ateatro
numero 9 - 1 maggio
2001
a cura di Oliviero
Ponte di Pino
INDICE
Per
una carta d'intenti del teatro per l'infanzia e la gioventù
Prima
bozza in attesa di contributi e modifiche a cura di Marco Baliani
Archivio:
Il segreto di via Rovani
ovvero
l'incontro tra Veronica e Silvio
Un
dialogo pre-elettorale
un
piccolo esempio di nuova drammaturgia italiana
La
pittura teatrale di Emilio Tadini
Oliviero
Ponte di Pino in margine alla mostra
Il programma di "teatri90 danza", a Milano dal 18 maggio al 3 giugno.
Imperdibile: Chi non legge questo libro è un . I misteri della stupidità attraverso 565 citazioni, Garzanti, Milano, 1999. |
Per
una carta d'intenti del teatro per l'infanzia e la gioventù
Prima
bozza in attesa di contributi e modifiche
a
cura di Marco Baliani
Quello che segue
è il documento presentato in occasione del I° incontro di presentazione
dei "cantieri" del Consiglio Artistico del Teatro delle Briciole e dell'inaugurazione
del 2° stralcio dei lavori di ristrutturazione del Teatro al Parco,
il prossimo 3 maggio a Parma (il comunicato è riportato di seguito
- a proposito, in bocca al lupo!!!!). Si tratta di una prima riflessione
sulla situazione e le prospettive del teatro ragazzi: ma è soprattutto
un invito alla discussione. "ateatro" sarà lieto di ospitare, nella
rivista e nei forum, altri contributi sull'argomento.
I papaveri
Questo
è un anno di papaveri, la nostra
terra
ne traboccava poi che vi tornai
fra
maggio e giugno, e m'inebriai
d'un
vino così dolce così fosco.
Del
gelso nuvoloso al grano all'erba
maturità
era tutto, in un calore
conveniente,
in un lento sopore
diffuso
dentro l'universo verde.
A
metà della vita ora vedevo
figli
cresciuti allontanarsi soli
e
perdersi oltre il carcere di voli
che
la rondine stringe nello spento
bagliore
d'una sera di tempesta
e
umanamente il dolore cedeva
alla
luce che in casa s'accendeva
d'un'altra
cena in un'aria più fresca
per
grandine sfogatasi lontano.
Attilio Bertolucci
Il
tempo non abbellisce mai salvo che nell'infanzia
Quello
contemporaneo non è tutto il mio tempo
Essere
contemporaneo: creare il proprio tempo e non rifletterlo
Marina Cvaetaeva
In
ogni epoca bisogna cercare di
strappare
la tradizione al
conformismo
che cerca di sopraffarla
Walter Benjamin
Io
la velocità della luce la so
ma
la velocità del buio non ce l'hanno ancora insegnata
Dino di Zenica,
12 anni, provvisoriamente scolaro a Zagabria,
dai racconti Le
Marlboro di Sarajevo di Miljenko Jergovic
Viviamo in un'epoca di tempi rapidi,
concentrati, di velocità comunicative mai conosciute nella storia
dell'umanità.
Nuove tecnologie spiazzano di continuo
abitudini percettive e sistemi comunicativi.
Il teatro non può né
inseguire né imitare questi processi, deve arrendersi all'evidenza
del suo statuto arcaico e fare di questa condizione un territorio privilegiato
di esperienze.
Il teatro deve ritrarsi; tornare
indietro nel tempo, ma senza inseguire palingenesi di sacralità
rituale ormai impossibili, ciò che può e deve fare è
creare un luogo e un tempo di silenzio nel clamore del mondo, un
luogo ove il mistero della presenza umana, del guardarsi negli occhi, dell'essere
lì, abbia come uno statuto eroico, come in quell'ora e mezza si
fosse naufraghi aggrappati ad un'unica zattera.
Ma attenzione, se lo statuto dell'incontro
è antico, i linguaggi non possono permettersi nessun vecchiume,
devono invece fare i conti coi tempi, i ritmi, le sonorità del mondo
contemporaneo; non devono esserne plagiati ma li devono saper attraversare,
intersecare, usare.
Così in un luogo antico
si parla il presente, si è nel tempo.
Il teatro ragazzi è l'unico
teatro obbligato a fare ricerca continua dato che non può contare
su uno spettatore statico, o consolidato nelle proprie percezioni,
ma con spettatori in movimento biologico.
