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IV. Il Patalogo visto dagli autori

 

Per indagare lo specifico del Patalogo, le caratteristiche che lo differenziano dagli altri annuari, è utile ora ricorrere alle considerazioni dei collaboratori, riunite nel numero del ventennale, uscito nel 1997. Attraverso questi contributi si potrà più agevolmente entrare all'interno di questo strumento di lavoro e ricavarne i tratti dominanti. Franco Quadri, ideatore e padre del Patalogo, scrive:

 

In armonia con le leggi della patafisica, è stato sempre il caso a sovrintendere ai destini del Patalogo - ma sia chiaro non del suo progetto - ogni anno incerto fino all'ultimo circa la sua fattibilità, non per snobismo né per scaramanzia. (…) Io sognavo da tempo una pubblicazione che permettesse di dialogare tra loro alle più diverse forme di spettacolo, s'intende nei limiti del possibile, perché rispondeva a un interesse preciso di critico, quello delle associazioni e dei richiami che consentono di fissare le linee di tendenza in atto e analizzandole di trovare un senso a una creatività che chiusa nei limiti dell'espressione teatrale mi andava stretta, si marginalizzava, rischiava l'isolamento dalle cose.[1]

 

Con queste parole sono denunciate la parzialità e l'inadeguatezza di un approccio a “compartimenti stagni”, ed è affermata l'esigenza di costruire uno strumento in grado di collegare tra loro i diversi settori del mondo dello spettacolo. Solamente con le associazioni e con i richiami è possibile fissare le linee di tendenza in atto. E' dunque l'interdisciplinarietà, la comunicazione tra le varie forme che assumono le arti dello spettacolo a caratterizzare la nascita del Patalogo. Questo assunto viene ribadito anche da Luigi Sponzilli:

 

Era in realtà (…) un 'progetto'. Un progetto culturale voglio dire - per usare la più semplice e banale delle definizioni. Perché nella progressiva caduta di tutti i punti di riferimento a cui in quegli anni assistevamo, il Patalogo fece di tale assenza il suo punto di partenza. Azzerando e reinventando, insegnò a 'muoversi' liberamente nel tempo e nello spazio, a viaggiare col corpo e col pensiero, per andare a cercare le cose là dove si producevano, per andare a scovare un senso là dove nessuno avrebbe pensato di trovarne, anche a rischio della contraddizione, correndo il pericolo di mescolare l'alto e il basso. Con la costante coscienza dell'inevitabile incompletezza.[2]

 

La progettualità del Patalogo è qui riaffermata, e viene messa in collegamento con altri due elementi: la libertà di movimento e la mescolanza. E' sottolineata la valenza dell'operazione come libera ricerca di punti di connessione, di legami, o "snodi" significativi. Questi elementi sono introdotti anche da Elena De Angeli, che mette in evidenza alcune altre caratteristiche dell'Annuario:

 

Strumento insostituibile (anche perché unico), lo si è consultato spesso, in questi anni, il Patalogo. Per cercare una data, una notizia, un nome, per verificare un ricordo. […] Certo, accadeva quasi sempre, sfogliando, di soffermarsi su altro, di essere attratti da un'immagine o incuriositi, e indotti alla rilettura, da qualche riga colta a caso e all'improvviso folgorante. Non ne veniva però alterato il senso del gesto: l'uso del Patalogo nell'esercizio delle sue funzioni.[3]

 

La natura del Patalogo è definita con chiarezza: da una parte strumento di lavoro, con utilizzo mirato e circostanziato (si va a leggerlo per fugare un dubbio, o per ricercare un dato) e dall'altra "suggeritore" di percorsi e di suggestioni. Stimolatore di curiosità. Guida alla lettura. Ritornano dunque le associazioni cui si è accennato poco sopra. Ettore Capriolo ritorna su queste considerazioni e le amplifica, descrivendo i pericoli conseguenti alla (ventilata) chiusura del Patalogo[4]:

 

Il rischio è che, dall'anno prossimo, della stagione teatrale appena conclusa non restino che ricordi, inevitabilmente labili, o ritagli, inevitabilmente ingialliti; non una guida, sia pur faziosa e qua e là provocatoria, di ciò che di più rilevante è accaduto. […] Il Patalogo ha realizzato la difficile impresa di mettere insieme articoli di approfondimento e pagine, quasi sempre antologiche, che ci ricordano in quali contesti […] può svolgersi la vita del teatro, soprattutto in Italia.

 

E' ancora sottolineata la funzione di guida, di "vademecum" della stagione, che mette in evidenza il contesto in cui questa si può realizzare. Ma Capriolo apre ad un’altra caratteristica peculiare del Patalogo: parlando di pagine quasi sempre antologiche, unite agli articoli di approfondimento, sembra alludere a una distribuzione e impaginazione dei materiali che agevola un discorso unitario, traccia un percorso, segue un criterio narrativo, svolge gli eventi della stagione teatrale in un “racconto”.

