ateatro
speciale
a(tecno)teatro
numero 13 - 15 giugno
2001
a cura di Oliviero
Ponte di Pino
INDICE
Ancora
su teatro e web
Nel
numero 12 di "ateatro" Anna Maria Monteverdi ha aperto il dibattito sul
possibile rapporto tra teatro e web, partendo dal lavoro di Giacomo Verde.
La discussione è stata rilanciata su "tecnoteatro", e si è
immediatamente infiammata. Credo sia utile mettere a disposizione di tutti
gli interventi giunti finora, in attesa dei nuovi contributi già
annunciati, che cercherò di pubblicare al più presto (fermo
restando che alcune problematiche, per esempio quella del virtuale, finora
sono state appena sfiorate).
La
scena può avere una connessione remota? di Carlo Infante
InternetTheatre
di Pericle Salvini
Nicoletta Robello
Mariano
Equizzi
mgb
a rpd (tre lettere di Maia Giacobbe Borelli a Roberto Paci Dalò)
Un'impressione,
solo un'impressione
per
Massimo Munaro in occasione di Opera Prima 2001
di
Oliviero Ponte di Pino
Comunicazioni di servizio
Nel forum Segnalazioni
sono online, tra l'altro, l'annuncio della presentazione del libro di Mimma
Gallina Organizzare teatro (il 20 aprile,
ore 18, alla Civica Scuola d'Arte Drammatica di Milano), il programma di
Opera
Prima a Rovigo, a quello di Santarcangelo,
quello del Mittelfest di Cividale eccetera.
Insomma, se avete altre manifestazioni da segnalare, usatelo.
Tra l'altro "olivieropdp"
ha ricevuto alcune richieste di info su seminari, corsi, workshop estivi:
alcuni sono rimbalzati nel forum Aiuto!!!
(ma se ne conoscete altri...)
Parlare di pupi
in
un numero di "ateatro" dedicato in gran parte al rapporto teatro-web potrebbe
sembare bizzarro. Lo è un po' meno, se si pensa che burattini e
marionette sono una delle prime incarnazioni del '"virtuale" e che il monitor
televisivo ha la stessa struttura e forma e struttura di un teatro di burattini.
(Per ricostruire qualche tassello mancante della genealogia, vedi la mostra
Automi,
marionette e ballerine nel Teatro d'avanguardia. Depero, Taeuber-Arp, Exter,
Schlemmer, Morach, Schmidt, Nikolais, Cunningham, cura di Elisa
Vaccarino con la consulenza di Gabriella Belli e Brunella Eruli, al MART
di Trento, 1 dicembre 2000-18 marzo 2001; il catalogo è edito da
Skira).
Pupi,
dunque: per dire che il 18 maggio 2001 il direttore generale dell'UNESCO
ha proclamato 19 forme di espressione e spazi culturali "Capolavoro
del Patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità". Tra queste
forme, vi è - appunto - l'Opera Pupi Siciliani.
Sul sito dell'UNESCO,
è disponibile un'ampia documentazione sull'evento e sui "Capolavori
del Patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità". (Se siete interessati,
per l'UNESCO patrimonio orale e immateriale è "l'insieme
delle creazioni emananti da una comunità culturale fondate sulle
tradizioni espresse da un gruppo o dagli individui e riconosciute come
rispondenti alle attese della comunità in quanto espressione dell'identità
culturale e sociale di essa; i suoi standard e valori sono trasmessi oralmente,
per imitazione o in altro modo. Le sue forme comprendono tra l'altro la
lingua, la letteratura, la musica, la danza, i giochi, la mitologia, i
riti, gli usi ed il saper fare dell'artigianato, dell'architettura e delle
altre arti. Oltre a questi esempi, vengono prese in considerazione anche
le forme tradizionali di comunciazione e di informazione". La prossima
designazione è prevista per il 30 giugno 2003).
Chi volesse documentarsi
su pupi, burattini e marionette ha da qualche tempo a disposizione un nuovo
strumento: un cd-rom (realizzato all'interno del progetto di ricerca PUPMUS,
nell'ambito del programma "Raffaello" della Commissione Europea) che documenta
i materiali presenti in 4 musei europei: il Museo
Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino di Palermo, l'Institut
International de la Marionette di Charleville Mézières,
The International Puppet Theatre Museum di Stoccolma e la Fondation Toone
VII di Bruxelles. E' possibile acquistare il cd-rom via e-mail, scrivendo
a pupmus@museomarionettepalermo.it
Su theatre-contemporain.net,
un frammento audio della conversazione tra Thomas Ostermeier, Jean Jourdheuil
e Bruno Tackels sul teatro di Heiner Mueller:
http://www.theatre-contemporain.net/spectacles/gier/frametop.htm
e
http://www.theatre-contemporain.net/spectacles/dername/frametop.htm
(in francese)
La versione integrale dell'incontro
si può leggere sulla rivista "Mouvement".
Nella sua rubrica "Parole in corso" ("ttl" della "Stampa", 9 giugno 2001) Gian Luigi Beccaria si diverte a elencare diverse espressioni e modi di dire tratti dal lessico teatrale, che si sono sedimentati nella nostra lingua quando "il teatro era più popolare di quanto non lo sia oggi". Per esempio, "stai recitando la commedia", "getta la maschera", "la tua è una farsa", "stai facendo la tragedia", "pianto baracca e burattini", "fa il diavolo a quattro"; e ancora: "pagliaccio", "gigione", "fare fiasco"... E se ne potrebbero citare molte altre: da "dietro le quinte" a "teatro di guerra", dal sipario che "si alza" e poi "cala" alle "luci della ribalta" (che non ci sono più), dalla "scena del delitto" alla "il volto una maschera impassibile", e poi il "mattatore" e la "primadonna", "entrare in scena" (anche se oggi si preferisce "scendere in campo") e "uscire di scena"... Per non citare la "platea dell'umanità" dela Biennale 2001....
Ritorna la Maratona di Milano: ora tocca alle 12 ore del Giorno
E' sempre in libreria il paperback del mio Chi non legge questo libro è un imbecille: lo pubblica sempre Garzanti, costa solo 19.000 lire, se non lo compri, 6 1...
Dal 28 giugno al 1
luglio a Mariano Comense si terrà la seconda edizione del "Paese
dei raccontatori". il festival sul teatro di narrazione che
il Teatro Città Murata organizza in collaborazione con l'assessorato
alla cultura del comune.
Chi fosse interessato
a conoscere il programma può visitare il nostro sito internet a
questo indirizzo http://www.tcmurata.it/eventi/mariano/festival.html
Forse non lo sapete, ma sul vostro cellulare grazie al wap potete leggere le trame di oltre 600 capolavori della letteratura di tutti i tempi e tutti i paesi. Può essere utile: se andate a Quiz Show, se in un qualche incubo dovete rifare l'esame di maturità, se Roversi vi invita a Per un pugno di libri... Ulteriori informazioni sul sito Garzanti Libri
Imperdibile: Chi non legge questo libro è un . I misteri della stupidità attraverso 565 citazioni, Garzanti, Milano, 1999. |
La
scena può avere una connessione remota?
di
Carlo Infante
Strana domanda, non
è vero?
