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SaràBanda
Due spettacoli della Banda Osiris
di Oliviero Ponte di Pino

Il ritorno di Butterfly

Gli spettacoli della Banda Osiris sarebbero sicuramente piaciuti a Marinetti: il gusto per lo sberleffo, la capacità sintetica, l'abilità e la libertà nell'uso e nell'abuso di oggetti e opere, la difficile ambizione di evitare ogni forma di elaborazione culturale richiamano immediatamente alcuni aspetti del teatro futurista - i più scanzonati, goliardici, impertinenti, ispirati al varietà. Mentre il beffardo maltrattamento degli strumenti musicali potrebbe ricordare certe performance alla Fluxus, ma private di ogni traccia di autocoscienza e concettualismo, e ispirate solo all'amore della provocazione e della gag.
In realtà, il modello del quartetto formato da Sandro Berti, Gianluigi Carlone, Roberto Carlone e Giancarlo Macrì sembra essere - più o meno - una Filarmonica di Vienna in cui gli orchestrali sono stati sostituiti dai clown Fratellini e il direttore è scappato con la prima ballerina (e la cassa, probabilmente). La strumentazione oscilla tra la banda di paese e l'orchestrina rock per una festa dei diciott'anni, beffardamente accompagnata (a seconda delle perverse necessità dell'arrangiamento) da timpani wagneriani, triangoli alla Debussy, chitarre hawaiane.
Questa volta nel mirino della Banda non c'è più la semplice musica: bersaglio è infatti il melodramma, lo straripare dei sentimenti, il trionfalismo spettacolare dell'opera lirica. Il ritorno di Butterfly ha per protagonista il figlio kamikaze di Cio-Cio San, che per vendicarsi dell'infingardo Pinkerton si allea con Rigoletto (gli si tocca la gobba, e risuona misteriosamente una risata: ottima gag). Ma dopo il parodistico inizio, lo spettacolo prende presto la sua strada, abbandonandosi unicamente al gioco delle associazioni gratuite, senza alcuna regola se non l'estro e il caso: i personaggi sono solo un vago pretesto e ben presto la Banda inizia a sciorinare allegramente i pezzi forti del suo repertorio, in un crescendo di sconclusionatezza, concluso da una serie di richiesti bis.
Una delle specialità della Banda Osiris potrebbe essere definita "straniamento musicale": per esempio, trasformare Beethoven in marcetta (non è difficile) e Mozart in calypso (già leggermente più impegnativo); o, al contrario, miracolare Wilma Goich con Brahms o il Festival di Sanremo con il canto gregoriano. E poi passare dall'uno all'altro, impercettibilmente, come se tutti i modi musicali, i diversi ritmi, si attirassero senza possibilità di scampo, fino a fondersi in un gigantesco sberleffo. Un altro tipico meccanismo comico è basato sull'uso degli strumenti musicali aldilà e contro gli scopi per cui sono stati progettati, come pure forme, dotate perdipiù di inesauribile carica metaforica. Per esempio, il prediletto trombone diventa una sorta di simbolo cosmico e milleusi, adatto agli scopi più diversi: pugnale e banderilla da corrida, porta e cancello, e altri oggetti meno confessabili. Per non parlare del basso-tuba, grottesco contrappunto a ogni vocazione al sublime.
Le sorprese non mancano: a volte ingenuamente infantili, a volte più sofisticate, ma sempre sostenute dal legittimo orgoglio della stupidità ("Quatto quatto non fa otto!"). E lo scherzo (in senso musicale, naturalmente) funziona, sostenuto da una energia allegra e fracassona: fino quasi a dimostrare che tra jodel e disco dance, tra il rap e 'O sole mio, tra Battiato e Rossini, in fondo, non c'è molta differenza. Smontando i meccanismi dell'emozione (in fondo banali e prevedibili) per poi ribaltarli crudelmente, la banda dei quattro ridicolizza ogni aspirazione all'indicibile musicale. E tuttavia, a voler giocare con i paradossi, questo bricolage sonoro offre una conferma (in negativo, attraverso l'assurdo e il surreale) a chi crede nell'origine sacra della musica, nella sua aspirazione mistica: perché ogni gesto può essere letto come la dissacrazione di un cerimoniale, come un goliardico oltraggio alla sacralità dello stile.

