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NUOVO TEATRO |
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Intellettuali italiani
ovvero
Tutti gli altri ne han trentuno
25 26 27 28 24 10 11 12 13 29 23 9 2 3 14 30 22 8 1 4 15 31 21 7 6 5 16 0 20 19 18 17 Questo testo è stato scritto qualche tempo dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi e delle destre (e pubblicato in una versione leggermente ridotta sul "manifesto" il 7 gennaio 1995).
Molti di questi personaggi (per non dire tutti) dovrebbero essere ancora in circolazione. Vi sarei grato se poteste darmi loro notizie.
Uno ha lasciato all’improvviso il partito in cui aveva militato per venticinque anni. Ha partecipato ai congressi inaugurali di sette formazioni politiche, nate in un periodo particolarmente convulso. Tre di questi nuovi partiti li ha abbandonati perché si sono sciolti nel giro di pochi mesi. Da altri tre ha rassegnato le dimissioni per divergenze sulla linea politica. Dal settimo è stato espulso. È impegnato nella stesura di un manifesto: il programma del movimento politico che raccoglierà tutte le forze di opposizione. Dice che questa volta non può fallire, perché è l’ultima chance.
Due si è ritirato a vita privata dopo aver divorziato dalla seconda moglie. Ha ottenuto di poter tenere con sé i due bambini, di sette e cinque anni. Ha smesso di scrivere, non parla più alla radio, lascia cadere gli inviti ai dibattiti. In silenzio, si è impegnato in un’attività di volontariato, cui si dedica con enormi sacrifici.
Tre si è votata per anni a una battaglia di grande impegno civile ma impopolare. Fino a ieri l’ha combattuta con le bandiere dell’opposizione. Ora continua a sostenere la stessa causa sotto le insegne governative. Gli alleati di ieri sono diventati gli avversari di oggi. Lei li attacca quotidianamente senza pietà. Loro la insultano. Lei si sente ferita.
Quattro non si chiede più se ci crede o se non ci crede. Sono state le idee di tutta la sua vita e non vede perché dovrebbe cambiarle proprio ora, quando il nemico appare così perverso, disonesto e prepotente con i deboli. È membro di un partito dell’opposizione, sa che alle prossime elezioni almeno dieci suoi connazionali su cento lo voteranno. Con l’imminente crisi sociale potrebbero essere molti di più, quindici o addirittura venti su cento. Forse il suo partito diventerà il primo dell’opposizione.
Cinque lavora in una televisione filogovernativa. È frustrato, piegato dai sensi di colpa. Si sfoga con gli amici, soprattutto con quelli che avevano partecipato con lui alle lotte dell’opposizione. Lo ammette: prova disgusto per quello che gli capita di vedere, e a volte anche di fare (fortunatamente di rado, perché c’è sempre qualcuno che si offre per le imprese meno nobili). Il suo stipendio è buono, un altro posto di giornalista non lo troverebbe. Odia il suo direttore. Di recente, in una trasmissione di seconda serata, è riuscito piazzargli un servizio politicamente corretto. Ne è stato due volte orgoglioso. Nel tempo libero si occupa di fumetti.
Sei è convinto che il governo sia una banda di gangster. Vuole denunciarli tutti ma non sa come fare. Spera nei giudici, nei giornalisti, nei preti. Ripete spesso, con Pasolini, "Io so...". Non riesce a scacciare i fantasmi. Sta componendo il suo capolavoro.
Sette continua a pensare che esista nel paese una libera società intellettuale che non ha ceduto al fascino dei mass media, composta da pochi eletti che raramente si conoscono fra loro, dispersi nelle varie città, isolati proprio a causa della serietà del loro lavoro. Allora, instancabile, promuove esordienti, fonda riviste, raduna comitati, indice incontri, organizza presentazioni. Soprattutto, calibra inviti a cena. Per esempio: lo scrittore famoso negli anni Sessanta, il giovane regista che ha fatto un film così poetico e così violento, la fotografa non-solo-di-moda, la coppia di giornalisti, lo scultore di notorietà internazionale, l’amica specializzata in batik indonesiani. Mai più di dieci. Nei suoi articoli per una rivista di cultura, ricostruisce la storia di un’idea, di una metafora, di una tendenza con la pazienza di un’archeologa. Scopre che la loro diffusione è basata sull’incontro personale: il passaparola, l’affinità elettiva, la semplice amicizia, il legame amoroso. Per un piccolo editore, ha raccolto in un volume dal titolo Accostamenti le ricette delle sue cene più riuscite, con brandelli di conversazione. Ne ha regalato una copia ai suoi ospiti. Sono persone degnissime e ha molta fiducia in loro. Se fossimo in un paese normale, otterrebbero il successo che meritano.
