ateatro 76.15
Le dimissioni di Carriglio e il futuro degli Stabili
I postumi del dossier di "Hystrio"
di Mimma Gallina
 

Come annunciato dalle news di ateatro, qualche giorno fa Pietro Carriglio si è dimesso da sovrintendente del Teatro Massimo, la fondazione lirica di Palermo.
Tutti i giornali riferiscono delle agitazioni sindacali interne ai diversi settori del teatro (che non è detto siano sempre prova di cattiva gestione). «Avvenire» riporta alcuni passaggi della lettera di dimissioni in cui Carriglio ringrazia «tutti, per i lavoro comune che anche con sacrifici ha raggiunto l’obiettivo prefissato del pareggio di bilancio e della sottoscrizione del mutuo».
«l’Unità» parla invece di incompetenza e conflittualità (con riferimento alla contestuale direzione del Biondo, lo stabile pubblico palermitano) e precisa: «Se i passivi salivano non ha mancato di scaricarne la colpa sulla precedente gestione di centro sinistra, collezionando due querele dall’ex sovrintendente Francesco Giambrone e da Leoluca Orlando». Prendiamo atto che ancora una volta l’aritmetica in teatro è un’opinione (ricordate il caso Martone?).
Gli elementi per analizzare la decisione restano scarsi e ambigui. Un dato però resta certo. La somma delle due cariche – la direzione dello Stabile e la sovrintendenza dell’Ente Lirico – si è rivelata di fatto impraticabile. Non sappiamo in quale misura abbia determinato le dimissioni, ma la sostanza è che Carriglio non ce l’ha fatta a gestire i due enti se non per pochi mesi, e ora il sindaco Diego Cammarata si trova a dover scegliere un altro sovrintendente, il terzo dall’agosto 2002, e la politica culturale della metropoli siciliana non ci fa proprio una bella figura.
Va precisato che la doppia carica non è incompatibile sul piano formale (il Ministero raccomanda infatti l’esclusiva per la direzione di uno stabile rispetto ad altre realtà di prosa sovvenzionate), ma lo è su quello della logica: sembra ovvio che tale incompatibilità – legata anche all’impegno necessario a mandare avanti organismi di questa dimensione – si debba considerare estesa anche a soggetti musicali, almeno quelli del livello di una fondazione lirica. Ma la logica, si sa, viene raramente applicata quando si effettuano o accettano nomine di una qualche rilevanza, che si tratti di Commissione Europea o di spettacolo.
Questa anomalia era già stata denunciata nell’articolo dedicato a Palermo nella seconda puntata del dossier Retroscena di «Hystrio» (n. 2/2004)., quella dedicata agli Stabili, in parte ripresa da ateatro 67. Per quell’articolo, intitolato Carriglio: oltre il Massimo consentito, il Maestro ha querelato «Hystrio» e l’autrice (Simonetta Trovato). Potete trovare ampi stralci della querela sul n. 4 della rivista, uscito di recente.
Nello stesso numero potete trovare anche una lettera alla rivista di Luca De Fusco, direttore del Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni, nonché presidente dell’Associazione dei Teatri Stabili, molto risentito dall’articolo apparso sul n. 3/2004 di «Hystrio», questa volta a firma della sottoscritta, in cui si criticava proprio questa nomina.
De Fusco considera le mie critiche poco serene e documentate, ancorate alle categorie di destra e sinistra, e si sente attaccato in quanto considerato direttore di destra (mentre ha perfino prodotto spettacoli con Besson). Ci invita inoltre a occuparci dei teatri stabili «con maggior serietà e spirito analitico». Insomma, con la stessa sensibilità e responsabilità con cui i direttori degli stessi mandano avanti «le strutture basilari della prosa italiana in uno dei momenti più difficili della sua storia».
Può darsi – non escludo – di avere qualche schema mentale antiquato, qualche residuo di ideologia e di considerarmi «di sinistra». Ma se De Fusco avesse letto con più attenzione i dossier (di cui l’articolo che lo riguardava era una coda), non credo proprio che il direttore dello Stabile del Veneto potrebbe accusarci di essere poco analitici: se esiste una analisi sullo stato del teatro italiano altrettanto ampia di quella pubblicata su «Hystrio» (2004, numeri 1/2/3), negli ultimi anni almeno, io non la conosco.
Penso che la verità sia un’altra: chi critica gli stabili si aspetta da loro molto di più dello sforzo, magari encomiabile, di mandare avanti la baracca. Si attende un salto di qualità all’altezza, appunto, dei tempi bui che vede anche De Fusco. E’ per un eccesso di generosità che siamo forse un po’ troppo irruenti: proprio questo atteggiamento dovrebbero apprezzare i direttori degli stabili e i loro presidenti e consiglieri.
De Fusco probabilmente non lo sa, ma credo lo sappia il suo vice all’Antad nonché direttore del Teatro di Genova, Carlo Repetti: tra i maggiori estimatori dell’analisi e delle critiche sugli stabili – non molto diverse da quelle di «Hystrio» – del mio libro Organizzare teatro c’era (con mia grande sorpresa e piacere, per telefono e per iscritto) proprio Ivo Chiesa. Mi cito (e mi scuso di questo) e lo nomino anche per invitare chi è guida oggi gli stabili a considerasi con discrezione interprete del pensiero dei padri fondatori (a cominciare da Grassi e Strehler). Forse un pensiero nuovo, una convinzione rinnovata e che rinnovi i teatri stabili deve fare i conti con critiche come le nostre e con quello che c’è oltre gli stabili. Forse loro – i padri – lo avrebbero capito.


Ho pensato che questa foto potesse offrire una suggestione alla riflessione sugli Stabili.
Così colgo l’occasione per invitare, almeno i milanesi, a non perdere la mostra di Anselm Kiefer alla Bicocca.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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