Eppure vale la pena
porsela
La performance Web
Cam Theatre di Giacomo Verde, presentata all'interno del progetto "Alveare"
del Festival Contemporanea al Museo Pecci di Prato, centra l'obiettivo
principale: mettere in crisi l'idea che il teatro si debba fondare esclusivamente
sul "qui ed ora".
Il dato sostanziale
va diviso su almeno due piani di riflessione.
Uno è quello
che concerne il live act di Giacomo in quel contesto (il
"Pecci" di Prato),
sdraiato a terra, con i suoi visori-occhiali, l'azione da
"teleracconto" (c'è
qualcuno che non sa cos'è?... lo dica altrimenti perde un passaggio
logico) e lo scenario proiettato con l'interfaccia grafica del suo web-teatro
d'operazione.
L'altro è
quello che riguarda la dimensione on line, ovvero quella per chi
era remoto e connesso,
e che in qualche forma ha partecipato (via chat)
all'evento telematico,
condividendo lo spirito dell'opera-operazione in
divenire.
Sul primo ho colto
quel valore che fa di Giacomo un vero apripista, con
tutta la sua ludicità
(anche se dovrebbe sfrondare molti di quei riferimenti testuali troppo
saturi di una cybercultura che appare ridondante e rende meno amichevole
l'interfaccia), ma solo al primo stadio di potenzialità.
Sull'altro ho intravisto,
navigato e intuito. E sono convinto che in attesa
della banda larga
qualcosa possa accadere.
Anche se ancora non
è accaduto.
L'importante è
creare piattaforme su cui operare, e testare le possibilità:
non solo quelle espressive
ma quelle di condivisione.
Anche quella remota.
E' su questo che
vale la pena interrogarsi, antropizzando il web,
utilizzando, per
far accadere questa antropizzazione, piattaforme operative e creative come
il webcamtheatre.
Dopotutto il teatro
è in primo luogo "percezione condivisa" come dice Brook: è
luogo dello sguardo (significato della parola greca "theatron").
Perchè mai quella percezione, quello sguardo, non può essere remoto?
Il fulcro è
la condivisione, ma è proprio di questo che si sta trattando.
Dopotutto prima della
Tragedia Greca a fondare l'idea stessa di teatro
abbiamo avuto i riti
eleusini, grandi spettacoli di percezione:
quelle ombre evocano
l'immaterialità teatrale su cui oggi c'interroghiamo.
E' su questi temi
che si svulupperà A_D_E
tra qualche giorno
su www.inteatro.it/ade
trovate delle info
InternetTheatre
di
Pericle Salvini
Le domande poste da Oliviero Ponte di Pino più che ingenue mi paiono interessanti e stimolanti alla riflessione. Vorrei dunque proporre alcune osservazioni.
Credo che quanto sta avvenendo recentemente tra il teatro e i nuovi media tecnologici sia un fenomeno di vecchia data che oggi semplicemente si ripropone: cambiano i fattori ma il prodotto è lo stesso.
L’internet theatre infatti rappresenta quello che ieri era il radiodramma o radioteatro. Il principio è identico: appena nasce un nuovo medium gli artisti, in questo caso i teatranti (nell’Ottocento toccò ai pittori), solitamente reagiscono in due modi: o se ne appropriano e lo sperimentano, oppure lo rigettano e prendono le distanze da esso.
In realtà ci sono delle leggi più complesse che regolano questo fenomeno: la voglia di sperimentare degli artisti e quella di distinguersi, cioè di ricercare lo specifico della propria arte, possono esser interpretate come "strategie di sopravvivenza" (l’espressione è di Mario Costa) con cui il genere artistico stesso si difende dall’effetto prodotto dalla concorrenza che immancabilmente si attiva quando si diffonde un nuovo medium. Inoltre, c’è anche un altro fattore importante da considerare, e cioè il principio della "remediation" o rimediazione elaborato da Richard Gruisin e Jay David Bolter, secondo cui un nuovo medium agisce sempre come "rimedio", toccasana nei confronti dei vecchi media che vengono immancabilmente riformati e "ri-mediati".
Nel caso della radio e ora di internet assistiamo ad un trasferimento mediale, cioè al trasferimento di un genere artistico verso un nuovo supporto; avviene cioè una ibridazione. Si tratta dunque di scoprire ciò che il teatro perde e guadagna da questo passaggio verso il web. Tuttavia, il compito non è facile. La maggiore difficoltà sta nel fatto che prima di procedere a contare i profitti e le perdite, è necessario mettersi d’accordo sulla definizione che vogliamo dare alla parola teatro, o più semplicemente stabilire a quale tipo di teatro riferirsi, quale pratica prendere come modello di paragone. La scelta è ampia, Living theatre, Environmental theatre, teatro epico, live theatre, stage drama, street theatre, e sono convinto che la lista non finirebbe qui. Ognuna di queste pratiche teatrali si basa e si fonda su principi essenziali diversi e talvolta addirittura opposti: si pensi per esempio al ruolo dello spettatore nel così detto teatro della quarta parete e a quello che riveste in alcuni spettacoli del Living Theatre, come Paradise Now.
Dunque, non conviene (oppure non è più possibile) cercare di capire se quello su internet sia teatro oppure no, ammenoché non si voglia definire, e perciò delimitare, il senso di una parola che nel corso della sua storia si è arricchita di talmente tanti significati da rischiare quasi di dissolversi… Non intendo dire che oggi non esiste più il teatro, ma che il genere teatrale è qualcosa di volubile e multiforme, una maschera dai mille volti.
Concordo pienamente con l’opinione di Colin Consell, la quale non crede possibile definire il teatro con una serie di elementi fondamentali sul modello di un inventario, ma propone di considerare il teatro come un "atto interpretativo", che prima di tutto dipende dal suo riconoscimento da parte di qualcuno e quindi è strettamente legato ai cultural frames di quel soggetto. Conseguentemente, più vasta è la conoscenza di pratiche teatrali, più difficile diventa limitare e definire questo genere.