 

Nelle considerazioni preliminari al "MetaPatalogo"[5], Renata Molinari, raccontando la metodologia di lavoro della redazione, torna sugli elementi narrativi dell’Annuario:

 

Ad avere il programma giusto […] si potrebbe seguire la vicenda di un regista, forse di un attore, di uno spettacolo attraverso gli anni, ma non si racconterebbe la stagione.[6]

 

Il punto centrale di queste parole è l'idea di "racconto della stagione". Quello che interessa - sembra dire l'autrice - non sono tanto i dati di per se stessi, ma il fatto che questi dati siano organizzati in un racconto. Mettendo in evidenza la sua forma “narrativa”, si può allora guardare al Patalogo non più semplicemente come progetto, oppure come guida della stagione, ma come testimonianza narrativa di un periodo di teatro. In quest'ottica, il Patalogo viene ad assumere una valenza diversa rispetto agli altri annuari. Secondo quest’interpretazione, l’Annuario si può ricondurre alle forme di racconto del teatro cui si è accennato poco sopra.

Ma intendere il Patalogo come "racconto di una stagione teatrale" significa ammettere una serie di altre implicazioni. Il passaggio dal documento al racconto modifica evidentemente l'operazione e il progetto che le sta dietro. Per raccontare un evento è necessario operare delle scelte a scapito di altre. In ambito narrativo fondamentale diviene il punto di vista, il disegno che il narrante persegue nel suo dire. Si presuppone una figura di autore che sostituisce quella del compilatore, i dati non sono più enumerati in forma neutra, ma assumono importanza proprio dal loro essere collegati da un filo narrativo che li attraversa, li giustappone, e li scarta quando non sono essenziali al racconto. Nelle poche righe citate il criterio dell'esaustività non è rigettato, ma viene subordinato a quello della narrazione. Renata Molinari poi prosegue:

 

Il lavoro del Patalogo è un lavoro in 'tempo reale', in fondo, più che un Annuario, è una guida alla stagione: un modo teatrale di organizzarne la visione.[7]

 

Qui viene compiuto un ulteriore passaggio: torna il concetto di guida alla stagione, ma l’attenzione è rivolta a come questa guida è organizzata: attraverso un modo teatrale. Questo sintagma conduce al concetto di drammaturgia, come “scrittura seconda”, che lavora su tagli, interpolazioni, contaminazioni di testi [...], su materiali verbali di provenienza eterogenea. Il modo teatrale che sottende l’organizzazione dei dati e degli argomenti, attribuito al Patalogo, accosta questo annuario a una drammaturgia, cioè a quella "scrittura seconda" che rielabora, organizza i materiali in vista di uno spettacolo teatrale, raggruppandoli in "snodi", "stazioni" che permettano all'azione scenica di manifestarsi. In questo senso nel caso del Patalogo più che di "racconto" è allora opportuno parlare di "drammaturgia” di una stagione, ovvero di una stagione teatrale “narrata drammaturgicamente”, per "aree" omogenee, secondo "snodi" cruciali che la caratterizzano e la oppongono alle precedenti e alle successive. Questo particolare tipo di scrittura dà luogo ad una sorta di "impaginazione" della stagione secondo delle linee significanti, delle "zone" privilegiate attorno alle quali ruotano tutti i materiali raccolti. Anche gli elementi grafici, le immagini, i caratteri tipografici sono utilizzati a tal fine, come si vedrà poi nello specifico dell’analisi.

 



[1] Cfr. Franco Quadri, “La lunga avventura del libro del caso”, in: il Patalogo 20, p. 219.

[2] Cfr. Luigi Sponzilli, “La fine dell'adolescenza”, in: il Patalogo 20, p. 223.

[3] Cfr. Elena De Angeli, “Contributo per un indice analitico”, in: il Patalogo 20, p. 232.

[4] Cfr. Ettore Capriolo, “L'orgoglio di amare il teatro”, in: il Patalogo 20, p. 237.

[5] Si tratta di un percorso "attraverso i primi diciannove numeri del Patalogo", grazie al quale è possibile organizzare i materiali, sia verticalmente numero per numero, sia orizzontalmente accostando le diverse sezioni - gli spettacoli dell'anno, gli speciali, lo spazio, il gesto, la parola, gli autori ecc. -  e creando quindi un confronto tra le diverse annate. In questo senso l’indice sviluppa anche un racconto, o meglio - appunto - un "metaracconto" che dà conto delle evoluzioni, dei passaggi cruciali, degli snodi essenziali in un periodo lungo come vent'anni. Anche questo strumento - pur nella sua necessaria schematicità - può essere utile per la consultazione, fornendo suggestioni e spronando il lettore a ricercare nel labirinto del Patalogo una sua corsia di interesse trasversale agli anni.

[6] Cfr. Renata Molinari, “Patalogato a mano”, in: il Patalogo 20, p. 255.

[7]Cfr. Renata Molinari, “Patalogato a mano”,cit., p.256.


 
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