Otto sa che la società è molto cambiata, negli ultimi decenni. Ha seguito con attenzione tutte le svolte, comprese le più frivole. Ha cercato di fare in modo che diventassero patrimonio dell’opposizione. Non possiamo perdere il contatto con la realtà, ripeteva nelle riunioni. Se le cose fossero andate per il verso giusto, oggi non ci sarebbe tanta differenza tra il governo e l’opposizione. Forse l’opposizione sarebbe arrivata al potere. È mortificato perché ha scoperto che i reazionari, ancora una volta, sono stati più moderni di lui.
Nove ha fiutato il vento in anticipo ed è saltata sul carro dei vincitori molto prima che diventasse tale. Si è guadagnata benemerenze e nuovi amici (qualcuno dice amanti). Ora certi vecchi amici (qualcuno dice amanti) fanno la fila nel suo salotto per ottenere un appuntamento, una raccomandazione, un consiglio. Lei, magnanima, mette in contatto i vecchi e i nuovi amici, guadagnandosi ulteriori benemerenze presso entrambi. Continua a recensire i libri degli amici, e quelli della sua casa editrice.
Dieci aspetta ogni minuto la rivoluzione. È sempre e comunque all’opposizione, dove lo scontro è più acceso, visto che la causa degli oppressi è la sola giusta. Le sue analisi sono semplicistiche, schematiche, spesso sbagliate. Ma le ha santificate con il carcere e con l’esilio, e perciò sente di aver diritto di parola. "Il mio compito", proclama, "è dare voce a chi non ce l’ha, indipendentemente dalla sua volontà". Un vecchio amico, compagno di molte lotte, si è candidato sindaco in una grande città: non lo considera più un intellettuale, solo un burocrate. Continua a recensire i libri degli amici, e quelli della sua casa editrice.
Undici, quando ha capito che la rivoluzione non ci sarebbe mai stata, ha ceduto femminilmente alla seduzione del potere. Durante una casuale intervista al candidato presidente ha avuto l’impressione di trovarsi di fronte all’uomo della provvidenza: La sua intelligenza, il suo fascino, il suo impegno... Ora lo difende contro ogni evidenza, con sottigliezza demoniaca. Non lo dice ma è convinto che il popolo debba essere guidato, indipendentemente dalla sua volontà.
Dodici non è solo un comico: per i ragazzi è un mito. Con alcuni colleghi organizza spettacoli a favore di immigrati, carcerati, disoccupati. Tutte le volte che presenta una di queste iniziative, lo intervistano e gli chiedono: Ma è giusto che sia un cabarettista a farsi carico di questo problema? Lui risponde che non lo sa, ma pensa di no.
Tredici è un enigmista. Sta scrivendo un saggio in cui ricostruisce il progressivo degrado politico, culturale e morale del paese, individuando e denunciando tutti i responsabili. Sono ormai diversi anni che ci lavora. Dodici ore al giorno compresi i sabati. Aveva progettato un volume di trecento pagine, divise in ventuno capitoli. Ne ha già scritte ottocento, cioè sessantun capitoli più una "provvisoria conclusione". Prevede che per completare l’opera gliene serviranno altrettante e ammette di non aver ancora definito la divisione in capitoli. Purtroppo il degrado procede con ritmo accelerato.
Quattordici è stato portavoce, fin da un’adolescenza ormai lontana, di un umanesimo attento ai valori della cultura. Nessuno gli impedisce di sostenere le sue tesi, ma si rende conto che non può aspirare ai mass media. Il suo eletto pubblico lo sommerge di applausi, che però oggi gli sembrano un rito, o un alibi. Gli elogi dei critici l’hanno imbalsamato. Ogni suo appello suona generico, retorico. Non sa come liberarsi dalla trappola. Il suo prossimo spettacolo sarà un quiz. Critici e pubblico grideranno finalmente allo scandalo.
Quindici si è venduto al miglior offerente. Siede in Parlamento. Preferirebbe non discutere di politica. Valuta eventuali offerte.
Sedici trova inaccettabile quello che sta accadendo. Ritiene che della devastazione siano responsabili i suoi concittadini. Li attacca, con crescente violenza. Di proposito, sostiene idee che li irritano. Li provoca. Non sa neppure lui se sta cercando di suscitare una reazione o se spera di diventare un martire.
Diciassette diffida degli altri intellettuali. Li disprezza perché hanno ceduto, chi più chi meno, alle lusinghe del sistema. Colleziona le prove della loro ipocrisia, ironizza sui loro compromessi, ne denuncia la pusillanimità, soprattutto nella vita privata. Li smaschera con metodo e trascinante livore, nella sua rubrica settimanale, ben pagata da una delle più seguite televisioni commerciali del paese. È sempre stato "contro" e lo è ancora. Con crescente ferocia.
