suggerisce che razzismo e xenofobia non siano
elementi contingenti ma strutturali della società europea…
Penso di sì. Ma gli eventi sono altrettanto importanti. Un attacco
terroristico come quello dell'11 settembre può scatenare vaste reazioni
xenofobe. Una profonda crisi economica che colpisca l'Europa può dare avvio a
una competizione sulle risorse, ossia a un meccanismo per il quale si lotta per
ottenere uno status attaccando gli altri. In assenza di fattori scatenanti,
razzismo e xenofobia potrebbero rimanere parzialmente inattivi, pur essendo
strutturalmente radicati nella società europea.
DECISIONE-QUADRO
DEL CONSIGLIO - Bruxelles, 28.11.2001
sulla
lotta contro il razzismo e la xenofobia
ALCUNE CIFRE
Stando alla relazione annuale 1999 dell’Osservatorio
europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia (EUMC)<!--[if
!supportFootnotes]-->[2]<!--[endif]-->, nonché ai vari
rapporti sul razzismo in Europa presentati nel 1999 dai media nazionali, dalle
autorità ufficiali o dalle ONG, nessun paese dell’Unione europea è al riparo da
questo fenomeno. Va tuttavia rilevato che non esiste un criterio uniforme per
la raccolta di dati su incidenti o attacchi a sfondo razzista. L’Unione europea
sta cercando di affrontare il problema. La rete d’informazione dell’EUMC,
Raxen, ha il compito di definire questi criteri comuni e di formulare delle
proposte al riguardo.
La commissione europea contro il razzismo e
l’intolleranza (ECRI) - l’organo di esperti del Consiglio d’Europa in materia
di lotta contro il razzismo - ha pubblicato una serie di rapporti nazionali nel
quadro di una seconda disamina delle leggi, politiche e pratiche in materia di
lotta contro il razzismo. I rapporti su Austria, Belgio, Danimarca, Francia,
Germania, Grecia e Regno Unito, nonostante alcuni sviluppi positivi, mettono in
evidenza il permanere di fondati motivi di preoccupazione.
Gli incidenti a sfondo razzista più frequenti non
sono gli atti di violenza riferiti dai media. Dalle statistiche ufficiali in
Germania si evince che, sui 10 037 reati penali a sfondo razzista/xenofobo
registrati, il 66% rientrava nella categoria della propaganda. Tra l’aprile e
il settembre 1999, per 10 982 casi di reati penali nel Regno Unito si sono
registrate aggravanti legate a comportamenti razzisti, e una metà riguardava
molestie di vario tipo. In Svezia,
il numero di reati a sfondo razzista/xenofobo dichiarati ammontava a 2 363
nel 1999. Tra questi, le forme più correnti sono minacce, percosse e ferite,
nonché molestie.
Gli atti gravi di violenza razziale sono ampiamente
noti al pubblico, al pari degli altri reati gravi, attraverso i mass media. Nel
1999, gli organi nazionali di stampa hanno riferito casi di assassinio o
tentativo di assassinio per motivi razziali, etnici, religiosi o culturali in
Austria, Francia, Germania, Spagna, Svezia e Gran Bretagna. Nel corso dell’ultimo anno si è registrato
un aumento del numero di crimini a sfondo razzista connessi con gruppi
neonazisti in Svezia
e in Germania. In quest’ultimo paese, il numero complessivo di reati penali è
diminuito, ma sono aumentati le aggressioni violente. La violenza a sfondo razzista
da parte di neonazisti o "skinheads" è stata segnalata anche in
Spagna e in Portogallo, dove a questi gruppi è imputabile gran parte delle
aggressioni violente. Si può giungere alla conclusione che gli atti razzisti,
in particolare le aggressioni violente (omicidi, ferite e percosse ...) o i
danni materiali (incendi, uso di esplosivi) molto spesso sono commessi da
gruppi di giovani di ideologia neonazista o da "skinheads".
Un fenomeno del genere non è difficile da spiegare,
dato che spesso il razzismo costituisce una manifestazione del senso di
appartenenza a un gruppo, acuito da un atteggiamento negativo e sprezzante nei
confronti di altri gruppi. Il reciproco incitamento e sostegno all’interno del
gruppo incoraggiano l’emulazione e provocano reazioni a catena. Le opinioni
sostenute dagli autori di questi reati spesso sono condivise dalle comunità più
ampie di cui essi fanno parte, e che gli autori considerano come un fattore di
legittimazione dei propri atti. Si tratta di una tendenza estremamente preoccupante,
che va combattuta energicamente. La reazione a delitti del genere, anche ove
non siano stati commessi nell’ambito di un’organizzazione strutturata, è
essenziale per mettere a punto una efficace strategia preventiva, in grado di
contrastare l’espandersi del fenomeno.
