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Passi Camminare Incontrarsi Fermarsi Progetto di Paola Bigatto e Renata Molinari Un diario di bordo
Prima di partire:
L'ospitalità |
"L'ospitalità consiste
nell'interrogare chi arriva? Comincia con la domanda rivolta a chi viene
(cosa che pare molto umana e talvolta affettuosa, presupponendo che si
debba legare l'ospitalità all'amore - enigma che lasceremo per il
momento da parte): come ti chiami? dimmi il tuo nome, come devo chiamarti,
io che ti chiamo, io che desidero chiamarti per nome? come ti chiamerò?
La stessa, tenera domanda che facciamo talvolta ai bambini o alla persona
amata. Oppure l'ospitalità comincia con l'accogliere senza domanda
alcuna, in una duplice esclusione, l'esclusione della domanda e del nome?
E' più giusto domandare o non domandare? chiamare col nome o senza
nome? dare o imparare un nome già dato? L'ospitalità si offre
a un soggetto? a un soggetto identificabile? a un soggetto identificabile
per il suo nome? a un soggetto di diritto? Oppure l'ospitalità si
offre,
si dona all'altro prima che egli si qualifichi, prima ancora che
sia (posto o presupposto) soggetto, soggetto di diritto e soggetto nominabile
col suo cognome, eccetera?".
(Jacques Derrida, Sull'ospitalità, pp. 54-55) |
1 luglio, la partenza:
Filo Filò di Andrea Zanzotto recitato da Silvio Castiglioni al Transitum Padi di Corte Sant'Andrea |
Sull'argine del Po, poco
dopo la confluenza del Lambro, che porta nel grande fiume tutti i detriti
e i veleni della città. Qui, a causa di due profonde anse, la corrente
rallenta il suo corso, e dunque il guado è più facile.
Il sole sta tramontando. Dentro una barca tirata a secco, un fuoco che brucia. Intorno, i pellegrini e coloro che li salutano prima della partenza. "...Mi ò pers la trazha, lontan massa son 'ndat pur stando qua invidà, imbulonà, deventà squasi un zhòch de pionbo, e la poesia no l'é in gnessuna lengua in gnessun logo - fursi - o l'é 'l busnar del fògo che 'l fa screcolar tute le fonde inte la gran laguna, inte la gran lacuna - la é 'l pien e 'l vòdo dela testa-tera che tas, o zhigna e usma un pas pi in là de quel che mai se podaràe dirse, far nostro. Ma ti, vecio parlar, resisti. E si anca i òmi te desmentegarà senzha inacòrderse ghèn sarà osèi - do tre òsei sòi magari dai sbari e dal mazhelo zoladi via -: doman su l'ultima rama là in cao in cao del zhièse e pra, osèi che te à inparà da tant te parlarà inte 'l sol, inte l'ombrìa." Andrea Zanzotto, Filò, luglio-ottobre 1976. |
2 luglio: il guado.
"Vi invio alcune immagini prese dal video che abbiamo realizzato noi delle Misericordie, domenica, alla partenza del viaggio, sul Po". Nucleo Press Misericordie d'Italia |
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Il
salice solitario
(Guido Gozzano, Fiabe e novelline, Sellerio, Palermo 1994, pag.146) Care
Renata, Paola, Franca, Ambra, Grazia ed Elena,
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Il
salice solitario
Da tempo immemorabile il buon eremita viveva nella solitudine della landa. La landa
disegnava all'orizzonte un cerchio perfetto senza un albero, senza una
casa che interrompesse la monotonia sconsolata. L'eremita aveva conosciuto
in altri tempi il fasto del mondo, aveva fatto il male e ricevuto il male,
ed ora viveva lontano dagli uomini, solo con se stesso e con Dio.
