L'1% del Pil alla cultura? L'editoriale di ateatro 91 di Redazione ateatro http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and1 I teatro come servizio pubblico e come valore: alcuni spunti di riflessione Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Oliviero Ponte di Pino http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and21 Coordinate storiche e trasformazione del sostegno pubblico Le Buone Pratiche 2: interventi & relazioni di Mimma Gallina http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and22 La questione del pubblico Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Franco D'Ippolito http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and23 Risorse culturali e politiche di welfare Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Michele Trimarchi http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and24 Gli spazi e l'identità di un teatro meticcio Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Gigi Cristoforetti http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and25 Un applauso con una sola mano Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Adriano Gallina http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and26 The scissors are on the right or on the left? Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Alfredo Tradardi http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and27 Altre Velocità Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Altre velocità http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and28 Per una politica culturale fondata sui valori: un punto di vista globale Le Buone Pratiche 2: materiali di Eduard Delgado http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and29 Le Buone Pratiche su "Nuova Ecologia": Il calabrone e il bonsai Brevi cenni di etologia teatrale di Oliviero Ponte di Pino http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and30 La formazione del pubblico e il rapporto con una comunità Le Buone Pratiche 2: interventi & relazioni di Massimo Luconi http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and31 Il sistema teatrale milanese L'incontro del 16 novembre 2005 di Franco D'Ippolito http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and39 La proposta di legge per lo spettacolo delle Regioni con la relazione definitiva di Coordinamento Regioni http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and40 Il progetto di legge Rositani per lo spettacolo Licenziato dalla Commissione Cultura della Camera e iscritto nel calendario dell'aula di On. Rositani (e numerosi emendamenti...) http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and41 Lo spazio della performance critica Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Altre Velocità http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and50 Al femminile Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di La Mimosa http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and51 Un festival naturale Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di L'ultima luna d'estate http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and52 Adhoc Culture: spazi della transitorietà Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Lucio Argano http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and55 Ariel - software gestionale per le compagnie teatrali Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Michele Cremaschi http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and56 ADAC (Associazione Danza Arti Contemporanee) Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Martino Baldi http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and57 Piccoli episodi di fascismo quotidiano Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Motus http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and58 Teatri d’arte Mediterranei: Teatri del Centro–Sud in rete Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Lello Serao http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and59 “The Cremaster Cycle” di Matthew Barney a Milano 26-27 novembre al Cinema Gnomo di Ufficio Stampa http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and71 A Milano la seconda edizione di CreaMi Il festival della creatività dal 17 novembre di Ufficio Stampa http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and74 La parola poetica a teatro A Milano dal 2 al 4 dicembre la terza edizione di Walkie-Talkie di Teatro i http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro91.htm#91and75
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L'1% del Pil alla cultura? L'editoriale di ateatro 91 di Redazione ateatro |
Prosegue il mitico Fotoromanzo delle Buone Pratiche: il cartello di Mira e la finanziaria 2005 spingono verso i tagli, ma sulla Riva del Brenta gli indomiti Franco D’Ippolito, Oliviero Ponte di Pino e Mimma Gallina indicano la direzione opposta e rilanciano: portare l’investimento italiano in cultura all’1% del PIL italiano, chiedendo che i candidati alle elezioni 2006 si impegnino a sostenere l’iniziativa.
Se siete invidiosi, o se ateatro vi sta antipatico, vi consigliamo di smettere di leggere. Perché le Buone Pratiche 2 a Mira è andato davvero bene: una partecipazione oltre igni aspettativa (più di 120 iscritti-paganti), un clima costruttivo, una serie di interventi e relazioni di grande interesse. E dunque grazie al Comune di Mira che ci ha ospitato, alla Cooperativa DannyRose che ha curato la logistica, alla Piccionaia che ci ha assistito al Teatro di Villa dei Leoni e allo sposor.
Non vi racconteremo le giornate di Mira, un po’ per non esagerare nell’autocelebrazione, e un po’ perché troverete un ottimo resoconto delle Buone Pratiche 2 a opera di MarioNuzzo sul sito di Eolo (a proposito, grazie Mario per l’attenzione).
Però una cosa ve la vogliamo dire lo stesso. Perché c’è stato un filo conduttore delle due giornate sulla quale val la pena di riflettere, ed è la dialettica tra apertura e chiusura che sta vivendo il teatro. Tra i relatori c’è stato chi ha riflettuto – come punto di forza del teatro – sulla sua specificità di evento dal vivo, come Renato Nicolini, che come Assessore alla Cultura del Comune di Roma ha rivoluzionato il concetto di intervento pubblico nel teatro, e Carmelo Alberti. Ma c’è stato chi ha piuttosto insistito sulla necessità del teatro di aprirsi all’esterno: lo hanno fatto per esempio Felice Cappa, parlando dei rapporti tra scena e tv, e Filippo Del Corno, che ha insistito sulla necessità del rigido superamento tra generi e sulla creazione di intrecci tra diverse discipline, con inevitabili implicazioni a livello normativo e istituzionale; ma anche, in chiave diversa, Paolo Aniello, quando ha annunciato la nascita di una federazione delle arti dello spettacolo contemporaneo; e da Gigi Cristoforetti, con il suo elogio del meticciato. La necessità di una apertura è stata tematizzata nella sezione dedicata alla questione del pubblico, aperta da Gian Antonio Stella, e approfondita nell’ottica di uno “spettatore curioso” ma colto da Andrea Cortellessa, mettendo a fuoco la dialettica tra spettacoli forse imperfetti ma aperti e messinscene magari formalmente più risolte ma tutte interne alla logica del teatro.
L’impressione che molti osservatori esterni hanno del teatro italiano è quella di un mondo autoreferenziale, chiuso su sé stesso e sui propri meccanismi comunicativi (ma anche di finanziamento). La progressiva (e di fatto incontrastata) erosione del Fus è anche un frutto di questa impressione. L’obiettivo di questa sessione delle Buone Pratiche è tra l’altro quello di incrinare questo atteggiamento, da parte di chi il teatro lo fa e da parte di chi il teatro (non) lo va a vedere (o lo vede pochissimo). Insomma, vorremmo provare a vedere se per il teatro è utile aprirsi all’esterno, per contaminarlo e per renderlo più interessante, mantenendo intatta tutta la forza della sua specificità.
In quest’ottica il concetto di valore può forse essere un concetto utile per relazionarsi con l’esterno – ferme restando tutte le cautele del caso (e tenendo presente che i primi a mettere in guardia contro usi riduttivi del termine valore sono proprio gli economisti, come hanno dimostrato gli interventi di Michele Trimarchi e Giulio Stumpo). E non può che farci piacere il fatto che un convegno organizzato dai DS poco tempo dopo le nostre Buone Pratiche (a Roma il 30 novembre prossimo a Palazzo Altemps) abbia come tema proprio il rapporto tra valore e cultura: è una conferma che in qualche modo questo concetto può essere uno strumento.
Strumento a disposizione di tutti vuole anche essere ateatro, che dunque pubblica e mette gratuitamente a disposizione di tutti una robusta quantità di testi, frutto delle giornate di Mira: materiali, relazioni, interventi, Buone Pratiche… (Insomma, anche questa volta grazie ad ateatro 91 ne avete da leggere, pensare e ripensare!!!)
Tenete in ogni caso presente che sia ateatro sia le Buone Pratiche sono progetti aperti: dunque nei prossimi numeri pubblicheremo altri interventi che ci sono già stati annunciati, altri potete mandarne (sia che abbiate qualcosa da aggiungere sia che abbiate l’impressione che stiamo dicendo un mucchio di castronerie). Soprattutto, continueremo ad accogliere proposte di articoli per la legge “fai-d-te” per il teatro di ateatro (se n’è parlato anche a Mira, ovvio). E ci diamo appuntamento a gennaio per Le Buone Pratiche/La questione meridionale (anzi, tornate sul sito: tra qualche giorno pubblichiamo la news con tutte le info).
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I teatro come servizio pubblico e come valore: alcuni spunti di riflessione Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Oliviero Ponte di Pino |
Filippo Del Corno, Oliviero Ponte e di Pino e Andrea Cortellessa sul palco del Teatro di Villa dei Leoni per le Buone Pratiche.
Le primarie dell’Unione, qualche settimana fa, sono state senza dubbio un momento alto di partecipazione e di democrazia. Nell’occasione veniva distribuito un volantino che conteneva il programma per le elezioni del 2006. Mi sono subito scorso il documento, ma in quelle pagine non ho trovato alcune parole che per me sono molto importanti: non ho letto né “cultura” né “spettacolo” né “informazione”.
Sono omissioni politicamente molto significative, mi pare, nell’Italia berlusconiana.
Passa qualche settimana. La finanziaria taglia il FUS. Le periferie francesi esplodono.
Piero Fassino partecipa alla manifestazione del 7 novembre scorso – si intitolava “Fatti non foste a viver come bruti” ed era stata indetta dai DS proprio contro i tagli al FUS – e spiega: “L’ondata di violenza scatenata a Parigi si batte soprattutto con la cultura, la conoscenza reciproca, il valore della coesione sociale”.
Il trafiletto della “Repubblica” (8 novembre) prosegue spiegando che in caso di vittoria del centro-sinistra Fassino ha promesso “un drastico cambiamento di rotta nell’azione del governo, nella convinzione che l’intervento culturale non rappresenta una spesa bensì un investimento. Una società dove si sostiene la cultura diventa più civile”.
“La Stampa” di ieri, 12 novembre, pubblicava una lunga conversazione con Toni Negri a proposito della rivolta nelle periferie francesi. A un certo punto dice: “Il vero film per capire la banlieue non è L’odio di Kassovitz, metallico, freddo. Il vero film è L’esquive, la schivata. Una professoressa cerca di far recitare a una classe arabo-magrebina un testo di Marivaux. All’inizio tutti si applicano. E poi qualcosa si rompe. E proprio le vicende erotiche e affettive che si instaurano tra i ragazzi produrranno la rivolta. Alla fine la classe si rifiuta di recitare Il gioco dell’amore e del caso, che è la commedia della borghesia bianca. Allo stesso modo, anche le ragazze islamo-francesi della banlieue usciranno profondamente modificate, e partecipi di questa rivolta”.
Sono tre piccole notizie di questi giorni. Se avessimo organizzato le Buone Pratiche in un momento diverso ne avremmo trovato di analoghe: ma sono segni come questi che ci hanno indotto a riflettere sul ruolo e sulle prospettive dello spettacolo (e in generale delle cultura) e a organizzare le Buone Pratiche 2.
Il sostegno dello Stato allo spettacolo dal vivo, in Italia, ha avuto il suo momento più alto nell’immediato dopoguerra, con la nascita del Piccolo Teatro e degli stabili. In quella occasione il teatro – e in genere la cultura – sono stati inseriti nell’orizzonte del welfare, del servizio pubblico. In quel momento, forse per l’unica volta, l’elaborazione teorica e la pratica artistica hanno coinciso. Da allora, per così dire, il teatro italiano vive di rendita, grazie al capitale ideale accumulato con quella invenzione.
Ma è ancora valida? O meglio, è ancora sufficiente?
Certo, i suoi principi sono ancora validi. E tuttavia sono cambiate molte, troppe cose, e siamo convinti che sia necessario uno sforzo di analisi, una riflessione, per capire se e come sia possibile arricchire quella eredità.
Abbiamo cercato dunque di individuare alcuni snodi fondamentali, alcune linee di frattura sulle quali è necessario riflettere. Certamente se ne possono trovare altre, forse più importanti, che magari emergeranno anche in questi giorni. Quelle che vogliamo offrire qui a Mira e in ateatro sono solo alcune suggestioni, o provocazioni, sulle quali innescare una discussione e un approfondimento.
Un primo dato, il più evidente, è la crisi del welfare state, all’interno del quale era inscritto anche il sostegno alla cultura e dunque allo spettacolo. E’ impossibile qui analizzare in dettaglio le ragioni e i modi di questa crisi, ed è inutile sottolineare ancora una volta uno dei suoi effetti più immediati e clamorosi nella finanziaria 2005: i tagli al FUS e quelli agli enti locali, che si rifletteranno in maniera devastante sull’intero settore. Val forse però la pena di sottolineare che quella crisi non è esplosa all’improvviso, ma è il frutto di un’onda lunga diversi anni, e che aveva già portato a una sostanziale progressiva riduzione del Fus. A stringere i cordoni della borsa non sono stati i governi di destra o quelli di sinistra, quanto piuttosto la sensazione che quello della cultura e dello spettacolo non fosse un nodo fondamentale, che si trattasse di un settore sostanzialmente parassitario e incline agli sprechi, e che dunque che fosse possibile – e politicamente opportuno – ridimensionare il sostegno pubblico al settore.
Adesso, mi pare, sarebbe necessario lavorare per smantellare questo “comune sentire”: e non credo sarà un compito facile. Per troppi assessorati lo spettacolo, oggi, deve essere “nazional-popolare”, nel senso deteriore che il termine ha assunto oggi: eventi che catturano audience. Se proprio le persone che hanno maggiori responsabilità culturali all’interno della politica culturale del paese lavorano in questa direzione, la situazione è davvero drammatica.
D’altro canto – e il testo di Eduard Delgado pubboucato in ateatro 91 lo sottolinea con grande chiarezza – il potere pubblico da sempre usa e continua a usare la cultura e il teatro per mettere a punto, per trasmettere e per diffondere una serie di valori. Da un lato, ci sono le grandi istituzioni, come teatri nazionali attivi in diversi paesi europei. Dall’altro, le amministrazioni locali fanno grande uso delle varie funzioni sociali dell’attività teatrale: il reinserimento nel corpo sociale di fasce in vario modo emarginate della società passa molto spesso proprio attraverso l’attività teatrale, e spesso con risultati estetici di grande valore (inutile citare in questo contesto nomi fin troppo noti, come Armando Punzo o Pippo Delbono, ch sono le punte esteticamente più alte di un movimento più vasto). In quest’ottica il teatro ha e continua ad avere un uso e un valore sociale e politico di notevole rilievo, anche se come vedremo in un contesto che sta cambiando rapidamente.
Ma a questo punto non si possono non sottolineare le contraddizioni, i conflitti, le ambiguità, che da sempre caratterizzano i rapporti tra gli artisti e il potere, e che – man mano che la società e il sistema dei media diventano più complessi – assume sfumature sempre più sottili e complesse (vedi l’accenno di Pierluigi Battista a Subvention et subversion nell’articolo che ha scritto qualche setimana fa sul “Corriere della Sera”, commentando proprio i tagli al Fus).
In questo quadro si innesca un ulteriore elemento di trasformazione: il passaggio delle competenze in materia di spettacolo alle Regioni, la relativa ridistribuzione di risorse e – forse – la nuova legge che regolerà il settore dopo sessant’anni di regime ministeriale. E’ un tema che su cui si continua a discutere e riflettere, ma che non può non essere strettamente collegato a un altro snodo chiave: il rapporto del nostro paese con l’Europa e con l’evoluzione dello scenario globale. Si è molto discusso, quando si trattava di tracciare la Costituzione europea, se menzionare esplicitamente le radici cristiane dell’Europa. Ma forse c’è anche un’altra istituzione che caratterizza il Vecchio Continente rispetto al resto del mondo: ed è proprio la fitta rete di istituzioni culturali, teatri, festival, rassegne (non solo teatrali, ovviamente, ma anche musicali, di danza, letterari, artistici, cinemtaografici eccetera). Questo vero e proprio tessuto, capillare e articolato, caratterizza – con mille specificità locali e nazionali – lo scenario culturale e sociale dell’Europa: è un patrimonio che non dovrebbe essere disperso, una risorsa che porta e può portare ricadute di grande interesse.
In uno scenario globale questa rete, questo patrimonio assumono un valore ancora maggiore. In questo contesto, il ruolo e la funzione del teatro – a cominciare dalle grandi istituzioni teatrali nazionali – cambiano inevitabilmente. Il rapporto tra locale e globale si trasforma radicalmente, perché cambia la comunità di riferimento.
Cambia anche perché l’orizzonte mediatico e comunicativo in cui si inserisce il teatro subisce continue rivoluzioni. Non a caso in Italia le prime sovvenzioni al teatro coincidono con il primo grande successo del cinema e una profonda crisi economica del settore, che non era in grado di contrastare il nuovo medium. Ciò nonostante, la rivoluzione dei teatri stabili poteva ancora far riferimento a un pubblico nazional-popolare. Da allora sono arrivate nuove rivoluzioni: l’avvento della televisione e poi di internet hanno ridisegnato la medisfera, le modalità percettive e comunicative e l’uso del tempo libero, e dunque anche le caratteristiche dello spettatore teatrale, le sue percezioni e reazioni, le sue esigenze. I nuovi media sono da un certo punto di vista dei concorrenti del teatro; ma dall’altro aprono inedite opportunità su molteplici versanti (ibridazione di diverse forme espressive sulla scena, diffusione delle opere attraverso altri canali, contatti e rapporto con il pubblico a livello di promozione). Il passaggio dalla tv generalista alle reti tematiche, e poi alle radio e alle tv via internet, solo per fare l’esempio più banale, dovrebbe aprire qualche prospettiva anche per una nicchia come quella del teatro (e persino del nuovo teatro).
Quello dell’ibridazione e della contaminazione del teatro con altre discipline, arti e media è del resto uno dei grandi leit motiv di questi anni (e di questo incontro). A livello di normativa, il nostro sistema tende invece a una ferrea divisioni di generi (teatro, musica, danza eccetera), una compartimentazione che è indispensabile superare. Anche dal punto di vista delle economie di scala, non si capisce perché un teatro di prosa non possa o non debba collaborare con un teatro lirico (altro esempio banale). E il nodo diventa ancora più clamoroso (e ancora più rilevante dal punto di vista teorico) nel momento in cui il teatro inizia a interagire con i nuovi media.
In questo scenario, abbiamo cercato una chiave, una sorta di parola d’ordine, che potesse tener conto delle trasformazioni in atto. Il vecchio paradigma, quello del “teatro come servizio pubblico”, appropriato ed efficace nell’era del welfare, non ci sembrava più sufficiente. Così gli abbiamo accostato – più che contrapposto – un altro paradigma: quello del “teatro come valore”.
Va subito sottolineato che si tratta di un concetto aperto, anzi, inevitabilmente aperto. Perché il concetto di valore assume tonalità e sfumature diverse a seconda dei diversi contesti in cui viene utilizzato, e non è esente da rischi.
Dal punto di vista estetico, il valore riguarda l’eccellenza artistica delle opere. Privilegiare il valore significa privilegiare la qualità dei “prodotti”. Ma in questo modo si rischiano di trascurare molti altri elementi per noi fondamentali: il teatro come processo di creazione artistica, ma anche come processo di socializzazione e risocializzazione, per esempio.
Dal punto di vista economico, il valore riguarda – per semplificare drasticamente – il ROI, ovvero il “return on investment”, cioè il reddito prodotto da un investimento. E’ inutile ribadire i danni che ha provocato e continua a provocare una visione rigidamente economicistica della cultura e dello spettacolo: del resto gli stessi economisti hanno messo a punto strumenti molto più raffinati per valutare l’efficacia degli investimenti in ambito culturale e spettacolare, che non si limitano al solo aspetto finanziario.
Dal punto di vista politico, il valori riguardano invece i contenuti che il teatro è in grado di trasmettere e diffondere. Ma nell’ultimo secolo si è vista fin troppa “arte di regime” per non sospettare immediatamente di un approccio del genere.
Insomma, mentre il concetto di servizio pubblico rischia di apparire chiaro ma usurato, quello di valore – che oggi ha in diversi ambiti grande fortuna, e che dunque può essere un utiule grimaldello comunicativo – richiede di essere maneggiato con estrema cura. Tuttavia è uno strumento utile proprio nella pluralità dei suoi significati, nelle sue ambiguità, e anche nei suoi rischi, per meglio definire quella che può essere oggi la funzione del teatro e trovare un equilibrio tra le dinamiche artistiche, interne al lavoro teatrale e al suo specifico comunicativo, e la società nel suo insieme e nelle sue varie articolazioni.
Insomma, il termine “valore” può essere uno strumento adatto a governare la complessità.
Anche se in realtà le cose sono molto più semplici. Se definire il concetto di valore può essere lungo e difficile, può essere utile una esemplificazione, come quella con cui George Steiner conclude la sua conferenza Una certa idea dell’Europa:
“Se i giovani inglesi decidono che David Beckham precede Shakespeare e Darwin nella classifica dei tesori nazionali, se le istituzioni culturali, le librerie, le sale da concerto e i teatri stanno lottando disperatamente per sopravvivere, in un’Europa ancora sostanzialmente ricca e dove la ricchezza ha ancora più voce che nel passato, la colpa, molto semplicemente, è nostra. Allo stesso modo dovrebbe rientrare nei nostri compiti la ridefinizione dell’educazione secondaria e dei media che potrebbe sanare quella colpa. Con il crollo del marxismo nella barbarie della tirannia e nell’assurdità economica abbiamo perso un grande sogno: quello dell’uomo comune che si mette sulle orme segue le tracce di Aristotele e Goethe, come proclamava Trotzkij. Ora che si è liberato da un’ideologia fallimentare, quel sogno può – anzi deve – essere sognato di nuovo. E forse solo in Europa abbiamo i requisiti culturali necessari, quel senso di tragica vulnerabilità della condition humaine, per fornirgli una base. Solo tra i cittadini di Atene e Gerusalemme, spesso così divisi, confusi, è possibile ritrovare la fiducia che non valga la pena di vivere una ‘vita non esaminata’”.
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Coordinate storiche e trasformazione del sostegno pubblico Le Buone Pratiche 2: interventi & relazioni di Mimma Gallina |
Quella che segue è la traccia (meno di una relazione, più di una scaletta), del mio intervento a Mira. Ho lasciato qualche passaggio che nel discorso è saltato.
Mimma Gallina e Renato Nicolini a Mira.
a) PERCHE’ E' OPPORTUNO RIFLETTERE SUI PRINCIPI
del fare teatro e del finanziamento pubblico
1. Perché non sono affatto scontati:
per chi fa teatro, per il pubblico, per tutti quelli cui vanno rispiegati da capo (politici e amministratori a destra e a sinistra), a ogni cambio di legislatura (nazionale e locale), di vento e di generazione.
2. Perché lo Stato in Italia (ai vari livelli) non ha mai del tutto recepito la funzione pubblica del teatro (storicamente):
le teorizzazioni legate alla nascita del Piccolo Teatro potrebbero essere lette come una parentesi in una distrazione lunga un paio di secoli e il vuoto legislativo e non è casuale.
(Per questo vorrei che questa discussione non si perdesse troppo in dettaglio: i "parametri" etc., sono importanti ma sono a mio parere una vecchia trappola bizantina in cui più o meno tutti cadono).
3. Perché la situazione nazionale e internazionale sta cambiando
ed è necessario elaborare coordinate precise in cui collocare e interpretare nozioni come valore, servizio, diritti ma anche pubblico, identità, educazione etc.
Siamo in un momento particolarmente delicato, in cui si gioca molto del futuro: con il taglio del Fus e della finanziaria in genere, forse raggiungiamo il punto più basso che ci saremmo immaginati nel rapporto fra Stato e Organizzazione della Cultura, ma se questo orientamento passa (e la gravità resta anche con il "ridimensionamento" del taglio), la scelta potrebbe essere irreversibile (del resto la nostra capacità di adattamento sembra quasi senza limite).
Per essere positivi come è nello spirito delle Buone Pratiche, ci piace pensare che stiamo per toccare il fondo, e questo aiuta a risalire. E'necessaria una spinta di reni, siamo costretti a riflettere, a attrezzarci, e la prospettiva di elezioni non troppo lontane contribuisce a risvegliare qualche ottimismo (per quanto si possa essere rimasti scottati – per singole esperienze e come settore – ANCHE dalla sinistra: già Paolo Aniello ha citato la fine della scorsa legislatura e voleva ricordare, credo, i contributi "extra Fus" reperiti in corner non per il teatro ma a favore di iniziative discutibili).
Non dimentichiamo fra l'altro che il problema è globale: riguarda l'organizzazione della cultura a livello mondiale (a questo proposito rimando all'articolo di Eduard Delgado "Per una politica fondata sui valori" pubblicato su “Economia della Cultura” XIV/2/2004, riportato fra i materiali e che mi sembra illuminante).
Vorrei dire il mio parere a proposito di SERVIZIO E VALORE: la "provocazione" che da qualche anno è nell'aria e che abbiamo voluto rilanciare, non porterà credo a uno scontro sui due termini e magari a negare la consistenza del servizio e la pertinenza e attualità di questo termine (anche se il ragionamento di Ronconi è suggestivo), ma ad aggiornarlo e a precisarne il senso e, parallelamente, a declinare il termine di valore. Già in questa prima fase della discussione sono emerse due accezioni: il valore in sé del teatro, da un lato, e il valore dell'opera, o di un progetto, o del lavoro teatrale di un gruppo, di un teatro (con i conseguenti problemi di "misurazione"). Vorrei aggiungere un terzo livello di riflessione, vorrei cioè che non si dimenticasse (anche riflettendo sulle suggestioni di Delgado), una POLITICA DEI VALORI: il rapporto del mezzo, o dell'arte teatrale con i VALORI. Delgado cerca anche di individuarli e li indica a grandi linee in una prospettiva appunto "globale", strettamente legata ai diritti e, direi, "ecologica" (sostenibilità, memoria, diversità, connettività, creatività, autonomia-sussidiarità, solidarietà). Si potrebbe discutere nel merito dei singoli punti (e qualcosa del genere ricordo anche nelle dichiarazioni di Martone legate alla gestione del teatro di Roma). Ma la sostanza è che il teatro ha senso e trova un suo spazio importante nella società SE/QUANDO rispecchia e interpreta i problemi cruciali del mondo, di un Paese, delle persone (anche se questo ovviamente non basta perchè ci sia teatro). (Di recente sono stata a un festival, quello di Wroclaw (vedi ateatro 90), che si proponeva di indagare se il teatro rispecchi le ansie dell'Europa allargata, e come. L'interesse del festival non stava nel farlo in astratto, ma attraverso una selezione di spettacoli pertinenti, e in alcun i casi di altissimo livello).
b) FINANZIAMENTI
Cosa è successo (in breve)
- calo del Fus: 56% dall'85 a oggi in rapporto al PIL;
- 1990/2000: incremento (più o meno equivalente) dell'impegno degli enti territoriali e locali nel settore dell'attività culturale (Regioni, Province e soprattutto – in valore assoluto – i Comuni);
- 2000/2005: anche in assenza di dati precisi si ipotizza che l'intervento degli enti locali sia stato stazionario o sia leggermente calato in termini reali;
Situazione attuale e prospettive
Da oggi (con i tagli alla finanziaria) è una certezza il CALO DI ENTRAMBI i livelli pubblici di finanziamento (locale e centrale), anche se non siamo in grado di prevederne con esattezza la dimensione
Gli SPONSOR: come possibile livello sostitutivo, si sono rilevati un mito (incidenza minima/ una politica tutta da fare);
Le FONDAZIONI BANCARIE, che sono invece una realtà importante (almeno per il centro nord), non si sono orientate allo spettacolo che in misura ridicola (in particolare al teatro, cui arriva meno dell'1% dei fondi globali). Inoltre le linee generali e i criteri adottati per orientare i finanziamenti non in tutti i casi sono trasparenti.
Le Fondazioni Bancarie, ma anche Comuni e Regioni, hanno dimostrato una singolare propensione per IL MATTONE, investendo in ristrutturazioni e costruzioni di spazi che non avremo i soldi per gestire senza: o hanno fatto a volte con lungimiranza, ma spesso riflettere e senza perseguire soluzioni meno onerose, quasi come se l'"investimento" immobiliare non fosse una spesa e non avesse una precisa finalizzazione.
A questo proposito rimando all'obiettivo dei "piani regolatori" dello spettacolo dal mio libro Il teatro possibile, Cap. 1).
Le fondazioni bancarie sono quindi un ulteriore interlocutore importante con cui misurarsi e da orientare e convincere (non solo Stato per intenderci: bisogna equilibrare e distribuire le energie).
c) LA POLITICA DEL MINISTRO URBANI (Berlusconi 2)
L'apparente non politica del ministro Urbani è stata molto rilevante per il settore. Tra i suoi provvedimenti:
- la revisione dei REGOLAMENTI e in particolare lo stop alla triennalità (uno dei provvedimenti più rilevanti – per il risvolto programmatico – del governo precedente);
- la sedicente riforma dell'ETI (al di fuori da ogni confronto parlamentare o con il mondo del teatro nel suo complesso);
- la centralizzazione delle nomine rilevanti (a partire dai vertici dell'ETI, ma anche Arcus e Biennale: dove per la verità questo criterio era già stato introdotto);
- il clientelismo: basti ricordare l'aumento dei soggetti finanziati (molti dei quali non sono poi stati in grado di svolgere l'attività!);
- la discrezionalità (collegata al punto precedente ma non solo): prevista "per regolamento" e che finalmente almeno smaschera i presunti parametri quantitativi e qualitativi (chi ci crede ancora – molti temo – è peggio che ingenuo);
- la vergogna di commissioni incompetenti come mai prima (e continuamente smentite);
- l'ampio utilizzo di fondi extra-Fus, che quando si vuole ci sono (ma utilizzati con criteri ancora più discrezionali: a onor del vero più a favore delle istituzioni nazionali – ETI, Accademia Silvio d'Amico – che degli amici);
- l'istituzione di Arcus, che forse non è proprio "la creatura più bella di questa legislatura" (come ha sostenuto il suo presidente), ma indubbiamente le è molto coerente: una società del tutto priva di trasparenza e figlia del "principio di privatizzazione". (Per inciso: questo malgrado la consapevole-accertata assenza di fondamento del decantato concorso pubblico-privato nel sostegno a beni e attività culturali; anche un cretino oggi ha capito che l'investimento nel settore non è "in sé" quasi mai un beneficio – anche se si può gestire meglio il merchandising! – ma è l'indotto a trarre beneficio e che il problema è quindi una politica articolata del territorio che punti/integri/valorizzi il bene culturale);
- l'assurdo braccio di ferro con le Regioni e perfino con le Commissioni parlamentari (ovvero la strenua volontà di mantenere tutte le decisioni – e tutto il potere e tutto il Fus – al centro, anche in presenza della riforma costituzionale (posizione che ha ritardato di tre anni il possibile iter di una nuova legge).
d) LE POLITICHE DI WELFARE
In questo quadro di azione, emerge a mio parere un disprezzo intollerabile per la "dignità" dell'artista, dell'operatore teatrale, e anche della tanto decantata "impresa" (disprezzo che ha raggiunto il vertice in alcune dichiarazioni del direttore generale del Ministero, Nastasi). Il richiamo all'astratta efficacia gestionale e ai valori economici riconducono del resto anche il "pubblico" (ricordate quei cittadini "liberamente riuniti ad ascoltare una parola da accettare o da respingere"?) a una categoria di marketing, "disciplina" utile e molto mal assimilate peraltro (un po' come in treno, dove da viaggiatori siamo diventati clienti e da protagonisti di un'avventura ci siamo ridotti a polli da spennare).
Questa politica non è a mio parere da sottovalutare, perché, col suo basso profilo, corrisponde a "una concezione del mondo", che sottrae di fatto ogni valore di principio e di prospettiva a quella che non possiamo quindi più definire "politica di welfare", essendo ormai sganciata da qualunque ragionamento sui diritti, sull'accesso, sulla qualità della vita, sulla formazione delle persone etc. Mi sembra in sintesi che l'intervento politico sia regredito a una fase PRE-welfare (senza essere arretrata all'epoca fastosa del Principe, magari), o forse è già approdato a un ormai consolidato POST-welfare (un day after in cui si salvi chi può).
Ma su questo punto vedi le riflessioni ben più approfondite di Michele Trimarchi in ateatro 91.
e) EVOLUZIONE LEGISLATIVA
Su questo punto ci aggiorna Patrizia Ghedini (della regione Emilia Romagna e anche a nome del coordinamento tecnico delle Regioni)
(Inciso: anche chi è intervenuto nel progetto legge "fai-da-te" di ateatro, in non pochi casi dimostra di non aver colto fino in fondo che il passaggio di competenze fra Stato e Regioni – nella prospettiva "concorrente" – è un DATO ACQUISITO, da disciplinare: dobbiamo smetterla di pensare al sostegno pubblico allo spettacolo in una prospettiva statale: non è più così, e personalmente penso che non sia affatto un male e che il passaggio avrebbe dovuto verificarsi già negli anni Settanta).
