EDITORIALE “ateatro” anno secondo. La navigazione a vista continua.
Gli obiettivi sono sempre gli stessi.
> Diffondere la cultura del teatro, soprattutto presso i giovani, attraverso uno strumento agile ed economico (e spero autorevole) come questa webzine, che ha ormai assunto una scadenza quindicinale. “ateatro” è in ogni caso aperta a nuovi collaboratori.
> Offrire un punto di riferimento al dibattito sulla situazione del teatro italiano, attraverso i forum aperti al contributo di tutti (vi ricordo che usare i forum è facilissimo: basta cliccare “Scrivi un messaggio” o “Rispondi al messaggio”, e poi compilare il modulo - anche con un volgare copiancolla). Insomma, i forum hanno senso soltanto se ci scrivete! (se proprio volete leggervi qualke mappazza, ce ne sono in abbondanza su “ateatro”...).
> Tenere una traccia - una delle mille tracce possibili, e per questo discutibilissima, ma costantemente accessibile a tutti sul web, e dunque confutabile (per dirla con Popper) - di quello che sta accadendo nel teatro italiano. Per capire a che punto siamo. Nonché a futura memoria.
> Sperimentare nuove forme di scrittura,comunicazione e discussione tra coloro che si interessano di cultura teatrale.
Questi obiettivi si possono raggiungere solo grazie alla partecipazione attiva di chi frequenta il sito: insomma, non basta leggere, dire “Interessante” e aspettare la prossima mail...
Per quanto riguarda la situazione del teatro, sta cambiando rapidamente. Per rendersene conto, basta andare sul forum dedicato al “teatro di guerra” e leggere le dichiarazioni di Franco Zeffirelli: affermazioni di questo tenore non rappresentano certo una novità, ma assumono un peso molto diverso se chi le pronuncia diventa il consulente del ministro per i Beni Culturali e dunque determina la politica degli enti pubblici in materia teatrale.
Intanto grazie a tutti quelli che ci seguono con attenzione, e soprattutto a chi partecipa attivamente a rendere questa esperienza viva e interessante.
(olivieropdp)
Per farla finita con il nome
del padre
Alcuni appigli per scalare la Societas Raffaello Sanzio
dopo ventanni di spettacoli
di Oliviero Ponte di Pino
30 ottobre 1921
La sensazione della più completa impotenza.
Cosa ti lega a questi corpi dai nettissimi contorni, a
questi corpi parlanti, lampeggianti dagli occhi, più
strettamente che a qualsiasi altra cosa, per esempio al
portapenna nella tua mano? Forse il fatto che appartieni
alla loro specie? Ma tu non appartieni alla loro specie,
per questo hai posto la domanda.
(Franz Kafka, Diario)
Nella prima parte di Genesi, Dio raccoglie da
terra un piccolo e luccicante nastro nero.
Compare un registratore, Dio cerca di far suonare il
nastro: Ma è una voce persa, distorta, che non
restituisce più il significato delle parole, ma solo il
suo rumore meccanico racchiuso nellorrore della
cosa. (Epopea della polvere, p. 232)
Da ventanni la Societas Raffaello Sanzio lavora
alla disarticolazione e al disvelamento della forma del
teatro e dunque della rappresentazione. Spettacolo dopo
spettacolo, opera una puntigliosa destabilizzazione del
senso - e dunque della forma del potere - nel costante
tentativo di restituire vita al simbolo. Sulla scia di
Artaud e della sua denuncia di una irrimediabile
scissione tra pensiero e parola, sperimenta ostinatamente
la potenza organica della liturgia e del mito,
contrapponendosi alla dicotomia tra significante e
significato che caratterizza la retorica novecentesca.
E un teatro della malattia e della catastrofe, del
segno che sfregia il corpo e del corpo sfregiato. Subisce
il fascino del non-umano - lanimale, la macchina e
il pupazzo, lottusamente biologico e la
trasformazione alchemica - e forse dalleco di una
perduta pienezza vitale. In questa ricerca, condotta con
ostinata radicalità, il gruppo di Cesena si è da tempo
affermato a livello internazionale e costituisce oggi un
punto di riferimento per molte realtà teatrali più
giovani.
Oltre che allelaborazione degli spettacoli, il
gruppo dedica particolare attenzione allaspetto
teorico del proprio lavoro, con ampie e puntigliose
dichiarazioni di poetica; e alla documentazione del
proprio percorso (mentre la critica si è raramente
dimostrata allaltezza del lavoro scenico e dellelaborazione
teorica del gruppo).
Nel nuovo libro firmato da Romeo Castellucci, Chiara
Guidi e Claudia Castellucci, Epopea della polvere
(Ubulibri, Milano, 2001, 328 pp., 55 illustrazioni, con
una postfazione di Franco Quadri, euro 20,40), colpisce
innanzitutto la meticolosa trascrizione dei cinque
memorabili spettacoli realizzati dal 1992 al 1999, Amleto,
Masoch, Orestea, Giulio Cesare e Genesi.
Nella loro complessa e raffinata scrittura scenica (dove
la parola viene più incarnata dal corpo e dal gesto dellattore
che effettivamente pronunciata sulla scena), questi
lavori paiono refrattari a ogni trascrizione, per quanto
accurata. Il testo - lelemento cui il teatro affida
da sempre la propria tradizione e nobilitazione, e che in
questi spettacoli sopravvive invece solo come traccia, al
termine di un processo di cancellazione, di
scarnificazione, quasi di usura - è solo uno dei molti
elementi che concorrono allevento teatrale. Si
addensa piuttosto una densa partitura di segni, gesti,
eventi, suoni, rumori, articolata spesso lungo costanti
contrappunti e attraverso filtri ironici e parodistici
rispetto a un testo che quasi non esiste più, ma che
resta il costante punto di riferimento di uninterpretazione
puntigliosa, di impeccabile filologia ancorché spesso
volutamente perversa.
Il problema della trascrizione di spettacoli di questo
genere non è ovviamente nuovo, anzi, a partire dallepoca
del Living Theatre e del teatro immagine è
un problema che si ripropone costantemente per tutto il
teatro davanguardia degli ultimi decenni. E
dunque interessante vedere come la Societas Raffaello
Sanzio abbia affrontato il problema, anche perché le
cinque spettacolografie di Romeo Castellucci
sono il frutto di un notevole sforzo di chiarificazione
intellettuale.
A una lettura superficiale queste trascrizioni
costituiscono di una sorta di verbale: la descrizione il
più possibile oggettiva di quel che accade
in scena. Come se uno spettatore attento e puntiglioso
avesse voluto offrire una registrazione distaccata, quasi
da école du regard, del flusso di immagini e
suoni che costituiscono lo spettacolo. Persino le pause
vengono cronometrate: In questa posizione rimane
immobile per circa cinque minuti (...) Dopo un altro
minuto fa una smorfia (...) della durata di un decimo di
secondo (Epopea della polvere, p. 30).
Tuttavia non mancano le notazioni tecniche: per esempio,
una lampadina accesa da 12 volt (Epopea
della polvere, p. 16). In altri casi vengono
sottolineate le intenzioni dei personaggi , e a volte
addirittura segnalate (o ipotizzate) le reazioni del
pubblico. E spesso, nella apparente neutralità della
descrizione, sinfiltra lintenzionalità del
regista: Abbiamo visto che finora tutti i colpi di Amleto
partono senza alcuna mira e dunque senza preavviso; e, si
direbbe, senza nessuno scopo se non quello di provocare
unesplosione (Epopea della polvere, p.
26). Vengono a volte spiegate le ragioni della scelta di
un determinato segno, oppure la sua genealogia culturale
(vedi più avanti lanalisi dei segni che compaiono
sulla schiena di Cicerone nel Giulio Cesare).
Queste trascrizioni chiudono un cerchio
alchemico: dai testi originari allo spettacolo alla
sedimentazione di questo nuovo testo. Potrebbe essere
interessante chiedersi se, utilizzando la scrittura di
Romeo Castellucci come una sorta di partitura, sarà
possibile un giorno riallestire questi testi.
Anche se, come vedremo affrontando il problema della
tradizione, loperazione in sé contraddirebbe la
poetica praticata dal gruppo nella realizzazione di
questi lavori.
Ma di certo, davanti a creazioni di pulsante densità
segnica la lettura di queste spettacolografie
può risultare chiarificatrice rispetto alla visione
degli spettacoli - anche se ormai la pagina si è
svuotata di tensione emotiva, di sensazioni tattili, di
quella proiezione e rispecchiamento dello spettatore
nelle creature che popolano la scena, che siano esseri
umani o animali.
Le tre età della Societas Raffaello Sanzio
E la stessa Societas Raffaello Sanzio a dividere
implicitamente la propria attività in tre fasi, scandite
dalle pubblicazioni del gruppo. Nella bibliografia,
questo Epopea della polvere è preceduto infatti da Il
teatro della Societas Raffaello Sanzio. Dal teatro
iconoclasta alla super-icona, a firma di Claudia e
Romeo Castellucci (Ubulibri, Milano, 1992, 192 pp., da
ora in poi Il teatro della Societas Raffaello Sanzio),
che raccoglie testi e materiali di quattro drammi, Santa
Sofia, I miserabili, La discesa di Inanna
e Gilgamesh.
La prima fase - quella gli inizi, che precede questi
quattro spettacoli arrivando fino alla metà degli anni
Ottanta - la potremmo definire scanzonatamente
postmoderna, con spettacoli costruiti per contaminazioni
di segni e linguaggi e lazzeramento di categorie e
gerarchie culturali ormai obsolete. Lobiettivo è
la rivitalizzazione della forma teatro e in generale
della comunicazione, attingendo a segni e grammatiche
rubati a forme più moderne: tra tutte, il
fumetto e la sua sintassi, come notavano allepoca
diversi osservatori: ma anche il fumetto come successione
di immagini statiche rispetto alla fluidità di cinema e
televisione.
Il principio costruttivo è quello del bricolage, così
come era stato teorizzato da Claude Lévi-Strauss. Alcune
citazioni dal Pensiero selvaggio (Il Saggiatore,
Milano, 1964, 1979; queste citazioni erano state già
riprese a suo tempo nel mio saggio PostModerno,
il Patalogo cinque/sei;, Ubulibri, Milano,
1983, al quale si rimanda per ulteriori approfondimenti)
possono illustrare questo metodo compositivo:
I materiali del bricoleur
sono elementi che si possono definire in base a un
duplice criterio: sono serviti, quali termini di un
discorso che la riflessione mitica smonta come il
bricoleur smonta come una vecchia sveglia; e possono
ancora servire per il medesimo uso, o per un uso
differente se appena si modifica il loro primitivo
funzionamento.