Infine, dopo questa parentesi volta a legittimare il teatro sui internet (sebbene sia personalmente più interessato al connubio tra teatro e realtà virtuale), vorrei aggiungere qualche osservazione più attinente ai due punti esposti da Oliviero Ponte di Pino nel suo intervento:
1. per quanto riguarda i modi di fare teatro su internet, credo che si debba partire prendendo in considerazione le caratteristiche principali di questo medium, che sono l’interattività e la multimedialità. Sorprendentemente sono caratteristiche anche marcatamente teatrali, almeno tipiche di alcune pratiche teatrali. Il teatro è considerato un’arte multimediale in quanto riunisce in sé la scrittura, la pittura, la danza, la musica, e oggi anche il video, le proiezioni, internet e la realtà virtuale… L’interattività, termine apparentemente alieno al gergo teatrale, basta tradurla con le parole feed-back o scambio, che subito diventa più familiare. Credo quindi che gli artisti che intendono sperimentare il teatro su internet debbano innanzitutto guardare a queste due possibilità, non nuove, ma adesso più agevoli e intense, visto e considerato anche quanto è successo a proposito del radiodramma, che costituisce una sorta di precedente a cui è utile fare riferimento: lì si mettono in gioco la voce e il suono, che sono poi gli elementi essenziali della radio, e si sfruttano le capacità evocative della parola e l’immaginazione degli ascoltatori, cose che – ancora una volta – non sono estranee alle pratiche teatrali più tradizionali. In conclusione, dovendo fare un’ipotetica somma del ricavato e del perduto, si potrebbe dire che il teatro su Internet guadagna l’interazione e perde la sua materialità, la sua natura fisica (Achille Bonito Oliva parla di una tendenza oggi verso l’"anoressia" dell’arte);
a. per quanto riguarda il "qui e ora" di internet, credo che,
sebbene
"frammentato" e "ubiquo" sia pur sempre un "qui e ora": un milione di navigatori/"spet-attori"
sparsi in tutto il mondo (e qui sta il bello di internet per il teatro,
crollano infatti le barriere architettoniche, i muri della struttura teatrale)
decidono di trovarsi nello stesso luogo (un sito), nello stesso momento.
Il qui e ora esiste, come in uno spettacolo teatrale tradizionale, basta
che gli artisti escogitino sistemi che permettano di rendere possibile,
realizzare un senso di presenza tra il pubblico virtuale. E il senso di
presenza non occorre che derivi necessariamente dalla vicinanza fisica
o corporea, si può essere vicini, presenti anche se lontani, basta
pensare alla magia del telefono. Inoltre, il senso di comunità è
un falso mito del teatro, intendo dire che spesso lo si considera una virtù
unica e inscindibile dal teatro. Purtroppo non è così, ovunque
si raduni un gruppo di persone (fisicamente o virtualmente, si pensi alle
comunità esistenti su internet), a teatro, al cinema o ancora meglio
allo stadio, si crea un senso di comunità. Ancora, il senso di comunità
gioca - secondo me - un ruolo marginale nella fruizione dello spettacolo
teatrale; esternamente possiamo lasciarci trasportare dalle reazioni dei
nostri compagni, possiamo liberarci delle nostre paure e lasciarci andare,
ma alla fine la ricezione e la percezione restano un atto individuale.
b. Senza dubbio internet può realizzare il sogno di un
palcoscenico
globale, non solo accessibile a tutti, ma visibile da tutti (il
riferimento
al teatro greco è scontato), un luogo democratico in cui non
esistono
prime file o palchi d'onore. Tuttavia ai paladini della
democraticità
dello spettacolo teatrale, a coloro che vedono internet come la via possibile
per risolvere il carattere elitario di tanto teatro, vorrei lanciare un
provocazione: che pensare allora della natura effimera, del fatto che uno
spettacolo teatrale non è mai uguale e non può ripetersi?
Perché sottrarsi alla ripetizione? Per gli attori esistono una infinità
di Amleto (nel senso di opera), ma per gli spettatori esiste solo
quello a cui hanno potuto assistere.
2. a proposito del Grande Fratello, sinceramente non vi vedo niente che possa assomigliare ai possibili modi di fare teatro su internet (la versione del G.F. andata in onda sul web la considero un esempio di televisione interattiva). Se proprio dovessi vedere una somiglianza tra il G. F. e il teatro, allora indicherei come elemento comune lo status dello spettatore caratteristico di un certo tipo di teatro, quello illusionista, in cui i membri del pubblico sono considerati come dei vouyer che guardano lo spettacolo dal buco della serratura. Internet non è, secondo me, il mezzo migliore per spiare o guardare di soppiatto gli altri, ma è lo strumento ideale per sviluppare e praticare la comunicazione, lo scambio, tra attori e spettatori o tra gli utenti. Lo scambio e il feed-back, elementi essenziali del teatro contemporaneo (arma secondo me indispensabile per il teatro che vuole distinguersi dal cinema e dalla televisione) possono finalmente andare oltre le loro tradizionali possibilità ed essere sfruttati completamente. Il feed-back per lo spettatore non consiste più solo nella decodifica dei segnali trasmessi dal palco e nel coinvolgimento emotivo, nell’empatia, ma lo scambio che internet può realizzare è una vera e propria interazione, partecipazione all’evento e nell’evento (non credo che l’interattività, se ben costruita e progettata dall’artista, possa portare alla dissoluzione della storia rappresentata, narrata, evocata). In conclusione, più che a nascondersi internet può aiutarci a creare un senso di presenza al di là del corpo.
Bibliografia
Bolter,
Jay D. & Richard Grusin (1996) "Remediation", in Configurations
4.3.
Costa,
Mario (1999) L’Estetica dei Media: Avanguardia e Tecnologia, Roma:
Castelvecchi.
Counsell,
Colin (1996) Signs of Performance: An Introduction to Twentieth-Century
Theatre, New York: Routledge.
sono colpita dalla
quantità e qualità di interventi sull'argomento sollevato
da olivieropdp, probabilmente perchè si tratta di una analisi teorica
che chiama a sè considerazioni analogamente teoriche.
Non sfuggo a questa
attrazione inevitabile e rispondo anch'io.
Ho la segreta convinzione
e speranza che il teatro sia in qualche misterioso modo differente dalle
altre forme di comunicazione, perchè non è una forma di comunicazione,
ma una relazione.
Ha la qualità
di una storia d'amore messa a paragone con un discorso
affascinanate e coinvolgente
dove però non si fa che ascoltare.
Ho delle sincere
difficoltà ad assistere al teatro quando mi vuole
raccontare qualcosa
o dice: Mò vediamo che succede.
In realtà
credo che non ci sia niente di incognito in una relazione.
Succedono sempre
le stesse cose, l'interesse sta nel come le stesse cose
accadono.
Da questo punto di
vista sono molto curiosa dell'utilizzo di internet come forma spettacolare,
così come sono una appassionata cinefila, ma credo che tutto questo
non vada a sostituirsi o a modernizzare il teatro. Penso si tratti di cose
diverse.
Ho l'impressione
inoltre che le possibilità immense che internet offre siano da leggere
più in forma etica che estetica.
La forma democratica
che la rete porta con sè crea una zona della libertà, o della
possibilità, e credo che la libertà favorisca l'arte, come
favorisce tante altre cose, ma non è automaticamente l'arte.