Vorrei comunque esprimere alcune PREOCCUPAZIONI SULLA EVOLUZIONE LEGISLATIVO-POLITICA (anche a partire dai testi che abbiamo inserito nella cartella documenti e che troverete sul sito):
- la necessità di trovare un accordo può portare a mediazioni verso il basso (un po' troppo verso il basso: è il caso del testo Rositani); le Regioni hanno messo a fuoco alcuni principi e questi devono a mio parere difendere. La legge che hanno elaborato è però anche una LISTA di tutto quello che le stratificazioni ministeriali hanno prodotto negli anni. E questo impedisce di scorgere il nuovo, o semplicemente di adottare nuove prospettive.
- in particolare nel passaggio di competenze penso che si debba evitare di ricalcare il passato prossimo (moltiplicando in brutte copie diffuse i criteri varati dal centro): sta già succedendo, molte leggi regionali (le più recenti) hanno spesso "fotocopiato" alcuni degli orientamenti peggiori dei regolamenti governativi. Inoltre, chi ha deciso che le leggi regionali devono essere nella sostanza uguali? (Questa è ancora una volta una mentalità statalista). Una volta garantiti alcuni diritti di base, a mio parere, viva la differenza.
- temo anche che si appiattiscano i criteri di valutazione su parametri di falsa rilevanza economica-falsa efficacia (va invece azzerata questa perversione – i primi a dirlo sono gli economisti – e bisogna avere il coraggio di ricominciare da capo).
- temo anche che si appiattisca la politica culturale sui "settori culturali": cioè da un lato si rinnovino le divisioni classiche fra settori e all'interno degli stessi, dall'altro si riduca la politica per lo spettacolo allo spettacolo, o quella per i beni culturali ai beni culturali, dimenticando che deve essere parte di una politica sociale e culturale generale (che possa interagire con la formazione, l'informazione, la comunicazione, il turismo, l'integrazione sociale, l'educazione permanente, le politiche giovanili, le politiche del territorio). Speriamo a questo proposito che, almeno negli indirizzi del centro-sinistra per le prossime elezioni, si possa contare su un "effetto banlieue". Questa consapevolezza dovrebbe essere anche dei teatranti, che dovrebbero poter far riferimento a diversi settori dell'amministrazione pubblica, non per moltiplicare le fonti di finanziamento ("furbescamente" come penserebbero certo i funzionari dei diversi organismi statali e locali), ma perchè è così, perchè questa molteplicità corrisponde alla realtà in un teatro fondato sui valori.
f) Considerazioni sugli ENTI LOCALI
Anche nella politica degli enti locali (comuni soprattutto) vedo assieme la possibile salvezza, ma anche un potenziale grande rischio. La salvezza, sta nella consapevolezza abbastanza diffusa di costituire il baluardo, la linea di non arretramento rispetto alle garanzie minime di servizio.
Il timore, sta nel possibile scivolamento delle politiche locali da SOLO ISTITUZIONE a SOLO EVENTO. E nella necessità (probabile a tempi brevi-medi, salvo inversioni di tendenza) di modalità molto selettive di intervento che non credo abbiamo – quasi in nessuna area del paese – trovato criteri meditati di riferimento che non siano il salvataggio dell'esistente.
Il racconto della Notte Bianca di Roma di Giovanna Marinelli è molto chiaro circa il valore sociale, le ricadute e i benefici di un grande '"evento" e credo che tutti si sia consapevoli della complessità della politica culturale di un grande comune. Ma tutti sappiamo anche che molti medi comuni sperperano (non lo dico per moralismo), in grandi concerti e improvvisati eventi, sappiamo anche quanto le realtà consolidate (legittimamente convenzionate e sostenute), possano schiacciare quelle emergenti. E sappiamo anche quanto sia negli anni scaduta la qualità di gestione delle istituzioni culturali comunali (fino quasi a far sparire la figura della direzione artistico-organizzativa: cioè una "strategia" dell'istituzione). Anche i comuni insomma, devono riflettere su minimi comuni denominatori di intervento e sulla responsabilità che rivestono a livello locale e nazionale in questo loro ruolo di garanti del servizio.
g) Considerazioni sugli INVESTIMENTI per la CULTURA con qualche nota sulla SPESA
Torniamo su questo punto per un momento: la contrazione è davvero inevitabile? e progressivamente andrà sempre peggio? (magari un po' meno peggio se cambia governo, ma una progressiva minore disponibilità di risorse è inevitabile).
Io non credo che sia così ineluttabile.
Credo cioè che scelte decise a favore dello spettacolo e della cultura siano possibili, a fronte – ovviamente – di altre contrazioni, in altri campi. Ma anche se un nuovo governo (certo non questo) arrivasse a un effettivo investimento, sarebbe necessaria un'analisi del settore nel suo complesso, delle competenze, dell'efficacia degli interventi, delle diverse politiche e fonti di riferimento (non solo Fus: è chiaro che una alternativa, o una serie di alternative al Fus, va individuata).
Ma a maggior ragione nella situazione presente e in un'ottica pessimista (certo più realistica), è/sarebbe doveroso analizzare seriamente le eventuali aree di spreco, i possibili miglioramenti di gestione.
Non entriamo nel merito della questione delle Fondazioni Lirico Sinfoniche – ma sicuramente il problema della loro gestione, funzione, numero esiste – ma nel settore prosa? Sono presenti aree di spreco:
- gli stabili pubblici: penso – e in questo sono sempre stata d'accordo con Ivo Chiesa – che i nostri stabili soffrano di un "sotto-investimento” (e credo che le istituzioni debbano invece esistere e vadano rafforzate: a certe condizioni, ma questo forse è un altro convengo). Gli sprechi – che ci sono – corrispondono paradossalmente proprio alla rincorsa un po' stupida e molto demodé a "prodotti di lusso" (e non saprei su questa tendenza chi/come potrebbe intervenire, visto che dipende dal "gusto" dei direttori);
- l'ETI: è talmente evidente in questo caso l'improduttività (il rapporto negativo costi/efficacia che si è rivelato irreversibile/irrimediabile), che il suo scioglimento sarebbe logico sotto qualunque amministrazione, e mi sembra inevitabile nella prospettiva del passaggio di competenze (anche le Regioni lo prevedono nel loro progetto di legge: non so se solo ritualmente). In tutti i frangenti più difficili, però, l'ETI si è salvata e sono quasi certa che questa mia considerazione non troverà un riscontro nei fatti e è probabile che si debba discutere – se ci sarà data facilità di discuterne – su una sua, speriamo sostanziale, evoluzione). (Questo non ha niente a che vedere con la buona fede delle persone che all'ETI lavorano – e le cui competenze secondo me potrebbero meglio essere utilizzate altrove – e ringraziamo il direttore e il presidente del messaggio che ci hanno mandato).
- esistono infine singole imprese per cui i contributi pubblici sono eccessivi: a mio parere esistono aree estese di teatro leggero che beneficiano di aiuti eccessivi rispetto agli esiti di mercato; anzi i contributi sono proprio proporzionati a questo successo, e sono convinta che in molti casi si configurino in larga misura come lucro. Forse su questa area del teatro ANCHE questo governo, che l'ha particolarmente incentivata, dovrebbe riflettere (praticamente TUTTI o quasi gli incrementi di un certo rilievo hanno premiato il teatro leggero).
- a livello delle città e delle regioni è poi davvero urgente disegnare piani di sviluppo e piani regolatori, e credo che le forze teatrali dovrebbero spingere in questa direzione.
Il mio intervento più o meno si è interrotto qui – già ho lasciato alcuni passaggi che nel discorso sono saltati.
Avrei voluto in conclusione anche:
- sottolineare i problemi del lavoro nello spettacolo (che nessuno ha toccato);
- ma anche ricordare la fantasia che ha consentito alle compagnie con infinite attività teatrali e extrateatrali di andare avanti e di sviluppare la loro attività (questo era il senso di Buone Pratiche 1)
- e fare un accenno agli osservatori dello spettacolo, nazionali e Regionali.
Su alcuni punti che mi stavano a cuore, sono intervenuti successivamente e più approfonditamente Patrizia Ghedini e Giulio Stumpo (in particolare mi riferisco al "diritto" alla cultura e al teatro come "opportunità" e alla inadeguatezza di parametri economici per "misurare" l'attività teatrale). Sulla necessità di elaborare schemi di riferimento trasversali ai settori ha presentato proposte efficaci Filippo dl Corno (insistendo molto sulla sobrietà della spesa: argomento che condivido ma che può anche essere un boomerang).
Infine – in sede di dibattito – è emersa la proposta tutt'altro che astratta di promuovere un'azione coordinata per vincolare i parlamentari della prossima legislatura a portare l'investimento sulla cultura all'1% del PIL. Mi sembra un'ottima proposta, su cui lavorare in concreto in funzione di Buone Pratiche 2/Sud.
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La questione del pubblico Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Franco D'Ippolito |
La riflessione che sta attraversando tanti operatori teatrali si è concentrata, anche con qualche spunto autocritico, sulla “questione del pubblico”. Non che negli anni scorsi questo tema sia stato assente o trascurato (anzi, ha caratterizzato le più incisive pratiche di molti stabili di innovazione e segnato le più feconde esperienze del Progetto Aree Disagiate), ma non è mai stato posto con tanta convinzione (magari dovuta forse ad una evidente costrizione) al centro delle analisi della crisi, né è mai stato indicato con tanta consapevolezza fra le principali possibili soluzioni all’immobilismo del sistema teatrale italiano, che ha scavato nell’ultimo decennio un fossato sempre più largo fra le generazioni ed i generi, con qualche stretto ed isolato ponte levatoio praticabile a pochi.
In un intervento incredibilmente attuale, benché pubblicato su Il Patalogo 9 – 1986, Luca Ronconi affrontava il “lavoro del pubblico” e scriveva:
“….. non credo si possa dire come dovrebbe essere un teatro se non si pensa prima a che cosa serve, anche se sappiamo che non si può dire a che cosa serve se non si stabilisce prima a chi serve….. non esiste un solo teatro, ma tanti quanti –potenzialmente- possono essere i pubblici e la vitalità del teatro si misura non soltanto sulla qualità degli spettacoli –che è irrinunciabile- ma anche sulla mobilità del pubblico, sulla possibilità che esistano diversi modi di fare teatro che, di volta in volta, cercano il loro pubblico….. gli spettacoli possono essere effettivamente di prima, seconda, terza categoria, ma i generi teatrali non lo sono altrettanto…. Il grosso errore, infatti, è privilegiare dei generi invece di stabilire, in qualche modo, delle differenze al loro interno…. Il problema riguarda la costituzione di un pubblico teatrale che non esiste. E non esiste perché non è messo in condizione di poter scegliere…. sì, l’importante è poter distinguere…. Questo è il teatro che vorrei: un luogo nel quale quello che facciamo serva (al pubblico) per conoscere e riconoscere qualche cosa…..”
Se punto focale dei dibattiti diventa così il pubblico (o meglio i pubblici), si può provare a ri-pensare molte delle analisi finora fatte ed a ri-definire alcuni principi fondamentali nel rapporto artisti/spettatori, progetti artistici/progetti organizzativi, sistema teatrale/sistema politico, a cominciare dalla delicata questione dei finanziamenti pubblici al teatro. Proviamo a ribaltare il pensiero guida della politica culturale delle sovvenzioni dalla difesa della libertà degli artisti (sacrosanta quando non diventa giustificazione per sopravvivere acriticamente) a quello della libertà dei pubblici (non subendone passivamente la domanda quanto piuttosto generandola). E poi a correlare anche ai pubblici le finalità del finanziamento pubblico, ribadendo in funzione dei pubblici il diritto della cultura e del teatro ad attingere alla fiscalità generale per la propria crescita (e non solo per la propria sopravvivenza). Se lo spettacolo (insieme alla letteratura ed all’arte) è elemento ineliminabile del processo educativo e ciò che spinge il fruitore delle attività culturali è il desiderio/bisogno di accrescere il proprio stock di conoscenze, come possiamo sostenere che quanto oggi la stragrande maggioranza dei teatri propone vada in quella direzione e non, piuttosto, nella più sicura ed improduttiva offerta del “già conosciuto”? Il problema sta nella carenza di stimoli per il pubblico e per i creatori, che si sono seduti sulle rendite di posizione con un eccesso di ripiegamento su di sé.
Se nelle grandi città possiamo stimare che i frequentatori di teatro vedono mediamente dai 3 ai 4 spettacoli a stagione, il pubblico teatrale rappresenta quasi il 20% della popolazione a Milano e Trieste, il 15% a Bologna e Firenze, 10% a Roma, Napoli e Torino, il 7% a Genova e Bari ed il 4% a Venezia e Palermo. E se più della metà degli spettacoli prodotti nella stagione 2004/2005 non ha raggiunto le 30 repliche, non si sta costringendo tutto il teatro a fare pur di fare, senza spingerlo a pensare “cosa”, “come” e “per chi” fare?.
Il Rapporto sull’economia della cultura in Italia 1990-2000, curato da Carla Bodo e Celestino Spada, evidenzia come soprattutto nell’ultimo quinquennio in esame si sia prodotto un “eccesso di offerta” dello spettacolo dal vivo: nel 1996 i biglietti venduti sono stati 12.120.966 a fronte di 63.800 rappresentazioni e nel 2000 mentre i biglietti venduti sono rimasti praticamente invariati (12.191.152) il numero delle rappresentazioni è salito a 72.001. E, ancora, nel 2001, 79.849 rappresentazioni hanno avuto pubblico pagante per 11.660.224 spettatori. Se il teatro in quanto “servizio pubblico portatore di valore” non può misurarsi solo con i numeri, non possiamo non considerare un andamento fra produzione e consumo che deve farci riflettere. Io sono convinto che la questione non sta tanto (o soltanto) nel numero di rappresentazioni, che testimoniano la vivacità del sistema produttivo che, nonostante gli attacchi subiti in questi ultimi anni, ha continuato e continua a dare risposte innovative, vitali. Quanto nel non riuscire a trovare, intercettandone la curiosità e l’interesse, il pubblico che non c’è.
Il finanziamento pubblico trova ragioni politicamente difendibili nel sostegno all’ampliamento/ricambio del pubblico, ed è così il pubblico ad essere il vero beneficiario finale delle sovvenzioni. Non basta più limitarsi a sostenere le imprese teatrali (peraltro inadeguatamente e senza regole certe) senza verificare la ricaduta di quell’investimento sul pubblico dei cittadini-contribuenti-spettatori. Appare così necessario quanto meno provare ad introdurre dei correttivi in questa direzione alla finalizzazione dei sussidi pubblici al teatro, a cominciare dal FUS ma coinvolgendo in un confronto aperto e laico le Regioni, i Comuni e le Province che erogano ormai i 2/3 del finanziamento pubblico allo spettacolo dal vivo. Uno di questi correttivi mi pare possa essere lo spostamento di parte delle risorse disponibili, con criteri e modalità diverse per livello istituzionale, dal sostegno all’offerta (produzione) al sostegno della domanda (promozione, marketing, ricerche sul pubblico). Sono convinto, per esempio, che ragionare in termini di sistemi territoriali più o meno ampi (disegnati sulla base della popolazione residente, del pubblico teatrale e delle possibilità di accesso –palcoscenici e sale funzionanti-) possa contribuire a definire un metodo di parametrizzazione del sostegno alla “domanda futura” di teatro capace di promuovere il ricambio del pubblico e, di concerto, delle proposte di spettacolo. Così come mi pare necessario inventare un modello di gestione dei teatri comunali che costringa la gestione pubblica a collaborazioni verticali e/o orizzontali con chi produce spettacolo al fine unico e vincolante di “aprire” gli spazi per almeno 150 giorni l’anno, riportando il luogo teatrale al centro della vita collettiva della propria comunità. Investire risorse pubbliche in questa direzione (ed in altre dello stesso segno) può riallineare l’offerta ad una domanda rinnovata e rinforzata.
La questione della creatività artistica non può più essere affrontata disgiuntamente dalla questione del pubblico, come se fossero due problemi che hanno origini, cause e soluzioni differenti. Il ricambio del pubblico è possibile solo se si cambierà il modo di produrre e di distribuire teatro in Italia.
Un altro impedimento (colpevole) alla conquista del pubblico che non c’è deriva dall’attuale asfittica dimensione del mercato distributivo in Italia. Mentre le agenzie private fanno il loro mestiere e possiamo soltanto limitarci a far crescere la domanda di “contemporaneità” (così che anche le agenzie private UTIM, ESSEVUTEATRO e TEATRO 88 offrano spettacoli contemporanei), altro è il discorso che riguarda i circuiti regionali, soggetti della distribuzione pubblica e definiti dalla normativa ministeriale e da molte leggi regionali “organismi di promozione e formazione del pubblico”. L’appiattimento a mere agenzie di distribuzione degli spettacoli che assessori e sindaci richiedono (sulla base del pubblico che c’è) contraddistingue la maggioranza dei circuiti regionali che operano così ben al di sotto delle proprie finalità istituzionali. Le “buone pratiche” del circuito marchigiano e di quello della Basilicata (sul piano della rivitalizzazione dei teatri e di un rapporto con la produzione in funzione della promozione del pubblico che non c’è) evidenziano ancora di più l’impoverimento di funzioni dei circuiti regionali, ancora troppo sordi alla crisi di sistema del teatro italiano.
Anche l’ente nazionale che dovrebbe “riequilibrare” i territori del teatro italiano, sostenendo le realtà che per condizioni geografiche e inadeguatezza delle infrastrutture fanno più fatica a lavorare per il pubblico che non c’è, l’ETI, da troppo tempo latita su questo fronte e paga in credibilità sempre più incerta gli avvicendamenti al vertice. Diventa difficile sostenere la utilità e la necessità così di un soggetto pubblico che riceve una sovvenzione ordinaria (dal FUS) superiore a quanto tutti i soggetti meridionali peninsulari della produzione e della distribuzione e della formazione ricevono dallo stesso FUS. Con sempre meno risorse pubbliche a disposizione, il teatro italiano non può permettersi ancora a lungo di sostenere l’esistente, pena il declino irreversibile.
Ho cercato di semplificare un pezzo di mercato e così, consapevole delle approssimazioni di tale procedimento e delle inevitabili generalizzazioni, ho provato a tradurre in numeri le programmazioni dell’area della stabilità (pubblica, privata e di innovazione) nella stagione 2003/2004. Dal campione preso in esame senza alcuna pretesa e distribuito sul territorio nazionale fra nord, centro e sud, composto da 30 teatri stabili (9 pubblici, 6 privati e 15 di innovazione), mi sembra di scorgere un orientamento abbastanza chiaro di quali siano state le relazioni di mercato che si instaurano in questa area. Complessivamente il 59% (21+38) della programmazione dei teatri stabili pubblici è frutto di spettacoli prodotti dalla stabilità pubblica, mentre questa percentuale scende al 41% (37+4) nella programmazione della stabilità privata ed al 35% (24+11) nella programmazione della stabilità di innovazione.
In una indagine sul pubblico teatrale in Italia di Fabiana Sciarelli e Walter Tortorella, su un campione di popolazione fra i 18 ed i 40 anni, mentre il 48% dichiara di andare a teatro, il 63% esprime la propensione ad andare a teatro: vi è cioè, statisticamente parlando, un 15% di giovani under 40 che andrebbe a teatro, ma non ci va. Fra gli spettatori della stessa fascia d’età, il 40,5% dichiara di non voler incrementare il proprio andare a teatro, mentre il 15,9% lo farebbe in presenza di proposte di spettacoli più interessanti (contemporanei?) ed il 13,1% se il biglietto costasse meno (o se avesse maggiori disponibilità economiche da destinare al teatro).
Mi sembra che un mercato che non c’è non possa promuovere, né formare il pubblico che non c’è.
Mira, 14 novembre 2005
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Risorse culturali e politiche di welfare Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Michele Trimarchi |
1. Lo spettacolo dal vivo e gli altri settori del comparto culturale sono di norma considerati settori produttivi tradizionali, forse anche arretrati, da proteggere e sostenere in base a fumose motivazioni etiche o all’indimostrabile e dogmatico assunto che la cultura sia un bene in sé. La cultura è, al contrario, la risposta infungibile a una molteplicità di bisogni individuali e sociali, e un’economia avanzata che naviga – sia pure con molte incertezze – verso i valori immateriali della conoscenza deve porsi la questione relativa a quale ruolo la produzione e la diffusione culturale occupino nella scala dei valori fondanti della società.
Si sente dire sempre più spesso che la produzione culturale debba essere ritenuta strategica ai fini dello sviluppo economico del Paese. Frase molto accattivante, ma che non viene declinata in alcun modo, e che nasconde quasi sempre l’immagine tardo-agricola del Bel Paese assediato da turisti stranieri che attivano scambi, occupazione e reddito nelle nostre Città d’Arte.
In altri casi, si dice che la cultura è un po’ la carta d’identità dell’Italia, ma se si va a guardare il dato delle esportazioni di cultura (mostre, spettacoli, convegni, etc.) si deve ammettere che oltre alle relazioni universitarie e di ricerca rimane ben poco. Anche la lirica, con tutto il fardello dei luoghi comuni che continuano a fare da muro a ogni possibile e necessaria analisi, viene esportata in casi eccezionali e occasionali.
E anche invertendo la prospettiva, l’esportazione “in casa” (ossia gli stranieri che assistono ai nostri spettacoli) sono davvero pochi, nonostante il numero elevato dei turisti culturali provenienti da tutti i continenti. Se la prosa può avere qualche difficoltà di lingua, la musica, la danza e la lirica potrebbero attrarre un pubblico internazionale, ma i dati dicono il contrario. D’altra parte, quasi nessuna orchestra italiana viene considerata all’altezza degli standard internazionali, e lo stesso vale per le altre forme di spettacolo (con poche eccezioni di elevatissima qualità).
Come sempre, si riduce l’analisi a una specie di disputa tra contendenti reciprocamente ostili. I meccanismi del finanziamento pubblico, ispirati a una filosofia di generale elemosina e caratterizzati da una temperie da emergenza permanente, non fanno che accentuare questa mancanza di percezione strategica, e al contrario finiscono per istigare i diversi produttori a una dissennata competizione imitativa, dal momento che il principale criterio formale del sostegno pubblico è la qualità artistica e culturale.
Gli elementi strategici dello spettacolo dal vivo sono invece da ricercare in un ribaltamento della situazione attuale. Non più nicchia ecologica da proteggere nonostante l’indifferenza generale, lo spettacolo dal vivo appare prospetticamente come un settore produttivo che utilizza risorse umane, materiali e tecnologiche di prim’ordine, che sperimenta linguaggi, modalità organizzative, stili e prassi avanzati e flessibili, che in qualche misura perpetua, adeguandola a uno zeitgeist in movimento, la temperie tipica della bottega rinascimentale sapendole imprimere la velocità del mondo digitale.
2. Qual è, allora, il valore dello spettacolo dal vivo nella società attuale, e soprattutto in quella possibile? E’ un valore che discende dal nuovo assetto dei bisogni e dei diritti, dalle aspettative emergenti, da un’inedita e tuttora incompleta lettura dell’individuo e della comunità, che appaiono legati nello spazio e nel tempo al proprio territorio e alla propria storia identitaria. Apolide e poco incline alla localizzazione fino a qualche anno fa, l’individuo tende sempre di più a riconoscere sé stesso in un contesto territoriale ben definito, nell’ambito di una comunità permeabile al cambiamento ma non per questo di minor forza identitaria.
In questo contesto, il benessere dell’individuo e della propria comunità di riferimento non può essere liquidato come la mera fornitura materiale di servizi atti a eliminare delle situazioni di svantaggio. C’è di più. L’accesso alla sanità non basta, è indispensabile poter disporre di un adeguato supporto affettivo, di relazioni dignitose, di una sorta di umanizzazione della terapia. Le strade pulite sono una condizione necessaria, ma non sufficiente, dal momento che alla cultura della raccolta differenziata (che si comincia a insegnare fin dall’infanzia) si accosta la sensibilità verso materiali e oggetti riciclati. Anche la sicurezza, con il poliziotto di quartiere, passa attraverso la conoscenza personale, la fiducia, lo scambio quotidiano.
E il teatro? Finché lo si pensa come un settore destinato a pochi iniziati lo si continua a escludere dalla vita normale della comunità, e dunque dalla stessa percezione dei bisogni individuali. E’ un settore in cui si attribuisce troppo peso al prodotto finito, e quasi nessuno al processo. Una bottega artigiana sita in un quartiere viene considerata importante non soltanto per i prodotti che realizza, ma anche – nella stessa misura – per le competenze che raccoglie, per le specializzazioni che attiva, per i processi creativi che attira e stimola. I giovani che guardano dentro la bottega possono trarne ispirazione per il proprio lavoro futuro. Tutti coloro che effettuano degli scambi con la bottega attribuiscono un valore specifico e infungibile alla qualità delle risorse che vi sono coinvolte.
Allo stesso modo, il teatro sviluppa al tempo stesso due principali canali di scambio con la comunità locale (nell’immediato, e in modo facilmente percettibile) e con la comunità nazionale (nel lungo periodo, e in modo più astratto e mediato). Il primo canale è quello del prodotto: tutto ciò che avviene sul palcoscenico è fonte di benessere per gli spettatori, e accresce il livello culturale e il grado di sensibilità di un’intera comunità. Il secondo canale è quello del processo, e coinvolge a monte e a valle una molteplicità di imprese, individui, istituzioni e gruppi informali che al teatro forniscono beni, servizi e partecipazione e dal teatro traggono un ventaglio di opportunità culturali, sociali ed economiche.
Non si tratta di misurare l’impatto finanziario del teatro. Quello è un esercizio piuttosto meccanico che somma gli scontrini e le ricevute occasionate direttamente e indirettamente dal consumo teatrale. Qui la prospettiva è molto più ambiziosa: si tratta di identificare e declinare quella varietà di ricadute sugli individui, sulla comunità e sul territorio che il teatro, e soltanto il teatro, è capace di generare, mostrandosi come la fonte di un accrescimento della qualità che nessun altro settore produttivo può generare. E rispondendo, in questo modo, a un bisogno qualificato che supera la mera esigenza materiale del welfare inteso in senso tradizionale, per collocarsi nell’ambito di un emergente e pervasivo umanesimo.
In altri Paesi del mondo avanzato le imprese si localizzano in centri urbani dall’attività culturale intensa e innovativa: i manager sanno di dover garantire al proprio personale un’elevata qualità della vita. Da noi le città sono ancora retaggio esclusivo di turisti in pullman, di finti centurioni, di bancarellari, di esosi ristoratori per turisti. E i teatri non sono visibili a occhio nudo, un po’ per il primato tutto da discutere dell’arte del passato, un po’ per una certa pretesa esoterica che spesso gli stessi operatori dello spettacolo accreditano come sintomo di vera qualità.
3. Se il teatro è una fucina rinascimentale, è necessario ragionare sui suoi meccanismi. Con il sistema attuale, non si va molto lontano. E le virtuose – e crescenti – eccezioni messe in luce dall’analisi delle buone pratiche non fanno che confermare la regola della stasi burocratizzata. In un mondo efficacemente funzionante, le buone pratiche sarebbero la norma, e non farebbero più impressione.
I meccanismi sui quali è necessario aprire una riflessione laica sono due: da una parte, il finanziamento pubblico; dall’altra, le modalità gestionali e produttive. Il finanziamento pubblico è ormai alle strette. Tra tagli governativi e processi di devoluzione più o meno forzata, possiamo essere sicuri che il sistema non reggerà a lungo. Che fare, allora? Reclamare il ripristino della situazione quo ante appare una mossa miope, se si considera tra l’altro che quando tagli e devoluzione non erano all’ordine del giorno non c’era chi si dichiarasse soddisfatto dei meccanismi del finanziamento pubblico.
Il terrore di perdere le garanzie è, tuttavia, molto forte, a giudicare dalla mancanza quasi assoluta di discussione sui meccanismi a fronte di barricate e adunate per protestare conto i tagli. In un mondo ideale, alla cultura e allo spettacolo sarebbe destinato ben più dello 0,5% del bilancio statale. Ma in un mondo ideale forse le fondazioni liriche non drenerebbero metà del FUS, gli indicatori di qualità – disegnati con perversione bizantina – non esisterebbero, non ci sarebbe il commercio dei borderò, non ci sarebbero teatri che rinunciano al saldo del contributo annuale perché non hanno fatto attività, e così di seguito.
Il finanziamento pubblico del teatro, affidato esclusivamente all’amministrazione dello spettacolo, è riduttivo e paternalistico. Se il teatro è una bottega rinascimentale, le ramificazioni della sua attività toccano vari settori d’interesse della pubblica amministrazione, dall’innovazione alla formazione, dalla socializzazione alla sicurezza. Una strategia che accrediti la capacità di generare benessere da parte del teatro dovrebbe considerare l’ampiezza di questo ventaglio di effetti e di benefici, e dovrebbe essere pronta a negoziare con vari rami dell’amministrazione. Se tutto ciò che avviene sulle tavole del palcoscenico conferisce benessere agli spettatori, tutto ciò che vi si agita intorno genera una cascata di effetti positivi sulla crescita culturale, sociale, professionale, tecnica, organizzativa, economica e finanziaria dell’intera comunità territoriale, delle sue imprese e delle sue istituzioni.
Meccanismi efficaci di finanziamento pubblico implicano la selezione e la definizione di obiettivi specifici (magari diversi per il governo centrale e le amministrazioni regionali e locali), l’elaborazione e la realizzazione di progetti strategici, la negoziazione delle modalità di sostegno pubblico (finanziamento, ma anche tecnologia, servizi, opportunità e altri incentivi), l’accettazione condivisa di un sistema di monitoraggio e valutazione.
Il ridisegno del finanziamento pubblico dello spettacolo non può che procedere di pari passo con una rielaborazione attiva dell’approccio al pubblico, alla società e al mercato da parte dei teatri stessi. Responsabilità organizzativa e gestionale, affidabilità finanziaria, capacità di governo delle risorse umane, intuizione dei bisogni locali, radicamento del teatro nel suo territorio sono le condizion minime perché chi produce e diffonde lo spettacolo dal vivo possa ritenersi pienamente inserito nella realtà contemporanea.
L’impresa teatrale è nella vulgata di oggi un’azienda di piccole dimensioni, sommersa dalla burocrazia, taglieggiata dalle banche, incompresa dal pubblico potere e ignorata dalla società. Il termine “impresa” indica – soprattutto nel nostro caso – l’iniziativa eroica e apparentemente dissennata di chi, intuendo e anticipando lo spirito delle cose, si pone contro la realtà e l’evidenza credendo nella propria capacità di conseguire un risultato. Ecco, l’impresa teatrale può, deve diventare l’avamposto di una visione in cui il valore della conoscenza, il bisogno della condivisione, l’esigenza di una lettura critica siano gli elementi fondanti della società emergente.
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Gli spazi e l'identità di un teatro meticcio Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Gigi Cristoforetti |
Vorrei rapidamente esaminare il tema del metissage dei linguaggi, della mescolanza delle forme nella scena contemporanea, da tre punti di vista. Quello degli artisti, quello del pubblico, e quello dei programmatori.
L’apertura ai nuovi linguaggi è avvenuta: il circo, il video, l’elaborazione computerizzata del movimento e delle immagini (e quant’altro) nutrono da anni una buona parte degli spettacoli delle nuove generazioni. E’ una mixità artistica che è avvenuta prima di quando è stata teorizzata. E non ha lasciato spazio a discussioni. C’è. Il problema “tecnico” se sia una moda, o se sia necessaria è irrilevante. Irricevibile, si potrebbe dire. Le radici di questo metissage sono sempre le solite: necessità di esplorare ogni dimensione dell’espressione contemporanea, ma anche fuga dai limiti, sentiti come vincolanti, del singolo linguaggio. In particolare, del teatro e della danza.
Il problema vero di cui occuparsi, ormai da anni, è soltanto come organizzare una lettura limpida del fenomeno, e come portarlo al pubblico.
Sul piano della risposta di pubblico, è una questione che non si può porre se non si chiarisce il ruolo del singolo programmatore, del singolo teatro o festival. Il pubblico ha oggi in mano il telecomando, quando è “libero”. Cioè quando non è bloccato in una frequentazione di tipo socializzante , come succede ancora nei teatri di provincia, o quando è organizzato, come avviene con le scuole.
Se è libero sceglie in base all’identità di un luogo o di un programmatore, o di un festival.
La scelta avviene così, ancor prima che per la consapevolezza di voler assistere ad un “linguaggio rinnovato”.