Per quel che riguarda le vittime, dai rapporti del 1999 si evince che
vengono colpite minoranze etniche/razziali, immigrati e profughi in tutti gli
Stati membri, particolarmente esposti a forme di discriminazione e a delitti a
sfondo razzista. I delitti commessi da organizzazioni neonaziste prendono di
mira soprattutto gli immigrati, le persone di origine straniera e la comunità
ebraica. Si registra anche un incremento delle aggressioni contro omosessuali e
personalità politiche dell’opposizione, giornalisti e poliziotti. I rapporti
hanno messo in evidenza altresì che solo una minima parte delle vittime sporge
denuncia presso le autorità. Spesso esse ritengono che le loro dichiarazioni
non vengano prese sul serio o temono rappresaglie da parte degli autori dei
reati.
Indagine EUMC
sulla Tolleranza
1997 – 2000
dall'Agenzia "Redattore
Sociale"
http://www.redattoresociale.it
Negli
ultimi tre anni, gli
atteggiamenti dei cittadini europei nei confronti dei gruppi di minoranza
etnica e degli immigrati hanno seguito una via contraddittoria. Da una parte,
molti cittadini europei favoriscono le politiche di integrazione per permettere
la coesistenza di minoranze etniche e di cittadini comunitari. Dall’altra, una
consistente percentuale degli europei teme le minoranze per il problema del
lavoro e per la tutela degli standard educazionali. È anche dimostrato che il
nord Europa si dimostra "intollerante" adducendo delle motivazioni
diverse rispetto al sud.
Tra i
15 Paesi europei, il Belgio è quello che mantiene l’atteggiamento più negativo,
tanto che possiede la percentuale più alta di persone classificate come
"intolleranti" (25%). Francia e Germania sono al secondo posto, 19% e
18%, ma in Francia la popolazione è spaventata per il possibile scoppio di
conflitti sociali, mentre la Germania non accetta gli immigrati che desiderano
lavorare in Europa perché temono una concorrenza sleale.
La Spagna e il Portogallo sono molto vicini all’Italia, quindi hanno un basso
numero di intolleranti e un alto numero di "tolleranti passivi".
Entrambi i Paesi non concordano nell’assimilare la cultura dei gruppi di
minoranza, ma accettano di arricchirsi con la conoscenza di nuove tradizioni e
stili di vita. Atteggiamento negativo, rispetto al resto d'Europa, si registra
in Austria. D'altra parte, qui le politiche sociali nei confronti degli
immigrati e delle minoranze etniche sono notoriamente restrittive e chiuse.
Nella
ricerca veniva posta anche una domanda sul grado di "disturbo"
causato ai cittadini europei dalla "altre religioni". Il paese che
riporta la più alta percentuale di "sì, mi disturba" è la Danimarca
(31,7 %), seguita dal Belgio (25,6%) e dalla Grecia (20,1%). In Italia sono
11,7 persone su 100 ad essere disturbate, un valore più o meno nella media. La
più tollerante da questo punto di vista è la Spagna (5,6%).
Dal
1997 al 2000: cosa segna
il barometro europeo della tolleranza nei confronti delle minoranze etniche e degli
immigrati? Alla domanda cerca di dare una risposta una ricerca svolta
dall'Osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia, da cui si deduce che nel
giro di tre anni gli europei sono diventati più tolleranti e rispettosi nei
confronti degli stranieri. Bando ad un eccessivo ottimismo: tra i Quindici
l'atteggiamento culturale cambia e può arrivare ad eccessi opposti. Dunque,
ancora molta strada c'è da fare per poter parlare di vera integrazione.
E il nostro Paese, come si comporta? Stando ai dati della ricerca, in Italia
manca un vero consenso civile verso le politiche sociali di integrazione, anche
se qualcosa è cambiato in meglio rispetto al 1997. Ma il dato più preoccupante
che salta agli occhi è che gli italiani sono il popolo europeo più restio ad accettare
il concetto di multiculturalità e di integrazione delle culture delle
minoranze.