Non so come dire,
a me internet piace politicamente.
Mi rendo conto che
il mio contributo alla discussione è di gran lunga più
ingenuo di quello
che l'ha provocata.
Lo invierò
ugualmente, sfidando il giudizio, e attendendo risposte.
Salve
a Tutti
sono
Mariano Equizzi, sono un amico di Giacomo Verde e sono regista e realizzatore
digitale "devoto" alla Fantascienza (non quella dei razzi e delle spade
laser).
Ho
seguito le osservazioni di Pericle e prima ancora di Oliviero e sento il
bisogno di intervenire.
Uno
dei problemi di una "nuova" tecnologia o di un suo diverso utilizzo (le
webcam normalmente sono utilizzate per ragioni di sicurezza ) è
quello di trovare dei contenuti fruibili-interessanti-stimolanti per il
pubblico.
Inizia
da questo momento una giustissima e ovvia diatriba su: cosa farci con il
webCAM theatre ?
Da
operatore della fantascienza vi invito a notare come sia difficile far
"fruire" al pubblico l'Elettra dal Teatro Greco di Siracusa
via web cam, anche potendo cambiare il punto di vista 100 volte.
Ben
dice Oliviero quando scrive:
"...Come
si può fare teatro (o live cinema, o comunque lo si voglia chiamare)
su internet senza fare del cattivo (e povero) teatro in televisione?"
Si
tratterebbe infatti di una diretta video live streaming fatta con le web
cam! Non di Teatro, anche se l'evento avrebbe delle caratterisitiche tipiche
del teatro: è dal vivo, crea un appuntamento per il pubblico...
etc.
Al
contrario vi invito ad esplorare i contenuti fantascientifici e d'anticipazione
per riconoscere, anche in quelli scritti 20 anni fa, lo scenario che stiamo
sperimentando e le tecnologie che adesso con "poche" lire possiamo avere
a disposizione.
La
SF (Science Fiction) è di gran lunga più peculiare al W.C.T.
(WEBCAM Theatre) che altri generi di scrittura; la SF ha prefigurato questo
tipo di tecnologia nelle sue storie ed ha già sondato le reazioni/relazioni
tra i personaggi e lo scenario cheabbimao adesso innanzi a noi.
Vi
invito a considerare i testi della SF Sociologica, che ha avuto come scrittori
anche molti autori italiani.
Credo
che il tentativo di adattare testi di S.F. (sociologica, introspettiva,
Cyberpunk) al W.C.T. non possa che esaltare le possibilità espressive
dello stesso e possa mostrarlo come una forma di comunicazione e intrattenimento
quanto meno interessante.
In
questo modo non si parla neanche di sperimentazione, ibridazione, assimilazione,
ma di messa in scena teatrale, tecnologica sì, ma anche coerente,
peculiare e necessaria al testo.
Ricordo
in questo punto lo scritto di Oliviero: che cosa succede di queste sperimentazioni?
Credo
che in uno scenario simile a quello da me proposto non si possa più
parlare di sperimentazioni, ma di realizzazioni che hanno il loro spazio
nel "mercato" culturale non avendo la durezza tipica delle sperimentazioni
tout court ed avendo come obiettivo quello di narrare una storia che ha
bisogno delle WEB cam.
Waiting
Feedback...
Io ho già realizzato
3 pièce teatrali nella stagione 97/98. Le ho scritte e me le sono
messe in scena in teatri milanesi e romani nemmeno tanto fuori dal
giro tradizionale dei teatri. Le piece erano sull'Olocausto, io sono di
origine ebraica. Non so ancora bene cosa dire sul cosidetto tecnoteatro.
per me il Teatro è Teatro e basta con i suoi canoni e la sua struttura
in qualsiasi linguaggio lo si voglia comunicare. Se resiste da più
di 2000 anni qualcosa c'è che lo fa vivere. Internet o non Internet
il Teatro come forma espressiva dell'essere umano resisterà nel
tempo e nelle tecnologie come il Cinema, come la radio che ha resistito
perfettamente all'urto televisivo (come storia ci insegna).
Il Cinema ha creato i suoi
effetti e il Teatro ha i suoi codici
drammaturgici che mai nessuno
riuscirà a spostare o a stravolgere nemmeno le modernità
più tecnologiche possibili. I teatranti resteranno tali con tutta
la Storia del Teatro alle spalle se non si conosce quello che si ha alle
spalle è difficile osservare il futuro senza rimanerne soggiogati
o impauriti. Si dice che il popolo ebreo sia l'eletto del Signore non a
caso.
Nelle antiche scritture, dalla
Torah al Talmud, si trova l'essenza stessa del sapere dalla notte dei tempi!
mgb a rpd
(tre
lettere di Maia Giacobbe Borelli a Roberto Paci Dalò)
Poi forse un giorno anche le riposte di rpd...
da Maia Giacobbe Borelli a Roberto Paci Dalò
Roma, 15 maggio 2001, ore 8.40
Caro rpd,
stamattina mi sono alzata pensierosa
e decisa a riflettere su quello che sta succedendo nel mondo del teatro,
isolato e sperduto in questo scenario sempre più virtuale. Eppure,
più che trovare motivi per far riavvicinare le compagnie teatrali
al web, sfruttando la rete come eccezionale luogo per la propagazione dell’informazione,
mi sorge sempre più chiara la visione di Internet stessa come grande
palcoscenico, con le sue zone illuminate e le sue ombre magiche, un immenso
spazio scenico dove la comunità della rete si rappresenta, dentro
l’anonimato delle chat o nello splendore di certi siti, là dove
l’interattività regna sovrana.
Quante cose potrebbe insegnare
il teatro, con la sua storia millenaria, alle comunità della rete…
Ma esiste veramente la possibilità
di stabilire rapporti creativi, voglio dire produttivi e non meramente
riproduttivi, tra la rete e il teatro? Le liturgie della rete possono infondersi
del mistero del teatro?
E’ il teatro a doversi avvantaggiare
della rete, come si dice spesso, o è piuttosto la rete a dover imparare
i meccanismi relazionali e i modelli teorici che reggono da sempre lo spettacolo
dal vivo, in diretta, come si dice oggi? E ancora, chi lavora sulla
performatività della rete sta ancora agendo nel teatro, o da questi
miracolosi collegamenti sta per nascere qualche strano nuovo ibrido, un’arte
ancora senza nome?
Questi pensieri sono stati la
molla di partenza per la scrittura di queste riflessioni che ti sottopongo.
Lo so, la lettera è lunga, ma ti prego di trovare la pazienza di
ascoltarmi.