In secondo luogo, il publico è aperto e disponibile, ed ha meno problemi del programmatore ad assistere a qualcosa di curioso, di non codificato. Anzi, ne ha bisogno.
Il successo di pubblico della Festa del Circo di Brescia si deve all’identità nitida della manifestazione, e poi alla curiosità delle forme presentate. A nessuno è importato molto se si assisteva a qualcosa <> o <>. Il Festival Uovo a Milano, o Equilibrio a Roma coprono un vuoto di identità che hanno gli spazi e i teatri tradizionali. Ancor prima che valutare la proposta artistica, dobbiamo renderci conto di questo. Per il pubblico di oggi il teatro non ha più nulla di sacrale in sé. E così, “il teatro” deve conquistarsi la propria identità, e deve farlo confrontandosi con il livello della comunicazione e lo standard dei servizi che appartengono alla contemporaneità.
Ed ecco il terzo punto. Sono troppo pochi, per ora, i luoghi e le istituzioni “teatrali” che hanno assunto questa sfida. Cioè programmare , consapevolmente, la confusione delle arti, il gran calderone senza un’etichetta che è la scena contemporanea. C’è chi lo fa come una bandiera del proprio festival, come scelta poetica, e fa bene, nel vuoto generale. Ma la sfida è diversa. Mancano i luoghi della “normalità”, della “quotidianità” per questi spettacoli.
I Teatri Stabili, i teatri municipali , all’estero fanno anche questo. Da noi la programmazione di uno spettacolo internazionale è quasi riservata al festival ( e quindi con capienze e numero di repliche irrisorie). Il metissage è fumo negli occhi di chi ha comunque qualche risorsa, ma deve difendere il proprio linguaggio istituzionale.
Ed allora, ecco il vero problema. È la forma organizzativa che manca. E’ lo spazio fisico dedicato, la sala teatrale. E quando si apre uno spazio, è come se ci si levasse il pensiero, incastonando lo spettacolo in una stagione che si occupa di tutt’altro.
Senza identità, e senza cercare il pubblico giusto.
La nostra sfida è quindi politica, ancora una volta, prima che artistica. Penso che i vari tasselli siano al posto giusto, ma non faremo il salto di qualità se non ci porremo l’obiettivo consapevole di uscire dalle nicchie. Faccio l’esempio di Brescia, per concludere: non avremo fatto un vero passo avanti finché non passeremo dallo chapiteau (luogo della libertà, ma anche della precarietà), ad un vero teatro, dove ricostruire un’identità stabile dello spettacolo contemporaneo.
Un saluto a tutti
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Un applauso con una sola mano Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Adriano Gallina |
Mi stimola molto, e vorrei accogliere, l’idea di un momento di riflessione sui principi ed in particolare sulla complessa relazione - filo rosso del convegno – che collega valore e servizio. Trovo lo spunto tanto più interessante quanto più mi pare si tratti soprattutto – a maggior ragione dopo la demistificazione dell’idea di valore operata ieri da Nicolini – di un invito in profondità, a ragionare sul problema del senso del nostro lavoro come orizzonte imprescindibile di un’idea di funzione pubblica, senza convenzionalismi e risposte facili; un invito a tentare di tradurre questo nodo, quindi, anche sul piano della responsabilità e del fondamento deontologico ed etico del nostro mestiere.
Forse sono banale o tradizionalista, ma mi pare che il problema possa ancora essere impostato, fondamentalmente, lungo le linee già individuate, cinquant’anni fa, da Paolo Grassi e Giorgio Strehler nel “Manifesto” del Piccolo Teatro. “Teatro d’arte per tutti”: lo slogan si snoda lungo due poli. Ma la mia sensazione è che, forse, proprio nel carattere rigorosamente unitario di questi due poli, nel loro essere congiunti in un’unica formulazione, si trovi la risposta, l’embrione di risposta, che stiamo cercando di chiarire e razionalizzare in questi giorni. Il valore (l’arte) si connette al servizio (per tutti) in una proposizione che definisce al contempo un oggetto e il suo significato: il teatro pubblico. Il servizio e il valore, aristotelicamente, come forma e materia di un’idea regolativa del lavoro teatrale.
E la dimensione del servizio, soprattutto, acquista – proprio in quanto idea regolativa – i tratti di definizione di un diritto di accesso e d’uso del teatro d’arte. Non la definizione di un’attualità (non siamo nell’ambito del paradossale “Teatro dell’obbligo” di Karl Valentin) ma di una potenzialità. Il teatro pubblico si configura come luogo dell’accesso possibile, e sempre aperto, al teatro d’arte. Cioè come diritto a godere di un valore. Un valore che, con Grotowski, definirei per negazione: “Io non so dire cos’è buon teatro. Ma so certamente dire cosa non lo è”.
La declinazione e la conseguenza di questa visione è un’idea del sostegno pubblico come necessario supporto del permanere di questa potenzialità: finchè l’estensione del godimento di questo diritto è concepita come un valore democratico (quindi anche il servizio è in realtà un valore), l’intervento pubblico si argomenta di principio in termini economici (necessità di percorsi di sostegno alla produzione e alle politiche di agevolazione dell’accesso, alle politiche dei prezzi, ecc.) ma al contempo politici.
In questo presupposto – unitamente alla categoria economica del “consumatore sovrano” – che trova una giustificazione non metafisica o ideologica il sostegno pubblico al teatro. Non cioè argomentazioni più o meno nebulose e generiche – di cui tutti peraltro, facendo questo mestiere, siamo piuttosto convinti – ma la definizione di un diritto congiunta anche sul piano causale all’inequivocabile opzione del consumatore. (1)
Tuttavia – ed è anche per questo che la materia della discussione è di grande attualità – la declinazione fattuale di quell’istanza unitaria si è spesso tradotta, in forma dualistica e dicotomica, nella forma esclusiva del servizio, in un’enfatizzazione della quantità, dell’hic et nunc delle presenze e dell’occupancy. Dalla televisione all’editoria al teatro, così, il primo dei due poli di Grassi – l’arte – è stato declinato (al presente e al passato) lungo la prospettiva della semplificazione. “Per tutti” si è tradotto nel principio del “gradimento”, secondo cui se l’arte non è goduta, se il suo valore d’uso non viene consumato è forse meglio, allora, ridurre le aspettative.
Se servizio deve essere, allora deve essere la risposta ad una domanda attuale, la soddisfazione di quella domanda, il modellare produzione e distribuzione su quella domanda. Il servizio diviene valore in sé, determinando una sostanziale mortificazione dell’istanza artistica.
Sul piano economico, è evidente, questa opzione è del tutto razionale, molto più razionale: lungo questa opzione, tuttavia, l’idea di teatro pubblico si converte a finalità e prassi proprie dell’esercizio e della produzione privata: viene a cadere la prospettiva del futuro e si consuma la rinuncia all’idea formativa, pedagogica e acculturante del teatro d’arte.
E torna ad emergere ed imporsi con forza, così, il tema della ratio del sostegno pubblico a questo teatro.
Molte, in questo percorso, le responsabilità del teatro e delle sue cattive pratiche: dai circuiti, che hanno negli anni tradotto l’idea di promozione e formazione del pubblico in chiave esclusivamente distributiva; all’ETI, che – tanto più oggi, con la nuova presidenza – aspira a recuperare (in questo, anzi, concorrenzialmente con i circuiti stessi) un ruolo di quasi esclusiva diffusione dello spettacolo sulla penisola e nei suoi teatri (e le aree disagiate? E la costruzione di soggetti “di sistema”?); ma responsabilità straordinaria della cosiddetta “dorsale” dei Teatri Comunali, spesso proni – come ricordava ieri Solari – sulle proposte delle agenzie di programmazione (che tuttavia, in una legittima logica privata, non fanno altro che il loro mestiere), altrettanto spesso privi di forme anche soft di direzione artistica, del tutto appiattiti sul gusto dominante e totalmente dimentichi della loro funzione. Per non parlare, infine, di una Stabilità Pubblica sempre più organizzata come un canale televisivo generalista (e con un conseguente “pubblico generalista”).
Detto tutto questo, tuttavia – è stato ricordato a più riprese ieri e anche poco fa da Stella e da D’Ippolito – è inutile nascondersi il fatto che il problema del pubblico, di tutto il pubblico, rimane, ed è grave. Dal recente Rapporto sull’economia della cultura riferito al 2000, a cura di Carla Bodo, emerge rafforzata la tendenza – già denunciata nel rapporto del lustro precedente – alla progressiva e costante divaricazione della forbice che pone in relazione domanda ed offerta di spettacolo a vantaggio di quest’ultima. Si viene a consolidare, cioè, un quadro di eccedenza di rappresentazioni e spettacoli rispetto ad un pubblico in calo. E a questo riguardo viene segnalata dalla Bodo per il secondo lustro consecutivo la necessità – definita peraltro come una “rivoluzione copernicana” - di dirottare una quota dei contributi pubblici a forme di sostegno della domanda, pena il rischio, per il teatro, di riuscire sempre meno a legittimare e giustificare di fronte al mondo della politica il senso del finanziamento. E questo, forse, può essere il cardine, politico ed argomentativo, per percorrere e caldeggiare altre e diverse forme di finanziamento, più legate ai territori e alle realtà locali, alla ricaduta immediata sulle comunità: dalle Regioni alle Provincie e ai Comuni, ovviamente, giù giù fino alle realtà circoscrizionali. E, sul versante del privato, alle Fondazioni Bancarie.
La necessità di un sostegno della domanda è tanto più vera, per ovvi motivi, per l’area dell’innovazione. E mi trovo a condividere questa convinzione per diverse ragioni: anzitutto perché - in tempi di grave contrazione delle risorse pubbliche e nel quadro di un sistema che (avverte la stessa Bodo) sembra congegnato appositamente per salvaguardare rendite di posizione ed escludere nuovi accessi - la prospettiva di vita di una giovane compagnia si identifica con la possibilità di un mercato sostenibile, in grado di corrispondere cachet, garantiti o percentuali accettabili e dignitosi (e quindi con teatri “frequentati”); in secondo luogo perché la prospettiva del sostegno alla domanda, in particolare in aree metropolitane di straordinaria complessità “ecologica” come Milano, può muoversi efficacemente lungo la direttrice “virtuosa” (e, aggiungerei, necessaria) della costruzione ed implementazione di reti cittadine, microcircuiti metropolitani, forme di aggregazione e partenariato tra teatri, percorsi di organizzazione e mobilità orizzontale del pubblico, investimenti promozionali e comunicazionali congiunti. Il quadro di Milano, da sempre ma con una straordinaria accentuazione negli ultimi anni, evidenzia – particolarmente nell’area dell’innnovazione - una proliferazione di forme di stabilità diffusa che – nel loro interesse e nella loro necessità artistica e politica – rischiano tuttavia, senza direttrici di aggregazione, l’ulteriore frammentazione e localizzazione di un pubblico in costante calo.
Forse la prospettiva d’orizzonte è proprio questa. Con un sistema di distribuzione (Stabili d’Innovazione in testa) che non garantisce, non tutela e non offre mercato sostenibile l’opzione della conquista del proprio pubblico è probabilmente, per le compagnie, una necessità. Meno necessaria (o nient’affatto necessaria), è invece la prospettiva della chiusura: è mia convinzione che un senso profondo dell’idea di teatro pubblico, con un pubblico, sia oggi percorribile al contrario solo attraverso forme di azione e lavoro di rete tra luoghi e organismi di produzione che condividono (e sono disposti a negoziare parzialmente) visioni artistiche e progettuali, tensioni politiche e civili. Che la prospettiva del teatro d’arte sia oggi possibile, in particolare nell’area metropolitana, solo se abbandona l’idea dell’esclusività del luogo unico (una sorta di variante del “socialismo in un solo paese”) per divenire realmente sistema.
L'alternativa, temo (ed ecco la ragione dei titoli alternativi di quest'intervento), è il compiacimento un po' snobistico di chi considera il pubblico come una sorta di "male necessario", trovandosi volta per volta nella condizione (anche sonora) di chi "applaude con una sola mano", o di chi cerca di vendere "ottimi gelati al polo nord". O di chi - come il gatto del Cheshire di "Alice nel paese delle meraviglie" - sfoggia uno straordinario sorriso: ma senza corpo.
NOTA
(1) Si tratta di un’argomentazione molto interessante dovuta al Prof. Michele Trimarchi. Falliti (o comunque dimostrati poco (o a-) scientifici) tutti i tentativi di giustificare l’intervento pubblico in forma filosofica, socio-antropologica, pedagogica, ecc. rimane un dato, inequivocabile: tutti i sondaggi che indagano l’opzione dei consumatori relativamente all’opportunità del finanziamento pubblico del teatro danno esito ampiamente positivo. Questo significa che un’ampia maggioranza dei contribuenti (che, ovviamente, in larghissima misura non è pubblico dei teatri) è favorevole a destinare una quota della sua tassazione per garantirsi un diritto potenziale. Un dato, anche a nostro avviso, piuttosto significativo e abbastanza dirimente.
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The scissors are on the right or on the left? Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Alfredo Tradardi |
Il teatro è una biblioteca pubblica
“La Tragedia Endogonidia è un ampio progetto di ricapitolazione del teatro. In un’epoca in cui proprio il teatro, e le sue leggi di finzione e di retorica, è utilizzato dalla politica e dalla società per fini persuasivi (un riferimento alle ronconiane fatiche olimpiche?), la Societas Raffaello Sanzio sente il bisogno di ripensare questa forma della espressione umana, per ritrovare la forza della sua specificità.”
Così è possibile leggere nel foglio di sala dello spettacolo M.#10 MARSEILLE presentato dalla Societas Raffaello Sanzio al Festival delle Colline Torinesi.
Anche a Torino e in Piemonte il teatro, e la cultura in generale, sono troppo spesso utilizzati “dalla politica e dalla società per fini persuasivi”.
Sui giornali torinesi è possibile cogliere da qualche mese frammenti di una discussione, tutta interna alle segrete stanze, tra assessori, vecchi e nuovi, della regione, della provincia e del comune di Torino.
Ma quello di cui si avverte la necessità è un dibattito pubblico approfondito sulle politiche culturali degli enti locali e sullo stesso concetto di “politica culturale”.
“Un ente pubblico non è tenuto ad elaborare una propria concezione della cultura, bensì a riferirsi alla cultura così come essa vive e agisce e si manifesta nella società civile, ovviamente al fine di amplificare la risonanza di ciò che già esiste e offrire opportunità di attuazione alle forze di ciò che ancora non esiste ma urge e spinge nelle esigenze collettive”, scriveva nel maggio del 1977 l’assessore alla cultura del Comune di Torino Giorgio Balmas, mettendo anche in evidenza la antinomia tra una concezione della cultura come continuità che “insiste sulla necessità di salvaguardare e trasmettere, anche attraverso le istituzioni esistenti, un patrimonio rinnovabile ma non alienabile, di beni formali e sostanziali” e una concezione della cultura come aggregazione “che privilegia gli aspetti innovativi, non solo nei contenuti ma anche nelle forme (e quindi l’emersione dal basso di nuove interpretazioni della cultura, intesa soprattutto come legame comunitario, come potere aggregante)”.
Ma di tutto questo non c’è traccia nei programmi delle varie giunte, come non c’è traccia di una qualche preoccupazione sui temi di fondo dell’etica del pluralismo culturale e del principio dell’autonomia della cultura (del quale si è spesso fatto strame a Torino e dintorni).
Né dell’etica della trasparenza.
A quando un rapporto annuo, da parte dei vari assessori alla cultura, sui progetti culturali finanziati rispetto a quelli presentati?
Né del rapporto tra cultura e democrazia.
La preoccupazione maggiore sembra essere quella di stabilire una qualche improbabile relazione tra cultura e turismo, tra cultura e “diversificazione della economia piemontese” (sic!).
Di “etica del pluralismo culturale” ebbe a parlare uno dei convenuti a BP1.
Io mi permisi di aggiungere, ad un decalogo tutto da scrivere:
1. il principio dell’autonomia della cultura
2. l’etica della trasparenza
3. il teatro come bene comune, pubblico, collettivo
ora potremmo continuare con:
1. non usate il teatro (e la cultura) a fini persuasivi
2. il teatro è uno strumento di democrazia
3. il teatro è uno strumento per ricostruire una democrazia
4. il teatro è un servizio pubblico e un valore democratico
5. il teatro è una biblioteca pubblica
mi fermo perché siamo già a nove!
È possibile che i libri del teatro (gli spettacoli) siano dati a titolo gratuito?
I libri delle biblioteche pubbliche qualcuno propone siano prestati a pagamento.
Il dio mercato anche nelle biblioteche pubbliche secondo i vari bolkestein-frankestein?
Il teatro, malgrado le più rosee previsioni (“non vi è più una pubblica necessità che nutra il teatro”, massimo bontempelli 1926), continua a percorrere i sentieri del mondo, una singolare invariante rispetto ai sistemi sociali ed economici e ai nuovi media.
Ma se il maremoto che sta sconvolgendo il mondo intero provocherà, come sembra, una gigantesca ridistribuzione del reddito, i paesi occidentali saranno sempre più poveri (non saranno le guerre dei bush e dei blair a fermare questo processo).
Ma la povertà non è un problema, è la soluzione sostiene Majid Rahnema (povertà in dizionario dello sviluppo” a cura di wolfgangs sachs oppure in Quando la povertà diventa miseria, Einaudi 2005)
«Cos'è, in realtà, la povertà? Una costruzione dello spirito, un concetto, un vocabolo? Uno stile di vita, la manifestazione di una mancanza, una forma di sofferenza? Si contrappone alla miseria o ne è un sinonimo? Rappresenta un limite arbitrario stabilito dagli esperti per distinguere i poveri dai non poveri o, ancora, è una delle frontiere che separano i comuni mortali dai santi?»
il teatro povero diventerà una necessità e allo stesso tempo “la soluzione” ai problemi del teatro, se di teatro civile e necessario abbiamo bisogno e non di pseudoteatro, utile solo alla politica e alla società per fini persuasivi.
Un teatro povero come una biblioteca pubblica nel quale i libri da comprare sono scelti dal direttore della biblioteca e non dagli assessori, il solo tipo di biblioteca nel quale sia permesso far pagare non un biglietto ma un piccolo ticket, come d’altra già avviene.
Per chiudere: The scissors are on the right or on the left?
Ha cominciato in Piemonte il neo assessore regionale alla cultura, Gianni Oliva, a mostrare la sua collezione di forbici (di sinistra senza scioperi), poi sono seguite le minacce delle finanziarie, forbici anche esse (di destra e quindi con scioperi).
Non è chiaro che cosa ci sia dietro, ad esempio, le forbici “oliva”.
Che sia solo lo strumento necessario per una ridistribuzione delle risorse a favore dei propri clientes?
Mercenasco, 11 novembre 2005
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Altre Velocità Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi di Altre velocità |
AV AltreVelocità si propone come un involucro alternativo in cui maturare esperienze di osservazione, dialogo e riflessione anche dilatate nello spazio e nel tempo, sfruttando un nomadismo fluido ma non facile tra critica, studi, laboratori e incontri.
Il tentativo di aggiornare le espressioni di teatro contemporaneo si nutre di uno sguardo non solo riflettente ma anche orientante le tendenze, con l’assunzione di una responsabilità mobile sul territorio, dove mobilità significa anche occasionalità e impulso, consci che l’aspetto più rilevante dei cambiamenti nei quali siamo coinvolti non è solo la loro portata o la velocità rispetto al passato, ma anche la loro simultaneità.
Registrare il presente tenendosi aggiornati sul passato e cercando di anticipare il futuro.
Entrare nei luoghi trascurati dalla critica senza trascurare la varietà dei luoghi della critica, dotarsi degli strumenti per saper, saper fare e saper far fare scelte.
Porre domande in dialogo costante fra arti sceniche e contemporaneità.
AV non vuole parlare lingue correnti. Sedersi su tracciati sicuri. Occupare spazi consueti. L’acheraggio sui siti o sulle pagine dei giornali locali, e la presenza imprevedibile in contesti legati alle arti contemporanee è il tentativo di crearsi uno spazio autonomo, il più possibile svincolato da tempistiche e modalità operative che non siano, dal gruppo, esplicitamente scelte.
È uno dei modi che AV si da per compiere un’azione “eversiva”.
È sottesa l’esigenza di una ridefinizione terminologica, di una focalizzazione di nodi concettuali e tematici con i quali non si può non fare i conti. È presente la volontà di appropriarsi di un vocabolario che si nutra della capacità di leggere la realtà attraverso l’arte (e viceversa)!
Non più trappole per discorsi autoriferiti!
Per questa ragione AV e la sua presunta virtualità è primariamente un luogo di riflessioni interne, di scontri di prospettive, di interessi diversificati, di traiettorie critiche anche antagonistiche. Le figure che lo compongono - Chiara Alessi, Valentina Bertolino, Daniele Bonazza, Piersandra Di Matteo, Lorenzo Donati, Agnese Doria e Rodolfo Sacchettini - sebbene legate da un comune interesse per le arti sceniche contemporanee, hanno sviluppato competenze specifiche in ambiti differenti. Se è evidente che non è più tempo (ormai da un po’) di rigidi confini tra le discipline, né di difesa della separatezza in un orizzonte in cui i fenomeni artistici hanno modificato, in osmosi, la loro fisionomia, AV opta per un atteggiamento critico permeabile e, non per questo, meno rigoroso. Sfruttare l’eterogeneità e la diversificazione delle competenze minando perennemente l’identità del gruppo, rafforzandone l’apertura, mettendo in discussione la comunione di intenti e concentrandosi sulla condivisione di azioni. Un oculato utilizzo delle risorse disponibili, una progettualità in progress, un’altra velocità.
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Per una politica culturale fondata sui valori: un punto di vista globale Le Buone Pratiche 2: materiali di Eduard Delgado |
da “Economia della Cultura” – a. XIV, 2004, n.2.
1. Una rivisitazione delle politiche culturali
L’entrata nel nuovo secolo impone una rivisitazione delle politiche la culturali e delle loro prospettive, alla luce dei profondi cambiamenti dal sperimentati della imprese creative in tutto il mondo, e di una nuova consapevolezza sociale sul tema dell’ambiente culturale, specialmente nelle società "a mercato lento". Alcune contraddizioni immediate costituiscono la premessa della nostra analisi:
— le politiche culturali non possono essere capite al di fuori del loro contesto socioeconomico e politico, compreso quello della globalizzazione: ma i riflessi di quest’ultima sulle componenti sociali e politiche della pratica artistica, non sono ancora sufficientemente conosciute;
— i governi e l’opinione pubblica riconoscono il passaggio della sfera culrale da scenari pubblici a scenari privati, e tuttavia gli studi sulle politiche culturali restano fermamente radicati nell’ambito della governance;
— i flussi cultuali vengono descritti come depositari di valori umanistici, e tuttavia le disuguaglianze nello scambio, gli imperi delle comunicazioni e la subordinazione delle arti al commercio e ai media sono più forti che mai.
Dal momento che la rilevanza della cultura nel PNL e nel commercio crescono tutto il mondo, dovrebbe crescere contestualmente il ruolo delle politiche culturali sempre pii:t necessarie in vista della regolazione del mercato culturale. Le società a mercato lento e quelle a mercato rapido dovranno entrambe fronteggiare il problema della gestione del loro bene pubblico più intimo: la cultura. Tutelare e valorizzare il patrimonio culturale diverrà la chiave della coesione locale e della competitività nei confronti dell’esterno.
Il «fattore culturale» è già accettato — di fatto — dal mercato, e diviene il segno principale di distinzione di importanti progetti di tipo commerciale. Tuttavia, tale riconoscimento non discende dalla qualità morale delle attività artistiche, ma dal valore aggiunto portato alla comunicazione d’impresa. Per consolidare un nuovo spazio mondiale per l’interazione culturale — parzialmente o pienamente integrato nelle strutture del mercato convenzionale — le arti e i loro epigoni devono però esigere, per se stessi, che la scena principale sia lasciata ai valori sociali.
Il capitalismo culturale sta sostituendosi al capitalismo industriale, come risulta chiaramente anche dall’evidenza statistica che descrive il progresso strabiliante delle industrie del tempo libero, della cultura e della comunicazione dagli anni Cinquanta in poi. Il modello della pratica culturale borghese — fondato sull’accesso e sulla distinzione — è di venuto, il paradigma di molti tipi di relazioni umane, comprese la politica e i economia. Nello stesso tempo, nuovi movimenti orientati ai va lori guardano alla sfera culturale, alla ricerca di elementi di qualità nel l’esperienza umana e nella solidarietà. La soggettività non è più uno strumento di scelta, ma è divenuta essa stessa oggetto della scelta. La creatività non è più una qualità supplementare dei processi ma il loro stesso esito. È nostra intenzione tuttavia di concentrarci, anziché su queste trasformazioni culturali, sul loro impatto sulle politiche pubbliche; un impatto dominato da una sfida ai valori esistenti, e dalla necessità di metterne a fuoco di nuovi.
Il recupero di una elevata dimensione morale nella sfera culturale, non va vista nella vecchia accezione puritana, ma va considerata come una piattaforma tendente a favorire comportamenti fondati sui valori: perché valori «alternativi», come l’armonia fra mente e corpo, i diritti umani, la spiritualità, la sostenibilità ambientale, la memoria sociale, l’equità e la solidarietà sono stati in circolazione già dal secolo scorso, ma lo loro sostanza è andata progressivamente alienandosi dalle arti e dal patrimonio.
Molte delle difficoltà sperimentate dalla regolazione culturale tradizionale — fin dalla crisi e dalla quasi dismissione delle filosofie del Welfare State — sono dovute al mancato passaggio da politiche fondate sugli obiettivi a politiche fondate sui valori. Infatti il futuro delle politiche culturali è quello di regolare lo spazio culturale pubblico in modo da assicurare il rispetto dei valori, piuttosto che promuovere o gestire la pianificazione culturale strategica. I diritti culturali, l’etica della cooperazione culturale e la difesa dei valori umanistici nelle relazioni culturali (specialmente nella Rete) saranno al centro della politica culturali pubblica nel XXI secolo. Solo in questo modo le politiche culturali riusciranno a collegarsi costruttivamente con le altre aree d’intervento del settore pubblico, come l’educazione, l’ambiente, la salute e la sicurezza della qualità della vita, per fare sì che la cultura occupi un posto centrale in processi orientati al valore delle nostre società.
Come avviene per l’educazione, l’ambiente o la salute, l’ambito pubblico della politica culturale sarà rivendicato e gestito sia da organizzazioni pubbliche, sia da organizzazioni private, il che comporta la creazione di un nuovo meccanismo regolatore eventualmente patrocinato dal l’ONU. Questo tipo di meccanismi, nel caso della cultura, dovrebbero essere basati prevalentemente sull’autoregolamentazione volontaria, ma con un forte monitoraggio internazionale, basato anche sul ricorso a benchmark.
2. I valori all’opera
Nel tradizionale welfare state e nei suoi sistemi di politica culturale, la creatività veniva considerata principalmente al servizio di alcuni valori sociali condivisi. Questo presupposto viene messo in discussione dai valori che si sono andati imponendo al volgere del secolo, nei quali la soggettività e la creatività possono essere privatizzate e vendute sul mercato, non solo come singoli prodotti e atti, ma come identità collettive.
Per contro, mentre il ruolo delle politiche culturali pubbliche è profondamente cambiato, gli strumenti e i metodi di analisi di tali politiche sono ancora radicati nella tradizione occidentale degli anni Settanta, caratterizzata da alcuni coraggiosi presupposti:
a) la pratica culturale è fondamentalmente un esercizio collettivo (ad eccezione dei piu’ facoltosi), che va promosso e regolato dai poteri pubblici;
b) lo stato (a tutti i suoi livelli e con tutte le sue istituzioni) è il solo agente di riflessione e di pianificazione strategica per le arti e per la cultura;
c) la sfera culturale si incentra sulle arti classiche, più il cinema. Le forme della cultura popolare, nel senso moderno del termine, vengono incluse solo marginalmente nelle politiche ufficiali negli anni Ottanta;
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d) i fenomeni culturali sono alimentati essenzialmente da una dialettica nazionale/locale; l’ internazionalizzazione è tuttora considerata un fatto eccezionale.
La struttura istituzionale che ha funzionato fino agli anni Novanta era perfettamente in grado di gestire questi presupposti: bastava collo care la cultura accanto all’educazione e ad altri servizi alla persona, fornendo i finanziamenti complementari e i sistemi di regolazione.
Tuttavia, le politiche culturali conseguivano solo di rado la stessa rispettabilità amministrativa delle altre aree dell’intervento pubblico, tanto che la salute, l’ambiente, l’occupazione, la sicurezza o l’educazione hanno utilizzato la cultura come supporto per i loro obiettivi principali. Burocrati, amministratori e mediatori tendono a vedere nelle politiche culturali un’appendice dell’educazione, della comunicazione o del tempo libero. E' un paradosso del nuovo millennio che l’area pubblica più trascurata nel XX secolo sia oggi chiamata ad occupare il centro della. scena, bensì non in termini di area di governance, ma piuttosto come fonte generosa di materia prima per l’espansione del mercato. Il danno alle politiche culturali come area di interesse pubblico potrebbe essere irreversibile.
La ragione di ciò risiede in parte nel fatto che le politiche culturali non sono più state propriamente strutturate nell’ambito dell’azione politica convenzionale. Per quanto concerne la cultura, i programmi principali dei partiti si limitano ad una modesta combinazione di politiche di tutela e di accesso, con scarso riferimento a un progetto culturale generale per la società o la comunità.
Il discorso culturale resta sganciato dai diritti e dai valori. Le politiche — di destra o di sinistra — non sono riuscite a introdurre il discorso cul turale nelle aree calde dell’inquietudine sociale: le migrazioni, l’esdusione, la disoccupazione, i diritti dei consumatori, o i diritti umani. Questo potrebbe spiegare come mai in molte aree della coscienza politica, in Europa e in America, l’impegno ambientalista ha Sostituito la battaglia culturale, visto che la sinistra ha rinunciato — ancora una volta — a con siderare la cultura come un’area speciale di «consapevolezza dei valori».
Il conflitto crescente fra l’Europa urbana e quella rurale fa parte di un nuovo divario nel quale i temi culturali possono essere facilmente igno rati, mentre preoccupazioni ambientali correnti — come quelle per la qualità alimentare o per le crisi dell’agricoltura — costituiscono obiettivi chiari e precisi.
3. Politiche per obiettivi
Le politiche culturali pubbliche sono state, storicamente, di vario tipo, in particolare nella tradizione occidentale, dove l’intervento pubblico nel campo delle arti può essere documentato diacronicamente fin dal Rinascimento.
a) Uno dei modelli tradizionali fa riferimento alle politiche guidate dalla magnanimità personale: il volere del Principe che gestisce privilegi, accresce il benessere o il patrimonio ed esercita una influenza diplomatica.
La comunicazione fra il potere e il popolo può essere resa più agevole sottolineando la comunanza dei simboli e la capacità del Principe di legittimarli. I principi cattolici o gli imperatori giapponesi rappresentano modelli diversi di gestione delle arti e del potere.
La crisi delle monarchie assolute e l’emergere della borghesia ridimensiona questa modalità della politica senza eliminarla completamente. I politici contemporanei a volte emulano la politica del Principe e così fanno i leader dell’imprenditoria attraverso la sponsorship aziendale delle arti.
b) In forma corollaria rispetto al profilo del Principe, troviamo politiche come «la ragion di stato», che corrisponde alle pratiche di costruzione dello stato: le arti come corollari dei simboli di stato, insieme all’esercito, al linguaggio e alla moneta. La conservazione dei tesori di stato e il sostegno agli «artisti nazionali» costituisce una parte significativa delle politiche nazionaliste. Questo tipo di meccanismo è ancora molto vivo ai nostri giorni, nonostante l’erosione generata dai processi di integrazione continentale e globale, e la spinta alla diversità culturale interna (dal momento che il fatto che nessuno stato nazione possa essere descritto come «monoculturale») è una realtà contemporanea indiscutibile. Non di meno, le politiche di costruzione dello stato nazionale — trasformate in una difesa disperata dei beni culturali (spésso depredati da contesti coloniali o regionali) — ispirano ancora molte pratiche politiche nel campo della cultura. La «sussidiarità culturale» nell’Unione Europea si ferma ai livelli degli stati, e possiamo individuare forti domande di costruzione nazionale nelle politiche culturali in Africa e in America Latina.
c) Accanto a quelle politiche, troviamo politiche guidate da «obiettivi». Come si sa, la Seconda guerra mondiale introdusse una nuova ondata di assunzione di responsabilità della politica, con la conseguente domanda di assunzione di responsabilità pubblica anche in campo culturale. Le politiche culturali vennero pertanto giustificate per il loro contributo ai processi generali di tipo sociale, politico ed economico sulla base di obiettivi che sono andati cambiando nel corso del XX secolo, secondo modalità che cercheremo di sintetizzare.