Le
statistiche parlano chiaro: la percentuale maggiore, il 54% della popolazione
(che è anche la più alta in Europa), si definisce "tollerante
passiva", cioè con un atteggiamento positivo (in teoria) nei confronti
delle minoranze, ma poco "generoso" nella pratica. Il 21% è definita
"ambivalente", ovvero non si considera minacciata dai gruppi di
minoranza, ma a volte manifesta forti riserve sul fatto che gli immigrati rimangano
nel Paese di accoglienza. Le percentuali più basse sono riferite alla
"tolleranza attiva"(15%) e alla intolleranza (11%). Nella prima
categoria si inseriscono i cittadini che non sono affatto disturbati dai gruppi
di minoranza e che anzi considerano positivi la contaminazione di culture e
tradizioni. Gli intolleranti sono invece "gli irriducibili", convinti
fermamente che la convivenza fra popoli non abbia effetti positivi sulla
società.
Europa e minoranze: 4 tipi di
atteggiamento |
||||
Paese |
Intolleranti |
Ambivalenti |
Tolleranti passivi |
Tolleranti |
Belgio |
25% |
28% |
26% |
22% |
Danimarca |
20% |
17% |
31% |
33% |
Germania |
18% |
29% |
29% |
24% |
Grecia |
27% |
43% |
22% |
7% |
Italia |
11% |
21% |
54% |
15% |
Spagna |
4% |
18% |
61% |
16% |
Francia |
19% |
26% |
31% |
25% |
Irlanda |
13% |
21% |
50% |
15% |
Lussemburgo |
8% |
32% |
33% |
28% |
Olanda |
11% |
25% |
34% |
31% |
Portogallo |
9% |
34% |
44% |
13% |
Regno
Unito |
15% |
27% |
36% |
22% |
Finlandia |
8% |
21% |
39% |
32% |
Svezia |
9% |
15% |
43% |
33% |
Austria |
12% |
30% |
37% |
20% |
Tot. Europa |
14% |
25% |
39% |
21% |
Fonte: EUMC - European Monitoring
Centre on Racism and Xenophobia
EUMC - European monitoring
centre on racism and xenophobia
E’ stato fondato
nel 1997 dall’Unione Europea come organismo indipendente finalizzato a
combattere il razzismo, la xenofobia e l’antisemitismo nei paesi della Ue.
Opera in collaborazione con il consiglio d’Europa, le Nazioni Unite e altre
strutture internazionali, con l’obiettivo di monitorare l’estensione e lo
sviluppo dei fenomeni razzistici e xenofobici e di promuovere le buone pratiche
tra gli stati membri. L’Eumc organizza anche momenti di discussione e ricerche
su questi temi.
Indirizzo:Rahlgasse,
3 - A1060 - Vienna (Austria)
Tel: 0043 -1-580300, Fax: 0043-1-58030-99
E-mail: office@eumc.eu.int
Sweden's Nazi menace
By Per-åke Westerlund (edited version published in
Socialism Today)
The
Nazi murder of Björn Söderberg, an activist in the syndicalist trade union SAC,
was answered on Saturday the 23 October with the biggest antinazi
manifestations in Sweden
since the 1930s. Mass rallies with 40 000 participants in 20 towns expressed
the mood against nazism and the willingness to act. For socialists, it's
necessary to understand the huge gap between the "antifascism" of the
state and the establishment on one hand, and the necessary movement of workers
and youth against racism and fascism on the other.
With spectacular murders and
bombings, the Swedish nazis in 1999 established themselves as perhaps the most
active terrorists in any EU country. In May-June, two policemen were shot dead
by nazis and a journalist almost killed by a car bomb. Another bomb in a car
blinded a policeman. That bomb most likely came from a Hells Angels-type gang,
which in several cases have links with the nazis. On 12 October Björn Söderberg
was shot outside his flat. Two months earlier he exposed in a newspaper a
leading nazi at the warehouse where he worked. Söderberg, who was an active
member of the small syndicalist union SAC, found out that the fascist had been
elected to the branch committee of Handels (equivalent of USDAW). Before being
expelled, the nazi leader quit both job and union.
Immigration the issue?
In the debates over nazi
violence, politicians and self-proclaimed "experts" have portrayed
the nazis as youth upset over immigration. Even last year, popular historian
Herman Lindqvist said there is no comparison between todays nazis and the 30s,
and he blamed the "flood of refugees" for the fascists' behaviour.