L'attuale stato di degrado di tale
teatro è dovuto proprio alla rinuncia a tale ricerca, rinuncia a
sperimentare linguaggi, estetiche, sostanze ma soprattutto rinuncia ad
una tensione poetica verso quel mondo inafferrabile.
Il mistero dell'incontro teatrale
si gioca intorno alla metafora.
Poiché eccezionale e arcaica
è la modalità dell'incontro, fin dal superamento della soglia
teatrale, questa eccezionalità si deve riverberare in ogni gesto,
anche nel modo di accompagnare al posto i giovani spettatori.
La metafora comincia da subito,
in teatro non si è lì ma sempre altrove.
Il giovane spettatore deve compiere
l'esperienza della metafora per l'intera durata dell'incontro.
Nel teatro ragazzi alcuni attori
adulti convocano spettatori piccoli, piccolissimi o già sbarbatelli
e li invitano a condividere un tempo comune, in un luogo del tutto fuori
luogo in questa società ipercomunicante, un luogo ove per poter
comunicare e ascoltare occorre essere tutti lì in quel momento.
La responsabilità di questa
convocazione è quindi enorme perché esula oggi più
che mai dalle consuetudini dei rapporti personali.
La domanda è d'obbligo:
perché invece di convocare i propri simili si dà appuntamento
a gente tanto dissimile come ragazzi adolescenti e bambini?
In sostanza che si ha da dire di
tanto importante?
Perché è chiaro che
dal tipo di fatica e di impegno che questo incontro prevede o c'è
qualcosa di necessario ed eccezionale da comunicare o altrimenti l'incontro
stesso è nocivo e corrosivo per lo stesso futuro possibile desiderio
di tornare in quel luogo.
In questa fase della storia sociale
del nostro occidente gli adulti per lo più non hanno più
esperienze da trasmettere o raccontare o offrire ai figli, alle generazioni
più giovani: si sono assentati, c'è poco tempo, tanto c'è
la televisione...
C'è un buco nero di storie
contenenti esperienze che nessuno riempie.
Gli artisti del teatro ragazzi
possiedono solo questo possibile tesoro: potersi raccontare, far passare
memorie, esperienze, ricordi.
Lungi dall'illudersi di inseguire
un immaginario infantile bisognerebbe attrezzarsi a fare della distanza
d'età un valore.
In questo trasmettere non c'entra
la sostanza delle storie raccontate se non in minima parte, quella appunto
della scelta e dell'elezione di quel grumo di narrazioni piuttosto che
altre: qualsiasi fiaba come dicevano i grandi di un tempo, è piena
di consigli, qualsiasi racconto permette sempre anche di raccontarsi,
di essere non solo interpreti ma biografi di altre infanzie e giovinezze.
A patto di saperlo fare, di aver
maturato una poetica che permetta uno sguardo all'indietro di sé,
senza compiacimenti e sbrodolamenti nostalgici.
Fate della
mia casa una locanda
giovedì
3 maggio, ore 18 - Parma, Teatro al Parco
I° incontro
di presentazione dei “cantieri” del Consiglio Artistico del Teatro delle
Briciole e inaugurazione del 2° stralcio dei lavori di ristrutturazione
del Teatro al Parco
Il Parco Ducale è
il cuore verde di Parma, il Teatro delle Briciole Teatro al Parco è
nel Parco un cuore ancora più verde e pulsante, denso di quell'energia
unica e vitale che possono esprimere solo bambini, ragazzi e giovani.
In 25 anni di esperienze
e creazioni artistiche, sono transitati per le stanze magiche di questo
teatro più di 30.000 spettatori ogni anno che da piccoli sono diventati
adolescenti e poi giovani e poi, giovani e adulti, hanno continuato a frequentare
il Teatro al Parco come una loro casa alla ricerca di nuovi stimoli.
Formare un pubblico
di spettatori non vuol dire vendere più biglietti e avere sale strapiene,
vuol dire formare un senso estetico, una crescita del gusto e del giudizio
critico e ancora di più formare quel senso di appartenenza ad una
civiltà, ad una polis di cui il teatro più delle altre arti,
per sua natura, è portatore.
Il patrimonio di
esperienze artistiche e sociali che il Teatro al Parco rappresenta non
solo per la Città, la provincia e la regione ma a livello nazionale
e, per i rapporti sedimentati e cresciuti in questi anni a livello internazionale,
merita ora una progettualità di ancor più ampio respiro.