È noto che negli anni Cinquanta l’azione culturale pubblica tendeva ad obiettivi di riconciliazione e di ricostruzione: ciò vale particolarmente per l’Europa, ma può essere esteso ad altre regioni del mondo. Negli anni Sessanta, tale ruolo andava ricercato soprattutto nel contributo della cultura alla educazione permanente ed extrascolastica, mentre la logica prevalente degli anni Settanta riguardava l’integrazione delle culture rurali e periferiche nei processi di modernizzazione. Negli anni Ottanta l’obiettivo principale diviene quello dello sviluppo economico, mentre negli anni Novanta è il benessere sociale a dominare la scena (riduzione della disoccupazione, riqualificazione urbana, sviluppo rurale, integrazione degli immigrati, lotta contro l’esclusione sociale).
Sembra che nei primi anni del XXI secolo la spinta principale sarà data dalla valorizzazione delle tecnologie. In altre parole, le principali politiche per la cultura, nel settore pubblico come in quello privato, potrebbero favorire l'uso delle tecnologie della società dell’informazione nella tutela, nella divulgazione, nella comunicazione o nella creatività culturale. Questa non è che una supposizione, anche se avvalorata da molti segnali, come, ad esempio, l’accento posto dalla Unione Europea sull’introduzione degli strumenti della società della informazione nello sviluppo culturale, sia in Europa, sia nelle regioni associate.
Le politiche finalizzate al conseguimento di obiettivi sembrano desti nate a restare, perché ci sarà sempre un ruolo per la politica culturale come supporto ad altri obiettivi socio economici, anche se la costruzione del consenso attorno alle politiche culturali nelle società complesse è divenuta sempre più difficile.
Questi tre tipi di politica hanno strumenti di attuazione distinti. Nel primo tipo, si tratta di un sistema di corte, con le sue gerarchie di rotazione per i «favoriti». Il secondo tipo strumentalizza una struttura statuale con un potere decisionale centralizzato basato sull’esercito, su alleanze con la religione, sui sistemi educativi e sugli interessi coloniali. Il terzo tipo opera attraverso la delega, la devoluzione e il decentramento, in un complesso gioco politico di sfide e di obiettivi.
Oggi possiamo individuare una tendenza capace di sostituire le politiche guidate da obiettivi con politiche guidate da valori. Per politiche orientate ai valori intendiamo quegli sforzi concertati nei quali viene rielaborata e riscritta la linea di fondo del perché la cultura vada sostenuta. Cinque decenni di politiche orientate agli obiettivi non sono riusciti a portare la cultura «dai margini al centro» e a riconoscere «la nostra diversità creativa)). Il ruolo della fenomenologia culturale pubblica nella nostra società è troppo delicato e trascurato per essere mantenuto al li vello di qualsiasi altro esercizio di fissazione di obiettivi politici o economici. Le politiche culturali guidate da valori considerano la cultura un diritto umano, radicato nel nucleo della dignità umana.
4. Test e benckmark
La fenomenologia contemporanea delle relazioni culturali è oggetto di studio privilegiato da una varietà di scienze sociali, specialmente quelle più adatte all’analisi dei rapporti simbolici e di potere all’interno di una particolare struttura sociale, inseparabile oggi da un sistema di interazione culturale di portata mondiale. Ma, i reiterati tentativi di sfruttare il potenziale delle scienze sociali di contribuire alle politiche culturali, hanno finora deluso. Ciò vale non solo per l’analisi delle politiche come corpus specializzato di conoscenza, ma anche per gli studi sulla cultura in generale:
«L’esame del comportamento culturale è stato un incubo storico per gli antropologi. Le teorie funzionaliste e comportamentaliste sono state scartate dalle scienze sociali con la stessa sistematicità con cui esse formulano le proprie leggi.»
Queste difficoltà hanno rallentato il ritmo dell’analisi culturale dal punto di vista antropologico, e hanno quasi negato la possibilità che tali analisi entrassero a fare parte della governance politica. La ragione di tali perplessità può essere dovuta a condizioni avverse, o all’appropriazione degli studi sulle politiche culturali da parte di burocrati ai quali spetterebbe solo di attuarli, o, semplicemente, alla mancanza di interesse per la ricerca. Ma se queste ragioni potrebbero essere plausibili nel mondo occidentale, non lo sono necessariamente in altri emisferi, dove il concetto di politica culturale è stato meno strutturato nelle domande istituzionali di intervento pubblico. Sebbene la sfera pubblica nella vita culturale delle società che si trovano nella metà inferiore dell’indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite sia perfettamente identificabile e normalmente più vibrante di quanto accada nella «metà superiore», la governance culturale assume una inclinazione diversa a seconda dei suoi diversi stili nel processo di costruzione istituzionale. Comunque, gli antropologi moderni trovano difficile, tanto nelle società premoderne, quanto in quelle industriali, includere nella loro nozione di mutamento sociale le trasformazioni nella pratica artistica e nell’offerta pubblica di cultura, nonostante la popolarità dell’argomento.
«Di questi tempi, gli antropologi si innervosiscono notevolmente quando affrontano la cultura — il che è sorprendente, in apparenza dato che l’antropologia della cultura è un genere di successo. Mentre altri concetti venerabili sono praticamente sbiaditi e scomparsi dal discorso delle scienze sociali, anche un postmodernista può parlare inconsciamente della cultura (tra virgolette, magari.., pensate al destino di concetti come personalità, struttura sociale, classe, o, più di recente, genere sessuale). In effetti, la cultura oggi è più di moda che mai.»
Ma perché le politiche culturali sono state una moda marginale del XX secolo, e non sono riuscite a collocarsi al centro dell’interesse pubblico? Uno degli ostacoli principali è stato tradizionalmente costituito dalla ossessione di produrre valutazioni attendibili e modalità di comparazione. Valutazione, analisi di qualità, comparabilità e stima delle tendenze sono stati argomenti sfuggenti per la comunità degli analisti delle politiche culturali fin dall’inizio della disciplina. Dopo 50 anni di esperienza si può dire che la maggior parte delle difficoltà riguarda la mancanza di correlazioni prevedibili fra obiettivi e attività di benchmarking.
Anche se, alla fine, gli obiettivi della politica culturale possono venire definiti, il modo in cui sono giudicati il loro conseguimento, o meno, varia con i cambiamenti che queste politiche provocano al momento della loro attuazione. Infatti, se è vero che le politiche culturali sono ritenute meccanismi lenti, tuttavia, è spesso sufficiente la sola decisione pubblica di attivarle per trasformare il clima culturale che domina i processi influenzati da tali politiche. Ad aumentare le difficoltà di valutazione, c’è poi il fatto che le politiche culturali sono attuate fino in fondo solo di rado; una particolare tendenza messa in moto dall’azione pubblica può portare infatti a una reazione imprevedibile (da parte della offerta o della domanda) che a sua volta potrebbe condurre a una trasformazione della politica stessa. Le politiche culturali sono strumenti insoliti, nella misura in cui esse tendono ad essere ancillari rispetto ad altri meccanismi e ad avere finalità molteplici. Esse operano tanto sulla percezione dell’ambiente quanto sul comportamento della vita reale; infatti, spesso la domanda di politiche culturali è più forte della insistenza sulla loro attuazione. È per questa ragione. che il benchmarking è possibile solamente in aree altamente regolate, dove l’esame dell’attuazione fa parte integrante della politica. Ciò accade molto raramente nei sistemi culturali aperti: i soli tassi di visita o il numero dei biglietti venduti forniscono una misura molto modesta del successo o del fallimento di una politica, e, in ogni caso, i risultati sono destinati a restare all’interno dei soggetti che li hanno conseguiti, perché è molto difficile ottenere indici di comparabilità fra contesti culturalmente diversi e fra pro cessi che fanno di tutto per essere unici. Uno dei problemi principali dell’analisi culturale riguarda il ben noto fatto che la cultura viene considerata nello stesso tempo oggetto e strumento della definizione. Per tutte queste ragioni, la valutazione delle politiche culturali si è ridotta quasi del tutto a un esercizio interno ad ogni disciplina o area di applicazione, spesso attuato dalla stessa struttura responsabile. Ambiguità fra soggetto e oggetto delle definizioni, fra giudice e parte in causa, sono ostacoli teorici ben lungi dall’essere risolti nel gioco attuale della politica culturale, dove la valutazione costituisce uno dei lati oscuri.
La formulazione e la valutazione delle politiche culturali hanno attirato l’attenzione degli analisti fino dalla fine degli anni Settanta, anche se sono pochi metodi sono stati sperimentati sistematicamente. I tentativi di raggiungere la comparabilità sono stati finora esperimenti coraggiosi di combinare la diversità culturale con la responsabilità comune: un tentativo che sembra autolesionista, forse perché è troppo preoccupato degli obiettivi e troppo poco dei valori. Il ripensamento delle politiche culturali potrebbe beneficiare di un approccio orientato invece ai valori. L’oggetto di questo esercizio è triplice:
— affermare l’universalità dei diritti culturali e pertanto dei valori culturali;
— promuovere un elemento di comparabilità delle politiche sulla base di benchmark comuni;
— sollecitare un dialogo culturale basato sui valori piuttosto che sugli obiettivi «strategici».
5. Revisioni orientate ai valori
Dobbiamo comprendere nella categoria indicata dal termine di «revisioni» sia la formulazione delle politiche, sia la loro valutazione. La sezione che segue è dedicata a suggerire un certo numero di aree di interesse assiologico per le politiche culturali e per la loro attuazione. Questa proposta mira a sollecitare un dibattito sull’argomento, che potrebbe essere ripreso dai professionisti della cultura e dagli esperti di politiche pubbliche e di diritti umani; un dibattito che, si spera possa essere largamente condiviso.
a) Sostenibilità
Il concetto dovrebbe abbracciare una visione armoniosa dei progetti e delle politiche culturali, profondamente radicati nella nozione di sostenibilità ambientale, dove l’energia impiegata nei progetto è congruente con i risultati attesi. La sostenibilità è anche una funzione di un input intensivo di risorse umane unito ad altri input, fra cui le risorse materia li. Le preoccupazioni ambientali non dovrebbero però essere legate sola mente ai limiti materiali, ma anche alle relazioni non materiali fra i progetti artistici e il loro ambito territoriale. Il paesaggio, il linguaggio, il dialetto e i sistemi di riferimento culturali devono contare in un modo o in un altro, per i progetti artistici, per quanto astratti e universali. Questa eco-responsabilità induce una qualità nei progetti e nelle politiche culturali percepibile a diversi livelli: in primo luogo, è una misura di valori universali collegati all’ambiente in senso lato. L’impatto culturale sull’ambiente deve essere valutato sulla base di una nuova obiettività. Secondo, la fissazione di benchmark sulla qualità dei collegamenti fra il progetto culturale e il suo ambiente aiuta a collocare in una nuova prospettiva il rapporto fra cultura autoctona e culture eteroctone. Terzo, l’eco-sostenibilità apre una nuova opportunità per collegare i movimenti di consapevolezza ambientalista al rafforzamento dei valori comuni.
b) Memoria
La memoria come valore riguarda la necessità di «decentramento verticale», cioè il tipo di consapevolezza culturale che si estende, non solo orizzontalmente fra diversi paesaggi e territori, ma anche su base verticale. La qualità che la «memoria» porta ai processi umani in generale e ai processi culturali in particolare implica un senso di continuità nella costruzione delle sensibilità e una responsabilità verso il divenire l’anello di una catena, un veicolo attivo fra passato e futuro. Sotto questa prospettiva, il patrimonio culturale è inteso, non tanto come eredità del passato, ma come prestito dal futuro.
Per contro, il valore della memoria riguarda non solo ciò che si col lega agli ambiti locali, ma anche le memorie trapiantate da differenti tradizioni culturali. Queste «radici mobili>) sono portatrici di differenti modalità di memoria e di modi diversi di considerare il valore del tempo e del patrimonio. La qualità della memoria culturale consiste anche nella condivisione di memorie di altre culture che partecipano oggi dello stesso spazio sociale.
c) Diversità
Il pluralismo culturale è un corollario necessario della diversità; esso corrisponde a una qualità della fecondazione incrociata fra diverse modalità culturali o tradizioni estetiche. Ma, questa ibridazione è veramente fruttuosa solamente quando i (partner) mostrano un grado sufficiente di partecipazione egualitaria. La diversità non è il melting pot e può ancor più difficilmente essere il «salad bowl» se il mix è deciso solo da una frazione degli agenti che intervengono. Intendiamo la diversità come un ((lavoro in corso», dal momento che le forme e i movimenti culturali tendono tanto all’uniformità quanto alla differenza, e il movimento fra imitazione, sfida e originalità è spesso non discernibile. La diversità, pertanto, va intesa come una spinta attiva verso la singolarità e verso le condizioni che la rendono possibile. Come valore, la diversità implica un atteggiamento morale a favore di una differenza creativa.
d) Connettività
Le qualità connettive dovrebbero essere contemplate come un bene per le politiche e i progetti culturali per via del loro corollario sulla diversità. Le politiche culturali che non incoraggiano per quanto possibile la connessione fra progetti dello stesso genere non rispettano l’imperativo della fecondazione incrociata nell’esperienza culturale. Tuttavia, la connettività è anche parte integrale della qualità espressiva di qualsiasi pro posta artistica. La spinta a collegare, a comunicare in maniera interattiva è un valore che stabilisce le fondamenta comuni dell’esperienza culturale che appartiene a tutta l’umanità, ma che sottolinea anche l’imperativo della reciprocità. La connettività culturale esige che si stabilisca la reciprocirà nel tempo e nello spazio come parte dell’esperienza del legame umano attraverso le arti. La connettività è anche una esigenza per un vero universalismo e per il cosmopolitismo, dal momento che essa veicola gli elementi della fiducia e della libertà necessari alla crescita di qualsiasi progetto culturale.
La connettività è un valore anche per altre politiche pubbliche, soprattutto per quelle della sfera socio-educativa. Le politiche culturali non possono più essere valutate solo a partire dal loro impatto diretto sui processi creativi, ma vanno esaminate in rapporto al loro impatto su altre politiche che intervengono sullo stesso contesto sociale.
La morfologia della connettività si riflette nell’etica della cooperazione culturale, come un codice di condotta per assicurare la qualità della reciprocità nelle partnership.
e) Creatività
Mettere la creatività al primo posto è uno degli impegni centrali di qualsiasi autentico progetto culturale. La ricerca della qualità creativa è un imperativo per tutte le parti coinvolte in un processo culturale. La creatività è la spinta verso la produzione di nuovi linguaggi espressivi attraverso combinazioni originali di vecchi linguaggi o l’evoluzione in una direzione completamente nuova. Non è sempre evidente quando e dove si verifichino momenti di rottura nelle arti, e le svolte significative non possono essere colte nell’immediato, ma solo a distanza. Inoltre, piccoli processi creativi possono costruire impercettibilmente una massa critica che alla fine travalica le forme culturali esistenti. La creatività nelle arti può raggiungere forme pure, ma le sue qualità si trovano in ogni attività umana. Spesso la creatività nelle arti è fortemente aiutata dalla scienza, dall’educazione o da decisioni politiche come quelle che stanno alla base delle politiche culturali. La creatività è un valore legato a quello della libertà, ed è altrettanto difficile da definire.
f) Autonomia/Sussidiarità/Prossimità
C’è una qualità speciale nei processi culturali che sono completamente determinati loro stessi dai protagonisti, dove nè i mercanti, nè i mecenati, né i funzionari decidono sui contenuti o sulla struttura. Come ogni valore, questo fa parte dei desiderata difficilmente conseguibili. L’autonomia e l’autogoverno accrescono la gamma delle scelte riguardo alla partnership, facilitano un forte impegno nei confronti del progetto culturale ed esaltano la responsabilità culturale. L’autonomia nei progetti culturali è valore importante nella misura in cui essa si riflette nella cooperazione di alto livello necessaria ad impegnarsi, non solo su obiettivi comuni, ma anche sul terreno sociale ed estetico.
g) Solidarietà
L’impatto culturale sull’ambiente sociale viene valutato normalmente con riferimento all’accesso da parte dei gruppi meno privilegiati, ai risultati educativi e alla partecipazione, alle dinamiche sociali avviate dal pro getto. Questa nozione dovrebbe comprendere elementi che pongano il progetto culturale in rapporto ai temi sociali di natura politica o intellettuale di altre comunità o di altri ambienti. La qualità della responsabilità sociale presuppone una consapevolezza nei confronti delle disuguaglianze, e un appello all’equità nella distribuzione del capitale culturale.
Le politiche culturali socialmente responsabili tenderanno a collegarsi ad altre politiche sociali nei campi della salute, dell’occupazione o della educazione. Soprattutto, la responsabilità sociale nelle arti dovrebbe concretizzarsi nella qualità dell’espressione del dibattito sociale. Si dovrebbe stendere una Carta socio-culturale che fornisca le linee guida per l’esercizio della responsabilità sociale nella elaborazione delle politiche della cultura e delle arti.
h) Diritti culturali
Si ritiene che i diritti culturali esistano quando è possibile avviare su di essi una causa in tribunale. I diritti culturali invece esistono anche se non è possibile applicarli. I detentori dei diritti culturali possono essere singoli individui o comunità. I diritti culturali possono esistere solamente come diritti universali e indivisibili. Essi comprendono il diritto a determinate libertà (di espressione, di lingua, di pratica religiosa, di associazione, di adunanza pacifica, di educazione...), il diritto di accesso (ai mezzi di comunicazione, di espressione, ai beni e ai servizi culturali) e la tutela contro l’intolleranza, il razzismo e la xenofobia. La politica culturale deve favorire e sviluppare i diritti culturali così come sono definiti dall’UNESCO, dall’ONU (Convenzione sui diritti sociali, economici e culturali) e dal Consiglio d’Europa. In questo senso, i diritti culturali come valori devono potersi concretizzare in attività e scambi, ma special mente nella formulazione di nuovi progetti.
Questi esempi di elaborazione di politiche e questi criteri di valutazione intendono affermare il bisogno di ricostruire le politiche culturali sulla base di valori piuttosto che di obiettivi. C’è da aspettarsi che questo dibattito, grazie all’impulso delle comunità che sostengono i diritti culturali, ambientali e della solidarietà, farà da battistrada al rinnovamento dello spazio pubblico culturale nel XXI secolo.
Note
1- Marvin Harris, «Theories of Culture», in Post-modern Times, Alta Mira Press, 1999, p. 21.
2- Adam Kuper, Culture, the Anthropologists account, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1999, 226-227
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Le Buone Pratiche su "Nuova Ecologia": Il calabrone e il bonsai Brevi cenni di etologia teatrale di Oliviero Ponte di Pino |
Questo testo è stato pubblicato sulla rivista "Nuova Ecologia", novembre 2005, in occasione delle Buone Pratiche 2/2005 a Mira.
Se dessimo un’occhiata da etologi a quello strano habitat che è il teatro italiano, vedremmo tre diverse specie di animali. Già questa è una prima annotazione significativa: a differenza per esempio dei teatri tedeschi, dove è maggiore la stabilità (e dunque i teatri sono più simili alle piante), dai tempi della Commedia dell’Arte gli spettacoli delle compagnie italiane compiono tournée più o meno lunghe.
Se osserviamo questo microcosmo più da vicino, possiamo dividere il branco degli spettacoli che affollano i pascoli teatrali della penisola in tre diverse specie. Gli animali più grossi (quelli che spesso incassano di più) hanno strane somiglianze con altre creature, quelle che prosperano al cinema e sul piccolo schermo: recital di comici televisivi, adattamenti di film, scorribande di video-soubrette (tettona vulgaris) o di star cinematografiche (hystrio sideralis) alla ricerca di una nuova verginità. Questo theatrum televisivus è il sottoprodotto di altri media, organismi geneticamente modificati da artisti che passano sul palcoscenico per incassare un dividendo di notorietà accumulato altrove. C’è poi un teatro per così dire di cultura (theatrum sapiens), legato soprattutto (ma non solo) alla tradizione dei teatri stabili e della regia: una specie nuova, affermatasi nel dopoguerra con le creazioni di Luchino Visconti e Giorgio Strehler (theatrum sapiens sapiens) soppiantando una specie più antica, gli spettacoli dei grandi attori (theatrum mattatoricum), i “mattatori” di una volta, e ora sostenuta dalle invenzioni di registi come Luca Ronconi e Massimo Castri. Il theatrum sapiens si nutre in buona parte di sovvenzioni pubbliche; alcuni esemplari sono pachidermi dai movimenti cauti e lenti, altri hanno ancora la zampata del genio (vedi Professor Bernhardi di Schnitzler, allestito quest’anno da Ronconi al Piccolo Teatro).
Ai margini, più defilata rispetto ai pascoli più ricchi (i grandi teatri del centro o i megatendoni delle periferie, i padrinati politici più redditizi), si muove la miriade degli spettacoli di piccoli gruppi e compagnie (theatrum novum o novissimum), spesso impegnati sul fronte del nuovo e della ricerca, più agili e veloci ma costretti a muoversi in un ecosistema affollato da un lato da animali più grandi e aggressivi, dall’altro da branchi di loro simili.
Va però subito precisato che, all’interno dell’ecosistema della comunicazione e della cultura, il teatro in generale è stato spinto ai margini, in zone sempre più aride. Se ne parla sempre meno in televisione e sui giornali. La serata teatrale non è più – o è sempre meno – quel rituale borghese riconoscibile e riconosciuto. Così quegli strani animali che sono gli spettacoli teatrali attirano spettatori molto diversi: ci sono quelli condizionati dai grandi mass media, che cercano il carisma delle star e l’evasione (spectator auditel); c’è chi va in cerca di conferme culturali (spectator maestrinus); e chi invece, più curioso, cerca e sveglie il brivido del nuovo (spectator adventuros con la sottospecie del modaiolus) . Anche se ovviamente nella società e nella natura le cose non sono mai così semplici, perché ci sono numerosi ibridi e incroci. Lo spectator adventurosus, quello affascinato da queste creature continuamente mutanti, si raduna di solito in piccole tribù, e solo eccezionalmente si mescola alle grandi mandrie di auditel. Per questo il theatrum novum tende a insediarsi in sale piccole, le sue tournée spesso hanno poche date, e spesso tende a rifugiarsi in quelle riserve naturali e zone di ripopolamento che sono i mille festival estivi che punteggiano la penisola: Santarcangelo, Volterra, Colline Torinesi, Drodesera...
C’è da chiedersi come possano sopravvivere queste creaturine bizzarre, a volte così affascinanti e davvero straordinarie (tanto che spesso le loro tournée li portano spesso fuori d’Italia, anche nei festival più prestigiosi). Per certi aspetti ricordano il volo del calabrone, tozzo e pesante, che secondo le leggi della fisica non potrebbe volare e invece...
...invece da decenni, a partire dagli anni Sessanta, questi piccoli animali, prodigi di ostinazione e passione, anno continuato a vivere e moltiplicarsi, malgrado il sostegno poco convinto della politica. Basta citare gli artefici di alcune tra le creature dalle piume più sgargianti, dalle movenze più seducenti e sconvolgenti: tra gli anni Sessanta e Settanta, Leo De Berardinis e Carmelo Bene, il teatro-immagine di Vasilicò e Perlini, e Nanni, e ancora il Carrozzone-Magazzini di Tiezzi & Lombardi, Giorgio Barberio Corsetti, a Napoli Mario Martone e Toni Servillo (da Falso Movimento e Teatro Sttudio di Caserta ai Teatri Uniti), il Piccolo Teatro di Pontedera, il Teatro dell’Elfo; nel decennio successivo la pattuglia sbocciata in un ecosistema fertilissimo, la Romagna Felix: Societas Raffaello Sanzio, Teatro della Valdoca, Ravenna Teatro-Le Albe, cui seguiranno qualche tempo dopo Motus, Masque, Fanny & Alexander. Ancora, i torinesi Gabriele Vacis e il suo Teatro Settimo, Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa e Walter Malosti con il Teatro di Dioniso. E Tam-Teatromusica, il Teatro del Lemming, il Teatro delle Ariette, l’Accademia degli Artefatti, e molti altri ancora, come se un Linneo psichedelico avesse deciso di inventarsi una folle tassonomia... Senza dimenticare animali solitari come i narratori, con quel teatro della memoria cresciuto nell’ambito del nuovo (ma anche come reazione a esso): Marco Paolini, Marco Baliani, Ascanio Celestini, Davide Enia e i loro mille (ormai) imitatori, in una proliferazione che rischia di apparire parassitaria...
Tutti costoro attingono a varie fonti di energia, al di là delle scarse sovvenzioni. Per cominciare, la tradizione teatrale ha mille sentieri sotterranei: nelle esperienze spesso riemerge un DNA antichissimo, che pareva fossilizzato. Inoltre, se non offre di solito grandi guadagni, il teatro ha un grande vantaggio: farlo costa abbastanza poco, almeno all’inizio, e permette di dire-fare ciò che si vuole. Consente di confrontarsi insieme con una realtà in rapido mutamento, e insieme con il proprio corpo, le proprie parole, le proprie emozioni. Senza mediazioni. Obbliga a mettere a punto un linguaggio, una poetica e un’identità collettive, e a confrontare questa identità con l’intero corpo sociale. Perché il teatro è un’arte collettiva: a differenza dello scrittore o del pittore, il teatrante si confronta, fin dall’inizio, con gli altri, nella progettazione e realizzazione dell’opera, e poi nel confronto con il pubblico. Inutile sottolineare come queste caratteristiche, nel loro insieme, riflettano l’anima politica del teatro – una natura che era già chiara alle origini di quest’arte, nella polis greca.
Proprio in questa sua natura sociale, il teatro – soprattutto in questi ultimi anni – ha trovato nuove fonti di energia e nuovo senso. Il teatro è anche relazione, e dunque può essere utilizzato in ambiti in cui l’identità, la riconoscibilità e i rapporti interpersonali e sociali vivono situazioni difficili: nelle carceri e negli ospedali psichiatrici, o tra gli immigrati, per esempio, e in generale in tutte le situazioni in cui emerge la diversità. Volendo affondare la nostra metafora etologica, potremmo parlare di rapporti simbiotici tra il teatro e questi diversi contesti. Ovviamente quello tra conflittualità e integrazione è un rapporto sempre complesso e difficile. Soprattutto non è detto che porti – al di là dell’utilità sociale – a risultati di qualche interesse artistico. Anche se poi non mancano punte esteticamente alte, anzi altissime: il lavoro ormai ventennale di Armando Punzo nel supercarcere di Volterra; la riflessione poetica sulla diversità di Pippo Delbono, che trova il suo simbolo in Bobò, il microcefalo sordomuto “liberato” dopo quarant’anni di ospedale psichiatrico; il sodalizio con gli immigrati di Marco Martinelli, con gli incroci tra griot senegalesi e fuler romagnoli...
Negli ultimi anni sono stati questi gruppi, queste realtà a cercare di ridefinire il senso del teatro in una società moderna - o post-moderna. Così, mentre il centro della comunicazione sembra spostarsi altrove, mentre finanziaria dopo finanziaria diminuiscono le risorse pubbliche per la cultura (e dunque anche per il teatro), mentre il teatro sembra aver perso le sue aspirazioni nazional-popolari per rivolgersi a piccole élite, i palcoscenici italiani mantengono un imprevedibile fervore: Nelle ultime stagioni sono fiorite nuove e interessanti creature, partendo dall’interesse per il lavoro dell’attore (Valerio Binasco, Antonio Latella, Arturo Cirillo, il gruppo Atir, le Belle Bandiere) dalla scoperta di nuovi autori, dal recupero della danza (Emma Dante e Caterina Sagna)... Insomma, il calabrone continua a volare. E tuttavia questi piccoli animali non sono forse riusciti a crescere abbastanza, e rischiano di restare degli affascinanti bonsai.
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La formazione del pubblico e il rapporto con una comunità Le Buone Pratiche 2: interventi & relazioni di Massimo Luconi |
La funzione sociale del teatro, la forza anche terapeutica di comunicazione, aggregazione e identificazione che una comunità compie attraverso la ritualità teatrale, sono elementi che fanno del teatro, ancora oggi, la forma di comunicazione più diretta e immediata, la sintesi più efficace tra segno, parola e immagine.
In questo nostro periodo storico sopraffatto da indefinite culture, e dove spesso si discute intorno alla crisi dei valori culturali e alla nozione politico sociale del teatro, penso che il Teatro pubblico possa e debba svolgere un ruolo di preparazione e formazione del pubblico, tutelando e dando valore prioritario all’esperienza teatrale, alla funzione culturale del teatro e al rapporto intimo e personale con l’emozione della scena; una funzione che va anche oltre la realizzazione di un programma di qualità-anche se la qualità culturale delle scelte è senz’altro il parametro e l’obiettivo del nostro lavoro.
L’obiettivo è quello di non paralizzare la proposta teatrale con la formula dell' abbonamento, o limitarsi all’apertura di sipario, ma di fare del teatro uno spazio vivo, che cerca percorsi possibili di attenzione e coinvolgimento con un programma di riflessioni intorno al far teatro, amplificandone la valenza culturale e spettacolare e aprendo altri orizzonti oltre la semplice fruizione dello spettacolo.
(proposte di riflessione,di incontro e di scambio culturale come la presentazione di libri, video, mostre)
Non ci sono formule o ricette predefinite ma è necessario lavorare sul campo,stabilire rapporti veri con la comunità e il contesto socio culturale, sollecitando varie tipologie di pubblico e svolgendo anche un ruolo di riferimento per professionisti dei vari linguaggi dello spettacolo, coagulando esperienze spesso informali e magamatiche di forte energia creativa.
E’ anche necessario sottolineare quanto sarebbe importante coinvolgere le amministrazioni locali, necessarie protagoniste di una diversa politica dello spettacolo che non può essere asservita allo sciatto divismo televisivo ma che deve investire sul rischio culturale e sulle nuove generazioni. Sono spesso le stesse amministrazioni, infatti, che contribuiscono, senza forse averne esatta consapevolezza, a determinare quelle “leggi selvagge de facto vigenti nei circuiti teatrali” e a voler imporre scelte non ponderate e non confrontate con le linee progettuali dei teatri pubblici.
Eppure in questo momento storico di crisi della cultura occidentale, nessun altro luogo come il teatro (neppure la scuola) possiede la forza di trasmettere saperi, letteratura, spaccati di vita, ricerca linguistica ed estetica.
Basterebbe crederci e unire in maniera complementare le forze e gli investimenti.
Certo non è facile ritrovare quell’energia catartica, quell’intenzione e quel valore focale all’interno di un contesto socio culturale (dove passano sogni, drammi, pensieri e riflessioni sul nostro vissuto contemporaneo) nella nostra distratta e affannata società.
Alcuni segnali positivi di frequenza di pubblico e soprattutto di attenzione verso il teatro, fanno pensare che siamo in controtendenza e che cioè si torna a prendere tempo per l’ascolto, per emozionarsi e per impegnarsi in una esperienza globale dove il teatro non è un elemento casuale o episodico ma ha un valore formativo e di crescita personale, sia che sia vissuto da protagonisti sulla scena o da attenti spettatori, attori consapevoli di un rapporto intimo e di coinvolgimento totale.
In questo senso è necessario muoversi su un progetto di teatro che indaghi intorno al valore profondo dell’esperienza teatrale, dove l’impegno prioritario,oltre quello di elaborare un programma di qualità, diventi la progettazione di un flusso di rapporti e di energie creative, per la costruzione di un territorio dove il teatro sia uno degli elementi fondanti della crescita di una comunità, consapevoli che il teatro, fa parte del mondo e che il profondo valore culturale e sociale del teatro è anche trasmettere sensazioni profonde, rifllessioni e pensieri.
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Il sistema teatrale milanese L'incontro del 16 novembre 2005 di Franco D'Ippolito |
Il finanziamento del Comune di Milano ai 14 teatri convenzionati nel triennio 2003-2005 è stato di 3milioni 919 mila euro a cui, nel 2005, si sono aggiunti 841mila euro straordinari per ulteriori attività di spettacolo e 830mila euro per contributi alla ristrutturazione delle sedi; in totale 5milioni 790mila euro. Per discutere del “perché”, “a chi” e “come” sono stati utilizzati questi oltre 11miliardi di vecchie lire, il Comune di Milano-Cultura Spettacolo-Turismo e l’Università Bocconi, in collaborazione con l’AGIS lombarda, hanno convocato il 16 novembre 2005 operatori, critici e studenti a Palazzo Marino.