Sinfonia fantastica

Anche nel suo nuovo spettacolo Sinfonia fantastica (attualmente in tournée) la Banda Osiris continua a giocare con il sublime, con l’indicibile, con il misticismo artistico e soprattutto musicale. Il bersaglio non è il sublime allo stato nascente, quando una nuova forma travolge e illumina la realtà, quando per un attimo diventa possibile cogliere il mistero dell’essere. No, quello che scatena la verve iconoclasta di questi quattro clown musicali è il sublime quando si è ormai ridotto a cliché, a ritornello mille volte risentito e dunque appiattito a innocua colonna sonora. Quando la grande invenzione creativa si è ridotta a cliché, quando il gesto rivoluzionario si è sdolcinato nel kitsch.
La musica non si può tradurre in parole, è vero, ma ogni interpretazione è un commento. Molto spesso, un commento sulle attese e sui gusti del pubblico. I commenti della Banda Osiris giocano sulla sorpresa, lo spiazzamento, la parodia, la distorsione, la contaminazione. Le vette del sublime vengono regolarmente abbassate, nel senso che vengono fagocitate da basso tuba e trombone. L’eterea ineffabilità è sporcata dalla concretezza fisica della materia e del corpo. Perché l’organo è molte cose insieme, come dimostrano diversi giochi di parole. Perché gli strumenti musicali sono prima di tutto oggetti, e possono anche diventare, per metafora, qualcos’altro: basta mettere un tutù al basso tuba per trasformarlo nella protagonista di un esilarante Lago dei cigni. A tratti l’ordine delle sfere si disintegra, travolto da un’energia da Fratelli Marx, in un caos cialtronescamente liberatorio. La musica colta si degrada a jingle o a motivetto pop, la spocchiosa retorica da conservatorio rivela la propria autentica natura, e viceversa. Il canto gregoriano si sublima in Stand by me, ma cantata in latino (titolo originale Proxima Mihi). Ancora peggio, questa strampalata lezione dimostra che la musica è rumore, e viceversa: una macchina da scrivere può essere usata come pianoforte, solo per fare un esempio, se a suonarla è il professor Macrì.
Per avere qualche credibilità, la retorica del sublime deve fondarsi su una solida base storica. Su una pedagogia, da imporre magari dietro a un tavolo, armati di microfoni e proiettori. Dunque, in piena coerenza con il loro partito preso oltraggioso, i quattro professori della Banda (Carlo Macrì, Gianluigi e Roberto Carlone, Sandro Berti) anche in questa Sinfonia fantastica rileggono la storia della musica in chiave anti-pedagogica, dalle origini cavernicole e dal canto delle sirene fino ai giorni nostri, passando per Bach (ormai un piccolo classico della comicità contemporanea) e Mozart, per Schubert e il sirtaki, ma anche per il Marinetti di Zang Zang Tumb Tumb, dove la retorica bellica futurista viene imprevedibilmente ribaltata in leggiadro nonsense grazie al professor Berti. Ma si arriva addirittura alle meraviglie elettroniche del campionatore e di Internet, che diventano anch’essi strumento di sberleffo.
Rispetto agli spettacoli precedenti (per probabile merito della regia di Maurizio Nichetti), lo scatenamento fracassone viene usato con maggior parsimonia, mentre si sono affinate le qualità interpretative dei quattro attori-musicisti-cantanti-danzatori. Ancora una volta il gioco funziona: si diverte la Banda, si diverte il pubblico. E il sublime? Forse questa è una delle strade per ritrovarlo: togliere tutti gli orpelli della tradizione, abbandonarsi alla gioia di vivere, al rumore, ai virtuosisimi di una cialtroneria che gioca con il genio.


questi testi sono stati pubblicati originariamente sul "manifesto"
copyright 1992, 1997, 2000 Oliviero Ponte di Pino

 

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