Se il Parco Ducale
si sta rinnovando in una metamorfosi annunciata, anche il Teatro al Parco
sta ripensando la propria immagine per presentarsi sotto una nuova veste,
senza nulla perdere del tesoro di esperienze già acquisite.
Il Teatro al Parco
assume la parola cantiere come futura scelta di campo, un luogo
rinnovato negli spazi polifunzionali, capace non solo di produrre e ospitare
teatro per bambini, ragazzi e giovani ma di far interagire percorsi e linguaggi
artistici diversi in progetti di ampio respiro; cantiere come idee in movimento,
capace di attivare sinergie in forma non ancora sperimentate.
A questo proposito
il nuovo Consiglio d'Amministrazione formato da Flavia Armenzoni,
Alessandra Belledi e Raffaella Ilari ha chiesto a un gruppo di personalità
del mondo artistico e pedagogico di progettare insieme il futuro del Teatro
al Parco.
Philippe Foulquiè,
già direttore artistico del Thèâtre Massalia e della
Friche la Belle de Mai di Marsiglia, uno dei centri artistici più
importanti e originali della Francia, sta coordinando la creazione di una
rete
internazionale di spazi e strutture artistiche di cui il Teatro delle
Briciole fa già parte per poter attuare progetti a carattere europeo:
scambi di esperienze, residenze prolungate, ricerche comuni.
In questo modo Parma
si affianca a Marsiglia, St. Nazaire, Lisbona, Berlino, Madrid e Londra
e diviene un centro attivo internazionale di produzione e circuitazione
artistica.
E già nel
prossimo novembre Vetrina Europa potrebbe trasformarsi in un Cantiere Europa
permettendo uno scambio artistico più approfondito della sola visione
teatrale.
Marco Dallari,
pedagogista all'Università di Trento, sta organizzando il I°
cantiere: un meeting, da svolgersi nell'ambito del Cantiere Europa di novembre,
che ponga al centro la riflessione sul rapporto d'amore tra adulti e bambini.
Intitolandolo provocatoriamente I Buoni Pedofili, Dallari vuole
focalizzare l'attenzione sulla necessità del rapporto formativo
extrafamiliare e extraparentale portando esperti e studiosi di diversi
campi a confrontarsi su tutti quei rapporti di trasmissione di esperienza
tra generazioni in cui il legame grande-piccolo, adulto-bambino, è
generatore di crescita, di curiosità e di consigli formativi.
Ad intervenire saranno
chiamati affermati artisti di diverse discipline che racconteranno in forme
anche spettacolari, le loro esperienze nel rapporto con l'infanzia. Tra
i nomi dei possibili partecipanti Dario Fo, Francesca Archibugi, Moni Ovadia,
Daniel Pennac. Angela Finocchiaro, Paolo Rossi, Vincenzo Cerami, Gianni
Celati, Ermanno Cavazzoni, Roberto Benigni e tanti altri.
Letizia Quintavalla,
regista, e Alessandro Nidi, musicista e compositore, collaboratori
da sempre del Teatro delle Briciole, stanno progettando il 2° cantiere,
che prenderà vita nel prossimo autunno, di una speciale Scuola d'Arte
dell'Ascolto, un laboratorio permanente extrascolastico per bambini e giovani
che per tutto l'anno permetterà ai partecipanti di incontrare attori,
danzatori, musicisti, registi, artisti visivi, performers in una relazione
attiva con i segreti dell'arte, delle tecniche e dei saperi.
Un luogo di formazione
dello spirito, dunque, che si aprirà, al termine del 1° anno
di percorso, in un evento cittadino coinvolgendo luoghi e anime del territorio
parmense.
Questo cantiere sperimentale
sarà dedicato ad Attilio Bertolucci e al suo mondo poetico,
così da orientare, fin dall'inizio, il cantiere formativo verso
una capacità di ascolto del mondo, vera e propria sfida etica ed
educativa in un mondo il cui orizzonte sembra essere solo quello della
visibilità della merce.
