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molti di noi il mondo così comè non piace,
e allora cerchiamo di cambiarlo
e magari commettiamo errori tragici
Prime note su Enzo Fabbrucci a
Santarcangelo
di Oliviero Ponte di Pino
A molti di noi il mondo così com'è non piace, e allora cerchiamo di cambiarlo e magari commettiamo errori tragici. Enzo Fabbrucci ha semplicemente deciso di costruire un altro mondo, un luogo dell'immaginario dove la tragedia è solo eco remotissima, oblio. La sua Valbruna è un mondo dell'infanzia: l'infanzia di chi l'immagina, ma anche le possibili albe dell'umanità. E' una fantascienza meticolosa e sgangherata che riemerge da un evo antichissimo, quello dei miti. Remota e intima, Valbruna è anche i pascoli della morte.
Respira a metà tra veglia e sonno, Valbruna. Si nutre di metafore e allucinazioni, è popolato di larve e fantasmi, nostalgie, malinconie, disperazione e forza, creature che appaiono nell'ora del crepuscolo o alla luce della luna, spuntano nel sottobosco, s'incistano in una ruga della terra. In un mondo fatto sempre più di non-luoghi, anonimi e senza identità, che azzerano ogni memoria, questo luogo dell'anima rivela il volto segreto del paesaggio.
Quelli di noi che viaggiano tra i borghi e le colline del Montefeltro, vedono colline e borghi. Enzo, che è nato a Fratte e vaga fra boschi e dirupi, ci vede civiltà scomparse, arroccate sui monti o sprofondate nell'Adriatico, che proliferano come organismi vivi, e crescono invecchiano scompaiono. Afferra con lo sguardo corpi macerati e redenti, a cui dà forma e parole. Ascolta storie dimenticate che ruba ai suoni della notte. Valbruna prolifera come un'epopea allucinata e febbrile, un mito scentrato che ti ipnotizza. E' un mondo tutto suo, che affonda le radici nel fondo della mente che l'ha creato. E però non gli basta un delirio solitario: arde dalla voglia di far vivere anche te, nella sua follia, e ti vuol sedurre con prepotenza. E allora lo racconta convulso, tutto quello che vede, e allora lo vedi anche tu - o credi di vederlo e sentirlo.
Noi, quando vediamo un artista, cerchiamo di capire che cos'è: se è un pittore, uno scrittore, o un attore. Enzo vuol essere tutte queste cose insieme e non gli basta. Dipinge i ritratti degli abitanti di Valbruna, volti istoriati di segni e fitti di diciture, che sgocciolano i colori rubati alchemicamente dalle argille e dai gessi della sua terra, e poi impastati nella pece. Scrive le loro storie e fantasie in racconti sghembi e concettosi. Dà loro voce in poesie che spesso hanno i suoni del dialetto. Li racconta come un imbonitore a chi vuole ascoltarli. E poi trova musicisti che compongono con i suoni dell'acqua o del vento la colonna sonora di Valbruna. Ci dev'essere tutto il mondo, dentro Valbruna, senza ferite e crepacci - eppure, per quanto diventi immensa, il vuoto da cui germina resta infinito.
Noi, quando pensiamo all'arte, presumiamo che la vita sia un'altra cosa. Con feroce ingenuità, Enzo sa che l'arte non può dire l'ineffabile, e rifiuta il confine tra l'emozione e l'opera, tra l'invenzione e la comunicazione, tra l'esperienza e la forma. Ti vuole contagiare lì, sul momento, con la sua presenza spiritata e ossessiva, le frasi martellate e cadenzate, gli occhi spiritati e le occhiaie fonde di uno dei suoi ritratti.
Tutti noi, quando l'ansia ci mangia l'anima, cerchiamo in ogni modo di placare i fantasmi. Enzo Fabbrucci li coltiva come il suo bene più prezioso, se li rovescia addosso, ci si annega dentro, si fa invadere, finché non esplode un quadro, una poesia, un racconto, come un torrente in piena. E tuttavia si vuole anche filosofo: è convinto di aver capito come unificare gli emisferi cerebrali, facendo coincidere le metafore della scienza con la scienza delle metafore.
Sa anche di essere un eretico, un balordo: e intuisce anche che l'eresia a tutti i costi è la più banale delle ortodossie, e continua a far concrescere Valbruna, che gli scappa in ogni direzione, che lo soffoca e lo nutre, lo sostiene e lo travolge.
Noi, che abbiamo terrore della morte, chiudiamo la nostra paura nel cassettino più fondo dell'anima perché non ci disturbi troppo. Enzo continua a gridare il suo delicato e terribile esorcismo e ce lo rovescia addosso, così com'è: interminabile, eccessivo. Enzo è Valbruna, un'opera inafferrabile, in perenne divenire, che brucia le sue tracce, che sogna la quiete dell'anima ma sa che è come la fine.
copyright Oliviero Ponte di Pino 2000
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