Dunque, ho trovato in rete,
nel corso delle mie ricerche, alcuni siti web che non rientrano nei normali
canoni di una logica di servizio della rete verso i teatri. Questi siti
si autodefiniscono teatrali, ma sono specificatamente creati per i nuovi
media. Teatri senza il teatro, immateriali. Qualcosa di molto diverso dall’evento
teatrale tradizionale: una relazione impossibile, al di fuori da ogni prospettiva
del buon senso.
A questo punto mi si sono aperte
due strade: l’indagine teorica e la ricognizione sul campo.
La prima strada mi ha portato a cercare le basi teoriche dei tentativi in corso in rete di costruire una relazione creativa tra Internet e il Teatro. Ho utilizzato per questo alcuni nodi teorici di analisi derivata dal teatro, che sono serviti ad individuare le caratteristiche che rendono Internet diverso dai mass media tradizionali (per mass media tradizionali intendo naturalmente cinema, radio e televisione).
Teatro e Internet sembrano appartenere
a mondi lontanissimi tra loro: il primo fieramente ai margini del mercato,
nella sua accezione primaria di esperienza umana “necessaria”, organizzata
e condivisa da una comunità; Internet, cuore pulsante del nuovo
commercio e della nuova occupazione. Due mondi apparentemente inconciliabili.
In effetti Teatro e Internet
viaggiano su strade completamente diverse. Luogo di spettacolo il primo,
strumento di comunicazione l’altro: non sembrano avere interessi da condividere,
tantomeno linguaggi artistici e tecniche. Eppure si possono trovare punti
di contatto nel modo in cui entrambi si offrono alla percezione individuale
e nella relazione di condivisione e interazione che stabiliscono tra chi
agisce e chi guarda.
Dal pensiero teatrale si può
derivare direttamente l’analisi dell’esperienza uomo-computer: in teatro
e in Internet la rappresentazione si svolge nello spazio e nel tempo, è
materiale e collettiva, ma l’esperienza è interna, immateriale e
individuale, e coinvolge tutti i sensi.
Primo punto di contatto: il
concetto di virtualità.
Sempre più virtuale
tende a divenire lo spazio teatrale, spazio sia fisico che mentale, il
che rende lo spettacolo un evento di scambio tra individui. Il gioco tra
attore e spettatore in teatro è in definitiva sempre stato un gioco
di continuo rimando tra reale e virtuale. E questa è senza dubbio
una caratteristica comune anche a Internet.
Ma non mi fermerei qui. Il Novecento
ha fatto del teatro un luogo a metà tra l’arte e l’impegno sociale:
come diceva il grande Fabrizio Cruciani il nuovo teatro non è nato
dal teatro e nel teatro, ma nel recupero di una complessità umana
e sociale e culturale del teatro come comunicazione espressiva e realizzazione
dell’uomo.1
Alcuni spettacoli hanno provocato
il risveglio della coscienza, compresa anche la coscienza politica, legando
in modo indissolubile il piacere e la riflessione.
Il teatro può essere
quindi uno strumento importante per la critica e per esercitare l’estraneità
dall’uso dei nuovi media come strumento di propagazione del pensiero dominante.
Oggi il teatro è divenuto lo spazio a parte in cui si esaltano quei
valori di interrelazione faticosamente e drammaticamente riconquistati
alla negazione quotidiana.3 Non è anche per
questo che tutti noi ci siamo avvicinati, negli anni ’70 e siamo ancora
così spasmodicamente abbarbicati, all’agire teatrale?
Troppe domande, troppe domande,
devo uscire dagli schemi. Ci penso un po’ su.
A più tardi, Maia
da Maia Giacobbe Borelli a Roberto Paci Dalò
Roma, 16 maggio 2001, ore 7.00
Caro rpd,
non hai ancora risposto alle
mie domande (e d’altra parte non potevi, dato che io non ti ho ancora inviato
la lettera) ma ho già ripreso a battere sui tasti per seguire il
flusso dei miei pensieri.
Perché insisto nel voler
incoraggiare l’osceno connubio tra il teatro e Internet? Io penso
che un nuovo strumento di comunicazione come è Internet, ancora
vergine da statuti teorici rigidi, può godere dei vantaggi dati
dal riprendere i punti di vista e le utopie caratteristiche di un’arte
sociale come il teatro. E’ sufficiente verificare le possibili articolazioni
e trasformazioni sul web di alcuni elementi di base del teatro - lo spazio,
l’interazione, le tecniche di percezione –, per scoprire che ormai il cyberspazio,
nella sua parte migliore (lì dove si sottrae al mercato globale
delle idee e alla mercificazione della conoscenza) si configura niente
di più che come un grande palcoscenico, cioè un nuovo spazio
d’incontro virtuale, un luogo dove agire in modo strutturato per mantenerci
‘svegli’ a livello sociale.
Sappiamo che un nuovo medium
che si afferma impone sempre dei mutamenti di proporzioni, di ritmi e di
schemi nei rapporti umani (McLuhan docet).3
La nostra attenzione si deve
concentrare non tanto sulla tecnologia o sull’informazione che veicola,
quanto sui suoi effetti, che ne sono una diretta e inscindibile conseguenza.
Siccome questi effetti si fanno sentire a livello dei comportamenti collettivi
ma anche, cosa più importante, modificando dall’interno le percezioni
sensoriali degli individui stessi, ne risulta che l’introduzione massiccia
della comunicazione mediata dal computer, fenomeno che si sta affermando
in questi anni, rappresenti l’inizio di un significativo cambiamento culturale.
L’artista di oggi, rafforzato
e incuriosito dalle possibilità date dall’incontro tra due media,
incontro che, “nell’ibrido ci offre un momento di verità e di rivelazione
dal quale nasce una nuova forma” , può usare in modo creativo e
teatrale Internet, che è il mezzo di comunicazione che più
si sta diffondendo.
Se gli artisti sono gli unici
a saper affrontare le emergenze dell’attualità, il loro lavoro sugli
ibridi intermediali, questo incontro-scontro tra i media, attraverso lo
spessore inusuale di segni, di testi, di immagini, di azioni dislocate
dai loro luoghi ‘naturali’, questa nuova drammaturgia mediatica insomma,
potrebbe provocare oggi un’esperienza importante di disvelamento e messa
a nudo della realtà sociale.
La questione non riguarda tanto
l’efficacia della comunicazione, che caso mai viene migliorata dalla velocità
dei messaggi via Internet, quanto il contesto delle nostre rappresentazioni,
che sta cambiando radicalmente.
Dato che il nostro agire percettivo
è sempre partecipativo, in quanto selettivo (noi scegliamo che importanza
dare a quello che percepiamo), si tratta di stabilire se l’esperienza vissuta
in uno spazio tecnologico funzioni - o meno - come rappresentazione plausibile,
non di una generica realtà, ma piuttosto della nostra percezione
della realtà.