Per quanto infervorato, il
suo modo di procedere è inizialmente retrospettivo: egli
deve rivolgersi verso un insieme già costituito di
utensili e di materiali, farne e rifarne linventario,
e infine, soprattutto, impegnare con esso una sorta di
dialogo per inventariare, prima di sceglierne una, tutte
le risposte possibili che può offrire al problema che
gli viene posto.
Se si tiene conto della
ricchezza e della varietà del materiale bruto da cui
solo alcuni elementi, tra i tanti possibili, sono usati
dal sistema, non cè dubbio che un considerevole
numero di sistemi dello stesso tipo avrebbero offerto una
uguale coerenza e che nessuno di essi è predestinato a
essere scelto (...) Il significato dei termini non è mai
intrinseco, ma soltanto di posizione, ossia è una
funzione della storia e del contesto culturale e, insieme,
della struttura del sistema in cui esse compaiono.
Di fronte allirrimediabile svuotamento delle forme
della rappresentazione, il tentativo è quello di
contrastare la perdita di senso con innesti e
accostamenti dai quali far scaturire nuove possibilità
di significato, attraverso una retorica fatta di analogie,
accostamenti imprevisti, contrapposizioni stranianti,
contrasti... Questo atteggiamento sottende fino a oggi lintero
lavoro del gruppo:
Credo che questo sia un
teatro in cui la dialettica non ha luogo (...) Solo una
contrapposizione di tipo chimico può scatenare delle
reazioni che escono dal controllo. Queste reazioni
possono scatenare il caso, la casualità. La casualità
è un elemento fondamentale in ogni problema della
bellezza. Lasciarsi sorprendere. (Epopea della
polvere, p. 271)
A consentire questa stratificazione di segni è uno
sguardo fondamentalmente ironico sulla realtà e sui dati
culturali. Questa ironia nei primi spettacoli della
Societas Raffaello Sanzio viene portata fino alle estreme
conseguenze, al limite della parodia: quei lavori erano
ricchi di episodi decisamente divertenti, se appena ci si
abbandonava al loro gioco. Basti pensare allincontro
tra Giotto e Cimabue nei Fuoriclasse della bontà
(1983).
Ma ben presto ogni sovraccarico di segni finisce per
girare a vuoto, avvitandosi vorticosamente su se stesso:
il rischio è quello dellappiattimento di ogni
gerarchia, dove perciò tutte le associazioni sono
legittime, e lo sbocco è la deriva infinita e gratuita
del senso... Al dilemma fondamentale del postmoderno, la
Societas Raffaello Sanzio trova due soluzioni paradossali,
oltre al rigore estetico e alla scoppiettante energia che
contrassegnano gli esordi. La prima soluzione (proclamata
in Kaputt Nekropolis, 1984) è linvenzione
di una lingua perfetta e assolutamente significante, la
Generalissima, in grado di comunicare qualunque senso con
un vocabolario che viene progressivamente ridotto a sole
quattro parole (per la cronaca, le quattro parole sono
agone, apotema, meteora e blok, immense ma univoche,
Il teatro iconoclasta, p. 93). La seconda è il
rifiuto della rappresentazione e la scelta delliconoclastia,
teorizzata e praticata in Santa Sofia. Teatro Khmer (1986),
che segna la nascita della nuova Religione Columna (e
accosta sulla scena il dittatore comunista cambogiano Pol
Pot a Leone III Isaurico, limperatore iconoclasta
di Bisanzio). Sul manifesto consegnato agli spettatori
prima dello spettacolo si legge:
Questo è il teatro che
rifiuta la rappresentazione (...) Questo è il teatro
della nuova religione: perciò vieni tu che desideri
essere seguace delle colonne dellIrreale. Il reale
lo conosciamo, e ci ha delusi fin dalletà di anni
quattro. (...) Ma non credere che sia il surrealismo la
chiave del problema; la chiave surrealista è
completamente sbagliata, nel suo inconscio
conservatorismo rielaborato. Questo è il teatro
iconoclasta: si tratta di abbattere ogni immagine per
aderire alla sola fondamentale realtà: lIrreale
anti-cosmico, tutto linsieme delle cose non pensate.
(Il teatro della Societas Raffaello Sanzio, p. 9)
La nuova lingua e la nuova religione sono due soluzioni
che dovrebbero implicare una negazione del teatro ma che
vengono condotte proprio sulla scena, in forma di
spettacolo: negano il teatro, e al tempo stesso lo
ritengono indispensabile - tanto da utilizzarlo come
passaggio obbligato verso un recupero del senso. Dietro
questo apparente paradosso si nasconde una verità
insieme banale e profonda: il teatro è larte che
usa gli strumenti della realtà - i corpi, gli oggetti,
la materia - per trasformarla. Proprio per questo la
Societas Raffaello Sanzio rifiuta fin dallinizio
ogni forma di superficiale realismo a favore di una
superrealtà. Perché sulla scena può
materializzarsi quella superrealtà che ti può
cambiare la vita: si rivendica così al teatro una
dimensione decisamente politica, che rischia però di
coincidere - se questa funzione viene effettivamente
svolta fino in fondo - con lo svuotamento e la
disintegrazione del teatro stesso. E una apocalisse
del teatro che si rispecchia in quella che è, per
Societas Raffaello Sanzio, la sua origine:
Il nostro teatro è la
risposta incoerente rispetto a un vero e proprio blocco
morale - nei confronti del teatro stesso - di origine
platonica, perciò si può dire che esso può esistere e
si esalta solo là dove viene impedito. (Epopea
della polvere, p. 286)
Intanto però nella loro provocatoria inventiva queste
due utopie burlesche - la neo-lingua Generalissima e la
neo-religione Columna - imboccano altrettanti vicoli
ciechi. Pongono il paradosso, ma non possono risolverlo,
se non ironicamente, tangenzialmente, lungo una via di
fuga parodistica. Nella parabola del gruppo, sono due
scacchi, che aprono a una nuova ricerca: risalire allindietro,
sempre più indietro, fino a trovare il punto in cui la
rappresentazione e il suo significato, la parola e la
cosa, erano ancora un tuttuno - indiviso e
immediatamente comunicante, efficace (peraltro lopzione
del ritorno alle origini ha, nella storia del
pensiero occidentale, numerosi precedenti).
Questa unità si può ritrovare, ipotizza la Societas
Raffaello Sanzio, nel simbolo. Così nella seconda fase,
con La discesa di Inanna (1989), linteresse
si rivolge alle grandi narrazioni dellantico
oriente mesopotamico, alle fonti del rito e del mito dellOccidente.
Si tratta di recuperare e rimettere in circolazione
simboli elementari e profondi, allorigine del
nostro immaginario, che possano avere efficacia sulla
realtà (almeno sullinteriorità dello spettatore),
come una magia o una peste. Come se in quelle antiche
narrazioni, ancora vicine agli impulsi primari, si
potesse trovare la linfa necessaria per ridare al teatro
la potenza perduta. Questa fase culmina, dal punto di
vista estetico, nel terribile Gilgamesh (1990),
spettacolo-rito tenebroso e inquietante, una sincera
invocazione alle antiche divinità. Ma lesperienza
di Gilgamesh costituisce un punto limite, oltre il
quale è difficile andare - se non forse abbandonando il
teatro per una dimensione esplicitamente sciamanica.
Che si tratti di un nuovo vicolo cieco lo dimostra il
ridotto impatto dello spettacolo successivo, Iside e
Osiride (1990), dove la potenza numinosa del mito si
trova ridotta a pura coreografia. Tra laltro questa
fase coincide, non a caso, con il momento di massima
difficoltà della compagnia, anche nei suoi rapporti con
le istituzioni teatrali dellItalietta: lo
scandaloso Gilgamesh segna la rottura con il punto
di riferimento milanese, il Crt; la conseguenza sarà,
nel giro di un paio danni, una scandalosa
esclusione dalle sovvenzioni ministeriali, a cui la
Societas Raffaello Sanzio reagirà con una provocatoria
Festa plebea.
E un secondo scacco, ma ancora una volta ricco di
insegnamenti. Ritornare agli inizi per ritrovare la
potenza originaria del rito non ha risolto il problema,
se non temporaneamente, con spettacoli dalla tensione
estetica difficilmente ripetibile. Tuttavia ha permesso
di misurare la forza del simbolo, che ancora può agire
attraverso il mito, e ha fornito i primi elementi di una
possibile grammatica. Ed è con questa grammatica - ma
assumendo su di sé questo scacco totale, attraverso un
azzeramento radicale e assoluto di cui si fa testimone un
Amleto autistico - che la Societas Raffaello
Sanzio si misura con quella che potrebbe (o dovrebbe)
essere la nostra mitologia contemporanea. Sono miti che
forse hanno perso la loro efficacia, e sopravvivono solo
come vestigia culturali: e tuttavia hanno plasmato il
nostro immaginario, e mantengono una forza sotterranea
con cui è possibile scontrarsi, attraverso riletture di
radicale provocazione.
Come ha insegnato lautore de Il crudo e il cotto,
il senso del mito si costruisce per differenze e per
opposizioni di significato:
Le logiche pratico-teoriche
che regolano la vita e il pensiero delle cosiddette
società primitive sono mosse dallesigenza di
scarti differenziali (...) Il principio logico è di
poter sempre opporre dei termini, che un impoverimento
preliminare della totalità empirica permette di
concepire come distinti. (Il pensiero selvaggio,
cit.)
La Societas Raffaello Sanzio applica questo principio
oppositivo in maniera sistematica, con venature
nichilistiche:
Ogni figura sa di essere
minata al proprio interno o di essere foriera della
propria scomparsa definitiva. (Epopea della
polvere, p. 85)
Così la terza fase del lavoro della Societas Raffaello
Sanzio, quella documentata da Epopea della polvere,
consiste nel confronto-riscrittura con cinque testi
chiave (probabilmente i cinque testi-chiave, dal
punto di vista del gruppo) della tradizione occidentale,
in una sistematica opera di azzeramento e reinvenzione.