Diciotto, come molti suoi colleghi, si era trovato pericolosamente vicino a gruppi estremistici. È accaduto in un’epoca remota e nessuno glielo aveva mai rimproverato, vista la sua autorevolezza. Ma dopo aver sfiorato il pericolo è diventato un maestro di cautele, di ironie, di dissociazioni. Sempre in grado di operare un distinguo più sottile, abilissimo nell’illuminare ogni questione da una prospettiva insolita, fermissimo nel mettere in guardia contro i pericoli dell’azione diretta, in politica e in piazza. Intransigente nel consigliare l’uso del preservativo. Ora, quando lancia accorati appelli alla mobilitazione, gli avversari ribattono con le sue stesse argomentazioni e gli rinfacciano le frequentazioni giovanili. Sono d’accordo con lui solo sul preservativo.
Diciannove aveva vent’anni e pensava che la nuova frontiera fosse la radio. È stato protagonista della gloriosa stagione delle emittenti democratiche e autonome. Aveva trent’anni quando ha visto che le radio libere stavano per essere risucchiate in un gorgo di canzonette e pubblicità. Ha scoperto che la nuova frontiera era la televisione. In polemica con i colleghi dell’Accademia, che diffidano per principio delle novità, ci si era buttato a capofitto. Quando ha visto che la televisione era stata normalizzata dai soliti poteri, aveva quarant’anni. Ha scoperto che la nuova frontiera era Internet. Si è subito collegato, ha pubblicato diversi articoli sulla rete delle reti, sta scrivendo un libro per difendere la libertà assoluta del cyberspazio e il diritto assoluto alla privacy. Se Internet verrà colonizzata, sa già che troverà una nuova frontiera. Probabilmente avrà cinquant’anni, ancora in prima linea.
Venti è convinto - ormai da qualche mese - che si siano create le condizioni per scatenare la mobilitazione generale: è ora di far cadere un governo debole e illegittimo. Stende appelli. Tiene comizi che infiammano le piazze. Presiede tavole rotonde. È una delle voci più ascoltate dell’opposizione. Lancia proclami da giornali e riviste. Partecipa a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche per sostenere una battaglia che non è solo sua. Dice sempre quello che pensa, a volte lo grida forte e chiaro. Ogni volta che lo invitano, viene affiancato da due o tre membri dei partiti di governo. Ogni volta esce dalla discussione con una sensazione ambigua: sempre più soddisfatto di sé, sempre più frustrato.
Ventuno non si crea falsi problemi. Lavora con tutti. Le proposte non gli mancano e può permettersi di scegliere cosa fare e cosa non fare. Finché dura. Accetta di scrivere solo ed esclusivamente ciò che non lede la sua dignità professionale. Nessuno lo ha mai censurato. Nessuno gli ha mai chiesto di andare contro i suoi principi. Spiega che l’importante è aver a che fare con persone che stimi. Ne ha trovate spesso, anche dove meno se l’aspettava. Per fortuna. Finché ci sono individui di questo genere, sospira, è inutile metterli in difficoltà con una forma di boicottaggio. Sta dando gli ultimi ritocchi al suo capolavoro.
Ventidue è una vecchia militante. Non può certo dire: "Abbiamo vinto la guerra", ma sa di aver vinto molte battaglie. Paziente, astuta e saggia, finché reggeranno le forze continuerà a combattere come ha sempre fatto. Ogni tanto ripete malinconica: "Non per noi né per i figli e i nipoti, che sono perduti. Ma per i figli dei figli dei figli. Forse per i loro figli."
Ventitré continua come se nulla fosse successo. Divide il mondo in amici (sempre di meno) e nemici (in aumento). Sostiene con l’identico entusiasmo la mostra epocale a Copenhagen e l’introvabile plaquette del giovane poeta ungherese, il cinema indipendente di Hong Kong e il musical post-wagneriano. Al massimo, sussurra, se qui mi impediranno di lavorare, rimarrò all’estero. Snob. Informatissimo. Spiritosissimo. Per alcuni la sua smorfia è disgusto, per altri suprema ironia. Sta scrivendo per la quinta volta il suo capolavoro.
Ventiquattro ha resistito finché ha potuto, difendendo le sue idee e la sua dignità. Quando il nemico avanza, bisogna prima di tutto mantenere le posizioni. Non riusciva neppure a immaginare che qualcuno potesse stare da una parte diversa dalla sua: "Non ho mai incontrato una persona normale che ammette di votare per quegli altri." Poi, ascoltando certi discorsi che all’inizio lo irritavano ma che si facevano più frequenti, seguendo qualche consiglio fintamente amichevole, accettando alcune cortesi proposte di collaborazione, pian piano, quasi senza accorgersene ha abbassato la guardia. Ha cominciato a pensare che se un’intera società andava in una direzione, una qualche ragione ci doveva pur essere. Alla fine, ha attaccato pubblicamente un vecchio amico.
