ateatro 62.41
Le recensioni di "ateatro": L'anomalo bicefalo di Dario Fo di Oliviero Ponte di Pino
L’anomalo bicefalo di Dario Fo è naturalmente – prima di tutto – un testo di satira e controinformazione politica. Lo spunto surreale intorno a cui ruota lo spettacolo è presto riassunto: un attentato lascia Berlusconi e Putin mezzi morti, ma un’équipe di chirurghi russi riesce a rammendare il cervello del leader italiano con quello che resta del cervello del collega, irrimediabilmente moribondo. Il risultato è prevedibile: un po’ di confusione mentale e una mezza amnesia, che obbliga un Berlusconi un po’ stranito a ristudiare – con l’aiuto della consorte – alcune delle teppe della sua resistibile ascesa. Sì, perché da sempre la satira non è solo risate: è anche informazione e memoria collettiva. Anche se poi, quando un potente finisce nel mirino di un maestro della satira, le battute e le gag non possono mancare. Per restituire il look del leader del Polo della Libertà (Provvisoria), Fo rispolvera il vecchio e infallibile trucco utilizzato a suo tempo (1975) nel Fanfani rapito (a proposito, la satira a volte è anche profezia, o quasi): grazie a un mimo nascosto dietro di lui che muove le braccia e a un paio di scarpe che indossa come guanti, sceso in una trincea che gli nasconde le gambe, Fo diventa un irresistibile «nano bicefalo», in un balletto esilarante e scatenato.
Dario Fo nel Fanfani rapito, 1975...
...e nell'Anomalo bicefalo, 2003 (foto di Paolo Ruffini).
La realtà e la satira continuano a inseguirsi, e nelle repliche lo spettacolo continua a modificarsi e arricchirsi. Dunque, piuttosto che rubarle o riassumerle, le battute e le gag è meglio godersele dal vivo (anche se la tournée, organizzata all’ultimo intorno a un testo nato e cresciuto all’impronta, per motivi di urgenza politica dopo l'Ubi Bas dello scorso anno, offre meno date del richiesto). Vale invece la pena di riflettere sulla struttura drammaturgica che Fo utilizza per trasformare in spettacolo quella che è poco più che una trovata da sketch comico. In scena per oltre due ore con la sola Franca Rame (più tre mimi-servi di scena), Fo continua infatti a entrare e uscire dal gioco teatrale con un mestiere tanto sapiente da risultare inavvertito.
Lo spettacolo vero e proprio è preceduto – al solito – da un prologo, con l’attore in proscenio a illustrare la genesi dello spettacolo e le sue ragioni; parallelamente, calato il sipario, Franca Rame e lo stesso Fo inviteranno a sostenere una delle loro campagne, in questo caso un ampliamento dell’impegno a favore degli handicappati cui hanno devoluto l’ammontare del Premio Nobel. Sono due situazioni di soglia, che guidano lo spettatore prima nello spettacolo e poi fuori da esso, in un passaggio «morbido». Al tempo stesso ribadiscono il legame tra la compagnia e il suo pubblico: un vincolo fatto di un sentire condiviso, ma (ormai) anche di storia comune: è una sorta di «riconoscersi» che trascende il singolo spettacolo ma rimanda all’intero impegno artistico e politico della coppia.
Dopo di che, lo spettacolo è costruito su un continuo slittamento tra tre coppie. Al cuore della finzione ci sono ovviamente Silvio e Veronica, cui tocca ricordare al consorte smemorato un discutibile passato fatto di amici mafiosi, P2, casalinghe e pensionati prestanome, paradisi fiscali). Poi il regista-attore e l’attrice che, nella finzione, stanno girando un film che ha per soggetto L’anomalo bicefalo. Infine gli stessi Dario Fo e Franca Rame, che continuano a entrare e uscire dalle parti con notazioni e commenti sullo spettacolo che stanno recitando, ma anche con informazioni personali («Il 24 giugno prossimo io e Dario festeggiamo 50 anni di matrimonio»). Sono tre livelli di realtà che si riverberano di continuo: la realtà privata della coppia di attori (che sono tuttavia personaggi pubblici, le cui vicende sono note agli spettatori; va anche aggiunto che molte delle gag – l’improvvisazione di Dario che spiazza Franca, scatenando il suo fou rire, e il successivo battibecco, oppure i commenti sulla loro vita coniugale – fanno ormai parte integrante dei soggetti della compagnia); i due attori al centro della fiction, lui antiberlusconiano, lei polista (prima clandestina e poi dichiarata), che devono interpretare l’improbabile pellicola; infine Veronica e Silvio, che sono finzione nella finzione al tempo stesso rimandano alla realtà esterna, al mondo reale della politica. A questi livelli di realtà corrispondono anche – in sintonia con il soggetto della pièce in quanto magnate del piccolo schermo – una serie di proiezioni televisive, sullo schermo che cala dall’alto a chiudere la scena davanti a un sipario dipinto: sono frammenti delle riprese del film che i due stanno interpretando (riprese in diretta e successivamente in una sorta di premontaggio), un brevissimo blob di trasmissioni Fininvest, un finto discorso parlamentare dell’«anomalo bicefalo», impersonato dal Fo «nanificato» ma inframmezzato dalle immagini di politici «veri»...
Fino al colpo di scena finale, quando in un effetto tipo Chorus Line dalla cabina di regia – dietro e oltre il pubblico – una voce fuori campo mette fine a una situazione che era diventata talmente intricata da diventare ingestibile. E’ un intervento chiaramente fittizio, e che mette fine a tutti i giochi della coppia, quelli veri e quelli recitati.
L’anomalo bicefalo
di Dario Fo
Con Dario Fo e Franca Rame
Milano, Teatro Strehler, e poi in tournée.
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