Lanimale cancella larte
Una svolta fondamentale, di cui si erano già avute le
avvisaglie in precedenza: i soci fondatori della
compagnia praticamente non appaiono più in scena in
ruoli centrali, e sempre più spesso vengono scritturati
attori esterni alla compagnia, in base alle necessità
dei singoli progetti. Non è solo una più precisa
divisione del lavoro (con Romeo Castellucci in veste di
autore e regista), quanto soprattutto la scelta è quella
di oggettivare il lavoro, rifiutando ogni
prospettiva psicologica, qualunque tentazione
autobiografico-generazionale, qualsiasi la deriva lirica
- cui viene peraltro riservato uno spazio specifico, vedi
La mistica del corpo e Uovo di bocca, le
raccolte poetiche di Claudia Castellucci.
Uno degli aspetti più evidenti del lavoro della Societas
Raffaello Sanzio, che qui si dispiega compiutamente, è
proprio la ricerca sulla presenza dellattore sulla
scena. Già nei lavori precedenti la dicotomia uomo-animale
era stata esplorata, utilizzata e teorizzata: Lanimale
ci rende vuoto il palco (Il teatro della
Societas Raffaello Sanzio, p. 118), Veramente
un animale può cancellare larte, rendere banale
fino alla morte il teatro (Il teatro della
Societas Raffaello Sanzio, p. 124). Ecco dunque i due
pitoni di Alla bellezza tanto antica (1988), la
pecora, le capre e i sei babbuini-totem della Discesa di
Inanna, i due inquietanti cani neri che in Gilgamesh
scorrazzano a pochi centimetri dal pubblico.
Luso degli animali sulla scena resta una costante
anche in questo ciclo della polvere, in varie
forme. NellAmleto, ridotto come si è visto
a un monologo inarticolato, il protagonista trova una
serie di partner che possono dare unidea dei
sistematici slittamenti operati sul testo di Shakespeare,
in assoluta coerenza con il ribaltamento operato sul
ruolo del titolo. Infatti i comprimari vengono
trasformati quasi tutti in animali totemici: si comincia
con lOrso di peluche, il padre di Claudio,
e si prosegue con Orazio che è un pappagallo pure di
pezza, con Ofelia bambola parlante, con la madre/Gertrude
che è un canguro (dal cui marsupio lo stesso Amleto
estrarrà un cangurino).
NellOrestea compaiono nellordine (oltre
al Coniglio/Corifeo rubato a Alice nel paese delle
meraviglie e al coro dei dodici coniglietti di gesso
destinati a esplodere fragorosamente - un omaggio
citazione di Carroll che tornerà anche nellatto
centrale di Genesi, dove ricomparirà una coppia
di conigli-bambini) due enormi cavalli neri,
due asini bianchi albini e cinque
scimmie macaco, oltre al cadavere di una
capra scuoiata che emerge dalla tomba di Agamennone
e che verrà resuscitata da Oreste in un
sanguinoso rituale macchinico (o meglio, cyberpunk),
insufflandogli il respiro attraverso un complesso
meccanismo di tubi (e tra i simboli va ricordato senzaltro
anche luovo di struzzo che partorisce Oreste).
Negli spettacoli successivi lelenco si allunga. Allinizio
del Giulio Cesare compare il totem di questa
tragedia: un lungo ariete romano da assalto che
(...) ondeggia la grande testa; allinizio del
secondo tempo percuoterà con violenza il pavimento della
scena. Dopo di che la presenza animale viene declinata da
una volpe imbalsamata [che] attraversa la scena
passando davanti ai piedi di Cassio (Epopea
della polvere, p. 166). Può ridursi a traccia:
Il muro rivelato pare essere quello di un edificio
adibito alla rozza custodia di animali. Lo si deduce
dalla presenza di sporco sulle pareti, allaltezza
dei fianchi dei grandi quadrupedi domestici (Epopea
della polvere, 172), incarnarsi in un grande
cavallo nero (Epopea della polvere, p. 174),
rendersi udibile come rumore di mosche (Epopea
della polvere, p. 176). Nella seconda parte compaiono
un cavalluccio marino che attraversa la
scena (Epopea della polvere, p. 192), un
gatto imbalsamato che si rivelerà osceno,
infernale e terrorizzante (Epopea della polvere,
p.195), ancora la volpe (Epopea della polvere, p.
198), mentre il cavallo ricompare come scheletro, questa
volta con la testa abbassata; non appena si odono alcuni
nitriti, il collo si alzerà e ricadrà allindietro
(Epopea della polvere, p. 199)...
Quel rituale luciferino che è Genesi ruota
intorno a un oggetto sacro dai poteri misteriosi: la
zampa di gallina, unico oggetto che ricompare nelle tre
parti dello spettacolo. Ma non è ovviamente lunico
segno di questo genere. NellAtto Primo la presenza
animale viene in qualche modo incorniciata dalla scienza:
siamo peraltro allinterno del laboratorio di Madame
Curie, dove si conducono sconcertanti esperimenti su Dio,
Lucifero e la loro creazione. Ecco una grossa teca
di vetro in cui un cane pastore tedesco imbalsamato si
masturba meccanicamente con ritmo ossessivo, fino a farci
vedere il conseguente getto di sperma che arriva al
centro del palco (Epopea della polvere, p.
232); racchiuse in unaltra teca di vetro, un
paio di ali di qualche grande uccello (...) fremono e
battono una contro laltra. Potrebbero volare ma il
resto del corpo non cè (Epopea della
polvere, p. 232); in una terza teca, quando compare
Adamo, due grosse pecore si muovono meccanicamente
e il loro movimento riproduce allinfinito una
copulazione (Epopea della polvere, p. 234).Finalmente
diverranno visibili altre teche (...) tutte
riempite con animali impagliati: pecore, montoni, volpi,
cani, uccelli, pesci, capre... Tutti stanno a guardare il
tentativo di uno di loro di svegliarsi e camminare fuori
dalle pareti di vetro della propria conservazione (Epopea
della polvere, p. 237). La nascita di Eva è
contrappuntata da un coccodrillo in una grossa teca,
da cui sembrano provenire gli organi che la compongono.
NellAtto Terzo, durante tutto lepisodio di
Caino e Abele, così come accadeva in Gilgamesh,
vagano per la scena due cani randagi, indaffarati e
indifferenti. Cercano tracce sul palco e probabilmente
del cibo. Che si trovino sul palco o in un immondezzaio
non fa differenza per loro: è chiaro (p. 248).
Questo lungo elenco, probabilmente incompleto, vuole
sottolineare in primo luogo la centralità dellelemento
animale allinterno dellimmaginario della
Societas Raffaello Sanzio. Tenendo oltretutto presente
che lanimale (come per certi aspetti i bambini o i
folli) non recita mai, ma si offre semplicemente per
quello che è - con un effetto verità che il
teatro conosce da sempre ma che qui viene spinto fino
alle estreme conseguenze. Progressivamente però, oltre
questo effetto verità, lo zoo della Societas
Raffaello Sanzio inizia a delineare un pantheon di
presenze perturbanti, latori di potenza simbolica. Ancora,
tra gli animali veri e le loro controparti meccaniche,
tra le creature vive e gli scheletri e le teste mozzate,
iniziano a stabilirsi connessioni e contrasti. Ovviamente
si evidenzia la materialità, la realtà fisica e
corporea dellanimale.
Un buon pezzo di teatro deve
potersi condensare in unimmagine, che è limmagine
di un organismo, di un animale: con quello spirito.
Questo animale è una presenza, molto spesso un fantasma,
che attraversa la materia, e io con lui. Il problema è
essere pellegrini nella materia. La materia è lultima
realtà. E la realtà finale che ha come estremi il
respiro del neo-nato e la carne del cadavere. E un
pellegrinaggio che facciamo nella materia. E,
quindi, un teatro degli elementi. (Epopea della
polvere, pp. 270-271)
Contemporaneamente si costituiscono rapporti e relazioni,
che costruiscono lancoraggio di una costellazione
simbolica, che si riverbera immediatamente sugli attori
umani: solo per fare un esempio, in Genesi
Lucifero nudo appare lungo e prosciugato come un
pesce secco (Epopea della polvere, p. 229),
mentre il suo panico ricorderà quello di un ragno
caduto nella ragnatela di un altro (Epopea della
polvere, p. 231).
Autopsia e resurrezione dellattore
Un analogo effetto verità viene perseguito
anche attraverso un casting certamente anticonvenzionale.
Perché dopo gli esperimenti del Gilgamesh, a
partire dallOrestea diventa sistematica la
ricerca e lesposizione di attori dalle
caratteristiche fisiche assolutamente particolari, legate
al ruolo che devono assumere in scena: non sono solo
attori che interpretano un personaggio, ma che li
incarnano attraverso segni fisici evidentissimi, quasi
marchi del divino, in un ambiente dichiaratamente
convenzionale e costruito. E un teatro che rifiuta
i personaggi per costruire invece figure, e che a partire
dalla loro materialità esplora la fisica della
rappresentazione. Lapparizione di queste figure nel
corso degli spettacoli è peraltro attentamente studiata,
in modo da causare agli spettatori il massimo di sorpresa,
emozione e addirittura disagio - per poi innescare un
processo di riflessione.
Nel Giulio Cesare, spettacolo nato dallossessione
per la retorica, e contro la retorica, questa qualità
dellattore è oggetto di un complesso gioco ironico
di chiaro sapore magrittiano: sul cadavere di Cassio (nel
secondo tempo interpretato da una ragazza anoressica)
viene posto un cartello: Ceci nest pas un
acteur. Lobiettivo è farla finita, nel
modo più radicale possibile, con la rappresentazione, nella
rappresentazione (Epopea della polvere, p.
221). Quelli che usa la Societas Raffaello Sanzio sono
dunque al tempo stesso meno e più che attori.
La sequenza di queste figure (qui di seguito
sinteticamente esemplificata) comincia nellOrestea
con una Clitennestra obesa (il corpo immenso di una
femmina nuda, dalla pelle bianca, Epopea della
polvere; p. 101), un Agamennone down (La sua
testa è grande e gli zigomi sono alti. Gli occhi hanno
un taglio vagamente orientale. Si siede con una certa
difficoltà. (...) La luce ora lo colpisce pienamente. E
un mongoloide, Epopea della polvere, p. 105),
un Apollo interpretato da un attore privo di
braccia (Epopea della polvere, p. 138).
Nel Giulio Cesare Cicerone è un uomo alto e
obeso. Pesa duecentoquaranta chili (Epopea della
polvere, p. 171), Antonio è un autentico
laringectomizzato (Epopea della polvere, p.