Venticinque è un volto televisivo assai noto. È stato tra i primi a intuire che dietro la crisi della democrazia c’era il rifiuto della mediazione politica, e ne ha tratto le debite conseguenze. Se un imprenditore o un magistrato possono utilizzare la loro popolarità per ottenere un mandato dal popolo e governarlo direttamente, ha pensato, un personaggio come me, che per anni ha dato voce alla gente e che per questo è così amato, potrà farlo con successo ancora maggiore. Mi basta un pulpito adeguato, senza condizionamenti. Sono due anni che cerca sponsor e finanziatori per la sua rete televisiva indipendente, ma non è ancora riuscito a trovarli. In privato, dà la colpa ai politici, agli imprenditori e ai magistrati che invita nella sua trasmissione.
Ventisei è sempre stato considerato duro e puro. Vive in dignitosa povertà e compera solo macchine usate. Ha mantenuto la sua produzione ad un alto livello scientifico. Il suo comportamento è rimasto impeccabile. Ora sorprende gli amici con prese di posizione assolutamente conformiste. Non era mai accaduto. A uno a uno gli amici lo abbandonano, scandalizzati. Finora nessuno dei nuovi potenti si è fatto vivo, ma non accetterà nessuna forma di collaborazione. Pensa: "Lavoriamo per pochi, come sempre."
Ventisette lavora in una redazione culturale. Nei libri, nei film, negli spettacoli, nelle trasmissioni televisive, cerca nuove idee da far conoscere a un pubblico più vasto, da mettere in circolazione. Per lei quelle idee sono come armi, che la gente deve usare per capire il mondo, per difendere i propri diritti, per scardinare ingiustizie, menzogne, ipocrisie. Ha l’impressione che la gente ne abbia sempre più bisogno, sempre meno voglia.
Ventotto, pur essendo un intellettuale con la fama di oppositore, è stato tra gli artefici del successo della più grande rete televisiva commerciale. I suoi programmi spiritosi, anticonformisti, provocatori, hanno raggiunto ascolti record. Sostiene che la sua fortunata trasmissione satirica è rimasta l’unica forma di controinformazione del paese. Inattaccabile dalla proprietà, grazie all’audience e agli sponsor.
Ventinove, un intellettuale con la vocazione dell’oppositore, con i suoi programmi spiritosi, anticonformisti, provocatori e di successo è stato tra gli artefici del successo della più grande rete televisiva commerciale. Si è pentito: dice di aver sopravvalutato il potere liberatorio dei nuovi media e di aver sottovalutato gli usi e gli abusi che una parte avrebbe potuto farne - ed ha effettivamente fatto. Ora utilizza la sua intelligenza critica per scrivere analisi di ineguagliabile lucidità su una pubblicazione universitaria.
Trenta ha seguito con puntiglio tutte le mode, dagli anni Sessanta in poi. Lo interpellano spesso per chiedergli un parere (massimo tre righe) sulle questioni più varie. Si è detto: "Allora, moda più moda meno, perché non seguire anche questa?" Sta scrivendo la sceneggiatura del suo prossimo film. Successo di pubblico, critica perplessa, per il regista un capolavoro. Come al solito.
Trentuno considera con attenzione tutti gli errori del governo e dei suoi fiancheggiatori. Dagli editoriali, rileva cantonate e spropositi che tradiscono un’arroganza e una stupidità che presto disgusteranno l’intera cittadinanza. Li trascrive su un quaderno con la copertina rossa. Non appena avrà riempito l’ultima pagina del suo quaderno, il governo cadrà. Bisogna solo aspettare. La sua amica sta compilando un quaderno con gli errori dell’opposizione, ma preferisce non leggerlo.
Zero si sente sempre più solo, culturalmente e politicamente. Si sveglia nelle ore silenziose della notte. Pensa a quello che può fare in una situazione sempre più disperante. Non trova soluzione. Gli viene in mente di tracciare i ritratti di alcuni intellettuali del paese. Non gli interessano i nomi, vuole solo capire le ragioni di un fallimento. Quando ha finito, è sorpreso di ritrovare un po’ di se stesso in molte di quelle figurine. Si chiede chi di loro avrà ragione dal punto di vista dell’arte, della storia, della giustizia, e sa che non sempre coincidono.
copyright Oliviero Ponte di Pino 1995, 2000
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