Firstly, the "opinion against refugees" in Sweden has been lead and constructed from
the top. It's not "youth", but the state which has organised the
hardest attacks on immigrants. As in the rest of Europe, the governments of the
90s, both Social Democratic and Conservative coalitions, have attacked the right
of refugees and the living standards of immigrants as part of the slaughter of
the welfare state. The first big austerity budget in 1992, also hitting
sick-pay and pensions, cut grants for refugees to £4,50 a day. Previous school
education in home languages have in practise been abolished. Unemployment for
Africans in Sweden
is 80-90 per cent. The programme of the racist party New Democracy, which had
MPs from 1991-94, has been implemented. Sweden today has fewer refugee applications than
Austria, known for its adaptation to the policy of Haider. The Social Democatic
leader of Gothenburg council has since the mid 90s demanded a halt to arriving
new refugees.
Not a single coin
"saved" on immigration has found its way to the health service or
education, as some of the politicians claimed. And drastic measures to prevent
refugees entering Sweden
has not stopped the violence from racists and fascists.
The establishment's picture of
the fascists as working class youth upset over immigration often provoked by
"violent immigrant youth" was shattered last year. The most
spectacular attacks were against journalists, trade union activists and
homosexuals, most of them Swedes. And most of the fascist criminals are middle
class youth, the murderer of Björn Söderberg being the son of a businessman.
Both the fascists and the establishment have misjudged the mood among workers
and youth on the question of immigration. In the reform period of the 1960s and
70s, with high immigration, racism was receeding. In the 90s, refugees who have
been fighting for their rights, with hunger strikes, occupations and
demonstrations, have all received overwhelming support from youth, workers and
neighbours. The real questions are unemployment and the destruction of the
welfare state. These, and the redistribution of wealth to big business, are the
real costs paid by workers families in the 90s. Immigration and the politicians
new favourite subject of "integration" (i e assimilation) of
immigrants, are raised against the background of economic crisis and the rule
of the capitalist market. These capitalist policies, and the constant
portraying of immigrants as "problems", is what creates new
opportunites for fascist groups and racist parties.
There is today no return to a
reform period, including restoration of the right of asylum, without a struggle
against the capitalist market. Combined with campaigns and actions, socialists
therefore also have the task to show the link between capitalism, racism and
fascism.
The state
Every time the movement
against fascism and racism has grown among workers and youth, there has been
talk of new, tougher action from the state. In 1995, the police were supposed
to get "education" how swastikas and other fascist signs looked like.
The same year, courts were told to give harsher sentences for racist crimes.
The impression was given that antifascism was a task fot the state. In
practise, nothing much happened.
This autumn, the Social
Democratic Justice Minister Laila Freivalds claimed that the police, known for
their spying on socialist organisations, nowadays are "only" watching
and surveilling the nazis.
Even voices on the left has
put their hopes in the state. The appeal mainly from syndicalists', circulated
in the Swedish media after the bomb attack on journalist Peter Karlsson
demanded that the secret police should make the nazis their priority and that
the Minister of Justice should develop a programme of action aganist the nazis.
After the murder of Björn Söderberg, the neo-stalinist party KPML(r) demanded
action from parliament and government to ban the nazis.
But illusions in an
antifascist role for the state have to be compared to its record. The head of
the secret police stated after the bombings in June that the nazis were no
"threat of the country's security". He pointed to "militant
vegans" as a bigger threat. This was proved when it became public that the
police knew that the nazis planned to murder Björn Söderberg, but did not warn
him. After the murder, the police immediately arrested three nazis who had been
spotted by policemen outside Söderbergs house earlier the same night.
This was not accidental. The
state and the police has for the whole of the 1990s regarded independent
organisation by left-wing youth and others as a bigger threat than the nazis.
Big resources have been deployed against those who want to stop new motorways
or hide refugees. Three weeks before the murder of Björn Söderberg the police
intervened brutally against Reclaim the City's peaceful street party in
Stockholm, where 300 youth were arrested.
For the police and the state,
the antifascists have been the problem, not the nazis. The fear of the big
potential fot the antifascists was summarised by a Conservative Justice
Minister in 1993: "One day they demonstrate against racism, the other against
school cuts".
All ready in 1993 the police
made mass arrests of antifascists who planned to blockade a Nazi march on 30
November in Lund in the south of Sweden. 1 200 policemen detained 500 antifascists, among them 12
year olds. The same year the police tried to ban the antifascist counterdemo in
Stockholm. The state and the establishment were prepared to give the fascists a
monopoly on the streets on the 30 november and other fascist anniversery days.
The fascist marches even got police protection, to ensure their
"democratic rights".
Only the energetic work of
antifascists, with the Socialist Justice Party (Rättvisepartiet Socialisterna,
RS) in a leading role, broke this development. We knew that allowing the
fascists to march would only increase their appetite and violence. By the end
of the 90s 30 November became known as a antiracist and antifascist day. The
fascists had stopped trying to demonstrate.