In apertura l’assessore alla cultura di Milano, Stefano Zecchi, ha sostenuto il “principio della reciprocità della responsabilità” fra Comune e soggetti convenzionati, sollecitando da parte dell’Ente Locale il coraggio culturale di decidere, coordinando le “differenziazioni”. Nel successivo dibattito, in cui sono intervenuti tutti i rappresentanti delle strutture convenzionate, è mancato un approfondimento sul tema delle “differenze” (istituzionali e fra i diversi soggetti), a rimarcare un sistema di facciata che non è riuscito in questo triennio a sviluppare né relazioni verticali comuni con l’Ente Locale, né soprattutto relazioni orizzontali fra i teatri e le compagnie convenzionate.
I 14 soggetti convenzionati si suddividono in 8 teatri di produzione con convenzione triennale (Franco Parenti, Teatridithalia, CRT, Buratto, Filodrammatici, Carcano, Elsinor e Litta) e 1 con convenzione annuale (Out Off) a cui dal 2005 si è aggiunto il Teatro Libero, ed in 1 compagnia con convenzione triennale (Gli Incamminati) e 3 con convenzione annuale (Gianni Cosetta Colla, Grupporiani e Quelli di Grock). La distinzione non è solo formale, ma incide fortemente sulle modalità di determinazione e di erogazione del contributo, poiché i soggetti con convenzione triennale ricevono un acconto pari all’85% del contributo storico percepito, mentre a quelli con convenzione annuale il contributo è determinato ed erogato a consuntivo delle attività sulla base di una griglia di valutazione. Detta griglia si articola in 4 aree di valutazione a cui corrisponde un punteggio (Qualità artistica fino a 20 punti, Qualità percepita e servizi aggiuntivi fino a 20 punti, Qualità degli impatti e indotti sul territorio fino a 10 punti, Qualità gestionale fino a 50 punti). Il sistema milanese delle convenzioni fa dunque perno soprattutto su due fattori: la “storicità” e la “capacità d’impresa”.
Il dibattito ha alternato legittime posizioni storicistiche a qualche spunto di riflessione critica sul “cosa fa” e “come sta” nel panorama teatrale milanese un soggetto storico. Quali relazioni costruisce con il nuovo che si affaccia e quali dinamiche di promozione dei nuovi soggetti mette in campo, utilizzando proprio il punto di forza della propria storia per favorire il ricambio (non solo generazionale) degli artisti, degli operatori, del pubblico. La storicità non può esentare dalla contemporaneità, né giustificare acriticità sul presente, ma può e deve invece rappresentare un’ulteriore assunzione di responsabilità da parte di quei teatri e di quelle compagnie che hanno fatto la storia del teatro milanese ed hanno dimostrato nel lungo periodo capacità artistiche, organizzative e solidità d’impresa. A chi, se non a loro, possono guardare le nuove generazioni del teatro e a chi, se non a loro, l’Ente Locale deve poter chiedere un “servizio” in favore dei nuovi talenti? Si potrebbe così dare anche una più concreta e coerente motivazione al legittimo vantaggio di cui godono nel sistema milanese e, ancora di più, evitare a tanti nuovi artisti ed organizzatori di disperdersi in piccoli e deboli soggetti che stentano a sopravvivere e a relazionarsi con i teatri e le compagnie maggiori. Potrebbe questa logica di sistema rispondere ai dubbi del direttore del settore spettacolo del Comune di Milano, Massimo Accarisi, sugli effetti della rigidità del reference system? O governare il diffondersi di rassegne e festival (oltre 30) e di stagioni di teatro per l’infanzia (23) non tutte fondate su progetti a lungo termine ed a rischio di episodicità, come è risultato dalla illustrazione del Sistema Milano fatta da Lory Dall’Ombra?
Il sistema milanese delle convenzioni è un sistema negoziato in cui un ruolo importante è svolto dall’Agis lombarda, strategico interlocutore, che in questi ultimi anni di impoverimento del ruolo della politica ha cercato di conservare le posizioni acquisite non riuscendo a interloquire sul “futuro” del sistema. Da ciò quella che Sisto Dalla Palma ha definito la “marginalità e crisi di identità” del teatro, schiacciato da una forbice sempre più divaricata (ed unica in Europa per ampiezza) dei livelli dei compensi agli artisti e, di conseguenza, dei sussidi pubblici alle strutture di produzione e di programmazione. La questione non riveste il livello di finanziamento del Comune di Milano alla Scala (oltre 6milioni e 700mila euro) o al Piccolo (oltre 4milioni e 350mila euro), quanto piuttosto il divario fra le due eccellenze milanesi a livello nazionale ed internazionale, i 14 soggetti convenzionati (a cui sono destinati circa 1milione e 300mila euro) e le “altre” attività teatrali (a cui vanno 873mila euro). Con tutte le approssimazioni della statistica, fatto 100 il valore dei finanziamenti al sistema delle convenzioni teatrali, il Piccolo vale 335, la Scala 515 e le “altre” attività solo 67. Pur ribadendo che Milano rappresenta una eccellenza nel sistema italiano, ben più disarticolato e penalizzante, non si può non ragionare su questo tipo di divario ed imputare anche ad esso la stanchezza di alcune strutture storiche, ma ancora di più un sistema autoreferenziale che stenta a costruire prospettive di futuro.
La Bocconi ha presentato una ricerca sui “numeri, la fisionomia e le tendenze dei teatri milanesi convenzionati dal 2002 ad oggi”, curata da Anna Merlo che la ha presentata sacrificando all’incontro quel poco di voce che la raucedine le aveva riservato per la mattinata. Dai dati emerge un complesso di imprese che se nel 2002 presentava ancora punte dell’81% dei propri ricavi derivanti da contributi pubblici, ha saputo nel 2004 ricondurre i propri bilanci entro limiti più congrui e sobri (la punta massima è scesa al 62%), grazie ad una maggiore incidenza delle entrate non caratteristiche. Nel biennio 2003-2004 i costi sono rappresentati da un minimo del 48% ad un massimo del 96% da personale e spese di produzione, dal 6% al 30% dalle spese generali, dal 6% al 9% dalla promozione e dal 2% per oneri finanziari (rispetto a quest’ultimo dato viene in mente la capacità dei teatri di farsi finanziare dai propri creditori). Anche i prezzi medi praticati oscillano fortemente da 3,76 a 18,63 euro, ma va rilevato come vi sia correlazione debole fra occupancy dei teatri (media delle presenze sui posti vendibili) e livello di prezzo: alla fascia più bassa corrisponde un’occupancy del 50% ed a quella più alta del 45%. Più marcata è invece la correlazione con i generi teatrali: se la prosa classica registra un’occupancy media del 40%, il teatro contemporaneo e di ricerca raggiunge il 55% (il 64% del teatro per l’infanzia risponde a logiche promozionali ed organizzative del pubblico scolastico non paragonabili). Si conferma anche a Milano una tendenza più generale del pubblico teatrale italiano, che premia con le proprie scelte i generi e la qualità delle proposte piuttosto che mere politiche di prezzo e che fra i generi è maggiormente interessato alla prosa contemporanea e di ricerca. Sorge spontanea la domanda: riusciranno questi dati, ormai consolidati e univoci nell’indicare la propensione al consumo teatrale, ad influenzare le politiche culturali di settore? Il ricambio generazionale (non solo anagraficamente parlando) del pubblico, degli artisti, degli autori, dei quadri dirigenti, pure invocato come necessità indifferibile da Fiorenzo Grassi, ha bisogno di politiche che assumano questo obiettivo come prioritario rispetto a tutti gi altri. Solo il finanziamento pubblico ed una politica negoziata con il teatro possono lavorare per la domanda del futuro e la sostenibilità del sistema sta proprio nella sua capacità di costruire un futuro (di opportunità prima che di garanzie) per la storicità quanto per il nuovo che si esprime e per quello che si potrà formare.
La lunga giornata si è conclusa con una tavola rotonda coordinata dall’assessore Zecchi a cui hanno partecipato Antonio Calbi, Renato Palazzi e Ugo Volli.
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La proposta di legge per lo spettacolo delle Regioni con la relazione definitiva di Coordinamento Regioni |
PROPOSTA DI LEGGE RECANTE I PRINCIPI FONDAMENTALI PER LO SPETTACOLO AI SENSI DELL’ARTICOLO 117, COMMA 3, DELLA COSTITUZIONE
PARTE GENERALE
Articolo 1
(Principi generali)
1.La Repubblica, nel rispetto degli articoli 9, 33 e 117, comma 3, della Costituzione, concorre alla promozione e alla organizzazione delle attività culturali, con particolare riguardo allo spettacolo in tutte le sue componenti.
2. Lo spettacolo è attività di interesse pubblico, rappresenta una componente essenziale della cultura e dell’identità del paese e un fattore di crescita sociale, civile ed economica della collettività.
3. Lo Stato e le Regioni favoriscono la promozione e la diffusione nel territorio nazionale delle diverse forme dello spettacolo, ne sostengono la produzione e la circolazione in Italia e all’estero, valorizzano la tradizione nazionale e locale e garantiscono pari opportunità nell’accesso alla sua fruizione.
4. Nel rispetto del principio di sussidiarietà Stato, Regioni, Comuni, Province, Città metropolitane, soggetti privati collaborano per lo sviluppo dello spettacolo e operano per garantire la libertà di espressione.
5. Lo spettacolo comprende le seguenti attività: musica, teatro, danza, cinema e audiovisivi, circo e spettacoli viaggianti, ivi comprese l’attività degli artisti di strada e le diverse forme dello spettacolo popolare e contemporaneo.
6. Nelle materie disciplinate dalla presente legge, restano ferme le competenze riconosciute alle Regioni a statuto speciale e quelle attribuite alle Province autonome di Trento e Bolzano, in base al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 475.
Articolo 2
(Oggetto e finalità della legge)
1. La presente legge definisce, ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione, i principi fondamentali in materia di spettacolo, nonché i livelli essenziali delle prestazioni da garantire alla collettività, secondo criteri di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza, prossimità ed efficacia favorendo intese e altre forme di collaborazione per assicurare un adeguato ed efficace servizio di utilità sociale.
2. Ai fini della presente legge rientrano nelle attività dello spettacolo le funzioni di produzione, promozione, distribuzione e valorizzazione.
Articolo 3
(Compiti dello Stato)
1. Spetta allo Stato lo svolgimento dei seguenti compiti:
a) l’esercizio delle funzioni riconducibili alla cooperazione internazionale e, in accordo con le Regioni interessate, l’attività promozionale all’estero dello spettacolo;
b) lo svolgimento, in collaborazione con gli osservatori regionali, dell’attività di osservatorio e monitoraggio;
c) il sostegno dello spettacolo viaggiante e dei circhi, con particolare riferimento alla dotazione tecnica e tecnologica dei produttori ed alla disciplina relativa alla utilizzazione degli animali;
d) il sostegno della produzione e della diffusione, in Italia e all’estero di opere cinematografiche salvo quanto previsto all’articolo 11, comma 2, lettere b) e c);
e) la costituzione di un archivio nazionale dello spettacolo, quale rete degli archivi regionali.
Articolo 4
(Conferenza Stato - Regioni)
1. La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di seguito denominata “Conferenza Stato - Regioni” definisce:
a) i parametri sulla base dei quali effettuare il riparto tra le singole Regioni della quota del Fondo Unico per lo spettacolo ad esse destinato ai sensi del successivo articolo 8. Nella definizione dei suddetti parametri la Conferenza Stato-Regioni si deve attenere a criteri oggettivi, dando preferenza agli indicatori relativi alle attività e a parametri socio-demografici territoriali;
b) gli indirizzi generali per lo svolgimento delle politiche a sostegno delle aree territoriali nelle quali la domanda e l’offerta dello spettacolo si dimostrino insufficienti, anche attraverso specifiche iniziative di promozione e sensibilizzazione da realizzarsi di concerto con le Regioni territorialmente interessate.
2. Gli atti e gli accordi conclusi in sede di Conferenza Stato - Regioni sono recepiti, entro tre mesi dalla loro adozione, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
3. Per l’esercizio delle funzioni e dei compiti previsti dalla presente legge la Conferenza Stato – Regioni si avvale di un organismo tecnico paritario istituito con D. P. C. M su proposta della Conferenza Stato – Regioni.
Articolo 5
(La Conferenza Unificata)
1. E’ compito della Conferenza Unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, predisporre le linee di indirizzo generale volte ad assicurare e a promuovere la presenza omogenea e diffusa dello spettacolo su tutto il territorio, con riguardo alle località meno servite.
2. La Conferenza Unificata definisce in particolare:
a) gli indirizzi generali per il sostegno dello spettacolo, secondo principi idonei a valorizzare la qualità, progettualità e l’imprenditorialità;
b) gli indirizzi generali atti a promuovere la presenza delle attività dello spettacolo sul territorio nazionale, perseguendo obiettivi di omogeneità della diffusione, della circolazione e della fruizione, con particolare riguardo alle località meno servite;
c) gli indirizzi generali atti a promuovere la presenza della produzione nazionale e regionale all’estero;
d) gli indirizzi generali per la promozione di progetti speciali concernenti la sperimentazione, la creazione contemporanea, la promozione di nuovi linguaggi artistici e di nuovi protocolli tecnici;
e) i criteri e le modalità e attraverso i quali verificare l’efficacia dell’intervento pubblico.
3. Gli atti e gli accordi conclusi in sede di Conferenza Unificata sono recepiti, entro tre mesi dalla loro adozione, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Articolo 6
(Compiti delle Regioni e delle Province autonome)
1. Nel rispetto delle attribuzioni di Comuni, Province e Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome sono titolari delle funzioni in materia di promozione e valorizzazione delle attività di spettacolo che richiedono unitarietà di intervento e che non siano espressamente riservate dalla presente legge allo Stato, alla Conferenza Stato - Regioni e alla Conferenza unificata.
2. Le Regioni e le Province autonome, in particolare:
a) definiscono la programmazione regionale delle attività di spettacolo e partecipano alla definizione di quella nazionale, favorendo il consolidamento del rapporto dei soggetti con il territorio, promuovendo nuove attività e la distribuzione degli spettacoli;
b) predispongono i progetti finalizzati alla integrazione europea dello spettacolo per la valorizzazione della cultura, della storia e delle tradizioni regionali;
c) curano la formazione, l’aggiornamento e la creazione di nuovi profili professionali;
d) favoriscono la promozione di nuovi talenti, l’imprenditoria giovanile e femminile;
e) tutelano la tradizione collegata ai linguaggi e alle lingue locali;
f) incentivano l’integrazione tra politiche turistiche e politiche culturali e tra politiche culturali e le politiche di promozione e sviluppo del territorio;
g) promuovono, in collaborazione con le Province e i Comuni, gli interventi correttivi, la costruzione, il restauro, l’adeguamento e la qualificazione di sedi;
h) disciplinano l’esercizio cinematografico;
i) favoriscono anche attraverso specifici protocolli di intesa, la collaborazione tra sistema dello spettacolo e mezzi di comunicazione di massa, per assicurare la più ampia informazione sulle attività;
j) favoriscono e sostengono l’accesso al credito delle strutture operanti nell'ambito del proprio territorio;
k) svolgono l’attività di osservatorio e monitoraggio anche attraverso la creazione di banche dati sullo spettacolo promosso e svolto nel territorio regionale;
l) svolgono l’azione di indirizzo e di coordinamento nei confronti degli enti locali, promuovono la stipula di accordi e intese con Province, Comuni e Città metropolitane al fine di consentire un’adeguata valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale, delle infrastrutture tecnologiche, delle risorse professionali e artistiche presenti sul loro territorio.
3. Le Regioni e le Province autonome, ove necessario, adeguano, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le proprie norme di legge e di regolamento, dotandosi di strutture amministrative e degli adeguati strumenti di conoscenza del settore.
Articolo 7
(Compiti di Comuni, Province e Città metropolitane)
1. I Comuni, le Province e le Città metropolitane esercitano tutte le funzioni di base relative alla promozione e alla fruizione dello spettacolo.
2. I Comuni, le Province e le città metropolitane in particolare:
a) partecipano alla programmazione regionale degli interventi per lo spettacolo;
b) partecipano, anche in forma associata, alla costituzione e alla gestione di organismi stabili dello spettacolo, nonché alla distribuzione di spettacoli, concorrendo al relativo finanziamento;
c) concorrono alla promozione e al sostegno dello spettacolo anche mediante il recupero, il restauro, la ristrutturazione e l’adeguamento funzionale e tecnico delle strutture e degli spazi destinati allo spettacolo;
d) favoriscono, nell’attività di promozione e sostegno dello spettacolo, la cooperazione con il sistema scolastico e universitario, con le attività produttive e commerciali e con le comunità locali;
e) garantiscono la più ampia collaborazione tra gli enti e gli organismi operanti nel proprio ambito territoriale;
f) effettuano la rilevazione, a livello locale, di dati statistici e informativi.
Articolo 8
(Fondo unico per lo spettacolo)
1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e sino alla data di entrata in vigore della legge di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, sulla base di accordi conclusi con le Regioni in sede di Conferenza Stato - Regioni, il Governo, su proposta del Ministero dei beni e le attività culturali trasferisce alle Regioni le risorse del Fondo Unico dello Spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163.
2. Per i primi tre anni dall’entrata in vigore della presente legge, il riparto tra le singole Regioni della quota del Fondo Unico dello spettacolo di cui al comma 1 deve avvenire sulla base della media della spesa storica degli ultimi cinque anni.
3. Le Regioni istituiscono nei propri bilanci un fondo per lo spettacolo, alimentato dalle risorse del Fondo Unico per lo spettacolo di cui al comma 1 e da risorse proprie.
4. Una parte delle risorse del Fondo Unico dello spettacolo è destinata a favorire interventi nella aree meno servite, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera b), incentivando la presenza omogenea di attività dello spettacolo nel territorio italiano e garantendo i livelli essenziali per il suo sviluppo.
5. La somma trasferita alle Regioni ai sensi del comma 1 è incrementata annualmente almeno del cinque per cento della dotazione prevista, anche destinando a tale scopo una percentuale dei fondi attribuiti dalla legge agli enti preposti dallo Stato al sostegno finanziario, tecnico-economico ed organizzativo di progetti e altre iniziative di investimento a favore delle attività culturali e dello spettacolo di cui alla legge n.291 del 16 ottobre 2003.
Articolo 9
(Spettacolo dal vivo)
1. La Repubblica riconosce e valorizza le attività professionali nei settori del teatro, della musica, della danza, ne promuove e valorizza lo sviluppo, senza distinzione di generi.
2. La Repubblica sostiene le attività professionali di cui al comma 1) che perseguano i seguenti obiettivi:
a) la produzione artistica classica, popolare e/o contemporanea in tutte le sue diverse forme e modalità espressive;
b) l’incontro tra domanda ed offerta avendo particolare attenzione alle zone meno servite;
c) un rapporto di stabilità tra un complesso organizzato di artisti, tecnici ed amministratori e la collettività di un territorio per realizzare un progetto integrato di produzione, promozione ed ospitalità;
d) la ricerca, la sperimentazione artistica, lo spettacolo per le nuove generazioni;
e) la promozione e formazione del pubblico, soprattutto giovanile;
f) la formazione, la qualificazione e l’aggiornamento professionale del personale artistico e tecnico;
g) l’utilizzo di nuove tecnologie e la sperimentazione di nuovi linguaggi;
h) eventi e manifestazioni a carattere di festival per il confronto tra le diverse espressioni e tendenze artistiche sia italiane che straniere;
i) la conservazione del patrimonio storico e documentario delle arti dello spettacolo, e la sua diffusione attraverso attività editoriali;
j) la diffusione delle attività di spettacolo all’estero;
k) la formazione, lo studio e l’educazione alle discipline dello spettacolo, anche attraverso forme di collaborazione con le istituzioni
l) scolastiche ed universitarie nonché la realizzazione di corsi e concorsi di alta qualificazione professionale.
Articolo 10
(I soggetti)
1. La Repubblica, in particolare, sostiene e valorizza gli enti attualmente operanti nel settore dello spettacolo e in particolare:
a) gli enti pubblici o privati, caratterizzati dalla stabilità del luogo teatrale di svolgimento delle propria attività con riferimento ad una accertata e significativa tradizione di produzione e offerta nei diversi settori dello spettacolo, attività di produzione e promozione nel campo della sperimentazione, della ricerca e del teatro per l'infanzia e la gioventù;
b) le fondazioni lirico - sinfoniche e le istituzioni concertistiche – orchestrali, non aventi scopo di lucro;
c) le imprese di produzione, gli organismi di distribuzione e di formazione dello spettatore, gli esercizi teatrali e cinematografici, le rassegne ed i festival nazionali e internazionali;
d) le associazioni musicali, i complessi bandistici e corali;
e) i soggetti che esercitano attività di spettacolo viaggiante, d’intrattenimento e di attrazione, allestiti a mezzo di attrezzature mobili, all’aperto o al chiuso;
f) gli enti che si prefiggono tra i propri scopi statutari quello di conservare, documentare, valorizzare il patrimonio legato alle attività di spettacolo.
Articolo 11
(Cinema e audiovisivi)
1. La Repubblica promuove le attività cinematografiche e audiovisive quale fondamentale mezzo di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale e ne riconosce l’interesse generale anche in considerazione della loro importanza economico - industriale.
2. La Repubblica sostiene le attività di cui al comma 1 che perseguano i seguenti obiettivi:
a) la conservazione e la valorizzazione del patrimonio cinematografico e audiovisivo anche attraverso l’istituzione di strutture e servizi idonei;
b) la produzione cinematografica e audiovisiva con particolare riguardo ai nuovi autori anche attraverso l’istituzione di idonei strumenti d’intervento a livello territoriale;
c) il sostegno alla distribuzione e all’esercizio del cinema di qualità;
d) la formazione, la qualificazione tecnica e professionale degli operatori con particolare riguardo all’utilizzo di nuove tecnologie.
e) il rilascio delle autorizzazioni necessarie per l’esercizio cinematografico.
Articolo 12
(Circhi, spettacoli viaggianti, artisti di strada)
1. Lo Stato sostiene i soggetti operanti nel settore del circo e dello spettacolo viaggiante, che svolgano attività volte a favorire:
a) la produzione di spettacoli di significativo valore artistico ed impegno organizzativo, realizzati da enti privati e caratterizzate da un complesso organizzato di artisti, con un itinerario geografico che valorizzi l’incontro tra domanda ed offerta anche con riguardo alle aree meno servite del paese;
b) le iniziative promozionali quali festival nazionali e internazionali;
c) le iniziative di consolidamento e di sviluppo dell’arte di strada e della tradizione circense e popolare mediante un’opera di assistenza, di formazione, di addestramento e di aggiornamento professionali;
d) la diffusione della presenza delle attività di cui al presente articolo all’estero;
e) la ristrutturazione di aree attrezzate;
f) la qualificazione dell’industria dello spettacolo viaggiante anche attraverso l’adozione di registri per l’attestazione del possesso dei necessari requisiti tecnico-professionali di tali attività.
2. Alle esibizioni degli artisti di strada non si applicano le disposizioni vigenti in materia di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche e di commercio ambulante.
DISPOSIZIONI FINALI
Articolo 13
(Riorganizzazione del settore)
1. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per il riordino degli enti, organismi e istituzioni pubblici nazionali operanti nel settore dello spettacolo, la cui attività sia prevalentemente sostenuta dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali.
2. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 3, da adottarsi previa intesa con la Conferenza Unificata, sono trasmessi alle Camere per l’acquisizione del parere da parte delle competenti commissioni parlamentari. Le Commissioni parlamentari esprimono il parere richiesto entro quarantacinque giorni dall’assegnazione. Il Governo esamina i pareri resi entro i successivi trenta giorni e ritrasmette i testi con le proprie osservazioni e con le eventuali modificazioni, alla Conferenza Stato - Regioni e alle Camere per il parere definitivo, che esprimono rispettivamente entro trenta e quarantacinque giorni dalla trasmissione dei testi medesimi.
3. Nell’esercizio della delega di cui al terzo comma, il Governo si attiene, oltre ai principi generali stabiliti dalla presente legge, ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) trasformazione in persone giuridiche di diritto privato dei soggetti di cui al comma 3 e in società di diritto privato degli enti dotati di autonomia finanziaria;
b) promozione di una diffusa partecipazione di privati, persone fisiche e giuridiche, al finanziamento e alla gestione dei soggetti di cui al comma 3;
c) in caso di enti soppressi, il personale, i beni e le risorse dell’ente sono trasferite alle Regioni, alle Province ed ai Comuni secondo modalità e criteri stabili dalla Conferenza Unificata.
4. L’ente teatrale italiano, istituito con legge 19 marzo 1942, n. 365, è soppresso.
5. Il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, è abrogato.
Articolo 14
(Interventi finanziari e ausili finanziari)
1. Il governo è delegato ad adottare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa deliberazione del consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri dell’Economia e delle Finanze e per i Beni e le attività culturali, uno o più decreti legislativi recanti interventi fiscali in favore delle attività dello spettacolo, secondo i seguenti criteri:
a) parziale fiscalizzazione degli oneri sociali, nei limiti fissati dalla normativa europea;
b) detassazione degli utili reinvestiti, con un tetto massimo di 200.000 euro, nell’attività, nella formazione, nel recupero di spazi e nella innovazione tecnologica;
c) misure di sostegno, anche in forma di prestito d’onore, per nuove iniziative imprenditoriali, giovanili e femminili;
d) introduzione del tax shelter con un tetto complessivo di 250.000 euro a soggetto;
e) introduzione di un premio fiscale proporzionale alla quantità di biglietti venduti nel corso di un anno fiscale;
f) esenzione delle attività dello spettacolo dall’imposta regionale sulle attività produttive;
g) detassazione dei costi pubblicitari e di affissione;
h) deducibilità delle spese inerenti l’attività degli artisti e dei tecnici.
2. Alle attività di spettacolo non si applicano le ritenute di cui all’articolo 28, secondo comma, e articolo 29, ultimo comma del D. P. R. 29 settembre 1973, n.600 e successive modificazioni.
3. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità revisionale di base corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.
RELAZIONE ALLA PROPOSTA DI LEGGE RECANTE I PRINCIPI FONDAMENTALI PER LO SPETTACOLO AI SENSI DELL’ART. 117, COMMA 3, DELLA COSTITUZIONE
1. Premesse
Le modifiche introdotte al Titolo V della Costituzione e in particolare all’articolo 117 impongono un adeguamento e un rinnovamento alla disciplina dello spettacolo, riconducibile, oggi, alla materia “promozione e organizzazione di attività culturali”, attribuita alla competenza legislativa concorrente delle Regioni.
Il nuovo assetto dei rapporti tra Stato, Regioni e enti locali trova adeguato riscontro nella presente proposta di legge che si propone di semplificare, armonizzare e razionalizzare il panorama legislativo dello spettacolo dettando i principi fondamentali che devono orientare l’azione legislativa delle regioni, definendo altresì il nuovo assetto delle funzioni tra Stato, Regioni e enti locali e la conseguente redistribuzione delle risorse finanziarie.
Nella dizione di “spettacolo” sono ricompresi i settori tradizionalmente ad esso ricondotti, ovverosia la musica, il teatro, la danza, il cinema e gli audiovisivi, il circo e gli spettacoli viaggianti, ivi comprese l’attività degli artisti di strada e le diverse forme dello spettacolo popolare e contemporaneo. I principi fondamentali delineati dalla presente proposta di legge si rivolgono a tutti questi settori.
La parte relativa ai diversi settori della presente proposta è volutamente concisa e generale, essenzialmente finalizzata a delineare i criteri e gli obiettivi che i vari soggetti operanti a diverso titolo nello spettacolo devono perseguire, per potere essere sostenuti dall’azione pubblica.
2. I contenuti della proposta di legge
2.1. La proposta di legge si compone di tre parti: la parte generale, la parte relativa ai diversi settori e le disposizioni finali.
La parte generale esordisce con due articoli che fungono da premessa alla legge e che nello stesso tempo aiutano a inquadrare lo spettacolo come attività culturale da organizzare e valorizzare. In particolare, essendo una componente essenziale del patrimonio culturale del paese e un fattore di crescita sociale, civile ed economica della collettività, nel rispetto del principio di sussidiarietà, l’articolo 1, comma 4, prevede che lo Stato, le Regioni, gli enti locali, le città metropolitane e i soggetti privati debbano collaborare per favorirne lo sviluppo.
L’articolo 2, comma 2, precisa che le attività dello spettacolo comprendono le funzioni di produzione, promozione, distribuzione e valorizzazione.
Le funzioni di produzione dello spettacolo comprendono ogni attività finalizzata alla creazione o alla trasformazione di opere dell’ingegno, incluse le attività che sovrintendono economicamente al prodotto finale.
Le funzioni di promozione e valorizzazione dello spettacolo comprendono ogni attività diretta a sostenere e sviluppare la conoscenza, la diffusione e la fruizione da parte del pubblico del patrimonio culturale dello spettacolo.
Le funzioni di distribuzione dello spettacolo comprendono tutte quelle attività attraverso le quali la produzione artistica viene portata a contatto con l’utenza territoriale, ivi incluse le differenti forme di esercizio pubblico.
Gli articoli da 3 a 7 definiscono, alla luce anche del nuovo quadro di competenze risultante dal novellato Titolo V della Costituzione, i compiti di Stato, Regioni, Province autonome, Province e Comuni; nonché della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Unificata.
Nel quadro di una legislazione in materia di spettacolo a carattere prevalentemente regionale le competenze statali sono inevitabilmente ridimensionate. La più importante funzione è quella relativa alla gestione della cooperazione internazionale e alla promozione dello spettacolo all’estero, quest’ultima da svolgere in accordo con la Regione specificatamente interessata. Sono state, poi, attribuite allo Stato sia alcune funzioni riconducibili più alla tutela dei beni culturali che alla valorizzazione come la costituzione di un archivio nazionale dello spettacolo, sia altre funzioni come quelle relative alla produzione e alla diffusione in Italia e all’estero delle opere cinematografiche (salvo il sostegno alla distribuzione e all’esercizio del cinema di qualità).
Gli articoli 4 e 5 sono stati dedicati alla Conferenza Stato-Regioni e alla Conferenza Unificata, ritenute fondamentali centri di incontro-confronto tra Stato, Regioni ed Enti locali per una serie di ambiti di interesse comune.
In particolare, alla Conferenza Unificata è stato affidato il compito di definire le linee di indirizzo generale volte ad assicurare e a promuovere la presenza omogenea e diffusa dello spettacolo su tutto il territorio nazionale; a tal fine essa deve definire gli indirizzi generali per le azioni pubbliche di sostegno dello spettacolo.
È, invece, demandato alla Conferenza Stato - Regioni la definizione dei parametri sulla base dei quali effettuare il riparto tra le Regioni del FUS e degli indirizzi generali relativi al sostegno delle aree territoriali meno servite.
Le competenze riservate a questi organismi concretano l’evoluzione istituzionale avvenuta con il Titolo V della Costituzione e sanciscono il ruolo fondamentale delle Regioni, insieme allo Stato, nella definizione delle linee generali di indirizzo e promozione delle attività culturali.
Anche in considerazione dell’importanza delle funzioni e della centralità dell’attività della Conferenza Stato-Regioni è stata prevista la creazione di un organismo paritario quale supporto tecnico amministrativo.
Gli atti e gli accordi conclusi sia in sede di Conferenza Stato-Regioni sia in sede di Conferenza Unificata sono recepiti con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
L’articolo 6 individua, in via residuale, le funzioni delle Regioni e delle Province autonome; esse sono titolari, nel rispetto di Comuni e Province, di tutte le funzioni in materia di promozione e organizzazione delle attività culturali che non richiedano unitarietà di intervento o che non siano espressamente riservate allo Stato, alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Unificata. La citata disposizione prevede inoltre che le Regioni adeguino la propria normativa ai principi fondamentali previsti dalla presente proposta di legge e che a tal fine si dotino delle necessarie strutture amministrative e degli adeguati strumenti di conoscenza nel settore.
L’articolo 7 assegna alle Province e ad i Comuni tutte le funzioni di base relative alla promozione e alla fruizione dello spettacolo, tra le quali vi rientrano la partecipazione alla programmazione regionale degli interventi dello spettacolo e alla costituzione e alla gestione di organismi stabili.