La diffusione degli scambi
e delle esperienze vissute via computer sembrano dimostrare che lo spazio
tecnologico può “funzionare” come rappresentazione della realtà
odierna, soddisfacendo le necessità percettive di molti, favorendo
in parte la socialità e le relazioni affettive e psichiche tra persone.
La combinazione di interattività,
partecipazione psichica e nuova intimità relazionale, che è
caratteristica di alcune esperienze avanzate vissuta nel cyberspazio, può
essere la base per lo sviluppo di una nuova cultura artistico-teatrale.
Piccoli e significativi indizi
di quanto ho detto: primo, si arriva oggi alla strana contraddizione di
poter comunicare con maggiore profondità in assenza di corpi e di
contatto fisico piuttosto che in presenza; secondo, Internet permette di
vivere un’esperienza immateriale che è individuale e collettiva
insieme, come quella dello spettatore di teatro.
Per quanto immateriale, l’esperienza
è reale perché è vissuta veramente e con intensità
dai partecipanti.
Comunità virtuale è
la definizione perfetta per descrivere la comunicazione via computer: le
comunità sono legate insieme da relazioni, liberamente scelte, di
condivisione di storie tra persone e non più dalla condivisione
di uno stesso spazio fisico. Quando questo succede, una comunità
si è formata. Io ho constatato ormai di far parte, attraverso le
mailing list, la posta elettronica e le mie frequentazioni quotidiane in
rete, di un certo numero di gruppi, come da tempo non mi succedeva più.
Comunichiamo peer to peer e questo aggiunge e non toglie valore ai miei
scambi sociali, che non sono quindi diminuiti.
Spero di riuscire a mandarti
presto questi pensieri, perché vorrei verificare con te se questo
virus che mi ha preso il cervello ha fondamenti nelle tue esperienze attuali.
Ora mi prendo una pausa.
Un bacio
Maia
da Maia Giacobbe Borelli a Roberto Paci Dalò
Roma, 21 maggio 2001, ore 21.00
Caro rpd,
A quest’ora non riesco più
a guardare la televisione (e per fortuna, dati i tempi). Mi rimane il desiderio
di verificare se quanto ti ho scritto, e che tu ancora non hai letto, abbia
un qualche fondamento di verità o faccia parte di quei deliri che
si possono scatenare in chi crede che quello che pensa sia già successo.
Io parlo di gente che usa la rete come un teatro, ma esistono veramente?
Chi sono quelli che tentano di essere virtualmente altrove? Chi siamo a
cercare di comunicare attraverso la messa in scena tecnologica (una messa
in scena è virtuale anche su un palcoscenico)?
Sono andata a verificare quali
siano gli eventi disponibili online che usano la rete come fosse teatro
e di quale sia nel loro discorso il rapporto tra la creatività,
l’arte e la tecnologia.
Parlare di InterNeTeatro o,
come fanno altri, di Cyberteatro come di qualcosa che esiste ed è
consolidato, è ancora prematuro dato che, come dicono gli americani,
stiamo ancora ‘testing the concept’.
Io preferisco parlare dello
lo spazio della relazione creativa tra Teatro e Internet. Non più
teatro, non solo Internet.
Il teatro ci aiuta a capire
Internet, ma il teatro in Internet va ancora reinventato, non possiamo
confonderlo con i siti di servizio al teatro o con gli spettacoli registrati
o diffusi in streaming video da alcuni siti. Questo è utile ma è
ancora roba vecchia, siamo ancora ad un uso riproduttivo della rete, al
modernariato della rete come vetrina o biblioteca per il teatro.
Comunque, i progetti di InterNeTeatro
o Cyberteatro presenti in rete sono molto diversi tra loro. Ognuno sembra
approfondire una parte della problematica, che è complessa, e varia:
da come gestire tecnologicamente la distanza a come concepire una narrazione
basata sulla connessione e lo scambio di dati.
Ci sono ricerche:
- sullo spazio e sulla distanza,
- sull’interconnessione delle
immagini – attori che dialogano tra loro pur essendo diversamente dislocati,
oppure che si muovono in ambiente virtuale –
- sul cambiamento della relazione
con un pubblico che fa parte di una comunità - pur restando fisicamente
a casa sua - e che partecipa con la sua presenza non fisica all’evento.
Sulla rete si incrociano forme
di performatività appartenenti ad ambiti disciplinari differenti:
arti visive, video, danza e teatro contemporaneo.
L’intersezione tra queste diverse
ricerche vede i progetti ruotare intorno ai concetti di ambientalità,
alla ridefinizione del corpo dell’attore e delle sue estensioni, dello
spazio come esperienza virtuale, dell’immersione dello spettatore nella
scena, dell’interattività come modalità della narrazione.
Ognuna di queste ricerche necessità ancora di fiumi di parole dette
e scritte nonché di sperimentare innumerevoli esperienze condivise,
prima di arrivare a poterci concludere qualcosa.
Vanno a mio parere tenute d’occhio
sulla scena internazionale le esperienze del progetto Arts
in Multimedia (Bam e Bell Labs) e i soliti laboratori del MIT di Boston,
oltre ai tentativi più o meno riusciti dei gruppi o dei singoli
performer facenti capo a George Coates Performance Group, Electronic
Disturbance Theatre, e ai vari DeskTop
Theatre, Stelarc (ampi materiali su olivieropdp, n.d.r.), Plaintext
Players, Fakeshop, Gertrude
Stein Repertory Theatre, Franklin
Furnace, e molti altri, come il gruppo di New York che ha recentemente
realizzato il musical The Technophobe and the Madman e che fa capo
ad Harvestworks. Non che gli
americani siano così tanto avanti a noi, sono solo, come al solito,
molto più bravi di noi a farsi conoscere.
L’importanza di queste esperienze
sta nella loro capacità di mettere in relazione in modo nuovo
Teatro e Internet, indagando per cercare cosa possano avere in comune,
perché accostare i due elementi in modo nuovo vuol dire darsi la
possibilità di sperimentare un uso produttivo e non meramente riproduttivo
del nuovo linguaggio che è caratteristico di Internet. Quando questi
spettacoli saranno compiuti e si potranno creare e fruire solo nel cyberspazio,
ecco, solo allora potremo finalmente parlare di nuova creatività
cyberteatrale.
Un primo sguardo sulle produzioni
in rete anche in Italia fa affiorare miriadi di tentativi di net e cyberart,
con statuti ancora confusi e incerti, ma con evidenti esigenze espressive.
E’ di questi giorni il Digital not Analog festival di Bologna, la
tua esperienza con le Blue Stories a Rimini, il Webcam theatre
di Giacomo Verde e Zonegemma. Non abbiamo niente da invidiare ad altri,
ma dobbiamo farci sentire anche fuori dallo stretto giro della comunità
di rete.
E’ importante far sapere che
anche nella tecnologia ognuno cerca una propria esperienza creativa, rivendicandone
la gratuità e lo spreco, e si sottrae come può al nascente
mercato delle esperienze culturali.