Marco Baliani
infine sta lavorando alla stesura di un manifesto programmatico
(vedi sopra la prima stesura) per un teatro ragazzi e giovani che si affacci
al secondo millennio con più consapevolezza dei compiti che lo attendono,
una tappa di riflessione che chiuda una fase di pratiche e sperimentazioni
durata ormai 25 anni per rilanciare una nuova fase di ricerca e di orizzonti
creativi. Tutt'uno con questa carta d'intenti, che sarà presentata
nello stesso cantiere europeo di novembre, comincerà a prendere
corpo un cantiere multimediale con progetti che intreccino linguaggi diversi
e che producano, oltre ai percorsi cognitivi ed artistici, concreti manufatti,
libri, video, opuscoli, riviste, films, CD, DVD, eccetera ogni volta cercando
forme necessarie alle sostanze agite. Al contempo il cantiere, dal chiuso
dei laboratori, aprirà finestre in tempo reale, collegandosi in
rete con altri luoghi di produzione artistica o di studio: Università,
singoli artisti, centri di teatro, creando siti Web legati ad ogni progetto
e costruendo una memoria interattiva capace di allargare il messaggio del
cantiere e delle sue esperienze.
Teatro delle Briciole
Archivio:
Il segreto di via Rovani,
ovvero
l'incontro tra Silvio e Veronica
Forse qualcuno se
lo ricorda: il libro (o meglio, il fotoromanzo agiografico) che Silvio
Berlusconi sta inviando a tutti gli italiani, ha un precedente. In occasione
della campagna elettorale del 1994 (quella che lo portò a Palazzo
Chigi) il numero 5 del mensile "Trend" (febbraio 1994) regalava un supplemento
intitolato Berlusconi Story. La vita e il lavoro, gli amici e i nemici,
gli amori e le passioni, lo sport e la politica, curato dal suo staff:
7 anni dopo, in occasione della campagna elettorale "decisiva" del 2001,
quel mitico Berlusconi Story ricompare in versione riveduta e corretta
e viene inviato in omaggio in venti milioni di copie. Ma tra le due versioni
ci sono interessanti varianti, che i berluscologi più attenti potranno
delibare e apprezzare. Per esempio ecco come viene rievocato - nella prima
versione in bello stile e frasi ispirate, nella seconda con ritmo più
incalzante e prosa più secca - l'incontro tra Silvio e Veronica.
L'episodio mette in evidenza le qualità (e anche le debolezze) dell'uomo
che ha giurato sulla testa dei suoi figli, e nel contempo conferma
la sua passione per l'arte teatrale.
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Craxi
è stato e rimane un amico. Lo rivendica con orgoglio davanti a uno
sbalordito Giorgio Bocca all'indomani della contestata assoluzione parlamentare
dell'ex segretario socialista: "Sono andato a trovarlo perché non
ho niente da nascondere, Craxi mi è stato di grande aiuto nei momenti
decisivi e io non posso dimenticarlo". Una frase cui molti hanno voluto
dare significati oscuri eppure forse la spiegazione è molto più
semplice, più personale. Bettino Craxi e sua moglie sono stati infatti
i testimoni del secondo grande amore di Berlusconi. Facciamo un passo indietro.
E' il 1980, da poco Silvio ha acquistato la quota di maggioranza del Teatro
Manzoni di Milano. Non è un grande affare ma non fa nulla, è
un atto dovuto alla sua mai sopita passione per lo spettacolo. Quando ha
una serata libera il signor Tv si gusta volentieri una commedia in compagnia
dei soliti compagni. Poi una sera appare sul palco una giovane attrice
bolognese, Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario, protagonista femminile
del Magnifico cornuto di Fernand Crommelynck. Quando Veronica torna
dietro le scene trova ad attenderla Berlusconi. Non si lasceranno più.
Ma la situazione non è facile nemmeno per un uomo come lui. Carla
(la
prima moglie, n.d.r.), Marina e Pier Silvio (i figli di primo letto,
n.d.r.) sono la sua famiglia, la sua tranquillità. Veronica
è l'amore romantico e inquieto. Per mesi e mesi quest'uomo, considerato
da tutti indistruttibile, si strugge, soffre, s'interroga. Solo pochissimi
conoscono il suo tormento, i rimorsi che gli affollano la mente. Una cerchia
ristrettissima che conserverà per anni il segreto di via Rovani,
l'antica villa Borletti ora quartier generale della Fininvest, e allo stesso
tempo nido d'amore del presidente. Qui infatti si è trasferita Veronica
assieme a sua madre Flora. Il silenzio s'interrompe il 30 luglio 1984 quando
in una clinica svizzera nasce Barbara, figlia a tutti gli effetti di
Silvio e Veronica (il corsivo è nell'originale, n.d.r.). Padrino
della bambina sarà Bettino Craxi.