2.2. L’articolo 8 è dedicato al FUS. Nell’ottica del nuovo riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni e fino a quando non sarà data attuazione all’articolo 119 della Costituzione è previsto che le risorse finanziarie del FUS siano trasferite alle Regioni sì da finanziare l’esercizio delle funzioni connesse alle potestà di cui sono titolari nel rispetto dei principi fondamentali definiti dalla presente proposta di legge.
La proposta di legge prevede disposizioni di carattere transitorio dal momento che per l’esercizio delle funzioni pubbliche regionali l’articolo 119 della Costituzione non consente, salvo che per gli scopi previsti dal comma 5, interventi speciali dello Stato. Quando, dunque, sarà data piena attuazione all’articolo 119 della Costituzione e le Regioni saranno in grado di esercitare la potestà impositiva loro riconosciuta, esse dovranno essere in grado di finanziarie integralmente le funzioni di cui sono titolari. Il ricorso a finanziamenti da parte dello Stato, senza il rispetto dei limiti previsti dal quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione, rischia di diventare uno strumento di ingerenza statale nell’esercizio delle funzioni regionali (cfr. Corte Costituzionale 16/2004 e 49/2004).
L’articolo 8 della proposta, nel prevedere il suddetto trasferimento in via transitoria, individua accanto al criterio della spesa storica altri criteri destinati a incidere in misura progressivamente più consistente.
Nell’ambito dei principi fondamentali dettati in materia di coordinamento della finanza pubblica, l’articolo 8, comma 3, prevede che le Regioni istituiscano nei propri bilanci un fondo unico per lo spettacolo alimentato sia da risorse proprie che da quelle statali.
E’ previsto poi, che una parte delle quote del FUS sia utilizzata, secondo le indicazioni della Conferenza Stato – Regioni, per favorire interventi nelle aree meno servite, incentivando la presenza omogenea di attività dello spettacolo nel territorio italiano e garantendo i livelli essenziali per il suo sviluppo.
2.3. L’ultima parte della proposta è destinata alle attività settoriali dello spettacolo (attività di spettacolo dal vivo, cinema e audiovisivi, spettacoli viaggianti e artisti di strada) e definisce, per ciascun settore, gli obiettivi e le finalità che i progetti devono perseguire per poter essere sostenuti dall’azione pubblica.
Va precisato che con riguardo al circo, agli spettacoli viaggianti ecc., l’azione di contribuzione è svolta dallo Stato in conformità all’articolo 4 che riserva esclusivamente allo Stato tale azione.
2.4. La proposta si conclude con due disposizioni finali. All’articolo 13 è previsto il riordino di enti, organismi e istituzioni pubblici nazionali operanti nel settore dello spettacolo, la cui attività sia prevalentemente sostenuta dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali; la medesima disposizione prevede la soppressione dell’ETI e la contestuale devoluzione del personale, dei beni e delle risorse dell’ente alla Regioni secondo le modalità e i criteri stabiliti dalla Conferenza Stato - Regioni.
L’articolo 14, invece, detta le disposizioni fiscali in favore delle attività dello spettacolo.
ROMA, 16 Giugno 2004
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Il progetto di legge Rositani per lo spettacolo Licenziato dalla Commissione Cultura della Camera e iscritto nel calendario dell'aula di On. Rositani (e numerosi emendamenti...) |
Disciplina dello spettacolo dal vivo (t.u. C. 587 e abb.).
NUOVA DISCIPLINA DELLO SPETTACOLO DAL VIVO
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1.
(Oggetto e princìpi fondamentali).
1. La presente legge determina i princìpi fondamentali e detta norme di competenza dello Stato in materia di spettacolo dal vivo, nel rispetto delle competenze legislative delle Regioni, definite ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
2. Ai fini della presente legge, lo spettacolo dal vivo comprende le seguenti attività culturali compiute alla presenza diretta del pubblico nel luogo stesso dell'esibizione:
a) musica;
b) teatro;
c) danza;
d) circo e spettacolo viaggiante, ivi comprese le esibizioni degli artisti di strada e le diverse forme dello spettacolo popolare e contemporaneo.
3. Costituiscono princìpi fondamentali della materia di cui al comma 1, in particolare:
a) la tutela e la garanzia delle libertà creative ed espressive e del pluralismo, nel rispetto dei principi sanciti dall'articolo 3 e dall'articolo 33 della Costituzione, attraverso la realizzazione della pari opportunità di accesso e di fruizione dello spettacolo dai vivo e con strumenti di coordinamento, collaborazione e perequazione volti a garantire lo sviluppo e la diffusione dello spettacolo dal vivo, armonici ed equilibrati, sull'intero territorio nazionale e ad assicurare gli interventi necessari in favore delle aree e delle regioni meno servite. A tali scopi, e per garantire la specificità dello spettacolo dal vivo come servizio culturale e diffuso sull'intero territorio nazionale, possono essere altresì adottate specifiche forme di intesa e coordinamento tra i diversi livelli di governo della Repubblica.
a) il sostegno e la promozione dello spettacolo dal vivo quale fattore di sviluppo ed elemento fondamentale dell'articolata identità nazionale e del patrimonio artistico e culturale italiano, nelle sue manifestazioni tradizionali e contemporanee senza distinzione di genere;
b) il coinvolgimento e la valorizzazione dell'apporto delle associazioni rappresentative delle categorie operanti nel settore;
c) la promozione dell'innovazione artistica e imprenditoriale, assicurando elevati livelli di educazione e formazione nei diversi settori dello spettacolo dal vivo;
d) la promozione della massima collaborazione tra i soggetti pubblici e privati, a livello internazionale, nazionale, regionale e locale per lo sviluppo e la circolazione delle attività dello spettacolo dal vivo, anche attraverso tecnologie innovative, nonché con specifiche intese, accordi e convenzioni tra Ministeri, regioni, università, istituzioni nazionali di formazione per l'alta specializzazione, associazioni professionali di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale;
f) il sostegno dei soggetti e dei progetti che, con carattere di continuità e con definite finalità culturali, operano nella formazione dei nuovi talenti, nella promozione delle attività creative ed espressive, nell'avviamento al lavoro degli artisti, nella produzione, nella distribuzione e nell'innovazione dei linguaggi, con specifica attenzione alla contemporaneità, alla sperimentazione e alla ricerca, all'attività verso l'infanzia e i giovani, all'interdisciplinarità, alla multimedialità e alle nuove forme di spettacolo che attivano l'interazione con il pubblico, nonché all'integrazione multietnica della cultura;
h) la promozione dell'insegnamento delle discipline artistiche e della conoscenza dei diversi settori dello spettacolo dal vivo, nell'ambito del sistema scolastico e di quello dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica;
i) la promozione e il sostegno di corsi e concorsi di alta qualificazione professionale organizzati da soggetti pubblici e privati che non perseguono fini di lucro, rivolti alla formazione e alla selezione delle diverse figure professionali operanti nei settori dello spettacolo dal vivo;
l) la garanzia di adeguate risorse pubbliche e la promozione dell'apporto di risorse private in favore dei diversi settori dello spettacolo dal vivo.
Art. 2.
(Compiti della Conferenza unificata).
1. In attuazione delle finalità della presente legge, la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, provvede tra l'altro, nelle forme e con le modalità previste dalla normativa vigente, a promuovere e sancire accordi tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze, per:
a) individuare gli strumenti di cooperazione e solidarietà istituzionale al fine di favorire l'affermazione dell'identità culturale nazionale e regionale e delle minoranze linguistiche e una diffusione equilibrata e qualificata dello spettacolo dal vivo sul territorio nazionale;
b) definire gli indirizzi generali in materia di formazione del personale artistico, tecnico e amministrativo, relativamente alle figure la cui formazione non è riservata alle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica di cui alla legge 21 dicembre 1999, n. 508;
c) promuovere la cultura dello spettacolo dal vivo attraverso la definizione di programmi di interventi specificamente rivolti al mondo della scuola e dell'università;
d) definire linee di indirizzo comune ai fini della programmazione degli interventi relativi alla costruzione, al recupero, all'adeguamento funzionale e tecnologico, alla ristrutturazione e alla eventuale conversione di spazi, strutture e immobili destinati o da destinare allo spettacolo dal vivo;
e)soppresso;
f) individuare i criteri e le modalità per la verifica del rapporto di efficacia ed efficienza tra l'investimento delle risorse pubbliche e il raggiungimento degli obiettivi e delle finalità culturali, attraverso attività di monitoraggio e osservatorio da realizzarsi in collaborazione fra il livello statale, quello regionale e quello locale.
Art. 3.
(Compiti dello Stato).
In base ai princìpi di sussidiarietà e adeguatezza sanciti dall'articolo 118, primo comma, della Costituzione, e nel rispetto della potestà legislativa delle Regioni, spetta tra l'altro allo Stato, anche al fine di promuovere lo sviluppo e il riequilibrio territoriale delle attività di spettacolo dal vivo, di:
a) promuovere e sostenere la diffusione dello spettacolo dal vivo a livello europeo, attivando rapporti di collaborazione e di interscambio tra i Paesi europei al fine di raggiungere un'effettiva integrazione culturale;
b) promuovere il sostegno agli autori, agli artisti interpreti e a tutti gli operatori dello spettacolo dal vivo, anche con particolare riferimento alle iniziative giovanili, di ricerca e di sperimentazione e alle figure professionali legate allo sviluppo delle nuove tecnologie, attraverso interventi in campo fiscale e previdenziale e nelle altre materie di propria competenza, nonché tutelandone la libertà artistica ed espressiva e la proprietà intellettuale;
c) promuovere l'insegnamento della musica, nell'aspetto storico, di educazione all'ascolto e della pratica strumentale e corale, della storia del teatro e delle tecniche di recitazione, della storia della danza e della pratica coreutica e della tradizione circense. A tal fine, nel rispetto dell'autonomia scolastica, è favorito l'inserimento delle relative discipline tra le materie di studio delle scuole dell'infanzia e del primo ciclo dell'istruzione;
d) sostenere l'istruzione e l'alta formazione nelle discipline dello spettacolo dal vivo, con riferimento ai conservatori di musica, agli istituti musicali pareggiati, alle accademie delle belle arti, agli istituti superiori per le industrie artistiche e alle accademie nazionali d'arte drammatica e di danza, nel rispetto dell'autonomia di tali istituzioni, anche in relazione alle nuove figure professionali legate allo sviluppo tecnologico;
e) favorire un'adeguata politica di accesso al credito dei soggetti dello spettacolo dal vivo, individuando gli strumenti più idonei a favorire agevolazioni e sostenere la nuova imprenditoria del settore;
e-bis) favorire un'adeguata politica di accesso al credito dei soggetti dello spettacolo dal vivo, individuando gli strumenti più idonei a favorire agevolazioni e sostenere la nuova imprenditoria del settore, anche avvalendosi dell'Istituto per il credito sportivo, di cui alla legge 24 dicembre 1957, n. 1295, e successive modificazioni, per la costituzione di un apposito fondo di garanzia;
f) sottoscrivere protocolli d'intesa con le emittenti radiotelevisive nazionali per destinare adeguati spazi di programmazione alle produzioni italiane ed europee di spettacolo dal vivo e per riservare spazi d'informazione specializzata al pubblico sulle programmazioni di spettacolo dal vivo. Spazi d'informazione e di promozione dedicati allo spettacolo dal vivo sono altresì previsti dal contratto di servizio tra lo Stato e la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo;
f-bis) assegnare le risorse del Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985 n. 163, destinate ai diversi settori dello spettacolo dal vivo, attraverso criteri e modalità stabiliti con decreti ministeriali non aventi natura regolamentare, sentita la Conferenza unificata.
g) attuare le attività di monitoraggio e osservatorio sull'impiego delle risorse finanziarie statali a sostegno dello spettacolo dal vivo, ai fini e nel rispetto di quanto stabilito ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera f);
h) assicurare la conservazione del patrimonio storico ed artistico e promuovere la diffusione del repertorio classico del teatro greco e romano, anche attraverso accordi di cooperazione culturale con i Paesi dell'area mediterranea;
i) promuovere accordi per la coproduzione di spettacoli dal vivo con i Paesi esteri, in particolare con i Paesi membri dell'Unione europea e con i Paesi appartenenti all'area del Mediterraneo e alle altre aree di maggiore destinazione e provenienza di flussi migratori, al fine di promuovere l'integrazione multietnica delle culture;
l) costituire l'archivio nazionale per lo spettacolo dal vivo, anche in video;
m) favorire lo sviluppo dello spettacolo dal vivo anche attraverso agevolazioni fiscali, fatto salvo quanto stabilito in sede di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
Art. 4.
(Compiti delle regioni).
1. Nel rispetto delle funzioni dei comuni, delle province, delle città metropolitane e dello Stato, le Regioni promuovono e valorizzano le attività culturali dello spettacolo dal vivo.
2. Spettano alle Regioni, in particolare:
a) l'attuazione dei princìpi fondamentali della legislazione statale, anche attraverso l'adeguamento degli strumenti legislativi e regolamentari;
b) la programmazione regionale degli interventi in materia di spettacolo, con il concorso degli enti locali interessati, con riferimento alla produzione, alla distribuzione e alla circolazione;
c) l'individuazione dei criteri per la definizione del sistema delle residenze multidisciplinari;
d) la promozione di nuovi talenti e dell'imprenditoria giovanile e femminile, anche con la graduale e qualificata estensione alle diverse forme dello spettacolo dal vivo degli strumenti a tale fine previsti dalla legislazione vigente;
e) la tutela delle tradizioni autoctone attraverso la valorizzazione delle lingue e dei dialetti locali;
f) il sostegno di scambi culturali e di iniziative socio-culturali in favore delle comunità regionali presenti all'estero, onde promuovere la conoscenza, la cooperazione, la solidarietà e l'integrazione tra i popoli;
g) la promozione del turismo culturale;
h) la stipula di protocolli d'intesa con le emittenti radiotelevisive per la destinazione di spazi di informazione e promozione dello spettacolo dal vivo sul territorio e per forme integrate di collaborazione;
i) l'attuazione delle attività di monitoraggio e osservatorio sull'impiego delle risorse finanziarie regionali a sostegno dello spettacolo dal vivo, ai fini e nel rispetto di quanto stabilito ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera f).
l) l'attivazione di un sistema unificato di informazione e assistenza agli operatori del settore, denominato «antenna europea», per l'informazione sui programmi, l'individuazione dei partner internazionali, il coordinamento dei progetti e la cura delle domande.
3.Le regioni, anche attraverso la stipula di accordi e di intese con comuni, province e città metropolitane, al fine di conseguire un'adeguata valorizzazione del patrimonio materiale ed immateriale, delle infrastrutture tecnologiche e delle risorse professionali e artistiche dello spettacolo dal vivo presenti sul loro territorio, svolgono azioni relative:
a) alla costruzione, restauro, adeguamento, innovazione tecnologica e qualificazione di sedi e spazi multimediali;
b) alla tutela del patrimonio artistico dello spettacolo dal vivo, attraverso progetti di catalogazione e conservazione audiovisivi e la promozione di centri audiovisivi per la valorizzazione delle iniziative regionali e locali, anche in rete con l'archivio nazionale di cui all'articolo 3, comma 1, lettera l);
c) alla predisposizione di progetti finalizzati alla integrazione europea dello spettacolo e alla valorizzazione della cultura, della storia e delle tradizioni regionali e locali;
d) alla formazione e all'aggiornamento professionale degli operatori dello spettacolo dal vivo, nonché alla creazione di nuovi profili professionali in questo campo.
4. Ferme restando le competenze riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme d'attuazione, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni della presente legge.
5. Le regioni, nell'ambito della propria autonomia finanziaria stabilita dall'articolo 119 della Costituzione, provvedono ad adeguare ai nuovi compiti ad esse spettanti le risorse finanziarie a favore dello spettacolo dal vivo.
Art. 5.
(Compiti dei comuni, delle province e delle città metropolitane).
1. In materia di promozione e fruizione dello spettacolo dal vivo, i comuni, le province e le città metropolitane esercitano le funzioni amministrative proprie e quelle ad essi conferite con legge statale o regionale sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di differenziazione e di adeguatezza.
2. I comuni, le province e le città metropolitane concorrono alla promozione e valorizzazione delle attività culturali dello spettacolo dal vivo, tra l'altro:
a) partecipando, con le modalità stabilite dalla normativa regionale, alla definizione della programmazione regionale per lo spettacolo dal vivo;
b) partecipando, anche in forma associata, con assunzione dei relativi oneri, alla costituzione e gestione di soggetti stabili dello spettacolo dal vivo, della distribuzione di spettacoli e delle residenze multidisciplinari e al sostegno di altri soggetti operanti nel proprio ambito territoriale, con erogazione di servizi anche in relazione a finalità turistiche;
c) realizzando interventi di costruzione e di recupero, restauro o adeguamento funzionale e tecnologico delle strutture e degli immobili di loro proprietà da destinare ad attività di spettacolo dal vivo multidisciplinari;
d) favorendo, nell'attività di promozione e sostegno dello spettacolo dal vivo, la cooperazione con il sistema scolastico universitario e dell'alta formazione artistica e musicale e coreutica, con gli operatori economici e con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello territoriale e, in generale, con le comunità locali;
e) attuando le attività di monitoraggio e osservatorio sull'impiego delle proprie risorse finanziarie a sostegno dello spettacolo dal vivo, ai fini e nel rispetto di quanto stabilito ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera f).
Art. 6.
(Disciplina transitoria sul Fondo unico per lo spettacolo).
1. A decorrere dal 1o gennaio 2006 e fino alla piena attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, ad eccezione della quota destinata alle attività cinematografiche, si applicano le disposizioni di cui al presente articolo.
2. Il Ministro per i beni e le attività culturali, con decreti ministeriali non aventi natura regolamentare, ripartisce in settori le quote del Fondo unico per lo spettacolo e, d'intesa con la Conferenza unificata, definisce criteri e modalità di erogazione dei contributi in favore delle attività dello spettacolo dal vivo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, che possono comunque essere adottati qualora l'intesa non sia stata raggiunta entro sessanta giorni dalla data della loro trasmissione alla Conferenza unificata.
3. A decorrere dal 1o gennaio 2006, è abrogato il decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 82.
Art. 7.
(Comitato tecnico per lo spettacolo dal vivo).
1. È istituito il Comitato tecnico per lo spettacolo dal vivo, di seguito denominato «Comitato».
2. Il Comitato, presieduto dal Ministro per i beni e le attività culturali, è composto da 32 esperti, di, cui 16 designati dal medesimo Ministro, 8 dalla Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome, 4 dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e 4 dall'Unione delle province d'Italia (UPI).
3. I componenti del Comitato, scelti da ciascuna istituzione proporzionalmente tra esperti nelle materie di cui all'articolo 1, comma 2, sono tenuti a dichiarare, all'atto del loro insediamento, di non versare in situazioni di incompatibilità con la carica ricoperta, derivanti dall'esercizio attuale e personale di attività oggetto delle competenze istituzionali del Comitato e delle Commissioni di cui al comma 7.
4. Il Comitato, e le Commissioni di cui ai comma 7, sono nominati con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
5. I componenti del Comitato restano in carica due anni e possono essere confermati.
6. Il Comitato, riunito in seduta plenaria, è integrato da 4 membri designati delle associazioni rappresentative di categoria e 4 membri designati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori del settore. Esso svolge i compiti già attribuiti al Comitato per i problemi dello spettacolo dall'articolo 8, comma 3, del decreto ministeriale 10 giugno 1998, n. 273. Al Comitato in seduta plenaria partecipano anche, senza diritto di voto, il Capo del Dipartimento per lo spettacolo e lo sport del Ministero per i beni e le attività culturali ed il direttore generale competente.
7. Il Comitato, nella composizione di cui al comma 2, si articola in quattro Commissioni per ciascuno dei settori di cui all'articolo 1, comma 2, presiedute dal Direttore Generale per lo spettacolo dal vivo e lo sport. A tali Commissioni sono attribuite le funzioni già proprie delle commissioni consultive per la musica, per la prosa, per le attività circensi e lo spettacolo viaggiante e per la danza, di cui all'articolo 1, commi 59 e 60, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n, 545, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1996, n. 650.
8. Le Commissioni sono composte ciascuna da 8 esperti, scelti tra quelli di cui al comma 2, proporzionalmente rispetto all'istituzione che li ha designati ed alle materie di competenza.
9. Il Comitato e le Commissioni si avvalgono, anche ai fini dell'espletamento delle attività istruttorie necessarie all'esercizio delle proprie funzioni, delle strutture e del personale del Ministero per i beni e le attività culturali. Ai costi di funzionamento del Comitato e delle Commissioni si provvede nei limiti degli stanziamenti destinati al funzionamento del Comitato per i problemi dello spettacolo e delle Commissioni consultive di cui all'articolo 1, commi 59, 60 e 67 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1996, n. 650.
10. Il Ministro per i beni e le attività culturali, con decreto non avente natura regolamentare, entro sessanta giorni alla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce le modalità di funzionamento del Comitato e delle Commissioni.
Capo II
PRINCIPI CONCERNENTI I SINGOLI SETTORI
Art. 8.
(Attività musicali).
1. La musica, quale mezzo di espressione artistica e di promozione culturale, costituisce aspetto fondamentale della cultura ed insostituibile valore sociale, economico e formativo della collettività. Fermo restando quanto disposto dal Capo I, alla musica si applicano in particolare i princìpi fondamentali di cui al presente articolo.
2. La Repubblica sostiene e valorizza le attività musicali di livello professionale in tutti i loro generi e manifestazioni, favorisce la formazione e lo sviluppo delle istituzioniche, nello svolgimento di attività di produzione, distribuzione, coordinamento e ricerca in campo musicale, perseguono, con carattere di continuità, una o più delle seguenti finalità:
a) la conservazione del patrimonio storico della musica di tutti i generi, degli archivi delle istituzioni, nonché la raccolta e la diffusione di documenti e statistiche di interesse musicale;
b) la produzione contemporanea di nuovi autori e la promozione di interpreti ed esecutori nazionali;
c) la sperimentazione e la ricerca di nuovi linguaggi musicali, anche attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie;
d) l'incontro tra domanda e offerta musicale, con particolare riguardo alle aree del Paese meno servite, in un'ottica di equilibrio, omogeneità e pari opportunità per la collettività nella fruizione di un servizio culturale;
e) la diffusione della cultura musicale sull'intero territorio nazionale attraverso la distribuzione di opere e la realizzazione di concerti, nonché la promozione e la formazione del pubblico, in particolare giovanile;
f) la realizzazione di eventi e manifestazioni a carattere promozionale e di confronto tra le diverse espressioni e tendenze artistiche italiane e straniere;
g) lo studio e il perfezionamento dello strumento musicale, del canto e della composizione, anche attraverso forme di collaborazione con le istituzioni scolastiche e di alta formazione artistica, musicale e coreutica, secondo quanto previsto dalla legge 21 dicembre 1999, n. 508 e dai regolamenti attuativi;
h) la costituzione di complessi e bande musicali di carattere professionale;
i) la diffusione all'estero della produzione musicale nazionale e la promozione della musica, dei compositori e degli interpreti musicali qualificati, anche attraverso programmi pluriennali organici;
l) la diffusione della musica leggera, popolare e per le immagini quale importante forma espressiva contemporanea e patrimonio artistico culturale di rilevante interesse sociale.
3. In particolare, le fondazioni lirico-sinfoniche, i teatri storici, l'attività lirica minore, le istituzioni concertistico orchestrali, le associazioni musicali, le residenze multidisciplinari, i festival nazionali e internazionali, i complessi bandistici e corali e le attività della musica leggera e popolare, le imprese di produzione, le società di organizzazione, le agenzie di distribuzione e gli organismi di formazione del pubblico costituiscono lo strumento per il perseguimento delle finalità della presente legge.
Art. 9.
(Attività teatrali).
1. Il teatro, quale mezzo di espressione artistica e di promozione culturale, costituisce aspetto fondamentale della cultura ed insostituibile valore sociale, economico e formativo della collettività. Fermo restando quanto disposto dal Capo I, al teatro si applicano in particolare i princìpi fondamentali di cui al presente articolo.
2. La Repubblica sostiene e valorizza le attività teatrali professionali, compreso il teatro di figura, e ne promuove lo sviluppo, senza distinzione di generi, con riferimento alle forme produttive, distributive, di promozione e ricerca che, con carattere di continuità, promuovono:
a) un rapporto di stabilità tra un complesso organizzato di artisti, tecnici e amministratori e la collettività di un territorio per realizzare un progetto integrato di produzione, promozione ed ospitalità;
b) la ricerca, la sperimentazione, il teatro per le nuove generazioni;
c) l'incontro tra domanda e offerta teatrale, con particolare riguardo alle aree del Paese meno servite, in un'ottica di equilibrio, omogeneità e pari opportunità per la collettività nella fruizione di un servizio culturale;
d) una qualificata azione di distribuzione dello spettacolo, di promozione e formazione del pubblico, in particolare giovanile, teso a diffondere la cultura teatrale e a sostenere l'attività produttiva ad essa connessa;
e) la formazione, la qualificazione e l'aggiornamento professionale del personale artistico, tecnico e amministrativo, nonché l'impiego di nuove tecnologie;
f) la realizzazione di eventi e manifestazioni a carattere di festival per il
confronto tra le diverse espressioni e tendenze artistiche sia italiane che straniere;
g) la promozione e il sostegno degli autori italiani e la diffusione della presenza del teatro italiano all'estero.
3. In particolare, i teatri stabili, le imprese di produzione, gli organismi di distribuzione e formazione del pubblico, gli esercizi teatrali e municipali, le rassegne ed i festival nazionali ed internazionali, gli organismi di promozione e di perfezionamento professionale, il teatro di figura e di strada e le residenze multidisciplinari costituiscono lo strumento per il perseguimento delle finalità della presente legge.
4. Nel rispetto del pluralismo delle vocazioni artistiche e culturali e al fine di valorizzare le funzioni omogenee e l'eterogeneità territoriale in cui operano, i teatri stabili ad iniziativa pubblica, di cui all'articolo 11 del decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 27 febbraio 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 1o aprile 2003, elemento storico indispensabile per l'affermazione della cultura teatrale italiana, costituiscono il sistema articolato nelle regioni per la promozione dei valori del teatro nazionale.
Art. 10.
(Attività di danza).
1. La danza, quale mezzo di espressione artistica e di promozione culturale, costituisce, in tutti i suoi generi e manifestazioni, aspetto fondamentale della cultura ed insostituibile valore sociale, economico e formativo della collettività. Fermo restando quanto disposto dal Capo I, alla danza si applicano in particolare i princìpi fondamentali di cui al presente articolo.
2. La Repubblica favorisce lo sviluppo delle attività professionali di danza che, con carattere di continuità, promuovono:
a) un rapporto di stabilità tra un complesso organizzato di artisti, tecnici e amministratori e la collettività di un territorio per realizzare un progetto integrato di produzione, promozione ed ospitalità;
b) la sperimentazione e la ricerca della nuova espressività coreutica e l'integrazione delle arti sceniche;
c) l'incontro tra domanda e offerta della danza, anche con particolare riguardo alle aree del Paese meno servite in un'ottica di equilibrio, omogeneità e pari opportunità per la collettività di usufruire di un servizio culturale;
d) una qualificata azione di distribuzione della danza e di promozione e formazione del pubblico, in particolare giovanile, volta a diffondere la cultura della danza e a sostenere l'attività produttiva;
e) la formazione, la qualificazione e l'aggiornamento professionale del personale artistico, tecnico e amministrativo, nonché l'impiego di nuove tecnologie;
f) la realizzazione di eventi e manifestazioni a carattere di festival per il confronto tra le diverse espressioni e tendenze artistiche sia italiane che straniere;
g) la diffusione della presenza della danza italiana all'estero.
3. In particolare, le imprese di produzione, gli organismi di distribuzione e formazione del pubblico, le attività di ospitalità, gli esercizi teatrali e municipali, le rassegne ed i festival nazionali ed internazionali, ivi compresi i progetti relativi alla danza negli spazi urbani, gli organismi di promozione e di perfezionamento professionale e le residenze multidisciplinari costituiscono lo strumento pubblico per il perseguimento delle finalità della presente legge.
Art. 11.
(Circhi, spettacolo viaggiante, artisti di strada e spettacolo popolare).
1. La Repubblica sostiene e promuove la tradizione circense, gli spettacoli viaggianti, gli artisti di strada e lo spettacolo popolare, riconoscendone il valore sociale e culturale. Fermo restando quanto disposto dal Capo I, alle attività di cui al precedente periodo si applicano in particolare i princìpi fondamentali di cui al presente articolo.
2. La Repubblica, in attuazione di quanto disposto al comma 1, valorizza le attività di cui al presente articolo nelle diverse tradizioni ed esperienze e ne asseconda lo sviluppo attraverso il sostegno a:
a) la produzione di spettacoli di significativo valore artistico ed impegno organizzativo,
realizzati da persone giuridiche di diritto privato caratterizzate da un complesso organizzato di artisti, con un itinerario geografico che valorizzi l'incontro tra domanda e offerta, anche con particolare riguardo alle aree del Paese meno servite in un'ottica di equilibrio, omogeneità e pari opportunità per la collettività nella fruizione di un servizio culturale;
b) iniziative promozionali, quali festival nazionali e internazionali, e attività editoriali;
c) iniziative di consolidamento e sviluppo dell'arte di strada e della tradizione circense e popolare mediante un'opera di assistenza, formazione, addestramento e aggiornamento professionali;
d) la diffusione della loro presenza all'estero;
e) il parziale risarcimento dei danni conseguenti ad eventi fortuiti occorsi in Italia e all'estero;
f) l'acquisto di nuovi impianti, macchinari, attrezzature e beni strumentali;
g) la ristrutturazione di aree attrezzate;
h) la qualificazione dell'industria dello spettacolo viaggiante, anche attraverso appositi sistemi di attestazione del possesso dei requisiti tecnico-professionali necessari per l'esercizio di tali attività.
3. Ai fini dell'attuazione di quanto previsto dal comma 2, lettera h), con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuati i requisiti minimi essenziali delle imprese che svolgono attività di spettacolo viaggiante e gestiscono parchi di divertimento, nonché le singole attrazioni e attività dello spettacolo viaggiante.
4. Alle esibizioni degli artisti di strada non si applicano le disposizioni vigenti in materia di tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche e di commercio ambulante.
Capo III
INTERVENTI PER LA VALORIZZAZIONE E LO SVILUPPO DELLO SPETTACOLO DAL VIVO
Art. 12.
(Disciplina delle professioni di agente e di produttore).
1. Il presente articolo determina i princìpi fondamentali per l'esercizio delle professioni di:
a) agente di spettacolo e rappresentante di artisti, la cui attività consiste nella consulenza, rappresentanza, organizzazione, assistenza, tutela delle attività di singoli o gruppi di artisti, di seguito denominato «agente»;
b) produttore, organizzatore e promoter di manifestazioni musicali, teatrali, di balletto, di seguito denominato «produttore».
2. Le attività professionali di agente e produttore sono incompatibili e in nessun caso possono essere svolte da un unico soggetto né in forma singola, né in forma societaria, né attraverso compartecipazioni.
3. È interdetto l'esercizio delle attività di agente e produttore ai soggetti che abbiano riportato condanne penali o commesso illeciti disciplinari nello svolgimento delle medesime attività.
4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con accordi in sede di Conferenza unificata, è definito un sistema di certificazione di idoneità per l'esercizio delle attività professionali di agente e produttore, subordinata al possesso di requisiti minimi essenziali e al superamento di uno specifico esame. Il possesso della certificazione di idoneità non è richiesto ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della presente legge, svolgono le attività professionali di agente e produttore da almeno tre anni con profitto e continuità, ferma restando la possibilità di conseguire la certificazione medesima su base volontaria.
5. Al fine di evitare la costituzione di posizioni dominanti, anche a livello regionale, nei settori di attività di cui al presente articolo, con le medesime modalità di cui al comma 4 sono definiti altresì:
a) il numero massimo di artisti di cui un agente può avere contemporaneamente la rappresentanza;
b) la percentuale massima di artisti di cui un agente può avere annualmente la rappresentanza nell'ambito delle fondazioni lirico sinfoniche.
6. La violazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 nonché l'esercizio delle attività professionali di agente e produttore in contrasto con quanto disposto dai commi 4 e 5 sono puniti con un'ammenda da euro 5.000 a euro 25.000.
Art. 13
(Delega al Governo per il riordino della disciplina concernente le fondazioni lirico-sinfoniche e i teatri stabili ad iniziativa pubblica).