182). Nel primo tempo Bruto e Cassio sono interpretati da
due vegliardi, che nel secondo tempo diventano due
ragazze anoressiche, attrici estremamente magre, la
cui magrezza riconduce allidea del telaio (Epopea
della polvere, p. 186, ma sulle ragioni di questa
scelta vedi p. 220).
Per quanto riguarda la Genesi, nellAtto
Primo Adamo è un contorsionista, o per meglio dire
un dislocatore corporeo, che compare dentro una
teca come una massa carnosa confusa e tremante
(Epopea della polvere, p. 234), la sua Eva -
imprevedibilmente anziana - è stata
mastectomizzata. Ha una sola mammella (Epopea
della polvere, pp. 236-237). LAtto Secondo,
ambientato in una Auschwitz di abbacinante candore, è
interpretato da sei bambini, come in unennesima
allucinata postilla a Alice nel paese delle meraviglie
(curiosamente negli stessi mesi con La vita è bella
Roberto Benigni racconta lOlocausto come una favola).
LAtto Terzo ruota intorno al braccio sinistro
di Caino, (...) più piccolo dellaltro, come se
appartenesse a un bambino. Un altro bambino, dentro Caino
(Epopea della polvere, p. 250). Sarà proprio
questo braccio bambino a stringere il collo
di Abele per soffocarlo, compiendo il primo omicidio
nella storia dellumanità. E un atto per
certi aspetti innocente: a giudicare dalle sue reazioni
Caino non era consapevole delle conseguenze del proprio
gesto (che è un frutto più del destino che della sua
volontà), anche se poi ne deve pagare tutte le
conseguenze, assumendo su di sé la colpa. Cè
ovviamente tutta una teoria sul male, in questa lettura
del testo biblico: e lorigine del male in una
imperfezione della creazione rimanda ovviamente a
tematiche gnostiche (come peraltro potrebbero rimandare
allo gnosticismo alcuni aspetti sapienziali della
Raffaello).
Basterebbe questa immagine, che segna il culmine del
ciclo iniziato con lAmleto, a dimostrare che
scelte in apparenza stravaganti e dettate dalla
predilezione per il mostruoso, lanomalo, limperfetto,
sono in realtà profondamente radicate nella drammaturgia
della Societas Raffaello Sanzio, e rappresentano un
elemento fondante della sua filosofia.
Tuttavia lavvento di queste figure segnate
dal Dio è stato preparato dai due capostipiti, che
ancora erano impersonati da attori nel senso
convenzionale del temine: Paolo Tonti nel ruolo dellAmleto
autistico e Franco Santarelli in quelli di Masoch.
Nel primo caso esplode la fisicità dellattore,
attraverso una serie di secrezioni e manifestazioni
corporee che punteggeranno lintero ciclo: bolle di
saliva e sputi, rutti e singulti, peti, persino una
evacuazione diarroica accuratamente simulata con una
grossa peretta da clistere caricata con una miscela di
acqua, orzo e farina (Epopea della polvere,
p. 38). Negli spettacoli successivi non mancheranno
sangue, vomito, sperma, anche per ricordarci che quelli
che abbiamo di fronte sono corpi reali, dove scorrono
fluidi vitali.
Nel caso di Masoch, viene invece messo a fuoco il
rapporto corpo-macchina. Già Amleto (ma anche qui
muovendosi sulla scia di Gilgamesh) era rinserrato
in uno spazio-macchina fatto di filo spinato, di batterie
di auto collegate da cavi e morsetti. Ma è con Masoch
che quella della Societas Raffaello Sanzio diventa una
autentica scena-macchina che entra in irreversibile e
minacciosa simbiosi con il corpo dellattore (non a
caso è a partire da questi due lavori che le affinità
con lopera di Joel-Peter Witkin diventano
innegabili). Nella scena finale dello spettacolo, Masoch
viene denudato, gli vengono applicate pinze sui capezzoli,
un cavetto gli viene sistemato tra i denti, gli
spalancano la bocca con un allargascarpe, viene appeso
con tre cinghie ad altrettanti paranchi elettrici e
trascinato sopra il palcoscenico (Epopea della polvere,
pp. 65-66).
Tra le numerose possibili esemplificazioni di macchine
usate nel ciclo della polvere (alcune davvero
complesse, come il telaio e il corpo senza organi
di Eva nella Parte Prima della Genesi), vale forse
la pena di concentrarsi sulla pistola, che punteggia come
un leit motiv numerosi spettacoli: è la partner
prediletta della pericolosa danza di Amleto, è
ovviamente al centro del rapporto tra Oreste e Pilade, è
lo strumento del mancato suicidio di Bruto.
Quello tra la scena-macchina e lessere umano è
ovviamente un rapporto carico di connotazioni sessuali,
di esplicito carattere sadomasochistico, giocato
sul confine animato-inanimato e sulla riduzione del corpo
a oggetto. Non mancano peraltro nel ciclo presenze
meccaniche, come i coniglietti che entrano in scena ed
esplodono nellOrestea o addirittura, nella Genesi,
un pupazzetto che doppia ironicamente gli applausi del
pubblico...
La tradizione e la contro-tradizione
Fin dal nome scelto dal gruppo, il rapporto con la
tradizione è uno snodo chiave. Raffaello Sanzio, dunque,
nellossessione per la forma come punto dequilibrio
(e forse dannullamento) di diverse tensioni, e come
culmine della parabola umanistico-rinascimentale - appena
prima che sincrini ed evolva nel manierismo. Ma
anche un ironico e latineggiante Societas che pare rubato
a una polisportiva, a distanziare il rimando al genio e a
dar conto di un diverso punto di vista, collettivo e di
gruppo. E cè anche la scelta di opporsi al modello
che i giovani fondatori avevano trovato al momento del
loro esordio:
Lo scatto, la molla, lavemmo
vedendo Punto di rottura dei Magazzini: pur facendolo a
pezzi come spettacolo, nel senso che non ci piacque
affatto, fu scatenante. E stato allora che ci siamo
ribattezzati Società Raffaello Sanzio, per contrasto.
(da un'intervista a cura di Oliviero Ponte di Pino, in Il nuovo teatro italiano, la casa Usher, Firenze,
1988, p. 121; il volume è disponibile sul sito olivieropdp).
Nella Societas Raffaello Sanzio cè da sempre unassoluta
consapevolezza della tradizione, che viene riassunta in
tutte le sue stratificazioni. Un esempio per tutti: nel Giulio
Cesare Cicerone è un uomo alto e obeso. Pesa
duecentoquaranta chili. Indossa una toga bianca che gli
lascia scoperto il ventre e il petto. Sul volto ha una
maschera bianca di un uccello, unanatra forse. Alle
mani ha infilati guanti bianchi di lattice e ai piedi
calzari di cuoio (Epopea della polvere, pp.
171-172). Sono subito evidenti lironia feroce di
questa scelta (Cicerone, il grande umanista, il paladino
della Repubblica, è un ciccione seminudo pronto per
qualche pratica sadomaso) e lintreccio di
tradizione e modernità - toga e guanti di lattice. Poco
dopo Cicerone si alza e mostra le spalle al pubblico. La
trascrizione dello spettacolo a opera di Romeo
Castellucci non è semplicemente descrittiva, ma tiene a
precisare lintera genealogia del segno che utilizza:
Sulla sua schiena sono dipinte due effe
di violino, alla maniera di Man Ray nel ritratto
fotografico a Kiki, che a sua volta riprendeva il dorso
della bagnante di Ingres (Epopea della polvere,
p. 174). (Senza dimenticare, a completare questa spirale
di segni, che nello spettacolo figura un personaggio
chiamato ...vskij, rimando a Staniskavskij,
che aveva interpretato proprio il ruolo di Cicerone nel Giulio
Cesare...)
Da un lato, anche in anni recenti, le affermazioni
programmatiche sono chiare:
Appiccare il fuoco allimmenso
e vacuo archivio della tradizione. (Epopea della
polvere, p. 84)
Compresi gli archivi delle avanguardie novecentesche -
che hanno il limite di aver semplicemente opposto una
forma della realtà allaltra. Il punto di partenza
è dunque la devastazione della forma e la puntuale
negazione delle forme della tradizione.
Ecco dunque che il re dei monologhi, Amleto, si
rivela un demente che emette suoni inarticolati e traccia
sul muro scritte elementari, lOrestea viene
portata in scena dal punto di vista di
Clitemntestra, il Giulio Cesare serve da
trampolino per decostruire i meccanismi della retorica: i
grandi monologhi shakespeariani vengono recitati da un
attore che sinfila nella narice con una sonda che
mostra le vibrazioni della laringe, da un attore che si
distorce la voce inalando elio, da un attore senza
laringe... Per culminare con una Genesi dove
Auschwitz è un coro di bambini in un universo di soave
biancore, posto a mezzo tra la nascita del potere
apocalittico della scienza moderna e a la sconcertante
lettura dellepisodio di Caino e Abele.
Sono solo gli esempi più clamorosi, le chiavi di
interpretazione inconsuete di questi grandi testi della
tradizione occidentale, ma nella lettura scenica
il ribaltamento è sistematico, puntuale, meticoloso.
Liconoclastia della Societas Raffaello Sanzio non
è però un gioco distruttivo fine a se stesso, uno
sberleffo contro un patrimonio svuotato di senso e di
necessità. Non si tratta solo di negare la tradizione,
ma di negare anche se stessi:
Come nella sintassi latina
una doppia negazione equivale a una condizione neutra,
così lapocalisse di siffatta figura è ora il
neutro, un neutro che rimane incoercibile al sistema
binario della tradizione. (Epopea della polvere,
p. 85)
Ovvero, liconoclastia viene, in definitiva,
per togliersi (Epopea della polvere, p. 85).
Tuttavia questa posizione rischia di scontrarsi con un
dato di fatto che genera un paradosso. In superficie (e
nelle dichiarazioni dintenti) è una scelta
clamorosamente a-storica, in cui latto creativo nel
presente si oppone a una tradizione vissuta come
monolitica, dalla nascita della tragedia alla morte (inevitabile)
delle avanguardie. Tuttavia la stessa evoluzione della
Societas Raffaello Sanzio, a cominciare con un lavoro desordio
dal titolo programmatico Diade incontro a Monade (1981),
finisce per costituire un fenomeno storico, segue un filo
evolutivo che è possibile ricostruire.
