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Dossier Ivrea 1967 "Mettere in causa il teatro in quanto tale": alcune note su Ivrea 1967
Dall'introduzione al volume
di Francesco Bono
 

“Ciò che oggi è messo in causa è semplicemente il Teatro in quanto tale”
Edoardo Fadini, Convegno per un Nuovo Teatro, Ivrea, 1967



A Ivrea nel 1967 fu promosso il “Convegno per un Nuovo Teatro”. Nel Manifesto, pubblicato nel novembre del 1966 sulla rivista “Sipario”, si affermava che ”ci si possa servire del teatro per insinuare dubbi, per rompere delle prospettive, per togliere delle maschere, per mettere in moto qualche pensiero”: era questa la necessità del teatro in quel mondo in trasformazione, così mutevole, così sollecitato dalle inquietudini del proprio tempo. In un periodo in cui l'antagonismo sociale e politico, la cosiddetta lotta di classe, raggiunse nel nostro Paese i livelli più alti di conflittualità in Europa, il teatro di sperimentazione giocò un ruolo importante e vide nascere l'avanguardia più vitale del mondo, così poliedrica e dinamica da creare degli opposti estremismi tra tendenze teatrali poi dissolte in una deriva senza orbita.

L’importanza del Convegno di Ivrea del ‘67 è da tutti riconosciuta in quanto punto di partenza e di incontro tra i maggiori protagonisti di quello che diventerà poi il periodo di grande celebrità del Nuovo Teatro italiano nel mondo. La sua rilevanza è sottolineata non solo dagli importanti nomi di coloro che allora firmarono il manifesto o che parteciparono ai dibattiti, ma anche dal giudizio unanime di storici del teatro, critici, attori, registi che indicano il Convegno eporediese come un fondamentale momento di confronto e stimolo tra le diverse idee e correnti del Nuovo Teatro.
Non bisogna dimenticare che, nel periodo precedente a Ivrea, il linguaggio teatrale italiano era rimasto sostanzialmente lo stesso, fermo, immobile e immutato, dal tempo delle avanguardie storiche al ’67, per circa cinquant’anni. Scrive Silvana Sinisi:

“Il ’67 è un anno chiave nella storia dell’avanguardia che avverte l’esigenza di verificare le proprie forze, dandosi convegno a Ivrea per dibattere i problemi e rivendicare una propria identità nei confronti del teatro ufficiale. L’iniziativa, varata grazie alle sovvenzioni del Centro Culturale Olivetti, non condurrà ad una piattaforma programmatica o all’enunciazione di un comune progetto di ricerca, di fatto impraticabili data la forte differenziazione dei gruppi, ma costituirà piuttosto un’utile occasione di confronto, sancendo la presa d’atto di un fenomeno in espansione che aspira a conquistare un suo spazio e un riconoscimento finora in gran parte negato”. (Silvana Sinisi, Neoavanguardia e postavanguardia in Italia, in Alonge R., Davico Bonino G. (a cura di) Storia del teatro moderno e contemporaneo, vol. III, Einaudi,Torino, 2001)

Sottolinea Dario Fo:

“Quel convegno è stato il punto di partenza, a Ivrea ci siamo incontrati per la prima volta e abbiamo parlato insieme, abbiamo verificato le opposte dimensioni, abbiamo fatto discorsi in pubblico completamente diversi e poi ci siamo confrontati. E’ stato importante. E’ stata la prima volta che si è parlato di teatro d’avanguardia”. (Intervista di Lorenzo Mango e Alfredo Tradardi a Dario Fo del 20/7/1986, in occasione della preparazione del Convegno “Memorie e utopie” di Ivrea del 1987, documentazione inedita e riservata, per gentile concessione dell’associazione ITACA.)

Ma nonostante questo suo ruolo da protagonista nella storia del teatro italiano del Novecento, pochissime sono le informazioni che si riescono a reperire al riguardo. Molti libri di storia del teatro lo indicano, lo giudicano importante, ma paradossalmente nessuno ne parla per più di una manciata di righe, come il saggio della Sinisi sopra citato. Né esiste alcuna pubblicazione monografica sul Convegno: salvo alcuni articoli sulle riviste specializzate di quel periodo, manca completamente una documentazione su di esso. Questo perché nei mesi e negli anni successivi all’incontro, non fu mai svolto un adeguato lavoro di trascrizione e archiviazione dei materiali e delle registrazioni dei dibattiti, lasciando che il tutto cadesse nell’oblìo. Dice, al riguardo, Antonio Calenda:

“La mancanza di storiografia su quel periodo del teatro di ricerca colpisce molto e fa male, perché allora fare queste cose era un gesto autenticamente rivoluzionario.” (Intervista di Lorenzo Mango e Alfredo Tradardi ad Antonio Calenda del 30/7/1986, in occasione della preparazione del Convegno “Memorie e utopie” di Ivrea del 1987, documentazione inedita e riservata, per gentile concessione dell’associazione ITACA)