1. Il Governo, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riordino della disciplina concernente le fondazioni lirico-sinfoniche e i teatri stabili ad iniziativa pubblica, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) adeguamento agli articoli 117 e 118 della Costituzione;
b) adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali;
c) omogeneità di organizzazione, anche sotto il profilo delle procedure di nomina e del riassetto delle competenze e del funzionamento degli organi, tra i quali sono obbligatoriamente previsti:
1) il presidente, che svolge la funzione di legale rappresentante della fondazione e di presidente del consiglio di amministrazione, eletto dal consiglio stesso nell'ambito dei suoi componenti;
2) il consiglio di amministrazione, costituito fino ad un massimo di nove membri, designati dai fondatori, anche privati, in proporzione alle risorse corrisposte al patrimonio della fondazione, con poteri di indirizzo e gestione, cui spetta l'approvazione del programma di attività e dei bilanci e la nomina e la revoca del direttore generale e del direttore artistico;
3)il collegio dei revisori dei conti, che svolge le funzioni ad esso assegnate dalla legge e dal codice civile;
4) il direttore generale, che predispone i bilanci per la loro presentazione al consiglio di amministrazione, e dirige e coordina, nel rispetto dei programmi approvati e dei vincoli di bilancio, le attività della fondazione e il personale, e partecipa alle riunioni del consiglio di amministrazione senza diritto di voto;
5) per le fondazioni lirico-sinfoniche, il direttore artistico, individuato tra direttori d'orchestra e compositori di comprovata professionalità, ovvero tra registi o personalità di comprovata competenza teatrale, che predispone i programmi di attività artistica ed è responsabile della conduzione artistica della fondazione e della realizzazione degli obiettivi del programma artistico e del prodotto finale;
d) previsione, per gli organi di cui alla lettera c), della più ampia autonomia decisionale e di adeguati requisiti di professionalità per i componenti;
e) razionalizzazione e omogeneizzazione dei poteri di vigilanza ministeriale e nuova disciplina del commissariamento;
f) contenimento delle spese di funzionamento, anche attraverso ricorso obbligatorio a forme di comune utilizzo di contraenti, ovvero di organi;
g) programmazione atta a favorire la mobilità e l'ottimale utilizzo delle risorse umane;
h) attribuzione della personalità giuridica di diritto privato ai teatri stabili ad iniziativa pubblica.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 indicano esplicitamente le disposizioni sostituite o abrogate, fatta salva l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile, e sono adottati previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro sessanta giorni dall'assegnazione dei relativi schemi. Decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.
3. Disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi di cui al comma 1 possono essere adottate, nel rispetto degli stessi princìpi e criteri direttivi e con le medesime procedure di cui al presente articolo, entro due anni dalla loro entrata in vigore.
4. Dall'attuazione dei decreti legislativi di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 14.
(Musica dal vivo).
1. Per musica dal vivo si intende la musica eseguita alla presenza diretta del pubblico nel luogo stesso dell'esibizione con strumenti musicali tradizionali o elettrici.
2. Nelle esecuzioni dal vivo è vietato l'utilizzo anche parziale di supporti o di apparecchiature che contengono musica preregistrata. A tal fine il responsabile dell'esecuzione musicale deve rilasciare al gestore del locale o all'organizzatore della manifestazione musicale, prima dell'esecuzione, apposita dichiarazione sottoscritta che attesta che l'esecuzione stessa avverrà dal vivo.
3. L'esecuzione musicale che fa uso parziale e non preponderante di musica preregistrata, effettuata da un massimo di due esecutori ed in ambienti che non consentono la presenza di un pubblico superiore a 100 persone, è definita come «parzialmente dal vivo» e consente di beneficiare di una riduzione dell'imposta sugli intrattenimenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, e successive modificazioni, pari al 50 per cento dell'importo che sarebbe dovuto per esecuzioni musicali non dal vivo. A tal fine il responsabile dell'esecuzione musicale deve rilasciare al gestore del locale o all'organizzatore della manifestazione musicale, prima dell'esecuzione apposita dichiarazione sottoscritta che attesta che l'esecuzione rientra nella fattispecie di cui al presente comma.
4. Il gestore del locale o gli organizzatori della manifestazione possono beneficiare della riduzione dell'imposta sugli intrattenimenti di cui al comma 3 solo se in possesso delle relative dichiarazioni.
5. Gli ispettori della SIAE e gli organi di polizia possono effettuare verifiche sui supporti o apparecchiature utilizzati dai musicisti, per verificare che l'esecuzione rientri effettivamente nelle fattispecie di cui al presente articolo.
6. Qualora si accerti la falsità delle dichiarazioni rilasciate ai sensi dei commi 2 e 3, il responsabile è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 10.000, fatte salve le eventuali ulteriori responsabilità civili e penali.
Art. 15.
(Personale docente delle scuole di danza).
1. L'insegnamento della danza, limitatamente ad allievi di età inferiore a 14 anni, è riservato a chi è in possesso di specifico titolo di studio o di adeguato titolo professionale.
2. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentita l'Accademia nazionale di danza, da adottarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono fissati criteri e modalità per lo svolgimento dell'attività di cui al comma 1.
Art. 16.
soppresso
Art. 17.
(Festival degli eponimi).
1. Lo Stato, in collaborazione con le regioni, incentiva l'istituzione di festival intitolati a:
a) grandi musicisti italiani autori di musica lirica, sinfonica, leggera e popolare;
b) grandi personaggi del teatro, della danza e del circo;
c) generi musicali, teatrali o tersicorei particolarmente finalizzati alla conoscenza e diffusione della cultura dello spettacolo dal vivo.
2. In occasione dell'istituzione di ciascun festival, lo Stato dispone un'emissione filatelica dedicata all'artista o al genere.
Art. 18
(Ente teatrale italiano, Accademia nazionale d'arte drammatica, Accademia nazionale di danza, Istituto Centro europeo Toscolano, Accademia del circo).
Le regioni e gli enti locali interessati, per l'attuazione delle finalità di cui alla presente legge, possono anche promuovere accordi con:
a) l'Ente teatrale italiano, per attività di promozione e per la valorizzazione della cultura teatrale e della danza in Italia e all'estero, nonché per la promozione e la realizzazione di progetti di coproduzione internazionale e di progetti volti alla documentazione e alla conservazione dell'arte teatrale e coreutica italiana, per attività di formazione del pubblico e di educazione alle discipline dello spettacolo e di formazione e aggiornamento professionale, per la diffusione dello spettacolo anche con il supporto delle nuove tecnologie e dell'emittenza radiotelevisiva, da sviluppare anche attraverso accordi di collaborazione con altre istituzioni aventi analoghe finalità;
b) l'Accademia nazionale d'arte drammatica «Silvio D'Amico» e l'Accademia nazionale di danza, per la formazione artistica, per la ricerca didattica, da sviluppare anche in collaborazione con istituzioni estere di pari finalità, nonché per la realizzazione di progetti volti a favorire gli scambi internazionali e l'alta formazione professionale, rispettivamente nei settori del teatro e della danza.
1. Lo Stato, le regioni e gli enti locali interessati, per l'attuazione delle finalità di cui alla presente legge, si avvalgono anche:
2. a) del Centro europeo di Toscolano, per la formazione e l'alto perfezionamento delle figure professionali che operano nella musica leggera e musica da film, e per la realizzazione di progetti volti a favorire il confronto internazionale delle esperienze;
3. b) dell'Accademia del circo di Verona, per la formazione e l'alto perfezionamento delle figure professionali e quale strumento di didattica e di conservazione della tradizione storica circense.
Art. 19.
(Modifiche alla legge 21 dicembre 1999, n. 508).
1. Al comma 7 dell'articolo 2 della legge 21 dicembre 1999, n. 508, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
«i-bis) le procedure, le modalità e i requisiti per l'istituzione sul territorio nazionale di accademie di danza e d'arte drammatica pubbliche e private».
2. Al comma 8 dell'articolo 2 della citata legge 21 dicembre 1999, n. 508, dopo la lettera i), è aggiunta la seguente:
«i-bis) previsione della possibilità, per gli istituti pubblici o privati che svolgono attività d'istruzione in arte drammatica o coreutica, in possesso dei requisiti previsti alle lettere a), b), d), e), f), g) e h) del comma 7, di inoltrare domanda al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai fini del loro riconoscimento quali istituzioni del sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale ai sensi del comma 1. Il decreto di riconoscimento è emanato dallo stesso Ministro, previo parere del Consiglio nazionale per l'alta formazione artistica e musicale e accertamento del possesso dei requisiti richiesti effettuati da un'apposita commissione nominata dal medesimo Ministro».
Art. 20.
(Delega al Governo per la razionalizzazione della disciplina fiscale e previdenziale in materia di attività di spettacolo dal vivo e interventi diversi).
1. Al fine di promuovere lo sviluppo delle attività di spettacolo dal vivo e di favorire la diffusione della cultura musicale, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per il rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, uno o più decreti legislativi volti a modificare e integrare la disciplina fiscale e previdenziale concernente i diversi settori dello spettacolo dal vivo, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) semplificazione, razionalizzazione e omogeneizzazione dei trattamenti fiscali relativi ai diversi settori e soggetti dello spettacolo dal vivo;
b) inserimento tra gli oneri deducibili delle erogazioni liberali, in denaro, beni o servizi, di persone fisiche e giuridiche in favore di soggetti che operano nello spettacolo dal vivo e per iniziative di recupero, adeguamento funzionale e tecnologico, ristrutturazione di spazi ed immobili da adibire all'attività del settore e per la realizzazione di nuove strutture;
c) progressiva riduzione al 10 per cento dell'aliquota Iva sui fonogrammi, cd, dvd musicali e strumenti analoghi, prevedendo che i soggetti che fruiscono di tale riduzione siano tenuti a praticare almeno una corrispondente riduzione del prezzo al consumatore e attribuendo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato il compito di vigilare sul rispetto di tale obbligo, con individuazione delle modalità e delle procedure per sanzionare le eventuali violazioni;
d) introduzione di specifiche agevolazioni e incentivazioni fiscali in favore delle attività della musica leggera e popolare;
e) per gli appartenenti alle categorie dei tersicorei e dei ballerini già iscritti all'Enpals alla data del 31 dicembre 1995, previsione che il diritto alla pensione di vecchiaia sia subordinato al compimento del quarantacinquesimo anno di età per gli uomini e del quarantesimo anno di età per le donne;
f) per tutti i lavoratori artistici e tecnici dello spettacolo dal vivo, riduzione a 80 del numero minimo di giornate lavorative ai fini del conseguimento del diritto alla pensione.
2. All'attuazione dei decreti legislativi di cui al comma 1 si provvede, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, mediante finanziamenti da iscrivere annualmente nella legge finanziaria, in coerenza con quanto previsto dal Documento di programmazione economico-finanziaria.
3. Lo schema di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1 deve essere corredato da relazione tecnica ai sensi dell'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. I decreti legislativi la cui attuazione determini nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
3-bis. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi, almeno due mesi prima della data di scadenza del termine di cui al medesimo comma 1, alle Camere per l'espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario.
4. L'attività itinerante dello spettacolo dal vivo non è assoggettata alle disposizioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulle direttive e sul calendario per le limitazioni alla circolazione stradale fuori dai centri abitati.
5. Alle attività dello spettacolo dal vivo è esteso, in via di opzione, il regime previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2002, n. 69, in attesa che il sistema raggiunga la completa funzionalità sotto l'aspetto tecnico e commerciale e, comunque, per i due anni successivi alla data di entrata in vigore della presente legge. Il Ministero dell'economia e delle finanze vigila sull'attuazione delle relative disposizioni, sentite la SIAE e le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale.
6. soppresso
7. Ai destinatari di contributi in favore delle attività dello spettacolo il Ministero per i beni e le attività culturali può concedere anticipazioni sui contributi da assegnare nella misura del cinquanta per cento del contributo percepito con riferimento all'anno precedente, qualora le competenti commissioni non abbiano reso il prescritto parere entro il 15 marzo dell'anno di riferimento. Le anticipazioni sono concesse solo a soggetti che abbiano presentato regolare istanza nei termini previsti, che siano stati destinatari del contributo per almeno tre anni e che abbiano regolarmente documentato l'attività svolta. Il Ministero per i beni e le attività culturali può disporre il recupero totale o parziale delle somme anticipate.
8. All'articolo 1, comma 6, della legge 11 novembre 2003, n. 310, le parole: «, in conformità al Protocollo d'intesa, sottoscritto a Roma il 21 novembre 2002, tra la regione Puglia, la provincia e il comune di Bari e le parti private» sono soppresse.
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Lo spazio della performance critica Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Altre Velocità |
AltreVelocità è un gruppo di giovani osservatori e critici da tempo attenti al monitoraggio di festival, eventi e spettacoli strettamente connessi alle arti sceniche contemporanee.
Il gruppo AltreVelocità, compare come redazione intermittente, non osserva a tappeto ma raccoglie suggestioni e sguardi, con una presenza al tempo stesso fissa e non stabile, piena di linfa ma senza radici. E’ di solito ospite dell’evento e dei siti dei Festival ospitanti, avvalendosi di pensieri e persone in continuo ricambio, con la comune urgenza di interrogare il presente e le sue arti per scovarne i sommovimenti, sotterranei o evidenti.
Costituito nel maggio 2005 sotto il coordinamento di Massimo Marino, in occasione del festival Contemporanea05 di Prato, il Gruppo AltreVelocità ha rivolto il suo sguardo durante il periodo estivo ad alcune realtà dello spettacolo contemporaneo del territorio nazionale.
Redazione composta da:
Chiara Alessi
Valentina Bertolino
Daniele Bonazza
Piersandra Di Matteo
Lorenzo Donati
Agnese Doria
Rodolfo Sacchettini
AV è apparso a:
Contemporanea05 di Prato
Deficit! di Bologna
Volterrateatro
Lavori in Pelle di Alfonsine (RA)
Rizoma ‘05 di Castello di Malgrate (MS)
Premio Riccione
Vie festival di Modena
AV si può leggere su:
www.contemporaneafestival.it
www.cantieridanza.org
www.accademiacarrara.it
www.riccioneteatro.it/prt/index.html
http://www.viefestivalmodena.com/italiano/news.asp
AV: LO SPAZIO DELLA PERFORMANCE CRITICA
si colloca sul confine del monitoraggio vigile, ma esterno alle dinamiche puramente informative.
Lo sguardo del gruppo sulle realtà che va a indagare è uno sguardo critico parassita e intermittente.
La volontà di restituire connessioni, frutto di migrazioni festivaliere, lo porta a elaborare di continuo forme di pensiero che sono il frutto di queste esperienze.
Cercare di formulare sempre nuove strategie di sguardo sembra essere la sola modalità per poter aderire ai diversi formati delle arti e dei festival presenti sul territorio.
Abituato a una forma lavorativa in corsa, restituisce in tempo reale e grazie all’utilizzo di diverse tecnologie tracce e visioni di ciò che accade nel teatro contemporaneo.
Le forme della presenza variano, AltreVelocità compare sui siti, sulle pagine dei quotidiani locali, produce interviste video, incontri e dibattiti informali e non.
HA REALIZZATO:
9 parole chiave, 4 editoriali, 5 interviste, 6 presentazioni, 20 recensioni, 2 trascrizioni di incontri per Contemporanea05
5 editoriali, 2 presentazioni, 8 recensioni e 3 interviste per Lavori in Pelle
4 editoriali, 12 interviste, 9 recensioni e 9 presentazioni, 8 ore di riprese video per Rizoma (di cui tre montaggi di interviste, spettacoli e un promo richiesto alla fine dal Festival)
4 ore di interviste, un articolo di presentazione del Premio Riccione, 2 articoli di riflessione generale, 5 recensioni di testi vincitori, 9 interviste
Una pagina di quotidiano sulla Gazzetta di Modena, per l’intera durata del Festival Vie (10 giorni), per un totale di più di 40 articoli tra presentazioni, interviste e recensioni, AltreVelocità per l’occasione si è avvalsa anche di collaboratori esterni (retribuiti)
AltreVelocità
C.F. 91258870376
Via Goito 9/2
40126 Bologna
051.228835
per le buone pratiche: 347.4594481
altrevelocita@libero.it
PREGI E DIFETTI:
particolarmente fragile ed esposta al difetto si pone la relazione con i festival che ospitano AltreVelocità, spesso retribuendone la presenza. Confine delicato che mai ha limitato tuttavia la libertà di espressione, che si è sempre posta in modo dialettico a segnalare, se necessario, mancanze o deficienze spesso attribuibili ad un panorama teatrale e performativo.
il rapporto con altre collaborazioni che si è instaurato per l’occasione di Vie pare essere una strada che AltreVelocità vuole percorrere. Sia come momento formativo e laboratoriale per sguardi nuovi, sia attraverso collaborazioni con personalità e competenze specifiche. AltreVelocità, se pur in modo simbolico, ha voluto retribuire i collaboratori, mettendo in pratica ciò che nel teatro pare non essere consuetudine: pagare le persone che lavorano.
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Al femminile Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di La Mimosa |
STORIA: fondata a Bergamo nel 1980, è composta da operatrici ed operatori non professionisti, con competenze sulla comunicazione in settori multimediali ed artistici, quali il teatro, la danza, il canto, la musica, il cinema.
FINALITÀ: Ha per scopo lo svolgimento di attività artistica, attraverso lavoro di ricerca su temi di interesse sociale legati a tematiche della donna, proponendo altresì attività di stimolo culturale.
ATTIVITÀ: Sviluppa la propria attività sociale attorno a tematiche femminili, producendo spettacoli teatrali, creando azioni sceniche e progetti di animazione per congressi, convegni, incontri. Elabora progetti per istituzioni pubbliche e per committenti privati, dove è richiesto un contributo ideativo ed organizzativo che coinvolge vari piani di comunicazione.
SERVIZI OFFERTI: Corsi e seminari di formazione attorno alla comunicazione, la relazione, la vocalità, i linguaggi multimediali. Collaborazione per realizzare progetti culturali con Istituzioni ed Enti, biblioteche, parrocchie ed oratori, associazioni e cooperative presenti sul territorio.
PRINCIPALI INIZIATIVE: collabora con
l’Amministrazione Comunale di Bergamo e il Consiglio dell Donne del Comune di Bergamo per la direzione artistica e organizzativa di manifestazioni cittadine per 1'8 Marzo, per la progettazione e realizzazione di iniziative tra cui “Progetto infanzia a Bergamo”, ”Per una boccata d’aria pulita”, “I bambini, le bambine e la città”, “Animazione in circoscrizione”, “Prostituzione: parliamone”.
Il Consiglio delle Donne del Comune di Bergamo e, la Camera di Commercioe Bergamo Formazione,il Comitato per l’Imprenditoria Femminile per le tavole rotonde “Diventare imprenditrici a Bergamo: progetti ed iniziative a disposizione” e “Donne imprenditrici si raccontano”.
l’Amministrazione Comunale e Provinciale, il Provveditorato, l’A.S.L. di Bergamo per la progettazione e l’animazione di convegni e seminari, tra cui “Genitori & genitorialità”, “Verso una città sostenibile dalle bambine e dai bambini”, “Genitorialità come bene di tutti”.
l’Amministrazione Comunale di Bergamo, il Sistema Bibliotecario Urbano, le Circoscrizioni e CSC per inziative varie tra cui “Ribalta d’autori”-concorso nazionale per la pubblicazione di scritti inediti.
con la Provincia di Bergamo Consulta per le politiche familiari e il Punto Famiglie del Comune di Bergamo- Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia-ASL di Bergamo-Consiglio di rappresentanza dei sindaci- C. S.A.di Bergamo- Centro Servizi Bottega del Volontariato -Comune di Treviolo-Cooperative sociali: il Pugno Aperto, Il Cantiere e AEPER-Consorzio provinciale RIBES- Osservatorio Famiglie di Redona- “1° meeting delle associazioni e dei gruppi familiari bergamaschi Le famiglie si incontrano-“
L’Amministrazione Comunale della città e di vari Comuni della Provincia per video-ricerche su tematiche differenti (il rapporto con gli anziani, i ricordi di donne della Resistenza Partigiana, l’amore tra uomo e donna…).
con Ufficio per la Pastorale Sociale- Settore Salvaguardia del Creato Parrocchia S. maria Assunta – valcanale - Diocesi di Bergamo per tavole rotonde e convegni tra cui “L’acqua in valle” Conoscere la montagna:alla scoperta dell’acqua.In Alta Valle Seriana e”Il cambiamento climatico e la responsabilità di tutti” -Parrocchia S. Rocco in Adrara S. Rocco-
L’Amministrazione Comunale e l’A.S.L: di altre città, tra cui Sondrio con la realizzazione del progetto “Famiglie e qualità della vita”.
Con il “Centro Servizi Bottega del volontariato” di Bergamo per attività di inaugurazione sedi
Oltre ad associazioni e gruppi femminili per iniziative legate all’8 marzo, associazioni del territorio per mostre e laboratori tra cui “Cinevideoscuola- Rassegna-Concorso Nazionale dell’Audiovisivo”, per convegni e incontri, tra cui “Il corpo esposto, il corpo nascosto” attorno alla sessualità e l’handicap, “Incontro con Piccoli passi per…” attorno alla sofferenza della malattia psichica, ”Decennale del Telefono Amico Provinciale” ed ha curato la registrazione per i corsi di formazione del Telefono Amico Nazionale.
Con Bergamo TV per azioni-fiction televisive su tematiche dell’assistenza e del volontariato.
Con l’Università agli Studi di Bergamo, Facoltà di Scienze dell’Educazione, per Sociologia dell’Educazione, con interventi relativi all’esperienza in atto di attività espressive con le ragazze ospiti della Comunità Kairòs (Centro Caritas per l’accoglienza di donne vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale).
RAPPORTI SIGNIFICATIVI:
dal 1996 fa parte del Consiglio delle Donne del Comune di Bergamo.
dal 1999 con L’associazione Aiuto Donna , La comunità Kairos- Caritas di Bergamo e l’Associazione Lule è fondatore dell’Associazione “La Melarancia - Consorzio Nazionale per l’Innovazione Sociale Onlus”, nell’ambito della prostituzione di strada e della tratta di donne a scopo di sfruttamento sessuale.
Dal 2005 collabora come consulente con l’Assessorato Pari Opportunità del Comune di Bergamo
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Un festival naturale Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di L'ultima luna d'estate |
E’ un Festival che si basa su un rapporto virtuoso con un territorio, quello del Parco Regionale di Montevecchia e val Curone.
Il Festival si tiene nei primi dieci giorni di settembre, in un tempo quindi ristretto ma su un territorio ampio (10 comuni). La caratteristica più forte è il legame tra gli spettacoli programmati e le location, che sono sempre di grande bellezzza: una chiesetta romanica, un chiostro cinquecentesco, alcune ville del ‘7-800, aie di cascine, il bosco, le cantine di un’azienda vinicola…
La scelta è stata quella di legare i linguaggi teatrali ai siti, e l’abbiamo chiamato Teatro Popolare di Ricerca. Dalla narrazione, alla Commedia dell’Arte, ai Burattini tradizionali, ma anche nuova drammaturgia e danza, laddove ci sia l’aggancio. (elenco dei nomi più noti: Giovanna Marini, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lombardi-Tiezzi, Laura Curino, Virgilio Sieni, ecc. Ecc., ma anche un sacco di compagnie giovani, come quelle appena uscite da Scenario). Il risultato è che spesso lo spettacolo visto in quest’atmosfera ha qualcosa in più di quello visto a teatro. E si va alla radice della ricerca , nel segno della tradizione, della memoria, dei dialetti…
Quest’anno, ottava edizione, abbiamo caratterizzato la proposta con il sottotitolo Primizie. Molti artisti hanno presentato anteprime (Vacis-Balasso-Artuso, Allegri, Teatro dell’orsa, Olcese-Margiotta…)
L’organizzazione è fondamentalmente privata, fatta dal Teatro Invito con risorse risibili, che vengono per il 50% dai privati (piccoli sponsor e sbigliettamenti). Come facciamo a organizzare un Festival con più di venti spettacoli, in luoghi non deputati che dobbiamo allestire completamente e che cambiano ogni sera, gestendo circa 5.000 spettatori, con risorse pubbliche che non superano i 30.000€?
Attraverso la complicità col territorio.
I Comuni non hanno soldi ma ci possono prestare le sedie, mettere a disposizione volontari, aiutarci nella distribuzione del materiale pubblicitario. L’Ente Parco ci dà una foresteria, dove a notte si trovano a cenare artisti, tecnici, organizzatori e volontari. Gli agriturismi della zona ci danno alloggi e pasti gratis e ci mettono i loro prodotti (vino, formaggi, salumi, verdure bio), in cambio noi facciamo sempre qualche spettacolo che abbia a che fare col cibo o col vino, e in questo modo si promuove anche l’immagine del territorio, anche da un punto di vista turistico.
Trenta ragazzi danno una mano, in cambio di poter vedere qualche spettacolo o aver riduzioni sui laboratori che si organizzano.
E poi il pubblico è pubblico vero, dove si mischiano gli appassionati che vengono apposta dalle città (Milano,ma anche Lecco, Como, Monza, Bergamo) con la sciura Maria, che abita nel paese e viene per curiosità e magari ritorna l’anno dopo con tutta la famiglia.
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Adhoc Culture: spazi della transitorietà Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Lucio Argano |
l.argano@adhoc-culture.com
www.adhoc-culture.com
Con queste poche righe vorrei aderire idealmente allo straordinario ed indispensabile osservatorio sulle evoluzioni in corso nel settore teatrale e dello spettacolo che Oliviero, Mimma, Franco e tutte le altre persone che collaborano con loro stanno portando avanti da tempo coraggiosamente e con entusiasmo.
Più che una buona pratica, mi fa piacere segnalare un “territorio” di sviluppo e contemporaneamente di parziale diversificazione dell’attività spettacolare, che può divenire opportunità, come alcuni trend segnalano anche dal recente libro di Mimma, e che stiamo sperimentando come Adhoc Culture.
La ADHOC CULTURE è una società di consulenza direzionale per il settore culturale che si è occupata in questi anni di supportare, per la parte gestionale, gli architetti nella progettazione ex novo o nella riqualificazione di contenitori culturali. Abbiamo partecipato alla realizzazione ed avvio del nuovo Auditorium di Roma con Renzo Piano, alla progettazione dell’Auditorium di Ravello con Oscar Niemeyer per, del Museo del Viaggio a Lodi per il Touring Club ed in questi giorni siamo coinvolti nella progettazione degli spazi spettacolo della Città dei Giovani, negli ex Mercati Generali a Roma.
Negli ultimi tempi ci siamo anche occupati di attività rivolte all’uso di luoghi non deputati rispetto ad impieghi di tipo culturale. Ad esempio per Unioncamere Lombardia abbiamo redatto un piano strategico di ri-posizionamento dei poli fieristici lombardi cosiddetti di corona, in conseguenza della crescita di Fiera Milano, nel quale molte piste progettuali convalidate sono riferite a possibili usi spettacolari dei quartieri fieristici, anche con iniziative stanziali ed ideate appositamente.
All’interno di questo tema segnalo un programma su cui stiamo lavorando e che abbiamo chiamato “spazi della transitorietà”.
Accanto ai luoghi tradizionali della cultura si stanno aprendo nuovi ambiti per la fruizione culturale all’interno di aree aperte/chiuse che hanno per funzione primaria il passaggio, il movimento.
Paradossalmente i non luoghi, come li ha definiti Marc Augè, non in grado di creare relazioni significative e identità specifica in quanto asset anonimi, dove lo spostamento è il fine ultimo, diventano oggi spazi emblematici della dinamicità della vita contemporanea e vengono “letti” come possibili ambiti dove offrire relazioni, incontri, momenti di svago e cultura e dove conciliare il movimento con il “darsi tempo”.
Il nostro programma articola progetti mirati di spettacolo, arte e cultura verso stazioni ferroviarie e di autobus, aeroporti, metropolitane, porti commerciali e turistici, fino ad arrivare agli hotel ed agli ospedali, dove la transitorietà è legata invece ad altre funzioni. Sono coinvolti gli “ospiti” temporanei (di passaggio) di questi luoghi, ma viceversa le attività sono aperte a pubblico esterno, interessato alla specifica proposta. Massima duttilità dei progetti: iniziative stanziali o episodiche, costruzione “su misura”, allestimento di “zone” in via permanente o temporanea, integrazione con le politiche di comunicazione ed immagine del soggetto gestore. Attualmente sono in fase di discussione, valutazione e prefattibilità progetti per Porto di Salerno, Aeroporto di Pisa, Aeroporto Malpensa, Ospedale di Sassuolo.
Alcune esperienze similari sono Playon agli Aeroporti di Roma, il progetto Gate all’ala mazzoniana della stazione Termini di Roma, la metropolitana di Napoli con il progetto Stazioni d’Arte.
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Ariel - software gestionale per le compagnie teatrali Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Michele Cremaschi |
Un software per automatizzare le pratiche periodiche più ripetitive che si svolgono nell'ufficio della tipica compagnia teatrale di produzione italiana.
Un software per demandare al computer i compiti più noiosi e amanuensi.
Un software che modifica le soluzioni informatiche fai-da-te, sostituendosi ai mille fogli excel in cui teniamo traccia di repliche o compensi, ai diecimila documenti word per contratti e fatture. Concentrando tutti questi dati in apposite tabelle.
Un software che evita i tanti copia-e-incolla a cui si è costretti quando i dati non sono correlati tra loro, e che è in grado di "capire" il nesso che intercorre tra una tournee, le sue repliche, gli attori che vi prendono parte, il loro contratto....
Un software che compila con un solo click tutta la modulistica enpals (032/U, riepiloghi mensili e trimestrali), inps, per il collocamento, per il ministero, amministrativi, ad uso interno..... senza la necessità di compilarli manualmente, ma attingendo alle informazioni che nel corso del lavoro quotidiano vengono inserite.
Un software, insomma, che faccia risparmiare tempo e fatica al quotidiano lavoro dell'ufficio teatrale.
Ma anche:
un software che vada al di là del compilare i moduli che la burocrazia ci chiede di fare. Che incroci i dati di cui è a conoscenza per generare nuove risposte a nuove domande - che attualmente non riusciamo nemmeno a porci per mancanza di tempo. Che sappia dire con certezza "quanto costava la camera doppia di quell'albergo che abbiamo prenotato quella volta che abbiamo replicato 'Cappuccetto rosso' in quel paesino in provincia di Brindisi di cui non ricordo il nome".... Che sappia aggiornare il sito web della compagnia nottetempo, con le ultime modifiche al calendario delle tournee....
In due parole, un software gestionale. Di quelli sempre presenti negli uffici di qualsiasi attività, anche piccola, per semplificarsi la vita. Di quelli che - finora - sono mancati nel teatro.
Forse è la fine del copia-e-incolla.
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ADAC (Associazione Danza Arti Contemporanee) Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Martino Baldi |
CHI SIAMO
ADAC (Associazione Danza Arti Contemporanee), fondata nel Marzo 2003 dalle compagnie di danza sostenute dalla Regione Toscana, è un’associazione aperta a tutte le realtà che ne condividano le finalità e che intendano operare per perseguirle.
L’idea di costruire ADAC nasce nel corso della discussione che è seguita alla conclusione dell’esperienza del Centro Regionale Toscana Danza, per favorire la creazione di un sistema per la creazione contemporanea, mettendo a confronto le esigenze delle compagnie, delle istituzioni e degli operatori culturali.
ADAC è dunque un soggetto collettivo per la promozione della danza che si propone come veicolo di dialogo e d’interazione tra i soggetti coinvolti nel settore della danza e della scena contemporanea, per contribuire a rendere funzionali i ruoli e le dinamiche del sistema dello spettacolo, ottimizzando le risorse in campo (fondi, strutture, enti, professio-nalità, competenze, esperienze, idee…).