A questo si potrebbe opporre che si tratta semplicemente
della storia dei tentativi di uscire dalla storia e dalla
sua dialettica: ma finché la via duscita non viene
effettivamente trovata, si potrebbe rispondere, siamo
ancora nellambito della storia - anche se è in
questo caso è una storia del rifiuto della storia.
Infatti alla tradizione la Societas Raffaello Sanzio
finisce per contrapporre una contro-tradizione
altrettanto complessa e articolata - lunica
tradizione oggi possibile, proprio nella sua volontà di
disarticolare laltra, svellendo i suoi snodi,
riaprendo le sue giunture, terremotando le sue linee di
faglia. Spettacolo dopo spettacolo, questa sistematica
negazione finisce per sedimentare un vero e proprio
sistema, in grado di riscrivere alla fine di questa
epopea della polvere persino lalfa e lomega
della storia delluomo, la Genesi e lApocalisse.
E per di più una Apocalisse inscritta nella storia come
lOlocausto, che nellescatologia in
negativo della Societas Raffaello Sanzio pare
prendere il posto dellincarnazione in quella
cristiana.
A grandi linee, quello della Societas Raffaello Sanzio è
un sistema dichiaratamente anti-umanistico. Un qualunque
umanesimo presuppone la libertà dellessere umano,
un gioco che gli lasci la scelta tra un Bene e un Male.
La Societas Raffaello Sanzio conosce piuttosto (e soffre)
lirreversibilità degli atti e del destino umani.
Esclude la vertigine della libertà e si abbevera della
malinconia dellirrimediabile. (Una malinconia che
si può lenire attraverso la ripetizione - o la ripresa,
per utilizzare la terminologia kierkegaardiana prediletta
dalla Societas Raffaello Sanzio; e lo spettacolo teatrale
nella sua ripetibilità è larte della ripresa, un
fatuo esorcismo contro lirrimediabile.)
Di Dio, la Genesi assapora lassenza, fino
allultima goccia.
Il teatro è attraversato da
questo problema, dalla presenza di Dio, perché il teatro
nasce per noi occidentali, quando Dio muore. E
evidente che lanimale gioca un ruolo fondamentale
in questo ruolo tra il teatro e la morte di Dio. Nel
momento in cui lanimale sparisce dalla scena, nasce
la tragedia. Il gesto polemico che facciamo rispetto alla
tragedia attica è quello di riportare sulla scena lanimale
facendo un passo allindietro. (Epopea
della polvere, p. 271)
Ecco dunque la necessità di un teatro infantile
(...) pretragico (...) legato a una presenza o a una
potenza di tipo femminile (Epopea della polvere,
p. 271). Ecco per cominciare (e per farla finita) un Amleto
che dice no alla tragedia delle colpe che ricadono sui
figli richiudendosi in se stesso, cancellando i genitori,
rifiutando la rappresentazione e la dialettica, in un
autismo dove laffermazione viene fatta per
mezzo della ripetizione della domanda (Epopea
della polvere, p. 45). Ecco Masoch che si
sottopone alla legge del femminile, o al femminile che
diventa legge. Ecco lOrestea dalla
parte di Clitennestra, come una gran danza di morti
ma vissuta con la profonda nostalgia dellessere
animale caro a Franz Kafka: così il ciclo tragico
che segna la nascita della giustizia civile contrapposta
a quella del sangue, il battesimo della democrazia (compiutamente
e magistralmente portato in scena da Peter Stein qualche
anno prima), viene letto dal punto di vista
materiale (...) a rovescio, cioè secondo il punto di
vista invertito dellordine che sta cedendo; dellordine
che stava prima, allinizio; dellordine
matriarcale (Epopea della polvere, p. 158).
Ecco, in un Giulio Cesare che si conclude dentro
le rovine di un teatro bruciato, la negazione della
storia e della politica - e insomma proprio di quellazione
che la retorica vorrebbe innescare. Ecco, insomma,
gettate le basi per creare una teologia dellassenza
del divino e della paralisi (forse della fine?) della
storia.
Dio, come principio trascendente, avrebbe potuto essere (comera
stato allorigine) lestrema ancora del senso,
il fulcro intorno a cui centrare la danza delle parole e
delle cose, la spirale vertiginosa di significati e
significanti, che paiono scivolare luno sullaltro
allinfinito. Se la via della trascendenza conduce
al nulla, ecco allora che la Societas Raffaello Sanzio (che
oltretutto pare poco incline al monteismo, piuttosto al
panteismo o a un politeismo animistico) cerca lancoraggio
nellimmanente, nella materia del mondo - nei corpi,
nelle cose, negli animali. Nutre la fiducia che la realtà
risponda a un proprio ordine, che non sia solo caos.
Perché forse nellalternanza di vita e morte
risuona un ritmo che ci culla nella sua pienezza di senso.
Non è tanto una nostalgia di Dio, quanto una nostalgia
del divino, della sua palpabile presenza negli esseri.
E però questo ordine naturale del mondo ci appare
dolorosamente infranto per sempre, trafitto e travolto
dalla civiltà, dalla polis e dal flusso dialettico della
storia - la tragedia che è allorigine della
tragedia e del destino tragico delluomo. Allora lunica
possibilità di riscatto consiste in primo luogo nel
negare il divenire dialettico - anche nei suoi margini di
libertà; e poi nellassumere allinterno di un
ordine ricostituito anche tutta la potenza della morte e
del negativo che scandiscono il ritmo della natura. Il
teatro riesplode così in un Eden oscuro: lidillio
- il sogno dellorigine - si ribalta in un graffito
necrofilo.
Come abbiamo accennato, la storia della Societas
Raffaello Sanzio è punteggiata di dichiarazioni sullimpotenza
e sullinutilità della rappresentazione e del
teatro, vissuto come vizio e spreco di fronte alla
pienezza e alla potenza della vita - alla sua innocenza.
Al tempo stesso, quello stesso teatro è una denuncia
della ferita originaria inferta alla pienezza vitale -
che è poi quella della coscienza, della consapevolezza
di sé e del proprio divenire. Il teatro offre la
possibilità di rifare la realtà con la materia stessa
della realtà, e fa balenare il sogno di un mondo
indiviso, che possa assumere in sé anche la ferita della
morte.
Al culmine dellepopea della polvere, il
contrasto tra la creazione divina e la ri-creazione
artistica si cristallizza nella Genesi in una
doppia rivelazione. Da un lato denuncia lessenza
luciferina della creazione artistica, ma anche delle
scoperte scientifiche e della politica - e insomma di
ogni creazione autenticamente umana. Dallaltro si
esplicita la consapevolezza che anche il Male è opera di
Dio - di quel Dio pigro e assente che ci ha abbandonati.
(Anche perché nello spazio chiuso e autosufficiente
della scena, non esiste lorizzonte del Nulla, ma
solo la pienezza di un Essere carico di senso - dove ogni
elemento è significante).
In questa Genesi, la creatura è innocente - ma a
un prezzo: la perdita della libertà, e la consapevolezza
della propria colpa. Lartista-creatore può imitare
Dio, ma la sua fatica è patetica - un inno struggente,
che canta la nostalgia della pienezza originaria. Per
ritrovarla il teatro rinuncia alla tragedia - anzi, la
rifiuta in maniera esplicita, programmatica, ma è il suo
stesso scacco di fronte alla realtà a essere tragico e
insieme comico. Come la maschera di clown che
contrassegna Oreste e Pilade nellOrestea.
La nostra ultima speranza sta
nellingiustizia di Dio.
Nicolás Gómez Dávila, In margine a un testo
implicito
La trappola
Una risposta a Federica Fracassi sui giovani
di Renato Palazzi
Nello scorso numero di "ateatro", Federica Fracassi interveniva sull'eterno
problema dei giovani - prendendo spunto dall'intervento di Renato Palazzi sulla situazione del Crt-Teatro
dell'Arte di Milano (lo puoi trovare nel forum "Teatro di guerra"). Come sempre, la discussione è aperta.
Naturalmente ha ragione Federica Fracassi nel rivendicare il diritto di non essere eternamente etichettati come giovani
quando ci si sta ormai avviando a una fase della vita che può essere considerata di maturità sia artistica che anagrafica.
E’ vero che di questi tempi il concetto di giovinezza si va estendendo a dismisura, per cui si è visti come degli eterni apprendisti
fino almeno a quarant’anni, e una signora di cinquanta può essere tranquillamente definita una ragazza.
Ma mi rendo perfettamente conto che non è questa la risposta pertinente alla questione.
Il fatto è che questi gruppi dell’ultima - o è già penultima? - generazione non si sa davvero come chiamarli. Forse andrebbero
indicati come teatro di ricerca tout court: ma c’è il rischio di confonderli con un’area eterogenea che spazia almeno dagli anni Settanta a oggi,
con la quale non mi sembra che le realtà più recenti abbiano molto a che fare, e neppure che vogliano avere a che fare, data la loro nota posizione
di rifiuto di maestri e precedenti. Forse un termine più appropriato sarebbe nuovi gruppi, ma i molti attivi da qualche anno non sono certo nuovi,
e l’immagine che se ne darebbe risulterebbe quindi anche più errata e limitante. Allora è chiaro che quello di “giovani” è un concetto
(giornalisticamente) assai comodo se in tale prospettiva gli si attribuisce una valenza non biografica ma estetica e culturale, per segnare un divario,
uno scarto rispetto ai Tiezzi, ai Barberio Corsetti, ai Martone.
Quindi, può anche essere vero che, trascinato dai toni della polemica, io sia caduto in una trappola, ma l’ho fatto senza alcun intento paternalistico,
e lo dico con assoluta convinzione: lungi da me l’idea di sminuire il valore di singole proposte che magari, prese a sé, ho anche recensito con grande favore.
A lasciarmi perplesso è semmai un criterio di programmazione nel suo insieme. Dunque, attenzione!, perché forse le vere trappole - in cui è più facile cadere -
sono quelle di chi ti ospita, ti accoglie nel suo teatro, costruisce sui tuoi spettacoli la sua stagione, e all’apparenza non ti etichetta e a parole ti sostiene e ti valorizza,
ma poi ti individua nei fatti come appartenente a un’area definita, e lì ti colloca senza mescolarti o alternarti con altri tipi di proposte,
senza darti l’effettiva possibilità di arrivare a un pubblico diverso, di crescere nel confronto con realtà nazionali o internazionali più affermate.
