ateatro 90.45 Alienazione umana e sofferenza animale Sul progetto "La f@ttoria degli anormali" di Roberta Bartocci
Roberta Bartocci è biologa e collaboratrice della Lega Antivivisezione.
“Tutti gli animali sono uguali ma alcuni animali sono più uguali degli altri”, non è solo la più emblematica frase del romanzo di Orwell, ma sembra essere anche il parametro dell’approccio riduzionista della scienza attuale, quello che vede negli organismi viventi il mero prodotto di un insieme di geni.
L’animale uomo ha nel tempo utilizzato e asservito gli altri animali ed altri esseri viventi a sé, pensandoli in chiave di utilità e potenziale beneficio alla specie umana, mentre ciò che all’uomo non serve non ha senso di esistere. Homo sapiens esercita il suo potere controllando la vita degli altri animali rinchiudendoli in zoo, circhi, laboratori e allevamenti e sfruttandoli a suo piacimento; considerandoli cibo, abbigliamento, strumenti di ricerca scientifica o altro. Negli ultimi decenni questo controllo si è andato raffinando e specializzando, fino a giungere alla gestione della vita di animali e piante, arrivando a manipolare la loro essenza biologica: il materiale genetico.
Le applicazioni della manipolazione genetica hanno portato in certi casi ad indubbi vantaggi, come nel caso della produzione di insulina, non più estratta da animali, come un tempo, ma ora fatta produrre da microrganismi. In molte altre applicazioni invece, i vantaggi ottenuti sono solo in termini di profitto per pochi ed ottenuti con l’elevatissimo prezzo della sofferenza e morte di esseri senzienti.
La manipolazione genetica consiste nel modificare l’informazione che stabilisce le caratteristiche di ogni organismo vivente attraverso l’eliminazione, l’aggiunta o lo scambio di geni, le unità funzionali del materiale genetico.
Si possono così produrre topi diabetici e ratti obesi, per lo studio di diabete e obesità umane; oppure suini con modifiche che consentirebbero di creare fabbriche di organi per i trapianti umani. Ratti e topi, molti dei quali geneticamente modificati, sono gli animali più utilizzati nella ricerca, considerati come “modelli sperimentali” dell’uomo, data la loro somiglianza genetica con esso. In realtà questi animali sono così diffusamente impiegati (ca 90% del totale delle specie) perché maneggevoli, data la loro piccola taglia; poco costosi, rispetto a cani e scimmie per esempio; estremamente prolifici, cosa che consente di lavorare più velocemente, producendo un buon numero di pubblicazioni in tempi relativamente brevi e quindi facendo carriera piuttosto rapidamente; infine, topi e ratti non godono della simpatia dell’opinione pubblica, il che affranca i ricercatori da eventuali scrupoli di tipo etico nella loro utilizzazione.
Quando non si interviene in modo così invasivo sull’organismo vivente, ovvero manipolandone i suoi geni, si operano delle selezioni per ottenere questo o quell’altro carattere desiderato. Con la selezione genetica Homo sapiens si sostituisce alla natura operando una pressione selettiva artificiale in una direzione voluta, all’interno di un ambiente confinato e controllato. Con questa tecnica sono stati ottenuti diversi “prodotti”: dai polli e tacchini dal petto gigante, pensato per soddisfare le tasche degli avicoltori e la gola dei consumatori, alle abnormi produzioni di latte da parte di mucche selezionate che arrivano a produrre fino a 60 litri al giorno quando in natura produrrebbero appena un terzo di questa quantità, alle galline selezionate per non produrre penne, in modo tale che tutte le proteine risparmiate siano impiegate nella produzione di uova, ai pulcini maschi caratterizzati da una particolare forma dell’ala per essere distinguibili dalle femmine appena dopo la schiusa. In natura non ci sarebbe spazio per questi animali: polli e tacchini dal petto gigante non è raro che abbiano le zampe spezzate dal loro stesso peso innaturalmente distribuito nella parte anteriore del corpo che non consente loro neanche di accoppiarsi; in natura le mucche, così come tutti gli altri mammiferi, produrrebbero solo la quantità di latte necessaria al fabbisogno del cucciolo e comunque solo al momento del parto, mentre all’interno di un allevamento la loro lattazione è stimolata e sfruttata al massimo per destinare il latte al consumo umano, mentre i vitellini vengono prematuramente separati dalla loro mamma, nutriti e ingrassati con pasti artificiali e mandati al macello ancora cuccioli; i pulcini maschi delle galline ovaiole, considerati inadatti alla produzione di carne, devono essere buttati via, ma appena sgusciati maschi e femmine sono irriconoscibili. Alcuni scienziati hanno quindi introdotto una mutazione genetica che rende i maschi di gallina ovaiola distinguibili dalle femmine per una tipica forma delle ali: in questo modo è possibile separare maschi e femmine alla nascita, inviando le ultime agli allevamenti per la produzione di uova mentre i primi vengono praticamente frullati vivi appena dopo la schiusa e poi smaltiti.
