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Giada
Questo articolo è stato
pubblicato su "Alias" nel 2000.
Qualche anno fa, in virtù di qualche misteriosa e irripetibile
congiunzione astrale e della immotivata fiducia di Fabrizia
Boiardi, sono diventato co-autore di un varietà radiofonico in
37 puntate (o erano 39?), di un’ora l’una, trasmesso al
sabato pomeriggio da ottobre a giugno.
L’idea che stava dietro Giada
era semplice: seguire l’anno scolastico di una diciottenne
– la nostra Giada – che si prepara per la maturità. La
protagonista era Luciana Littizzetto, figlia unica (nella nostra
immaginazione) di Marco Paolini e Lucilla Giagnoni. Poi c’erano
i professori: aveva dei maestri di musica, la Banda Osiris, che
avevano composto una sigla spassosa ed erano ospiti fissi. Poi c’erano
altri attori e personaggi che le davano di puntata in puntata
lezione sulle materie più varie – e soprattutto una lezione
di vita. Per esempio ricordo tra i professori Paolo Hendel
materia: il razzismo), Daniele Luttazzi (il sesso, ovviamente),
Moni Ovadia (teologia), Diego Parassole (comunicazione), Riccardo
Cassini (lingue: il latino), Davide Rota (lingue: il lumbard),
Paola Rando (lo zitellaggio), ma anche uno squarcio dantesco del
professor Dossena e uno sulle donne nell’antichità di Eva
Cantarella, ma anche un’apertura sulla new age di Carlo De
Carlo o qualche consiglio su come fare qualche lira come pony
express da Giampaolo Spinato.
Insomma, in apparenza Giada era un varietà, perché c’erano
comici, cantanti: era l’epoca in cui emergevano Berthallot,
la Pina, gli Agricantus, ma una volta a bere il tè, ballare e
cantare con la mamma di Giada venne persino Monsignor Milingo,
che all’epoca lanciava uno dei suoi dischi.
Ma in genere la comicità televisiva funziona spesso per battute
e gag ripetute, per macchiette e tormentoni (Alto gradimento
docet). Con Giada il tentativo era quello di costruire dei
personaggi, per quanto abbozzati, con rapporti precisi, e poi
inserirli in situazioni comiche, o assurde. In effetti era un
vero e proprio serial, con dei personaggi fissi e un abbozzo di
trama.
Come tutti i serial cercava l’equilibrio tra la
riconoscibilità (e dunque la ripetizione) e la novità – lo
sviluppo di una specie di plot. Sul primo versante, con Biagio
Bagini (con cui scrivevamo gran parte dei testi) e gli altri
autori-attori avevamo messo a punto una serie di rubriche quasi
fisse: la lezione di musica, appunto; l’irruzione dell’amica
di Giada, la scatenatissima Sabrina; i diari dei genitori, con le
frustrazioni e le ambizioni della mamma, le memorie e le
nostalgie del babbo (Marco attingeva alla miniera dei suoi "Album").
Il fascino della radio è che libera la fantasia (avendo
oltretutto a disposizione degli ottimi attori, che spero oggi non
si vergognino di quella trasmissione). Luciana poteva fare
insieme la timida Giada e Sabrina, maestra di look e di
aggressività. Ma soprattutto era piacevole inventare situazione
punti di vista. Una puntata raccontava la gita a Firenze di Giada
e delle amiche tutta attraverso le telefonate con i genitori (era
il 1995, anno zero dell’era del telefonino, usato da papà e
mamma apprensivi per controllare la bambina nella sua prima gita
indipendente). La nostra eroina fu anche tra le prime
frequentatrici di un Internet bar: anche quella, all’epoca,
era una novità. In un’altra occasione, dopo una delusione
amorosa Giada si barricava nel bagno per un pomeriggio,
proclamando una libera repubblica adolescente (per tirarla fuori
intervennero Zuzzurro & Gaspare): il tutto veniva raccontato
attraverso la porta del bagno. Ancora, una sera seguimmo Giada
alla festa di Smemoranda: incontrò Aldo Giovanni e Giacomo,
Paolo Rossi, Albanese, Bisio, Milani, con la colonna sonora dei
Modena City Ramblers e 8000 comparse (gratis). Insomma, con un
registratore, uno studio radiofonico, dei bravi attori e tecnici
e un po’ di fantasia, con la radio si può fare di tutto.
Mi sono tanto divertito e appassionato moltissimo, e quando quest’anno
Radiotre mi ha chiesto di lavorare a un altro serial (13 puntate
sui drammi di Shakespeare, le ultime stanno andando in onda in
queste settimane, al venerdì sera), non ho saputo resistere. La
differenza? Raidue pagava (poco) al minuto, Raitre paga (un po’
di meno) a puntata.
copyright Oliviero Ponte di Pino 2000, 2001
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