Tutto questo, per giunta, nella logica di un calendario veramente frammentario, il cui metodo delle tre o quattro repliche suona incongruo
in una città come Milano, dove - se davvero credi in una proposta, se davvero vuoi imporla all’attenzione - devi farla vedere per un paio di settimane
almeno perché la gente se ne accorga, perché gli stessi addetti ai lavori trovino il tempo di dedicarle una serata.
E tutto questo in una sede che è palesemente fatta per accogliere produzioni di tutt’altre dimensioni e con tutt’altro numero di attori,
con balconata e palcoscenico all’italiana, una sede che un tempo accoglieva le Tre sorelle di Krejca o le venticinque attrici delle Troiane
di Thierry Salmon, e dove certi “studi”, certi spettacoli non proprio destinati al grande pubblico rischiano di risultare fuori luogo,
al tempo stesso spiazzanti e spiazzati.
Allora, tornando alla domanda di prima, vorrei chiedermi e chiedere di nuovo: qual è la vera trappola?
In viaggio verso Kabul
In anteprima un brano di Homebody/Kabul,
il nuovo testo di Tony Kushner
Stava lavorando a un testo sull'Afghanistan molto prima dell'11
settembre, Tony Kushner. Da anni era ossessionato da quello che
stava accadendo nel paese asiatico, e così nel 1997, quando una
sua amica, l'attrice londinese Kika Markham, gli ha chiesto un
monologo, ha risposto: "Bene, scriverò un testo sull'Afghanistan".
Poi (oltre che il monologo presentato a Londra dalla Markham nel
1999) ne è venuto fuori un testo di tre ore, con 12 personaggi,
ambientato tra il 1988 e il 2000, in scena dal 19 dicembre al
Theatre Workshop dell'East Village di New York.
Per certi aspetti, l'autore di Angels in America (1993-1994),
il più importante testo teatrale sulla tragedia dell'Aids,
vincitore del Premio Pulitzer, tradotto in Italia da Ubulibri, ha
avuto lampi profetici: per esempio, uno dei personaggi, una donna
perseguitata dai talebani, a un certo punto si lamenta per il
sostegno dato dagli Stati Uniti agli studenti coranici, e poi
osserva: "Beh, non vi preoccupate, stanno per arrivare a New
York!".
Qui di seguito, un frammento del monologo iniziale, pubblicato
sul "New York Times" il 5 gennaio scorso. A parlare è
Homebody, una signora inglese di mezza età, comodamente seduta
nella sua casa londinese. Sta leggendo un libro.
"Our story begins at the very dawn of history, circa 3000 B.C.
. . ."
(Interrupting herself:)
I am reading from an outdated guidebook about the city of
Kabul. In Afghanistan. In the valleys of the Hindu Kush mountains.
A guidebook to a city which we all know, has - undergone change .
. .
(She looks up from the guidebook.)
Several months ago I was feeling low and decided to throw a
party and a party needs festive hats. . . .
I had seen these abbreviated fezlike pillboxy attenuated
yarmulkite millinerisms, um, hats, I'm sorry I will try to stop,
hats, yes, in a crowded shop . . . which I must have passed and
mentally noted on my way towards God knows what, who cares, a
dusty shop crowded with artifacts, relics, remnants, little
doodahs of a culture once aswarm with spirit matter, radiant with
potent magic the disenchanted dull detritus of which has washed
up upon our culpable shores, its magic now shriveled into the
safe container of aesthetic, which is to say, consumer appeal.
You know, third world junk. As I remember, as my mind's eye saw,
through its salt crust, Afghan junk. That which was once Afghan,
which we, having waved our credit cards in its general direction,
have made into junk. . . .
I select 10 hats, thread my way through the musty heaps of swag
and thrown-away and off-cast and Godforsaken sorry sorry through
the merchandise to the counter where a man, an Afghan man, my age
I think, perhaps a bit older, stands smiling eager to ring up my
purchases and make an imprint of my credit card, and as I hand
the card to him I see that three fingers on his right hand have
been hacked off, following the line of a perfect clean diagonal
from middle to ring to little finger, which, the last of the
three fingers in the diagonal cut's descent, by, um, hatchet
blade? was hewn off almost completely - like this, you see?
(She demonstrates.)
But a clean line, you see, not an accident, a measured
surgical cut, but not surgery as we know it, for what possible
medicinal purpose might be served? I tried, as one does, not to
register shock or morbid fascination, as one does my eyes
unfocused my senses fled startled to the roof of my skull and
then off into the ether like a rapid vapor indifferent to the
obstacle of my cranium WHOOSH, clean slate, tabula rasa, terra
incognita, where am I yet still my mind's eye somehow continuing
to record and detail that poor ruined hand slipping my MasterCard
into the, you know, that thing, that roller press thing which is
used to - never mind. Here, in London, that poor ruined hand.
Imagine.
I know nothing of this hand, its history, of course, nothing. . .
.
(She reads from the guidebook.)
"The mighty Mogul emperors, who came to rule the Hindu
Kush and all of India, adored Kabul and magnified and exalted it.
By the 18th century the Moguls, ruling from Delhi and Agra,
succumbed to luxury" - that's what it says, they succumbed
to luxury. "Modern Afghanistan is born when, in 1747,
theretofore warring Afghan tribal chiefs forge for themselves a
state, proclaiming Ahmed Shah Durrani, age 25, king of the
Afghans."
(She looks up from the guidebook.)
And so the Great Game begins. The Russians seize Kazakhstan,
the British seize India, Persia caves in to the Russians, the
first Anglo-Afghan war is fought, the bazaar in Kabul is burnt
and many many people die, Russia seizes Bokhara, the second Anglo-Afghan
war, the First World War, the October Revolution, the third Anglo-Afghan
War, also known as the Afghanistan War of Independence,
Afghanistan sovereignty first recognized by the Soviet Union in
1921, followed by aid received from the Soviet Union, followed by
much of the rest of the 20th century, Afghanistan is armed by the
U.S.S.R. against the Pakistanis, the U.S. refuses assistance,
militant Islamic movements form the seed of what will become the
mujahedeen, the U.S. begins sending money, much civil strife,
approaching at times a state of civil war, reaction against
liberal reforms such as the unveiling of and equal rights for
women, democratic elections held, martial law imposed, the Soviet
Union invades, the mujahedeen are armed, at first insufficiently,
then rather handsomely by the U.S., staggering amounts of
firepower, some captured from the Soviets, some purchased, some
given by the West, missiles and antiaircraft cannon and etc. etc.,
the Soviets for 10 years do their best to outdo the Hephthalites
in savagery, in barbarism, then like so many other empires
traversing the Hindu Kush, the U.S.S.R. is swept away, and now
the Taliban, and . . . Well.
(She closes the guidebook and puts it down.)
Afghanistan is one of the poorest countries in the world.
With one of the world's most decimated infrastructures. No
tourism. Who in the world would wish to travel there? In
Afghanistan today I would be shrouded entirely in a burka, I
should be subject to hejab, I should live in terror of the sharia
hudud, or more probably dead, unregenerate chatterer that I am.
While I am signing the credit card receipt I realize all of a
sudden I am able to speak perfect Pashto, and I ask the man . . .
to tell me what had happened to his hand. And he says:
I was with the mujahedeen, and the Russians did this. I was with
the mujahedeen, and an enemy faction of mujahedeen did this. I
was with the Russians, I was known to have assisted the Russians,
I did informer's work for Babrak Karmal, my name is in the files
if they haven't been destroyed, the names I gave are in the files,
there are no more files, I stole bread for my starving family, I
stole bread from a starving family, I profaned, betrayed,
according to some stricture I erred and they chopped off the
fingers of my hand. Look, look at my country, look at my Kabul,
my city, what is left of my city? The streets are as bare as the
mountains now, the buildings are as ragged as mountains and as
bare and empty of life, there is no life here only fear, we do
not live in the buildings now, we live in terror in the cellars
in the caves in the mountains, only God can save us now, only
order can save us now, only God's law harsh and strictly
administered can save us now, only the Department for the
Promotion of Virtue and the Prevention of Vice can save us now,
only terror can save us from ruin, only never-ending war, save us
from terror and never-ending war, save my wife they are stoning
my wife, they are chasing her with sticks, save my wife save my
daughter from punishment by God, save us from God, from war, from
exile, from oil exploration, from no oil exploration, from the
West, from the children with rifles, carrying stones, only
children with rifles, carrying stones, can save us now. You will
never understand. It is hard, it was hard work to get into the U.K.
I am happy here in the U.K. I am terrified I will be made to
leave the U.K. I cannot wait to leave the U.K. I despise the U.K.
I voted for John Major. I voted for Tony Blair. I did not, I
cannot vote, I do not believe in voting, the people who ruined my
hand were right to do so, they were wrong to do so, my hand is
most certainly ruined, you will never understand, why are you
buying so many hats?
Tre voci dalla ex Iugoslavia
Per il dossier Teatro di guerra della rivista "Hystrio"
a cura di Mimma Gallina
Ho chiesto ad alcuni amici della ex
Yugoslavia qualche considerazione su teatro e guerra oggi, se e
come quell'esperienza - diretta e totale: ben diversa dalla
nostra, per quanto angosciosa ne sia oggi anche per noi la
percezione - influenza tuttora i testi e le messe in scena, il
pubblico, il sistema teatrale, il lavoro di ciascuno.
Mi sembra significativo che - a fronte di un tam-tam abbastanza
vasto - i più disponibili a riflettere sull'argomento si siano
rivelati gli autori (che peraltro, come spesso in questi paesi,
sono coinvolti nel teatro anche ad altri livelli: critica,
organizzazione, regia). Sono infatti molto interessanti gli esiti
della ricerca drammaturgica applicata alla guerra, molto più dei
risultati scenici, e meriterebbero da parte nostra una politica
di traduzione e diffusione dei testi più attenta (spero che Mittelfest
in futuro potrà impegnarsi di più in questo campo). Quello che
mi ha colpito in questi anni - da spettatore occidentale - è da
un lato la capacità di misurarsi con il "realismo" (intendo
il coraggio di guardare l'argomento "dall'interno",
dove noi tendiamo a farne metafora), dall'altro di rapportarsi ad
alcuni generi o sottogeneri classici della commedia e della farsa,
fino quasi a reinventarli (ridere, o fare commedia brillante
della guerra e delle tragedie connesse è proprio una cosa che il
nostro complesso di colpa ci impedisce di fare).