Era così vecchio, così logoro dai digiuni e dalle penitenze che quasi più nulla conservava d'umano. Il viso era scarno, nero, rugoso, con in fondo alle orbite due luci incerte che sole davano segno di vita. Le braccia tese nella preghiera non eran che l'ossa ricoperte di pelle ruvida, fosca, corrosa dal sole, dalla pioggia, dal gelo. Solo la barba e i capelli erano chiari e le intemperie avevano dato a quella canizie la tinta bigio verdognola che hanno le foglie del salice. Il vecchi pregava, immobile. La primavera era giunta e aveva soffuso d'un tenue sorriso anche la landa desolata. Le rade gramigne si tingevano di verde novello, gli scarsi ciuffi d'erica e di ginestra odoravano di gracili fiori. In alto, nel cielo sereno, passavano stormi di uccelli migratori. Una coppia di cardellini sfiniti dal viaggio vide dall'alto la figura immobile, nodosa, le braccia nere e spettrali del santo che campeggiava sulla landa deserta e lo scambiò per un albero solitario. I due uccelli si posarono fiduciosi su di lui, presero a saltellare sulle braccia, sulla testa, fra i capelli e la barba che il vento primaverile agitava come rami penduli. E poi che i due cardellini non avevano meta e la landa si stendeva all'orizzonte senza confini, decisero di nidificare su quell'unico salice. L'eremita che teneva le braccia alzate nella preghiera aprì lentamente le mani, formando con le dita un canestrello propizio al piccolo nido. I cardellini cominciarono a portare il materiale necessario, presero a riempire di pagliuzze e di mota lo spazio fra dito e dito, mescendo il loro cinguettio vivace alla preghiera sommessa del santo. Egli li seguiva dal basso con occhi estatici. Il sole salì nel cielo, declinò, giunse la sera, ed egli non abbassò le braccia, non disgiunse le dita, non si mosse dal suo atteggiamento. Col flagellamento e col digiuno, con le genuflessioni e le veglie di settimane intere il suo spirito era ormai padrone del suo corpo e poteva imporgli qualunque fatica. I suoi muscoli secchi ma tenaci come il ferro tennero le braccia tese tutta la notte e all'alba seguente i cardellini ripresero il lavoro, così che il santo ebbe ben presto le due palme congiunte, legate, cementate in una sola coppa argillosa con dentro un piccolo nido tessuto di gramigna, di lanuggine, di piume. E venne il tramonto del secondo giorno e il santo pregò così: - La mia morte è vicina, o Signore, e volesti consolarla con una dolce segno della tua grazia! Fa ch'io posa reggere per sempre il nido dei due pellegrini e della loro famigliuola, fa ch'io possa, anche morto, proteggerli nelle mie mani! E passò un altro giorno e un altro ancora e il santo digiuno ed immoto udiva sulla sua testa il cinguettio assiduo festante dei due cardellini. Poi al cinguettare si unì un pigolio sommesso... I piccoli erano nati! Il santo vide dal basso sei, sette teste protendersi al ritorno del padre e della madre. E il cuore del santo si assopiva dolcemente: - Fa, o Signore, che la tua grazia non vada perduta. La sorte di queste piccole creature è nelle mie mani, come la mia sorte è nelle tue! Il santo restò immobile sull'alta roccia, col busto eretto, le braccia tese sollevate a reggere la famigliuola felice. E mentre il suo cuore cessava di battere a poco a poco e la luce si spegneva nelle orbite cave, la sua pelle rugosa si cangiava in scorza, i suoi piedi radificavano nella roccia, il suo corpo si cangiava in un salice nodoso. E ancor oggi, nella landa deserta, campeggia sulla roccia solitaria, l'unico salice del luogo; e ad ogni primavera offre alla sommità del suo tronco biforcuto il nido soave agli uccellini reduci dalle terre del sole. |
9 luglio: sulla Cisa | E' domenica 9 luglio, sono
a pranzo con Giuliano
Scabia e Gianni Manzella a Santarcangelo. La sera prima Giuliano, che
è al Festival per raccontare di Roncisvalle, mi ha spiegato che
nel camminare c'è una grande felicità è un fatto
fisiologico, è la chimica del cervello.
Squilla il telefono, è Renata: "Siamo in cima alla Cisa e siamo felicissime". Racconto a Gianni e Giuliano che cosa stanno facendo Renata, Paola e le loro amiche, e Giuliano mi racconta di quando, qualche anno fa, ha riaperto un tratto della Via Francigena in Toscana: è stato possibile ritrovare il vecchio percorso grazie alla memoria degli abitanti del luogo, "c'è tutta una sapienza orale", ricorda Giuliano. "E' stato così che Schliemann ha scoperto Troia". Oliviero Ponte di Pino |
13 luglio: le pellegrine
tra Camaiore e Monsagrati
(foto di Patrizia Quattrone della Misericordia di Torre del Lago). |
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13 luglio: Claudio
Lugo nell'apertura-ospitalità di Monsagrati
(foto di Patrizia Quattrone della Misericordia di Torre del Lago). |
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