Eppure gli argomenti portati ed energicamente dibattuti durante il Convegno eporediese diventarono poi le fondamenta su cui si costruì tutto il teatro di sperimentazione e avanguardia degli anni Settanta e in parte anche Ottanta, e molti di essi rimangono di grande attualità ancora oggi. Si tratta di argomenti tecnici, sia teorici sia pratici, che sono alla base del linguaggio teatrale contemporaneo.
La frase di Edoardo Fadini “Ciò che oggi è messo in discussione è semplicemente il Teatro in quanto tale” rappresenta il simbolo di quello che fu il cuore del Convegno: una radicale messa in discussione di tutti gli elementi essenziali del Teatro. Furono rivoluzionati i concetti tradizionali di testo teatrale, regia, figura e ruolo dell’attore, luogo teatrale, pubblico.
Punto focale della questione, e primo argomento di opposizione del Nuovo Teatro nei confronti del teatro tradizionale e di regia, è la contrapposizione tra il testo scritto “d’autore” e lo spettacolo nelle sua realizzazione completa. Si oppone cioè il “copione scritto dall’autore nella solitudine della sua stanzetta” al “testo spettacolare”, che è quell’insieme di parole, azioni, movimenti, effetti, a cui partecipano coralmente scenografi, registi, fonici, attori e di cui il testo scritto è solo una delle diverse componenti, né più né meno importante delle altre. Lo spettacolo non viene più inteso come la messa in scena di un copione da parte degli attori, sotto la supervisione di un regista che si fa garante del testo autoriale, bensì come la creazione di un nuovo testo complessivo pluricomposto.
Partendo da quest’acquisizione, assume un’enorme importanza l’idea della collettività del gruppo: il teatro è opera di gruppo a responsabilità collettiva. E’ questa una teorizzazione fortemente condizionata da due fattori: da una parte, il clima ideologico-politico nazionale che si andava creando al tempo; dall’altra, lo stimolo delle maggiori esperienze estere - e in particolare il Living Theatre - in cui il teatro di gruppo portava alla creazione di nuove estetiche indipendenti dal dominio del testo.
Contemporaneamente, all’interno dello stesso Nuovo Teatro le maggiori differenze, i contrasti più duri, dai quali nascerà lo scontro dell’ultima sera, si verificano tra coloro che idealizzano l’esigenza di un teatro di contenuto e coloro che invece teorizzano il teatro come estetica: emergono qui, in tutta la loro inconciliabilità, le divergenze tra i sostenitori di un teatro di impegno che sacrifichi i modi in nome dei fini, siano essi ideologici, educativi, politici o sociali, e gli assertori di un teatro che privilegi esclusivamente la bellezza estetica e l’artisticità della rappresentazione.
E come cambia l’idea di teatro e di spettacolo, muta anche l’idea di pubblico. Bisogna rifiutare il pubblico tradizionale borghese mentalmente pigro, che cerca nel teatro solo un momento di svago e non è disposto a riflettere su ciò che vede, a ricevere novità e provocazioni. E’ necessario puntare su un nuovo pubblico, composto da ceti operai e contadini, e dalla generazione giovane, che, in quegli anni, si caratterizza per una preparazione culturale media nettamente superiore al passato, e per la sua disponibilità e ricettività nei confronti delle novità in ogni campo della cultura. Questo nuovo pubblico va ricercato al di fuori dei circuiti tradizionali: nei circoli culturali o del dopo lavoro, nelle Università, nei “Piper”, nelle piazze, nei piccoli centri urbani o di periferia industriale, nei paesini rurali. Assumono dunque un ruolo essenziale, ai fini del discorso scenico, gli ambienti, le località, le sale e gli spettatori presso i quali si forma lo spettacolo. Al riguardo, si verifica anche un’ulteriore contrapposizione tra chi sottolinea l’importanza del pubblico delle periferie urbane, per motivi ideologici che puntano a un teatro politico legato ai movimenti operai, e chi invece sostiene la centralità dei piccoli centri rurali, delle piazze e dei paesi, dove si punta a realizzare l’esperienza mistica del coinvolgimento totale della e nella comunità.
Opporsi ai circuiti tradizionali significa rifiutare i teatri stabili, portatori di quella tradizione e quel bigottismo indisponibile alle innovazioni: il Nuovo Teatro aborre quel sistema ormai stantìo di distribuzione degli spettacoli, soffocato dalle ingerenze politiche e dominato dalle esigenze commerciali legate alla domanda del pubblico, tipicamente borghese, che costituisce l’esercito degli abbonati. E’ necessario trovare altri luoghi dove realizzare l’azione drammatica, cantine, circoli, capannoni, fabbriche, edifici abbandonati, e organizzarli in circuiti indipendenti, cooperative o cartelli, che permettano agli spettacoli di circolare rivolgendosi a un pubblico differenziato, per farsi vedere, farsi conoscere, comunicare il proprio messaggio e confrontarsi.
Parallelamente, viene riconosciuta l’importanza di favorire un’ampia libertà di frantumazione e profanazione del luogo teatrale, al fine di poter far venire in luce quegli elementi costitutivi fondamentali che sono la base stessa del Teatro. E si sottolinea, inoltre, l’esigenza di ripensare radicalmente il rapporto che l’azione drammatica stabilisce tra platea e palcoscenico, tra interprete e pubblico, con l’obiettivo di realizzare la completa eliminazione di ogni diaframma tra attore e spettatore e arrivare al completo e totale coinvolgimento del pubblico nel processo di creazione del “testo spettacolare”.
Questi furono i principali argomenti attorno a cui si svilupparono i dibattiti durante i tre giorni del Convegno per un Nuovo Teatro del 1967, e che condizionarono profondamente il linguaggio teatrale per tutti gli anni successivi, fino ai giorni nostri. Certo, a Ivrea si incontrarono e si scontrarono posizioni divergenti, spesso opposte, idee e ideali che poi il tempo ha dichiarato giusti o sbagliati. Ma non ci furono né vincitori né vinti. Tutti coloro che parteciparono portarono lì le loro esperienze, i progetti, i sogni, le speranze, con la volontà di dare il proprio contributo a un radicale rinnovamento del Teatro. Rinnovamento che a tutt’oggi, tra rivoluzioni dimenticate e utopie realizzate, non si è ancora completamente avverato.


 
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