La guerra è e resta "materia calda in teatro perché realtà
calda nella vita", un'esperienza da cui non si può
prescindere ma, se pure la collaborazione fra i diversi paesi è
ripresa con una significativa circolazione di artisti (e si ha
oggi la sensazione che la gente di teatro della ex Yugolsavia sia
tornata a costituire in qualche modo una comunità) è anche un 'contesto"
da cui affrancarsi, e in cui noi - gli europei occidentali -
continuiamo in qualche modo a ghettizzare i colleghi serbi,
croati, bosniaci, macedoni. Del resto anche l'emozionante
esperienza del Teatro di Guerra di Sarajevo, è stata un modo per
uscirne: il teatro per affermare che si doveva parlarne (della
guerra), ma anche che si poteva e doveva parlare d'altro.
Riportiamo le testimonianze di 3 autori e un testo breve.
Slobodan Snajder è nato nel '48 a Zagabria ed è uno dei
più noti drammaturghi croati (è anche giornalista e saggista),
molto rappresentato in Germania e in Austria, è stato all'estero
durante tutto il periodo di Tudjman e oggi, rientrato, dirige il
teatro ZKM.
Zanina Mircevska, 34 anni, drammaturga macedone (ma anche
attivamente impegnata nella messa in scena), ha al suo attivo
numerosi titoli, rappresentati in tutta la ex Yugoslavia. Il suo
microdramma Due mondi è stato prodotto da Mittelfest nel
2001 nell'ambito del progetto 10 anni in Europa e
rappresentato a Cividale, Udine e Trieste.
Darko Lukic, di poco più anziano, è nato a Sarajevo ed
è drammaturgo (rappresentato soprattutto in Bosnia e Croazia),
critico e organizzatore. Lavora in Croazia, dove è direttore del
teatro &td di Zagabria e del festival di Fiume.
Per quanto riguarda la Bosnia, "ateatro" ha già
pubblicato il microdramma senza parole Playback Sevdalinka
(a sua volta prodotto e rappresentato da Mittelfest) del
trentenne Almir Imsirevic': nella Sarajevo di guerra, i
suoni del quotidiano straordinario falsano ogni prospettiva
realistica; ci si chiede se per questa generazione una vita
normale sarà mai più possibile.
(m.g.)
Slobodan Snajder
Lesperienza di guerra è unesperienza totale;
influenza tutti gli aspetti della vita. Per esempio, la sicurezza
personale e la libertà di movimento esclude gli uni dagli altri:
è stata unesperienza drammatica, soprattutto per gli
uomini di una certa età, sentirsi dire che non erano più
autorizzati a vivere in una città o in un paese. Il socialismo
iugoslavo, paragonato con il "socialismo reale" del
blocco sovietico non ha posto limiti ai movimenti della gente. Io
ho avuto il passaporto fin dalletà di 10 anni. E ho
verificato di persona quanto fosse grave vedere mia figlia, a 10
anni, correre via da scuola, con il suo zaino sulle spalle per
raggiungere un rifugio contro gli attacchi aerei. A Zagabria, nei
rifugi, la gente fraternizzava sotto gli allarmi, sperimentando
la propria vicinanza in un modo nuovo; ma di questi vicini,
qualcuno è stato escluso, è fuggito, è stato perfino ucciso.
Così per me è stata allo stesso tempo unesperienza di
divisione tragica e di una certa nuova solidarietà fra la gente
in pericolo: unesperienza mista, scissa allinterno.
Avevamo un forte teatro politico nellex Iugoslavia, le
nostre produzioni avevano mostrato molti possibili cambiamenti e
rischi: erano piccoli laboratori antropologici in cui studiare
catastrofi in piccola scala, a basso costo e senza vittime.
Sfortunatamente, nonostante il teatro avesse un pubblico vasto,
non ha aiutato nessuno a raggiungere una comprensione completa di
quello che stava succedendo. Ora, riunendo i frammenti in una
sorta di feed-back, vedo quanto fosse ricca e corretta questa
capacità di penetrazione. In qualche modo diffuso noi sapevamo,
noi, intendo, la gente del teatro iugoslavo. Noi sapevamo meglio
degli altri artisti. Lesperienza totale della guerra ha
prodotto stati totalitari, come è stata la Croazia sotto Tudjman
e la Serbia sotto Milosevic. Non è stato un tempo felice per larte.
Molti e importanti artisti sono emigrati, qualcuno di loro ha
trovato le strade dellemigrazione interna.
La popolazione delle città ha cambiato la propria struttura,
sono passati e ci sono ancora, molti rifugiati. Sono persone
esistenzialmente a rischio, e di solito non hanno interesse per
la cultura e le arti, non almeno come intendiamo normalmente. Lo
stato ha perseguito esigenze di propaganda (siamo stati spinti
indietro, al XIX secolo: per esempio grandi opere romantiche sul
risveglio nazionale e simili, una sorta di teatro neobarocco
naturalmente senza nessun fascino). E, come sempre, ha fatto in
modo di trovare centinaia di "artisti" con cui
sostituire quelli che erano andati via... Una repressione
ideologica contro quelli che non volevano far parte del
meccanismo di odio è stato così attuata con laiuto dei
colleghi - niente di nuovo, naturalmente.
Il mio lavoro professionale è stato naturalmente molto
influenzato da questa esperienza, alla fine, io stesso sono
emigrato per quasi un decennio. Non sono stato rappresentato
nella mia lingua per lo stesso periodo. Per un artista drammatico
è forse peggio che per un pittore. Ho cercato di scrivere alcune
pièces, sforzandomi di restare un autore teatrale Croato, almeno
per quanto riguarda la lingua. Il cambiamento del quadro politico,
dopo le elezioni allinizio del 2000, mi ha fatto rientrare.
Ora dirigo un teatro di prosa a Zagabria, lo ZKM (Zagrebacko
Kazaliste Mladih, il teatro dei giovani di Zagabria). Il mio
programma è riportare indietro gl artisti che sono emigrati nel
periodo di Tudjman, come una grande star del cinema e del teatro
croato, Mira Furlan, che ha fatto carriera a Hollywood.
Nel marzo 2002, produrremo una commedia di Damir Sodan, Zona
protetta, sulla guerra in Bosnia. E un testo un po
pazzo, una specie di dark comedy, che combina componenti
della commedia di caratteri e della situation comedy.
Parla realmente di noi, ed è molto amara. Mostra quanto sia
difficile dividere qualcosa di così mescolato alla vita: la
Bosnia non poteva e non avrebbe dovuto essere divisa nelle
famigerate etnie...
In qualche modo la vita è alla fine più forte dellideologia
e dei nazionalismi. La vita è più fondamentale del
fondamentalismo, etc. Noi siamo davvero molto coinvolti in questo
lavoro , cui partecipa tutto lensemble del teatro (26
attori oltre a 6 allievi dellAccademia), lo dirige il
famoso regista e autore sloveno Dusan Jovanovic.
(Vieni) Venite a vederlo!
Zanina Mircevska
In questa stagione, sul palcoscenico del Teatro Drammatico di
Skopje, sarà realizzata la mia ultima commedia, Esperancia.
La trama riguarda un grande criminale di guerra che viene
riconosciuto sulla nave trans oceanica esclusiva di linea, Esperanciai
cui passeggeri sono fra i VIP più in vista del jet set europeo.
Dopo una segnalazione del capitano della presenza a bordo di
questo criminale di guerra, un'azione militare massiccia viene
messa in atto da forze multinazionali contro la nave "esclusiva".
Inaspettatamente, anzicchè arrestare il criminale di guerra, le
forze militari lo salvano, distruggono e affondano Esperancia,
e spediscono tutti i clienti VIP sul fondo del mare, con lo scopo
che non un solo testimone rimanga.
Come è possibile ciò? Perché? A quale fine? Questa azione
delle forze militari rimane inspiegabile per ogni mente sana.
Resta come uno dei segreti neri di questo mondo.
Il crimine di guerra non è un segreto. E' chiarissimo di cosa si
tratta. Ciò che resta inspiegabile e segreto è perché non è
sempre punito nel modo giusto.
Esperancia è una farsa sulle reazioni sbagliate (lente,
torbide, deboli) al crimine di guerra, sull'atrocità sminuita o
del tutto impunita.
E' un disastro e una vergogna mondiale che meno di 30 persone
siano state giudicate fino ad oggi all'Aja, dopo tutti i massacri
che sono successi sul territorio dell'ex Yugoslavia.
La guerra è un soggetto caldo in teatro perché e un fatto caldo
della vita. Putroppo, sembra che andrà così per sempre. La
tragedia è che gli esseri umani non imparano niente da nessuna
esperienza di guerra.
Darko Lukic
Anche se ora è passata e abbiamo avuto qualche anno di pace, la
vita teatrale resta influenzata in molti differenti aspetti dalla
guerra che c'è stata. In primo luogo succede (ma non è così
importante e non avviene troppo spesso) che temi legati alla
guerra e al dopoguerra siano presenti nella scrittura teatrale
croata contemporanea e sulle scene. Più spesso sono temi e
problemi sociali, direttamente o indirettamente connessi con la
guerra, che interessano gli autori e il teatro.
La collaborazione fra i teatri di Bosnia, Croazia e Iugoslavia è
ripresa ed è diventato abbastanza normale scambiarsi spettacoli
e artisti. Dal punto di vista politico e diplomatico le relazioni
si stanno normalizzando (anche se restano tensioni e problemi
aperti), e il teatro segue questa strada e spesso la anticipa.
Ma siamo ancora influenzati dall'atmosfera di guerra. Da un lato,
nel rapporto con i festival e i teatri europei, ci si chiede e
quasi sempre ci si aspetta da noi che si parli di guerra e la si
presenti in qualche modo in palcoscenico, e il nostro lavoro
teatrale è presentato come parte di questo contesto. Dall'altro
lato, c'è il desiderio degli artisti croati di fuggire da questo
schema e di vivere il passato come passato, esplorando altre e
diverse sfide e temi nel loro lavoro.
Secondo me, una delle influenze più importanti della guerra oggi,
sta proprio in questo: ci sentiamo estremamente frustrati dal
fatto che i teatri e i festival internazionali ci prendono in
considerazione come parte di un contesto politico, anzicchè come
persone e spettacoli.