INTENTI
- definire e realizzare un programma di attività che renda visibile e riconoscibile la scena della danza toscana, valorizzando la qualità artistica delle proposte produttive e potenziando i progetti già attivati dalla Regione e dalle compagnie toscane;
- operare per la costruzione di un organico sistema della danza e dei linguaggi contemporanei del corpo, fondato sulla complementarità e sul ragionato coordinamento delle attività produttive, distributive, promozionali e formative;
- operare per una maggiore programmazione e promozione della danza, attraverso la concertazione tra istituzioni, teatri e soggetti presenti sui territori, nonché mediante collaborazioni e progettualità interregionali ed internazionali legate alla contemporaneità e all'interdisciplinarità;
- operare per favorire il superamento della divisione in generi, sia dal punto di vista operativo che normativo;
- contribuire a diffondere l’informazione sulla scena e sul panorama dell’arte e della cultura contemporanea, anche collaborando a iniziative editoriali;
- rivestire un ruolo attivo nei principali dibattiti e azioni di politica culturale inerenti il settore dello spettacolo
ATTIVITÀ
Tra le attività principali di ADAC nel 2005/2006 segnaliamo:
- la creazione e implementazione di una banca dati dei contatti ADAC (compa-gnie, operatori, giornalisti, media, network, enti e istituzioni regionali, nazionali e internazionali);
- l’attivazione di una newsletter mensile bilingue italiano/inglese che raccoglie e diffonde le attività di danza e relative ai linguaggi contemporanei del corpo programmate in regione;
- l’organizzazione di Passo dopo passo, percorso di aggiornamento qualificato per operatori culturali (sei incontri aperti a tutti su prenotazione);
- l’organizzazione dell’incontro interdisciplinare e interregionale «Una prospettiva condivisa per le arti e lo spettacolo contemporaneo» (vedi scheda);
- costituzione di un archivio storico della danza toscana e realizzazione di una collana edito-riale con monografie sulle compagnie di danza della Toscana.
CONTATTI
Presidente: Roberto Castello (presidenza@adactoscana.it)
Coordinatore: Elena Di Stefano (elenadistefano@libero.it)
Sabato 3 e domenica 4 dicembre ADAC Toscana indice a Firenze un incontro aperto dal titolo
«Una prospettiva condivisa per le arti e lo spettacolo contemporaneo».
Scopo dell'incontro è dare l'avvio a un processo di discussione, aperta a tutti coloro che operano nel campo della danza, del teatro, della musica, delle arti visive, delle arti mediali e della critica, che porti all'individuazione di una prospettiva condivisa per il futuro dello spettacolo e delle arti contemporanee in Italia.
Crediamo sia necessario e urgente che tutti coloro che ritengono le arti e lo spettacolo indispen-sabili funzioni di un sistema sociale libero e democratico, provino ad interrogarsi costruttivamente sulle sue finalità e modalità, su cosa dovrebbe essere e come dovrebbe essere strutturata la produzione e la diffusione delle arti per soddisfare le reali esigenze della società. Ma anche attraverso quali forme, strumenti e concrete prassi di operato si può ridisegnare un contesto fluido e praticabile della creatività che sia aderente all’oggi e sostenibile nel domani. Nessun intervento normativo infatti potrà mai, da solo, rimediare a quella che oggi si presenta sì come una crisi funzionale, ma anche come una più generale crisi di senso e di obiettivi. Una riappropriazione di senso e insieme una visione di modalità e strumenti, dunque, non velleitaria né presuntuosa, ma concreta e propositiva nel cercare attraverso un’analisi critica condivisa gli stimoli per immaginare soluzioni nuove e praticabili.
Il pubblico è poco, non c'è ricambio generazionale ad alcun livello, c'è una cattiva e inattuale riparti-zione delle funzioni e delle risorse, i luoghi per la produzione e la diffusione delle opere sono pochi, c'è un'anacronistica settorialità nella normativa e nella prassi, l'offerta culturale non è ben ripartita sul territorio, le collaborazioni di rete non sono incentivate e le risorse disponibili sono insufficienti.
L'insieme di questi sintomi denota un sistema invecchiato e incapace di rigenerarsi. E' nostra profonda convinzione che la discussione non debba esaurirsi in termini sindacali o corporativi né debba limitarsi alle sedi istituzionali. Il tema infatti riguarda tutti ed è necessario che coinvolga il numero più ampio possibile di soggetti, a partire da chi ha esperienza quotidiana dei problemi,. Per questo chiunque è invitato a partecipare, non in rappresentanza di enti, società o soggetti terzi, ma in ragione delle proprie idee e delle proprie esperienze.
- La prima mezza giornata di lavoro sarà dedicata a interventi programmati e affidati a relatori, il cui scopo è quello di fornire una fotografia di alcuni specifici settori (stabili di innovazione; stabili pubblici; circuiti; danza; enti lirici e musica classica; musica indipendente e contemporanea; arti visive; esperienze atipiche e indipendenti; critica dello spettacolo) con particolare attenzione alla razionalità della loro struttura, all’efficacia del loro funzionamento e all’elasticità e all’apertura verso il rinnovamento e la collaborazione con altri settori.
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Seguiranno due mezze giornate di discussione mediate da un «tavolo di sintesi», che avrà il compito di monitorare gli interventi, tenere la discussione all’interno di un’ottica propositiva, chiedere approfondimenti, guidare il dibattito e redigere in collaborazione con tutti i presenti un documento finale.
Informazioni e adesioni:
Martino Baldi (martino.baldi@gmail.com) tel: 328.8423509
Monica Cerretelli (monicacerretelli@libero.it)
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Piccoli episodi di fascismo quotidiano Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Motus |
LAST DAYS
È dal caos di immondizie e macerie che conclude L’Ospite, - un dopo bomba - che guardiamo ancora l’oggi. Dopo il progetto su Pasolini, l’ultimo e disperato Pasolini di Petrolio e Salò, diamo avvio a un nuovo percorso che scava dentro una serie di scomodi rimossi. Dalla caduta del muro si è inaugurata L’età dei crolli - per citare un bel libro di Marco Belpoliti - e lo spettro del nazismo e della epurazione razziale, non è così lontano come si vuol far credere... “Hitler è sopravissuto!” veniva gridato anche in Twin Rooms! Basta fare una semplice ricerca in internet per accorgersi con orrore di quante migliaia di siti neo-nazisti esistono al mondo, dove è possibile acquistare on-line icone, bandiere, musiche e ambigua oggettistica: un mercato immenso che si intreccia con quello sado-maso e degli snuff-movies… Spesso la sede di questi siti è negli Usa, dove il militarismo si incrocia funestamente agli ideali di patria, razza e famiglia, osannati spavaldamente dall’attuale, spregevole, presidente.
Il rombo dei bombardieri, torna a sorvolarci, inquietante e amplificato, per dirigersi in Iraq, dimentico del bagliore del fungo atomico… e il governo italiano approva, sottoscrive, imita, si adegua: il rombo dei bombardieri è assordante in Italia, sostenuto e sottoscritto da un nuovo papa altrettanto oscurantista e medievale. Siamo disperati e preoccupati per le sorti di questo paese in declino artistico e culturale, e chiediamo umilmente aiuto, pur sapendo che forse non esistono isole possibili, immuni dal fascismo quotidiano che governa le relazioni di potere, anche nell’illuminato contesto teatrale.
Questo progetto è l’ultimo nostro tentativo di resistenza qui, e non a caso, sino ad ora, è stato ospitato solo da luoghi anomali, che a loro modo “resistono”, rischiando, tentando di attuare programmazioni non omologate. È dunque evidente come i Piccoli Episodi nascano intrisi di sconfortante malessere: non ci interessa giungere a uno spettacolo, - non è tempo per intrattenimenti - preferiamo lavorare sul filo del baratro, spostandoci con leggerezza, sempre pronti alla fuga (e alla guerriglia). È un progetto che implicitamente suona come addio a un Italia - sotto regime - in cui sta diventando impossibile sopravvivere per compagnie di ricerca indipendenti come la nostra, e non solo per motivi economici! Abbiamo lasciato anche il nostro spazio prove per avviare una formula nomade, fatta di una serie di residenze consecutive che non avrà fine: ci insediamo come pianta rampicante, come virus, come ospiti invadenti nei luoghi, interagendo con gli interni, mutando con gli spazi e in relazione ai progetti in cui la nostra presenza è inserita.
Simuliamo, con pezzi e poveri frammenti, un interno dalla banale normalità, fatto di oggetti, cose, assolutamente riconoscibili, e le facciamo tremare… andiamo a ricercare i segni, le tracce del fascismo ancora predominante proprio nell’infimo, nel quotidiano, perchè “… è nelle abitudini del comune vivere domestico che si annidano i germi che alimentano le ideologie autoritarie…” , fra la polvere nascosta sotto i tappeti, dietro i crocifissi e i merletti, nei rapporti di coppia, in quelli tra padri e figli, fra datore di lavoro e dipendenti, e … fra registi e attori. Parallelamente al lavoro teatrale, stiamo realizzando un interminabile video-catalogo con piccole interviste a giovani attori raccolte durante un workshop che affianchiamo alla residenza artistica. Chiediamo loro di descrivere, davanti a una telecamera, un “piccolo episodio di fascismo quotidiano” subito o a cui hanno assistito: stanno emergendo storie inquietanti anche e soprattutto rispetto al relativismo che la parola “fascismo” oggi assume, che è poi tema centrale del laboratorio.
In scena invece ci sono due soli attori, Ian e Myra, (Dany Greggio e Nicoletta Fabbri), protagonisti-pretesti, desunti dal testo scritto da Fassbinder nel 1969, Pre paradise sorry now ispirato alle reali vicende di due serial killer inglesi arrestati nel 1966, “The moors murderers“, icone pop delle “coppie assassine”… (Myra è morta in carcere nel 2002, mentre Ian, condannato all’ergastolo, viene tuttora alimentato a forza). Nel corso delle residenze, abbiamo lentamente deciso di rinunciare alla messa in scena del testo per estrapolarne pochi frammenti di dialogo e descrizione, confluiti in un evento scenico destrutturato ed evocativo, che slitta continuamente fra le biografie dei due psicopatici inglesi, infervorati dal fascino per il nazismo e tutte le forme di rigida sopraffazione e intolleranza - tipici della frustrazione sociale delle classi medio basse - e i tanti Ian e Myra che abitano le villette a schiera delle periferie, e ogni giorno si recano in ufficio covando un odio irrazionale, rozzo, sempre proiettato verso qualche nuovo nemico. Fassbinder, poco dopo il loro arresto, ha dunque scritto una pièce teatrale che ne conserva addirittura i nomi reali e attraversa pedissequamente le vicende della loro storia, sino alla comparsa di Jimmy - in realtà si chiamava David Smith - un loro parente, che viene fatto assistere al sesto omicidio, per essere “istruito”… e che il giorno successivo li va a denunciare… Il terzo, il voyeur, viene selezionato in ogni città fra i partecipanti al laboratorio, proprio perché Jimmy - colui che assiste muto a eventi terribili - possiamo esserlo tutti.
Il lavoro resta così costantemente in bilico, aperto, adagiato nei luoghi e nelle persone, è mutevole e fragile, come le immagini proiettate sugli schermi in plexiglas coperti di polvere, che possono essere cancellate con un colpo di mano o una luce troppo intensa. Può essere adattato a qualsiasi tipologia di spazio, da un reale appartamento ad una sala teatrale, purché spogliata di quinte e panneggi. Rifiutiamo solo di farlo su palcoscenici all’italiana, in tal caso, come è avvenuto al Teatro Petrella di Longiano, anche il pubblico siede sul palco, condividendo con gli attori quel luogo domestico in cui finisce troppo spesso per riconoscersi, scoprendo, nelle ridicole manie di grandezza dei protagonisti, tanto del proprio comune agire, anche se, sorry, è sempre più facile addossare colpe, e debolezze, a qualcun altro.
Motus
tel fax 0541 326067 – cell. 329 8625523 - relazioni@motusonline.com - www.motusonline.com
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Teatri d’arte Mediterranei: Teatri del Centro–Sud in rete Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee di Lello Serao |
“Teatri d’arte Mediterranei” è un Progetto, per la precisione la Risposta che un nutrito gruppo di compagnie e organismi teatrali del Centro- Sud Italia tenta di dare allo stato di abbandono, di colpevole mediocrità e di assoluta perdita di senso di una consistente parte delle programmazioni teatrali che si realizzano dal Lazio alla Sicilia. L’intero sistema teatro dal suo farsi fino ai giorni nostri ha sofferto un doloroso appiattimento sui parametri ministeriali che hanno monopolizzato il dibattito dentro il teatro e tra il teatro e le istituzioni, che da sole hanno determinato, in massima parte, l'impoverimento della progettualità, e hanno lasciato le imprese di teatro a metà, nella migliore delle ipotesi, tra management di facciata e impossibilità di miglioramento della propria realtà di impresa. Il problema dei costi di uno spettacolo, il problema dei costi di gestione di uno spazio, di un’attività, di un teatro incombe con forza su tutto il sistema, è un condizionamento che impedisce qualunque sviluppo,a volte addirittura mette in difficoltà lo stesso mantenimento degli standard conseguiti; è possibile che non ci sia alternativa alla conservazione degli standard quantitativi? E’ possibile che non ci siano strumenti per invertire tale tendenza mantenendo alto il livello della qualità?
I Teatri d’Arte Mediterranei si danno il compito di formulare alcune risposte a questi interrogativi e ad altri che attanagliano il sistema teatro.
Esistono nel Centro–Sud Italia un gruppo consistente di compagnie e organismi teatrali che hanno sviluppato capacità organizzative e produttive attraverso la pratica quotidiana della produzione di spettacoli, laboratori, incontri,stagioni teatrali, Festival e Rassegne. Sono piccole e medie compagnie fortemente radicate nei territori d’appartenenza, teatranti che da anni gestiscono spazi e progetti in relazione continua con il mondo dell’ associazionismo di base, con tutto il variegato mondo del sociale con sinergie atte a promuovere culturalmente i territori e provando ad avvicinare nuovo pubblico per il Teatro. “Teatri d’arte Mediterranei” è il Progetto che oggi prova a mettere insieme tutte queste nostre pratiche teatrali per dare una Risposta forte al Sistema immobile del teatro centro-meridionale. L’Associazione “Teatri d’arte Mediterranei” nasce per valorizzare e diffondere le produzioni artistiche (spettacoli,realizzazioni teatrali in genere, laboratori, incontri, seminari etc.) delle compagnie e degli organismi teatrali associati. L’Associazione vuole essere lo strumento operativo dei nostri sogni e dei nostri bisogni, per la realizzazione di un rinnovamento radicale in seno al panorama teatrale del Centro-Sud. Non ci mettiamo “in rete” per formalizzare meglio i termini di una contrattazione,come si potrebbe credere, ma per rendere operativo e portare “a sistema” un modo di lavorare,di scambiare esperienze, di creare e distribuire teatro.
Ma quale Teatro?
Un teatro pensato in grande ma fatto in casa.
Il parallelismo tra cucina casalinga e arte scenica, a nostro avviso, inquadra con una certa efficacia la situazione di quei teatri indipendenti che vivono ai margini del sistema teatrale e che lavorano per intercettare un nuovo pubblico. Il concetto del fatto in casa corrisponde a modalità produttive, m anche alla necessità di ritrovare relazioni alchemiche che corrispondono all’artigianato attorale, alla qualità di intelligenza e provocazione delle visioni elaborate, alle quotidiane costrizioni di ogni tipo che siamo chiamati inevitabilmente a ribaltare in creatività, la creatività dei corpi e dei segni. Sono i teatri delle cento città, tenuto conto che il nostro paese non possiede un articolato sistema che ruota attorno alle aree metropolitane, sono quelle residenze mai nate o meglio fatte abortire dall’indifferenza del legislatore, ma che nel concreto vivono perché rispondenti a modalità operative e a necessità e bisogni dei luoghi e dei territori.
Un teatro pensato in grande ma fatto in casa.
Al centro del nostro impegno abbiamo posto la ridefinizione della posizione del teatro rispetto all’intera comunità, elaborando percorsi che provano continuamente a
ri-collocare la nostra arte rispetto alle persone.
Il teatro novecentesco sembra percorso dalla contrapposizione fra “ tradizione” e “avanguardia”. E’ la lettura più facile: più grossolana. La reale dinamica storica si svolge invece fra sistemi teatrali unificati a livello nazionale, ed enclaves, eccezioni, isole non isolate, o come proviamo a fare arcipelaghi. Ovvero isole indipendenti corrispondenti tra loro attraverso un sistema delle relazioni. La comprensione di questa dialettica è essenziale se si vuole pensare la politica teatrale d’oggi ed il problema dell’indipendenza. Le due forze che realmente si scontrano al di sotto dei veli teorici e di gusto, al di sotto delle scaramucce fra poetiche e teoresi avanguardistiche o no, sono quelle di chi pensa ad una riorganizzazione generale del sistema teatrale e quelle di chi invece persegue il mantenimento dello status quo .
Vogliamo avere un interlocutore privilegiato : “ lo spettatore che cerca ”, ovvero quello che non si riconosce negli standard di un’offerta culturale istituita per assecondare la domanda di un teatro d’abitudine che conserva i repertori. E’ lo spettatore che cerca di conoscere il teatro, cosa ben diversa dal “riconoscerlo”, secondo il principio psicologico rassicurante sul quale si fonda la programmazione dei soliti testi, magari interpretati da qualche attore noto,a sua volta riconoscibile.
Schema generale del progetto:
1. Approfondimento di iniziative attraverso scambio di progetti, spettacoli e laboratori da far circolare nei diversi teatri. Incremento del pubblico già presente e promozione di attività per la creazione di un nuovo pubblico trasversale ai diversi bisogni della società multietnica e contemporanea.
2. Allestimento annuale di una vetrina – mercato aperta ed estesa a diversi soggetti promotori di spettacolo e iniziative teatrali dove poter prendere visione delle proposte degli artisti e delle eventuali modalità di promozione e diffusione.
3. Creazione di una manifestazione (Festival) biennale, aperta ai teatri di altri paesi prevalentemente della stessa area del Mediterraneo, ispirata ad un tema di interesse presente nella cultura del momento storico e della società contemporanea
In cosa si è tradotto per ora questo progetto
In un Festival estivo a Formia con 8 giorni di programmazione e animazione nei quartieri interessati.
In un Festival a Loreto Aprutino, a Fara Sabina.
In una piccola rassegna a Caserta, a Caltagirone e a Sermoneta.
In stagioni teatrali partecipate a:
Bari, Cosenza, Napoli, Aversa, Caserta, Formia, Palermo, Atessa, Loreto, Avezzano.
ADERISCONO AI TAM
Aderenti ai TAM
Campania:
Libera Scena Ensemble
La Mansarda
I Mutamenti
Teatro della Bugia
Abruzzo
Teatro del Sangro – Guardiani dell’oca
Teatro del Paradosso
Lanciavicchio
Lazio
Associazione B. Brecht
Opera prima
Teatro Potlach
Sicilia
Agricantus
Teatro Caligola
Nave Argo
Puglia
Teatro Abeliano
Calabria
Centro RAT
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“The Cremaster Cycle” di Matthew Barney a Milano 26-27 novembre al Cinema Gnomo di Ufficio Stampa |
Finalmente a Milano l’intero ciclo del capolavoro di Matthew Barney, l'artista americano più acclamato degli ultimi dieci anni. Un evento imperdibile che ha segnato la scena artistica contemporanea mondiale, presentato grazie ad una collaborazione UOVO project, Comune di Milano Cultura, Spettacolo,Turismo e MilanoCinema nell’ambito di MilanoContemporanea.
The Cremaster Cycle (1994 – 2002) è una serie di cinque film scritti, diretti e interpretati dal genio visionario di Matthew Barney, apparsi in volontario disordine cronologico: Cremaster 4 (1994), Cremaster 1 (1995), Cremaster 5 (1997), Cremaster 2 (1999), Cremaster 3 (2002).
Girato con un linguaggio visivo sofisticato ed esteticamente impeccabile, a metà tra videoarte e cinema sperimentale, prodotto dalla Barbara Gladstone Gallery e dal Guggenheim Museum di New York, The Cremaster Cycle è uno degli eventi artistici più significativi degli ultimi anni.
Il risultato è un’epopea surreale, ricca di riferimenti cinematografici e letterari (da Carpenter a Poe, da Kubrick a Lovercraft, a Cronenberg) dove pezzi di storie si intrecciano e si sfiorano, dando vita ad una narrazione dai risvolti onirici e carica di immagini ambigue e misteriosamente allegoriche.
The Cremaster Cycle è un’ibridazione grandiosa, sia narrativa che simbolico-allegorica, di videoarte e cinema sperimentale, che proietta lo spettatore oltre i confini del reale, in ambienti surreali e onirici attraverso cui l’artista inscena uno spettacolare viaggio epico nell'inconscio, nel tentativo di esplorare in chiave psicologica, simbolica e spirituale le vie del desiderio e della sessualità, intraprendendo - parimenti - un viaggio iniziatico all’interno di un mondo modificato dalla genetica e abitato da mutanti, personaggi realmente esistenti e figure mitologiche che inducono ad interrogarsi sui dilemmi del nostro tempo.
“Il Cremaster Cycle è un arcipelago di stimolazioni visive, dove ognuno dei cinque film, che lo compone, funziona da isola in cui si alternano personaggi mitologici ed enigmatici, nonché paesaggi urbani e naturali, che raccontano le vicende di un viaggio nell’universo della cultura americana, creativa e distruttiva. Siccome “Cremaster” è il muscolo che nei testicoli regola, in relazione alla temperatura e all’eccitazione, la reazione dei genitali maschili, l’insieme delle storie narrate riguarda l’erezione di edifici simbolici e fallici come il ChrysIer Building o la lotta tra satiri, o la penetrazione nel grembo del Guggenheim Museum, o la mutazione e l’androginia sessuale che riguardano la storia della fondazione di ogni città nova o New York. Per raccontarla Barney fa ricorso a figure e materiali simbolici che oscillano tra l’iconografia massonica e rosacrociana, vanno dagli eroi del football e del gangsterismo, della magia e dell’architettura, come Houdini e Hiram Abiff, il disegnatore del tempio di Salomone, e utilizzano strumenti ginecologici e biotecnologici, nonché materie come la gelatina e la vaselina. Il risultato è un’epopea di sogni e di miti, in cui l’artista è protagonista, che si intrecciano a formare un labirinto di visioni dove la spinta erotica delle immagini è lo stimolo a costruire e a distruggere gli oggetti e le persone, per creare un’altra realtà fatta di perle o di meraviglie”.
Germano Celant - L'Espresso
Matthew Barney
Nato nel 1967 a San Francisco e residente a New York, ha esposto presso il San Francisco Museum of Modern Art, la Fondation Cartier a Parigi, la Tate Gallery di Londra, il Museum Boymans van Beuningen di Rotterdam. Premio Europa 2000 per miglior giovane artista alla Biennale di Venezia del 1993. Presente a Documenta IX, Kassel, nel 1992 e alle biennali del Whitney Museum di New York del 1993 e del 1995. Nel 1996 vince l’Hugo Boss Prize.
Gli anni 2002 e 2003 vedono The Cremaster Cycle proposto in alcune tra le più prestigiose realtà espositive mondiali: il Museum Ludwig a Colonia, il Musée d’Art Mo derne de la Ville de Paris e il Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Nel 2005 ha presentato il suo ultimo lavoro filmico: Drawing Restraint 9.
Uovo project
Uovo è un progetto pluridisciplinare teso a promuovere la creazione contemporanea nelle sue diverse declinazioni e formati espressivi. Attivo dal 2003 UOVO project ha realizzato: “UOVO performing arts festival” (2003, 2004, 2005), “Superuovo_episodio francese” (2004), “Superuovo_episodio italiano” (2004), “Uovo Videodanse Centre Pompidou” (2005), “Uovo Auditorium Roma” (2005), “UOVO Motus MilanoContemporanea” (2005). www.bymed.org
26 Novembre
Cremaster4 ore 18,30; Cremaster1 ore 19,25; Cremaster5 ore 20,20; Cremaster2 ore 21,40; Cremaster3 ore 23,20
27 Novembre
Cremaster1 ore 15,30; Cremaster2 ore 16,25; Cremaster3 ore 18,00; Cremaster4 ore 21,30; Cremaster5 ore 22,30
Cremaster 1 (1995, durata 40 min.), Cremaster 2 (1999, durata 79 min.), Cremaster 3 (2002, durata 182 min.), Cremaster 4 (1994, durata 42 min.), Cremaster 5 (1997, durata 54 min.).
Ingresso ad ogni singola proiezione: 4 euro
Cinema Gnomo Via Lanzone 30 20123 Milano
Info 02 45 49 34 60 Prenotazioni Cinema Gnomo 02 80 41 25
www.bymed.org www.comune.milano.it www.cremaster.net
Media partner
Progetto e distribuzione del Cremaster Cycle per l’Italia a cura della Complus Events.
Per ordinazioni dvd “The Order” by Matthew Barney e del catalogo Matthew Barney “The Cremaster Cycle” Nancy Spector - Guggenheim Musuem 2002: bookstore@complus.it Per ulteriori informazioni per proiezioni e partnership contattare Juan.lupin@complus.it , infoevents@complus.it o visitare www.events.complus.it
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A Milano la seconda edizione di CreaMi Il festival della creatività dal 17 novembre di Ufficio Stampa |
CreaMi giunge alla sua seconda edizione. Oggi il “festival della creatività” è stato ufficialmente presentato in conferenza stampa presso la Sala Conferenze di Palazzo Reale (Milano). Sono intervenuti: Aldo Brandirali, Assessore allo Sport e Giovani del Comune di Milano; Andrea Rebaglio della Fondazione Cariplo; Francesco Purpura dell’Assessorato ai Giovani della Provincia; i rappresentanti delle altre Istituzioni che sostengono il progetto; un rappresentante dell’Associazione culturale Palazzo Litta; Massimo Mancini, coordinatore della manifestazione ed i vari curatori di CreaMi.
CreaMi nasce per captare e promuovere le esperienze più significative della creatività, aprendo palcoscenici tradizionali e spazi inusuali della città di Milano e del territorio, alle diverse forme espressive di artisti emergenti. L’edizione 2005, Milano: creativity in places, sceglie alcuni luoghi significativi di Milano per sperimentare l’idea di luogo della creatività. Territori privilegiati per un rinnovato legame con la realtà contemporanea diventano quindi: Dimmer, La Fabbrica del Vapore, La Medina, Mohole, NABA (Nuova Accademia di Belle Arti), Teatro Litta, Stendardo e Gonfalone, sito internet (www.creami.tv).
CreaMi è stato presentato in modo originale sotto forma di dibattito e scambi di idee tra il coordinatore ed i curatori. L’assessore Brandirali ha evidenziato la “messa in rete di progettualità giovanili”. Ha inoltre sottolineato come “le istituzioni stanno rivestendo un ruolo sempre più determinante nel favorire i processi spontanei che nascono dalla società civile; CreaMi ne è un esempio. Per questo le istituzioni varie, sia pubbliche che private, stanno riconoscendo nel progetto uno strumento utile su cui far convergere sforzi ed investimenti”.
La conferenza stampa è stata anche l’occasione per presentare il progetto Urban Life - arts for life style quality. Urban Life è un progetto che si propone il miglioramento della qualità degli stili di vita nel mondo urbano attraverso un ruolo sociale degli artisti nel raffigurare ed interpretare il “caleidoscopio” metropolitano.
In occasione di CreaMi domani, giovedì 17 novembre, a partire dalle ore 21.00 presso La Medina-Zythum, Urban Life presenta “X-Phases” - Performance per scultura sonora. A seguire un dj-set.
Relazioni Esterne e Ufficio Stampa
Republic Communication
www.republiccommunication.com
Tel. +39 02 36505332 Fax +39 02 3313673
Maria Teresa Greco
mteresa.greco@republiccommunication.com
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La parola poetica a teatro A Milano dal 2 al 4 dicembre la terza edizione di Walkie-Talkie di Teatro i |
2-3-4 DICEMBRE 2005 10.00 AM/6.00 PM
Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi Via Salasco 4, MILANO
Ingresso gratuito su prenotazione +39 02 583 028 13
2-3 DICEMBRE 2005 9.00 PM
Teatro i Via Gaudenzio Ferrari 11, MILANO
Ingresso 5 euro su prenotazione +39 02 832 31 56
WALKIE-TALKIE
INCONTRI TRA TESTO E SCENA - 2005 LA PAROLA POETICA
Nell’ottica di proseguire il viaggio secondo lo spirito delle prime due edizioni del progetto, l’esplorazione che Teatro Aperto si propone supera il “testo” tradizionale alla ricerca di nuovi linguaggi, dedicandosi all’indagine sulla parola poetica e alle sue modalità di esistenza all’interno del teatro.
L’operazione teorica viene costruita non a caso sul terreno delle precedenti edizioni, che hanno gettato le basi per un linguaggio comune e hanno creato la “buona abitudine” a interrogarsi sulle diverse pratiche che scaturiscono dai problemi della scena.
Walkie-Talkie 2005 apre scenari non solo sulla lingua, ma sullo spazio, il suono, il corpo.
Che cos’è la parola poetica? Che peso ha la forma poetica nell’elaborazione drammaturgica di un progetto? Qual è il peso specifico della parola poetica messa in scena? Queste le domande di partenza che l’incontro si propone.
Le giornate di lavoro si svolgeranno su base teorica attraverso il coordinamento di Renata Molinari, coadiuvate da una piccola ma significativa rassegna performativa degli artisti ospitati, durante due serate presso Teatro i:
VENERDI’ 2 DICEMBRE ORE 21 presso TEATRO i
Sue lame, suo miele
lettura di Mariangela Gualtieri - Teatro Valdoca
SABATO 3 DICEMBRE ORE 21 presso TEATRO i
Alfabeto apocalittico (lettere dipinte da Enrico Baj)
Postkarten
per voce recitante e contrabbasso
di e con Edoardo Sanguineti e Stefano Scodanibbio
>> A CURA DI
Elena Cerasetti, Sara Chiappori, Federica Fracassi, Renzo Martinelli
>> CON LA COLLABORAZIONE DI
Elena Cattaneo, Sarah Chiarcos, Stefano Raimondi
>> ORGANIZZAZIONE DI
Teatro Aperto: Chiara Bagalà, Francesca Garolla, Gianni Munizza, Paola Santoro
Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi: Massimo Navone, Rossana Valsecchi
>> COORDINATRICE
Renata Molinari
>> INCURSORE TEORICO
Claudio Meldolesi
>> PROVOCATORI
Sara Chiappori e Oliviero Ponte di Pino con Andrea Balzola, Patrizia Bologna, Claudia Cannella, Concetta D’Angeli, Tiziano Fratus, Renato Gabrielli, Gerardo Guccini, Massimo Navone, Andrea Porcheddu
>> AUDITORIO ATTIVO
Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, Milano - Università degli Studi, Milano - Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano - Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia - Università di Pisa - Università Alma Mater Studiorum - DAMS, Bologna
Per informazioni:
Teatro i +39 02 832 31 56 www.teatroi.org info@teatroi.org
Provincia di Milano www.provincia.milano.it
PROGRAMMA
VENERDÌ 2 DICEMBRE
10.00 AM
PAOLO GRASSI
LA POESIA INCARNATA
Omaggio a Carmelo Bene a cura di Giuseppe di Leva
Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri - Teatro Valdoca
VENERDÌ 2 DICEMBRE 3.00 PM
PAOLO GRASSI
Il teatro di poesia secondo Sandro Lombardi e Federico Tiezzi.
Interventi di Giovanni Agosti, Oliviero Ponte di Pino e Edoardo Sanguineti
VENERDÌ 2 DICEMBRE
9.00 PM
TEATRO I
Sue lame, suo miele
lettura di Mariangela Gualtieri - Teatro Valdoca
SABATO 3 DICEMBRE
10.00 AM
PAOLO GRASSI
IL LUOGO DELL’ORIGINE
Video-intervista a Giuliano Scabia - a cura di Elena Cerasetti e Federica Fracassi
Maurizio Cucchi
Aldo Nove e Tiziano Scarpa
SABATO 3 DICEMBRE
3.00 PM
PAOLO GRASSI
Franco Loi
Ermanna Montanari - Teatro delle Albe e Nevio Spadoni
SABATO 3 DICEMBRE
9.00 PM
TEATRO I
Alfabeto apocalittico (lettere dipinte da Enrico Baj)
Postkarten
per voce recitante e contrabbasso
di e con Edoardo Sanguineti e Stefano Scodanibbio
DOMENICA 4 DICEMBRE
10.00 AM
PAOLO GRASSI
RISCRITTURE
Dalla parola poetica a quella filosofica: Giovanni Testori e Giordano Bruno negli spettacoli di Antonio Latella. Intervento di Federico Bellini
Il Regista Pescatore ne La Terra Desolata. Intervento di Claudio Collovà
DOMENICA 4 DICEMBRE
03.00 PM
PAOLO GRASSI
Il teatro del suono. Interventi di Andrea Liberovici, Aldo Nove, Edoardo Sanguineti, Gabriele Becheri
Maria Luisa Abate e Davide Barbato - Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa
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