(da Berlusconi Story, supplemento al n. 5 di "Trend", febbraio 1984) |
La vita
professionale di Berlusconi si fa sempre più fitta di impegni, giornate
e notti dedicate al lavoro. La famiglia è serena, ma qualcosa nel
rapporto con Carla cambia all'inizio degli anni Ottanta. L'amore si trasforma
in sincera amicizia. Silvio e Carla, di comune accordo, decidono di continuare
la loro vita seguendo ognuno le proprie aspirazioni. Ma molte cose continuano
a unirli; innanzitutto, Marina e Dodi.
La vita continua. Una sera Berlusconi, al Teatro Manzoni di Milano, vede recitare Veronica Lario. E' subito amore. Qualche anno dopo (il matrimonio tra Veronica e Silvio è stato celebrato il 15 dicembre 1990, n.d.r.) si sposano e nascono Barbara (1984), Eleonora (1986) e Luigi (1988) che porta il nome del nonno. (da Una storia italiana, marzo 2001) |
Un
dialogo pre-elettorale
un
piccolo esempio di nuova drammaturgia italiana
LA SCENA
Siamo a Milano,
in Galleria. Il candidato premier Silvio Berlusconi esce, dopo il pranzo,
dal Ristorante Savini seguito dal solito codazzo di guardie del corpo,
portaborse, colleghi di partito, giornalisti, fan. Dalla folla che lo circonda
e alla quale il candidato premier sorride benevolo si fa avanti un ragazzo.
SIMONE LAZZARI
Presidente, perché mio padre
operaio non è mai andato a mangiare al Savini?
SILVIO BERLUSCONI
(che a questo punto non può
fare a meno di rispondergli)
Si vede che tuo padre non ha lavorato
tanto come me.
SIMONE LAZZARI
E lei che ne sa? Mio padre ha sempre
lavorato ma non ha tre televisioni e il Milan.
SILVIO BERLUSCONI
Allora vuol dire che tuo padre
ha avuto idee meno ambiziose delle mie. (accarezza i capelli del ragazzo)
Tu
comincia a studiare e risparmiare. Usa meno gel e metti a frutto di più
l'intelligenza.
SIMONE LAZZARI
Senta, io vado nella stessa scuola
dove andava lei, il liceo Sant'Ambrogio. Ma i miei temi ai compagni li
ho sempre regalati.
SILVIO BERLUSCONI
E sei in grado di fare tre temi
in un'ora?
SIMONE LAZZARI
Certo, ma non li vendo come faceva
lei.
SILVIO BERLUSCONI
Bene, vuol dire che tra tret'anni
ti voto.
PS Questo dialogo
ha effettivamente avuto luogo il 28 aprile 2001.
La
pittura teatrale di Emilio Tadini
Oliviero Ponte di
Pino, in margine alla sua mostra
La si può vedere a Milano, a Palazzo Reale, fino al 9 settembre 2001, la mostra antologica dedicata a Emilio Tadini, che raccoglie un'ampia selezione di opere dal 1959 al 2001. A me, dopo averla vista, è venuto in mente di scrivere così.
I quadri di Tadini,
pittore cartesiano, sono piccoli teatri
(del resto, si sa,
Tadini ha scritto per la scena).
Sono pitture che
ti raccontano una storia
con un alfabeto di
segni
(del resto, si sa,
Tadini scrive anche romanzi).
Sono giochi di immagini
e parole:
parole che ti risuonano
nella testa fino a perdere significato,
giochi di parole,
giochi di immagini
parole che giocano
con le immagini,
immagini che giocano
con le parole
(del resto, si sa,
Tadini ha scritto anche poemetti).
E tutti questi quadri,
romanzi, poemetti,
e anche i saggi fanno
tutti parte
di un'"opera d'arte
totale", direi,
di un Gesamstkunstwerk
che
non si può più fare.
(Forse questi quadri
sono un teatrino filosofico
quando non è
più possibile fare filosofia.)
Perché il
mondo è ridotto a frammenti
o almeno è
tutto quello che vediamo,
schegge sminuzzate
ed esplose nel vuoto,
nel nostro accarezzare
veloce la realtà
(l'avevano scoperto
i cubisti
quando guardavano
il mondo intrecciando punti di vista
in perenne fuga da
sé stessi).