Non si tratta di stabilire ora se sia di qualità migliore fare un’esperienza in presenza, assistendo ad uno spettacolo di teatro, oppure condividere lo stesso ambiente con la pura mediazione della rete, connettendosi ad un determinato sito. Si tratta piuttosto di capire se si possa usare la rete come si usa uno spettacolo che lascia un segno e non serve solo a passare una serata, cioè se si possano fare con Internet significative ed efficaci esperienze sociali.
Dalla fucina di idee pratiche e di riflessioni teoriche presenti in rete, emergono gli interventi all’interno di alcune pubblicazioni online che indagano la relazione tra l’arte e i nuovi media, da tenere costantemente sotto controllo, da C-theory a Rhizome, Interactions o CyberStage Magazine, ma anche le ricerche di alcune università. In questi testi è diffusa la convinzione che tutto l’arco temporale della preparazione e messa in scena di uno spettacolo online faccia parte dell’evento teatrale, compresa la progettualità iniziale e la traccia dell’evento stesso che rimane impressa sul sito web a tempo indeterminato.
In conclusione: guardare a Internet come se fosse uno spettacolo permette di applicare il punto di vista del teatro a un medium che è stato impropriamente assimilato ad un altro mezzo di comunicazione di massa, la televisione. Permette di svincolarlo dagli statuti teorici di questa. Trovare un altro punto di vista per osservare il fenomeno Internet e le sue implicazioni sociali permette di distanziarsi dalle problematiche dei mass media per agire più liberamente nell’analisi dei nuovi media. E questo mi provoca un grande sollievo specie in giorni dove ci prepariamo ad essere governati da un ruspante tycoon dei media.
So che la materia è complessa
e ponderosa e che il tempo è sempre troppo poco per concentrarsi
a riflettere, ma mi sarebbe prezioso il tuo punto di vista. Ti prego quindi
di rispondermi a tuo piacimento. Io non posso esimermi dal chiedere la
tua opinione al riguardo.
Se poi qualcheduno degli altri
della comunità teatrale a cui vorrai sottoporre questa mia si trovasse
offeso dal mio modo di procedere, e dagli accostamenti che ti ho qui esposto,
io, parlando in nome di me sola, mi faccio garante delle mie parole, e
aspetterò tranquilla che mi si chieda soddisfazione delle stesse.
Sarebbe utile suscitare un qualche scotimento in chi ci circonda.
Ti saluto con tutto l’affetto
dell’anima mia,
Maia
1 Fabrizio Cruciani
“Processo creativo”in Anatomia del teatro, op.cit. p. 161.
2 F. Cruciani, Lo
spazio del teatro, Laterza Bari 1992, p. 179.
3 M. McLuhan, Understanding
Media, McGraw-Hill, New York 1964; in italiano Gli strumenti del
comunicare, A. Mondadori Milano 1990, p. 65.
Un'impressione,
solo un'impressione
di
Oliviero Ponte di Pino
per Massimo
Munaro in occasione di Opera Prima 2001
Non è niente più di questo,
un'impressione, solo un'impressione, da parte di chi l'esperienza dei gruppi
della Terza Onda (per usare un'etichetta di comodo) l'ha vissuta con attenzione
– ma dall'esterno, come osservatore. E dunque vanno prese con beneficio
d'inventario, come un invito alla riflessione più che come una riflessione
vera e propria.
L'impressione è che per molti di questi
gruppi il teatro sia apparso interessante – all'inizio – per alcune sue
caratteristiche, e che invece per altre il teatro risulti essere (per loro,
per i gruppi) un abito un po' troppo stretto.
Alcune delle ragioni del fascino che ha potuto
esercitare un'arte per molti aspetti obsoleta riguardano con ogni probabilità
i "modi di produzione".
Tanto per cominciare il teatro raccoglie
un gruppo di persone intorno a un progetto. Persone vere, vive, presenti,
che ritagliano nel loro tempo momenti da dedicare agli altri e alla relazione
creativa con gli altri. Dunque è una funzione di gruppo in una società
sempre più atomizzata, e che per di più non si limita a esercitare
una socialità ma la incanala in una direzione assai precisa, con
una serie di obiettivi – per quanto vaghi e continuamente ridefinibili,
man mano che procede il lavoro. Insomma, la pratica teatrale "oggettiva"
in qualche modo una serie di relazioni e rapporti interpersonali. Ancora:
non è un'arte solitaria (come per esempio la scrittura o la pittura),
e dunque presuppone uno scambio continuo, un'osmosi – o, volendo utilizzare
un linguaggio più aggiornato, trascende la figura dell'autore per
diventare creazione collettiva. Allo stesso tempo, è un formidabile
meccanismo per ricercare e definire la propria identità, collettiva
e individuale: collettiva nei confronti del mondo esterno, individuale
nei confronti della propria funzione all'interno del gruppo (per certi
aspetti, il percorso attraverso cui i vari partecipanti "incontrano" la
propria funzione – regista, scenografo, attore… – all'interno del gruppo
man mano che procede il lavoro potrebbe essere letto come processo di individuazione;
ed è un processo di individuazione che mette direttamente in gioco
la propria fisicità, il rapporto con il proprio corpo – offerto
in maniera quasi sacrificale, nella sua elemetarietà materiale –
e il rapporto tra questo corpo e quello degli altri).
In secondo luogo, proprio in quanto lavora
sul corpo come "materia prima", il teatro può essere un'arte povera,
che può essere praticata senza grandi investimenti – se non l'impegno
e il tempo. Non ha bisogno di macchinari costosi, di competenze tecniche
raffinate, di complesse strutture organizzative e distributive (può
averne bisogno, ma permette anche di conquistare tutte queste frontiere
attraverso l'esperienza, l'apprendistato). Dunque il lavoro teatrale offre
una possibilità di guerriglia culturale di fronte alle corazzate
dei mass media. Di più, nei fatti all'inizio viene praticato dai
più giovani, da decenni, in spazi marginali, al di fuori dei grandi
e piccoli circuiti di distribuzione: in zone temporaneamente autonome,
nelle quali la libertà è – almeno in teoria – assoluta. Per
altri aspetti, è una forma espressiva meno immediata e "istintiva"
(nel trionfo del pop più o meno alternativo) rispetto alla musica:
consente (pretende) mediazioni culturali più sofisticate (ma può
accontentarsi di una minor preparazione tecnica).
Sul versante del "consumo", come sappiamo
tutti, il teatro prevede la compresenza fisica (ed entro certi limiti l'interazione)
tra attori e pubblico: uno scambio più ravvicinato e diretto di
quello che offrono altre forme di comunicazione.