Il tema della riconciliazione ad esempio (fra quelli più
direttamente collegati con la guerra), è di solito più
importante per considerare e giudicare il teatro croato, che il
reale valore dei testi e degli spettacoli e il livello artistico
delle produzioni. Questa è la ragione per cui la maggior parte
degli artisti si sente frustrata: perché in qualche modo sembra
che non ci sia permesso di finire la guerra, e che non ci sia
interesse per noi al di fuori di questo contesto, per un pubblico
che della guerra non ha esperienza diretta.
I microdrammi di Snajder, Mircevska e Imsirevic sono
pubblicati a cura di Mittelfest nell'ambito di 1991-2001:
DIECI ANNI IN EUROPA. 20 MICRODRAMMI di Ismail Kadaré,
George Tabori, Aleksej Dudarev, Almir Imsireviæ, Elin Rahnev,
Vaclav Havel, Slobodan Snajder, Claudio Magris, Edoardo Erba,
Zanina Mircevska, Dumitru Crudu, Artur Grabowski, Mircea Cãrtãrescu,
Viliam Klimcek, Matjas Berger e Ivan Peternelj, Jaroslav Vereak,
Peter Eszterhazy, Biljana Srbljanovic, Lorenzo Vignando, ed.
Franco Angeli (per informazioni Mittelfest@libero.it)
London Calling
di Francesca Lamioni |
THE
CENTRAL SCHOOL OF DRAMA AND SPEECH
Londra conta un numero cospicuo di scuole di teatro. La
principale in assoluto è la RADA (Royal Academy of Dramatic Arts)
con ottime referenze e prezzi proibitivi. Esistono però altre
realtà interessanti: Lamda (con limite di 25 anni di età per
iscriversi), The Poor School, The Academy Drama School (che a
differenza di altre durano solo due anni) e la Central School of
Drama and Speech.
La Central è una scuola di buon livello e prezzi accettabili.
Dura tre anni e offre la possibilità di corsi preparatori allaudizione
e post diploma. Il corso principale per attori professionisti è
riconosciuto dal National Council for Drama Training : il fine
del corso è quello di esplorare ed incrementare il potenziale
creativo degli studenti attraverso un programma ben strutturato
di lavoro sulla recitazione, la voce ed il movimento.
Apprendimenti complementari e necessari sono la determinazione, lautodisciplina,
labilità di prendersi piena responsabilità nel proprio
lavoro, la capacità di lavorare in gruppo e di supportarsi
a vicenda.
Ogni anno tende a sviluppare uno dei singoli aspetti: il primo
anno esplora le naturali inclinazioni e i talenti degli studenti
cercando di applicarli agli spettacoli rappresentati alla fine di
ogni trimestre. Durante il secondo anno gli studenti prendono
dimestichezza e acquistano fiducia nelle loro capacità creative
e nella loro capacità di apprendimento. Lultimo anno serve
a consolidare il lavoro degli anni precedenti ed è finalizzato
alla preparazione professionale di spettacoli a cui saranno
presenti agenti, casting directors, manager di produzione. Gli
studenti apprendono anche lapplicazione delle loro tecniche
ai mezzi televisivo e radiofonico. La tecnica radiofonica viene
espressa nella Carleton Hobbs Radio Competition, ai vincitori
della quale viene offerto un contratto di sei mesi con la BBC
Radio Drama Company. Nel 1999 hanno vinto gli studenti della
Central.
Si sono diplomati (fra gli altri) alla Central School of Drama
and Speech: Joss Ackland, Alun Armstrong, Peggy Ashcroft, Claire
Bloom, Jim Cartwright, Julie Christie, Judi Dench, Amanda Donohoe,
Lindsay Duncan, Christopher Eccleston, Jennifer Ehle, Michael
Elphick, Rupert Everett, Michael Feast, Jonathan Firth, Jerome
Flynn, Scott Handy, Sara Kestleman, Cherie Lunghi, Susan Lynch,
Virginia Mc.Kenna, Kate Nelligan, Lord Olivier, Richard Pasco,
Neil Pearson, Harold Pinter, James Purefoy, Lynn Redgrave,
Vanessa Redgrave, Julian Rhin-Tutt, Natasha Richardson, Linus
Roache, Steve John Shepherd, Josette Simon, Stephen Tompkinson,
Zoe Wanamaker, Kevin Whately, Lucy Whybrow.
Esiste la possibilità di ottenere premi e borse di studio per
partecipare alla scuola, per informazioni chiamare il Performance
Department 020 7559 3952/3919
fax 020 7559 3917 email: performance@cssd.ac.uk
LAudizione
Requisiti richiesti dalla commissione :
una mente curiosa e ricettiva
una voce e un corpo flessibili
la capacità di partecipare attivamente in un gruppo
la capacità di comprendere e dare vita a d un testo
la capacità di ritrarre ed abitare un mondo immaginario
I candidati devono essere preparati a rappresentare :
due brani dalla lista dei classici
un brano di due minuti tratto da un testo contemporaneo (scritto
dopo il 1960)
BRANI
Uomini
King Richard III (Act 1 sc. 2)
KING RICHARD III: Was ever woman
some little cost
Romeo and Juliet (Act 2 sc. 2)
ROMEO: But soft was light
cheek
Macbeth (Act 3 sc. 2)
MACBETH: To be thus is nothing
utterance
Macbeth (Act 1 sc. 2)
LEONTES: Gone already
feel it not
The winters Tale (act 1 sc. 2)
ANGELO: Whats this? Whats this
I smiled
and wondered how
King Lear (Act 2 sc. 3)
EDGAR: I heard myself proclaimed
Edgar I nothing am
Henry IV part ii (Act 1 sc. 3)
PRINCE HAL: I know you all
men think least I will
Hamlet (Act 3 sc. 4)
HAMLET: Look here upon this picture
O shame, where is
thy blush?
Romeo and Juliet (Act 3 sc. 3)
ROMEO: Tis torture and not mercy
that word banished?
The Duchess of Malfi (Act 4 sc. 2)
FERDINAND: Let me see her face again
thou hast done
much ill well
The White Devil (Act 3 sc. 2)
MONTICELSO: Shall I expound whore
all that receive it
Hamlet (Act 1 sc. 2)
HAMLET: O that this too too solid flesh
hold my
tongue
Donne
The Merchant of Venice (Act 3 sc. 2)
PORTIA: I pray you tarry
to stay from election
King John (Act 3 sc. 2)
CONSTANCE: Gone to be married!
Whether thy tale be
true
King Henry VI part iii (Act 1 sc. 1)
QUEEN MARGARET: Enforced thee
well after them
King Henry VI part iii (Act 1 sc. 4)
QUEEN MARGARET: Brave warriors
to make thee mad do
mock thee thus
Henry VI part I (Act 5 sc. 4)
PUCELLE: First let me tell you
at the gates of Heaven
Henry VI part ii (Act 2 sc. 3)
LADY PERCY: O yet, for Gods sake
so you left
him
Julius Caesar (Act 2 sc. 1)
PORTIA: Youve ungently, Brutus
with your cause
of grief
Romeo and Juliet (Act 3 sc. 2)
JULIET: Gallop apace
may not wear them
Hamlet (Act 2 sc. 1)
OPHELIA: My lord, as I was sewing
comes before me
e poi He took me by the wrist
bended their light on
me
Troilus and Cressida (Act 3 sc. 2)
CRESSIDA: Hard to seem won
stop my mouth
King Lear (Act 1 sc. 3)
GONERIL: By day and night he wrongs me
prepare for
dinner
Cymbeline (Act 3 sc. 6)
IMOGEN: I see a mans life is a tedious one
such
a foe, good heavens!
I candidati devono dimostrare di conoscere lintera opera.
Sono consigliati abiti comodi.
La Central School propone altri tipi di corsi:
Pratica teatrale (tre anni)
(set design, scenic art, scenic construction, technical stage
management, costume design, costume construction, prop making,
puppetry, stage management, production lighting, lighting design,
production sound, sound design, alternative theatre forms)
Gli studenti devono avere una preparazione generale di Art and
Design.
Circus (due anni)
Lo spazio è locato nel centro di Londra in una ex stazione
elettrica in Hoxton.
Gli studenti apprendono tecniche di trapezista, clown, giocoliere,
equilibrista.
Per lammissione è necessaria sia unaudizione che un
colloquio.
Drama and Education (tre anni)
Questo corso è finalizzato allinsegnamento della
drammaturgia presso le strutture sociali, oltre che a
incrementare la padronanza delle tecniche già apprese nel corso
di recitazione. Gli studenti saranno coinvolti nel progetto di
creare una situazione teatrale in loco ( centri artistici, scuole,
programmi culturali televisivi, teatri).
World Theatre Field (tre anni)
La scuola, in collaborazione con la South Bank University, offre
la possibilità di apprendere tecniche teatrali di altri paesi.
Il corso permette di dare uno sguardo globale sul modo di fare
teatro , attraverso lesplorazione, il confronto, le
similitudini e le differenze delle espressioni teatrali e delle
rappresentazioni rituali di una vasta gamma di tradizioni
culturali di tutto il mondo.
Vi sono inoltre i corsi post diploma:
Musical Theatre (un anno) teso allapprofondimento
delluso della voce, del movimento, della musica
Pratica teatrale avanzata (un anno) offre lopportunità
pratica di creare e produrre nuovi teatri e spettacoli
Diploma in Terapia teatrale e del movimento (un anno) in
collaborazione col Sesame Institute, al fine di creare terapisti
in grado di lavorare presso strutture sociali. Il corso è
riconosciuto dal Dipartimento della Salute, dalla British
Association for Dramatherapists e dal Council for the Professions
Supplementary to Medicine. Il corso è riservato a studenti
maggiori di 23 anni in possesso di una qualifica artistica o
psicologica e con una consistente esperienza personale e
professionale.
Certificato di insegnante di teatro (un anno) prevede un
intenso training presso le scuole
Certificato di insegnante di media per insegnare luso
dei media a ragazzi fra gli 11 e i 18 anni
Diploma in Art and Design si focalizza molto sulla capacità
di analisi critica e di percezione visiva
I corsi estivi durano pochi giorni e sono finalizzati a
soddisfare varie esigenze:
preparare laudizione
approfondire la conoscenza dellopera di Shakespeare
far fare teatro a ragazzi fra i 14 e i 18 anni
migliorare la voce, laccento, la capacità di parlare in
pubblico
The Central School of Drama, Swiss College Site, The Embassy
Theatre, 64 Eton Avenue, London NW3 3HY
Tel. 020 7722 8183
fax: 020 7722 4132
Appuntamento al
prossimo numero.
Se vuoi scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it
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