Ma la realtà,
quella che sta fuori di noi,
possiamo ridurla
a cose e oggetti
e farne delle icone
(l'ha scoperto la
pop art e lo sanno da sempre
quelli che disegnano
i fumetti,
e se guardate bene
quel quadro di Tadini ci potete trovare
persino Arcibaldo
e Petronilla, là in basso).
Così, insomma,
abbiamo quel mondo,
e i suoi frammenti
come icone allegre e colorate
come una pubblicità
di sé
(quei colori da cartellone,
sparati come se esistessero solo loro).
Se il mondo è
sminuzzato, quelle icone sono intere
complete, chiuse
in se stesse.
E gli esseri umani
(che prima erano solo abiti vuoti)
adesso sono attori,
piccoli clown con
il naso rosso, funamboli nel circo dell'esistenza,
sospesi nel vuoto
delle loro solitudini.
E' un mondo staccato
da se stesso
e ricomposto per
accostamenti a volte un po' ribaldi
(l'ha insegnato Lautréamont
ai surrealisti,
accostando l'ombrello
e la macchina per cucire).
E' un mondo, per
dirla con una parola che andava di moda
(di quando si scopriva
Bertolt Brecht e si pensava epico,
e Tadini li ha visti,
gli spettacoli del Piccolo),
un po' straniato
- fuori contesto e insomma buffo.
(Un po' come se la
tragedia del mondo
osservata appena
di lontano si riducesse a una commedia:
è storia raggelata,
è un mondo proiettato nel piano
bidimensionale della
tela
un mondo senza storia,
dove la storia la
fai tu che guardi e percorri quello spazio,
dialoghi con il palcoscenico
ottico della mente.)
E' un teatrino senza
dolore,
un circo senza rancore,
ma sovraccarico di
memorie
da conquistare con
lo sguardo,
nel tempo.
Ma qui il discorso
è più complesso
perché del
male del mondo e della storia
il pittore è
ben cosciente, fin nei titoli
lo sa dove si soffre
e misura persino i suoi pennelli
con i pochi oggetto
del profugo, o della sua memoria.
E allora cos'è
il quadro, quello spazio di felicità
che però ha
memoria del dolore? E che fa il pittore,
se si guarda, e un
po' si strazia?
E' il sogno dell'innocenza
del mondo:
il sogno che prendendo
i frammenti di questo gran circo insensato
isolandoli dal caos
della materia
salvandoli dalla
macina del tempo (e della storia)
sia possibile ricomporli
per dal loro un destino nel gran teatro della pittura
che facciano racconto
e discorso.
Chissà se
il mondo può tornare innocente...
E dove sta l'innocenza?
Nello sguardo limpido
e puro del pittore?
Nel regista che trova
un senso, che dà ordine a immagini e parole?
Nell'arte che li
salva dall'oblio, che li fissa nell'eternità?
Perché il
mondo, lui, innocente non è.
Era, verso l'inizio,
come se la mano del pittore non ci fosse,
con quelle superfici
piatte e il disegno netto e contornato,
a fare di ogni oggetto
una monade perfetta:
e poi il gesto era
disporli sulla tela bianca - neutra-neutrale.
Ma poi quel bianco
non era bianco,
e la superficie della
tela, a ben guardare,
non era piatta:
e forse da lì
- da quel bianco sbiancato spatolandogli il colore
(in memoria di Malevic?
dell'assoluto irraggiungibile?
o di un paradosso
che non puoi sciogliere?) -
è nata una
profondità dei toni, è riemerso un infinito
(lo spazio chiuso
del quadro-scena non lo contemplava,
anche se l'oggetto
verso il bordo si smarginava)
che esplode in certi
quadri, dove quel blu allegro e squillante
diventa troppo blu.
Forse da lì
è ritornato un gesto proprio di pittore,
la materialità
dell'impasto, la traccia dell'impulso della mano -
mentre prima il gesto
era quello mentale
di chi sceglie isola
dispone e compone
nella scena di quel
teatrino intimo che è la tela,
di chi racconta intessendo
fili e storie,
di chi fa il regista
di personaggi e oggetti.
Forse quello che
tradisce la traccia del pennello
non è più
il regista ma l'attore,
non è più
chi racconta storie ma chi le vive e soffre e ride e piange
nel teatro scombinato
della vita.
Appuntamento al prossimo numero.
Se volete scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it
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