Solo in Italia, ogni anno, vengono uccisi a scopo di ricerca circa un milione di animali, mentre è nell’ordine dei miliardi il numero di quelli uccisi a scopo alimentare (ca 600 milioni di animali terrestri, alcuni miliardi quelli acquatici). Mentre nei paesi industrializzati si mira all’incremento della produttività negli allevamenti intensivi, nei paesi poveri centinaia di milioni di persone soffrono la fame: buona parte dei raccolti viene destinata all’alimentazione degli animali allevati in occidente anziché sfamare le popolazioni locali. Mentre si cerca di produrre il modello animale che riproduca più fedelmente una patologia umana, ma che ad essa non potrà mai essere uguale, non fanno che aumentare i decessi per cancro e malattie cardiovascolari, più facilmente arginabili con adeguati programmi di prevenzione. Alienazione umana e sofferenza animale vanno di pari passo.
Allevamenti intensivi e laboratori di ricerca sono luoghi asettici e gli animali ivi ospitati, sono progettati per vivere all’interno di essi, e solo all’interno di essi, resi inetti alla loro natura, impossibilitati a vivere liberi anche se potessero. La logica riduzionista ignora che un organismo sia il complesso risultato tra geni e ambiente, per non parlare poi della sfera psichica di ogni singolo individuo, ed è la palestra ideale dell’ approccio positivista dell’uomo occidentale, ovvero della convinzione che esso debba e sia assolutamente in grado di dominare la natura.
Lo slogan orwelliano, con la sua grottesca contraddittorietà, se sganciato dalla sua originaria accezione socio – politica e riconsiderato in chiave bioetica, diviene un’inquietante paradigma del quotidiano sfruttamento degli animali nei laboratori di vivisezione e negli allevamenti: si considerano gli animali non umani a noi uguali quando si tratta di impiegarli come strumenti di ricerca da cui ottenere benefici per la salute umana, e invece diversi, ovvero “inferiori” all’uomo e in quanto tali incapaci di soffrire e indegni di rispetto, quando li si considera cibo o quando si tratta di attribuire loro dei diritti.
Il controllo genetico degli animali, inteso sia come manipolazione del loro materiale genetico che come selezione di caratteri per l’ottenimento di benefici umani, è il più fine ed elaborato dei maltrattamenti, che richiede competenze specifiche da parte di chi lo opera e che viene consumato nel segreto di laboratori e allevamenti. E’ l’apice del dominio sulla natura da parte dell’uomo, il quale tiene in mano la vita di altri esseri progettandola e modificandola come egli crede e fa parte integrante di una società in cui l’alienazione è un normale modo di essere, in cui non c’è spazio per i non umani se non pensati e progettati in chiave antropomorfica e o antropocentrica. Esso celebra il trionfo dell’omologazione e dell’appiattimento, annullando ciò che è alla base della vita: la diversità, sulla quale si giocano invece i meccanismi dell’evoluzione, e così si esorcizza la paura del diverso, nella fattispecie, l’animale non umano.
Mohandas Gandhi suggeriva: “sii il cambiamento che vuoi vedere nella società”. Facendo tesoro delle parole di un uomo eccezionale e tenendo conto del fatto che l’opinione pubblica ha più volte manifestato il proprio dissenso nei confronti della manipolazione genetica degli animali, ogni cittadino che dissenta dallo sfruttamento di essere senzienti può cercare di cambiare le cose attraverso le proprie scelte, dagli acquisti in profumeria o al supermercato alla riconsiderazione della scienza cui andrebbe restituito il suo vero ruolo. Ad essa infatti non si deve chiedere ciò che non può e non deve dare e che invece ci si illude che possa fornire: attraverso di essa si producono informazioni che sono l’interpretazione di fenomeni naturali, non si ottengono verità assolute, come nel caso della religione. Il fatto di chiedere alla scienza di produrre verità assolute conferisce a quegli scienziati che oliano tale meccanismo un grande potere e l’impiego di animali come strumenti di ricerca ed il loro controllo genetico sono figli di questa logica scientista più che scientifica. Iniziando col riconsiderare il significato della vera scienza ed il suo ruolo nella società e scegliendo consapevolmente ciò che si indossa o si mangia, è possibile davvero incarnare il cambiamento che si vorrebbe vedere nella società.
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© copyright ateatro 2001, 2010
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