The state and the politicians
"discovery" that the fascists are a danger has come very late in the
day. In Stockholm in the early 90s, they even opened a council financed youth
club for skinheads. This club worked as a fascist recruitment school and
offered free equipment for White Power music bands. It was finally closed after
several cases of assault.
More resources to the state
and police, or new laws, doesn«t mean that they will be used against nazis.
Laws prohibiting Nazi organisations in Germany and other countries hasn't
stopped new Nazi parties to be formed. Extraordinary laws have instead been
used against environmental acitivists.
As a rule, a few weeks after
the proclaimed "tougher methods" from the state and the police it's
business as usual again. This year started with the police denying that racism
was behind the nazi murder of 19 year old Salih Uzel on New Year's Eve.
How to fight them
78 per cent of LO (TUC)
members want to ban facist organisations. Those against in the media etc are
mainly leading politicians, from a "liberal, democratic" position. We
have carefully not sided with the establishment, but showed that the demand for
a ban in reality means a demand that the nazis should have no rights, that the
state should stop protecting them. This can only be achieved by mass campaigns
and action from below, independently from the state and establishment.
There are many important
examples of the campaigns needed, where Rättvisepartiet Socialisterna and Youth
against Racism in Europe (Elevkampanjen) have played a key role:
* The most successful action in
the 1990s was when 10 000 antiracists blocked the Nazi march to the Charles XII
monument in Stockholm on the 30 november 1991. It was a mighty answer to the
murder of Iranian Jimmy Ranjbar, who a month earlier was shot by the Nazi, John
Ausonius.
At the same time this event
became one of the most slandered anitracist actions. The Minister of
Immigration, the Liberal and Social Democratic Youth organisations and all
newspapers condemned our demonstration. They argued that it should have
"taken place some other day" to avoid confrontation and thereby would
have become bigger. But a march of MPs to a church was all they later managed
to organize.
For the nazis the day was a
fiasco. Leaders of Vam (White Arian Resistance) and the "Sweden Democrats"
found their march blockaded in a situation where they believed in rapidly
growing support. They saw themselves as riding a tide of growing Swedish
opinion aganist refugees. Crisis and splits followed in their camp.
* In Sundsvall from 1993 onwards
we organised several big demonstrations and actions against every event of the
nazis. Their efforts to open an office and establish a basis in the north of Sweden thereby collapsed.
The campaigns also involved tracing the halls where White Power conserts were
planned and convincing the owners to cancel; evening patrols in the city when
violence increased and anti-racist meetings in the schools.
* It«s important to act
immediatedly. In Umeå RS demanded a the sacking of a university teacher who invited
an nazi to adress a seminar at the end of 1997, and boycott of a play at the
National Theatre in 1999 in which nazi prisoners had the leading roles. The
correctness of the latter campaign was confirmed when precisely these nazi
"actors" were arrested as police murderers in May.
* In Södertälje RS launched a
campaign against the White Power concert planned in January 1998, to celebrate
the 65th anniversary of Hitler coming to power. 700 took part in a antifascist
demonstration despite the fact that local politicians had warned that it would
be "dangerous" to participate. The Nazi event was stopped when the
campaign put pressure on bus companies and hall owners to cancel the contracts.
* At åsö school in Stockholm
1997 YRE took a fight against nazi school students who in practise were allowed
to run amok by the school management. Several demonstrations rallied the
students and showed the poor support for the nazis.
After the murder of Björn
Söderberg, we have stressed that the trade unions should take action. The
publicity and the mass pressure in the autumn has forced several unions to
expel nazis, and some of the nazis to publicly renounce their membership of
fascist organisations.
But the union leadership
haven't given any guidance for members or branches. The TCO leader Sture Nordh
appealed for "conversations" at the workplaces - but what's needed is
collective, organised rallies and meetings.
RS and YRE has campaigned for
a one-hour political strike, including mass rallies, against fascist violence.
In several schools YRE has organised rallies and days of action. At work,
actions against the nazis could also play a role in wakening up sleeping unions
and renewing the leaderships, which have accepted the policies of the 90s.
The struggle to smash the
breeding ground for nazism och rasism is socialist. United workers struggle
beyond ethnic and national borders is the only weapon aganist nazism, racism
and nationalism. The working class, with the support of fighting youth and
other opressed layers, must fight against cuts and shift of system, for jobs,
shorter working hours and higher wages, against racism and fascism, for a
socialist society where needs are ruling.
FINE