Nell'insieme, per le sue modalità produttive
e per il rapporto che può costruire con il pubblico, il teatro porta
dunque implicitamente con sé una serie di valori, che rispondono
con evidenza a bisogni profondi (lasciando perdere i più banali
e "tradizionali", come il bisogno di successo e visibilità, che
oggi viene assolto molto meglio in altre forme).
Un'ultima ragione di interesse può
forse riguardare la possibilità-capacità del teatro, in quanto
"forma d'arte totale" (o meglio, in quanto "spettacolo"), di assimilare
e inglobare tutte le altre forme d'espressione e usarle in un corpo a corpo
diretto tra loro e con il pubblico. E questo – per chi spesso arriva da
altre esperienze, interessi, curiosità – rappresenta un grandissimo
vantaggio.
Alla fine, però, di fronte a tutte questi plus, è come se riemergesse periodicamente in molti gruppi una insoddisfazione di fronte alla forma che il teatro tende inevitabilmente ad assumere – al di là delle intenzioni e degli esperimenti. Come se quella forma, alla fine, fosse troppo stretta, o non esaudisse tutte le promesse che sembrava aver fatto.
Da un lato – soprattutto per i giovani gruppi, che lo avvertono in maniera drammatica, ma in realtà anche per le maggiori istituzioni e per le personalità più affermate – il teatro rappresenta oggi un'esperienza elitaria e marginale, poco rilevante, poco autorevole, poco influente (se non forse nel lungo periodo, attraverso percorsi carsici, imprevedibili). Ed esplode dolorosamente lo scarto tra l'impegno e i risultati (anche a causa della scarsa attenzione dei media, che però è solo una conseguenza di un ottuso "realismo" di fronte allo stato del mondo, del principio in base al quale bisogna dare al consumatore quello che vuole).
In questo quadro, alla lunga, anche le limitate
possibilità tecniche – l'artigianalità, la fisicità
immediata – appaiono come un limite, in uno scenario ostentatamente tecnologico.
Rinchiudersi in un'arcadia pre-industriale pare ormai un'opzione insensata.
Dunque è sempre aperta la possibilità di una deriva verso
media più "moderni" e con maggiori possibilità di diffusione,
in grado di raggiungere un pubblico più vasto.
E tuttavia questa insoddisfazione ha anche
un altro versante, quello che riguarda la sua efficacia. Di rado il teatro
è la peste invocata da Artaud. Malgrado la compresenza fisica tra
attore e spettatore, il contagio non esplode. La forma teatrale non si
rivela troppo "leggera", ma troppo "pesante". Pur nella sua artigianalità
vagamente fuori moda, mette ancora troppi filtri all'incontro, concede
ancora troppe difese allo spettatore.
Ecco, per me il fascino di molte recenti esperienze nasce da questo insieme di fattori: da un lato l'insieme dei bisogni che attraggono verso il teatro (e che in qualche modo divengono valori del fare teatro); e dall'altro questa duplice insoddisfazione, che spinge ogni volta a uscire dai confini del teatro, a farli esplodere, a ridefinirli, alla ricerca di una comunicazione più efficace e più vera.
Maratona
di Milano
ventiquattro
scene di una giornata qualsiasi
Teatro,
letteratura, poesia, immagini, musica
raccontano
la città di oggi
un'idea
di Antonio Calbi e Oliviero Ponte di Pino
Milano,
Officina ATM di via Teodosio, 7- 14 luglio 2001
Maratona di Milano
– ventiquattro scene di una giornata qualsiasi è un evento che,
attraverso il teatro, osserva e indaga il tempo metropolitano, raccontando
attraverso ventiquattro mini-pièce teatrali una giornata della Milano
d'oggi.
E' un racconto a
più voci e trans-generazionale che descrive la città nei
suoi differenti aspetti, realizzato da scrittori e teatranti che vivono
da tempo a Milano. Ventiquattro autori, fra scrittori più giovani
e altri già affermati, firmano ciascuno un mini-testo teatrale,
ambientato in un luogo e un'ora precisi. Ciascuno di questi testi compone
una tessera del mosaico che coprirà il racconto delle ventiquattro
ore di una giornata milanese.
I ventiquattro testi,
della durata massima di 20 minuti ciascuno, sono delle piccole pièces
a due o tre personaggi o monologhi, e sono messi in scena da altrettante
realtà teatrali della città, con gli interpreti più
significativi di tutte le fasce generazionali.
Il primo capitolo
del progetto biennale Maratona di Milano – ventiquattro scene di una
giornata qualsiasi, realizzato lo scorso luglio presso l'Officina ATM
di via Teodosio 89, ha avuto ottimi risultati, sia sul piano artistico,
sia su quello dell'affluenza (quattro serate esaurite) e dell'apprezzamento
del pubblico.
Maratona di Milano
– La notte ha rappresentato un evento del tutto straordinario rispetto
allo manifestazioni culturali che Milano va offrendo nelle ultime stagioni.
Nel progetto sono state coinvolte fino a oggi più di cento persone
fra autori, registi, attori, tecnici e organizzatori; si sono incontrate
generazioni e discipline diverse, si sono attivati numerosi teatri e compagnie
della città, a partire dal Piccolo Teatro. L'esperimento si è
rivelato assai significativo per tutti coloro che hanno preso parte alla
sua realizzazione - sia nella sua preparazione, sia negli esiti - anche
perché ha innescato processi di lavoro e risultati artistici inusuali.
Quest'estate Maratona
di Milano porta a compimento il proprio progetto: realizzare un ritratto,
molteplice e cangiante, della città di oggi attraverso questa forma
inedita di spettacolo che nasce dall'incontro fra artisti di discipline
e generazioni diverse. Autori, registi, attori, musicisti sono già
al lavoro per completare questo “polittico” in ventiquattro tasselli.
Nel luglio 2001 verrà
infatti realizzata la seconda parte, quella dedicata alle ore del Giorno,
con repliche dal 7 all'11 luglio, dalle ore 19 fin verso l'una della notte.
Il 14 luglio, dalle
17 del pomeriggio fin verso le 6 del mattino dopo, l'evento conclusivo:
si “uniranno” fra loro tutti i tasselli del progetto in un vero e proprio
happening di teatro, musica, canzoni, scrittura, immagini. Al termine della
kermesse, colazione per i maratoneti che arriveranno al traguardo.
Gli
autori del Giorno
Gli autori che hanno
scritto per la Maratona del Giorno sono: Remo
Binosi, Luca Doninelli, Edoardo Erba, Renato Gabrielli, Vivianne Lamarque,
Antonio Moresco, Valerio Peretti Cucchi, Marco Philopat, Giovanni Raboni,
Gianpaolo Spinato, Emilio Tadini, Patrizia Valduga & Michelangelo Coviello.
Gli
autori della Notte
Ricordiamo che gli
autori che hanno scritto le dodici micropièce dedicate alle ore
della notte sono stati Paola Capriolo, Piero Colaprico,
Vincenzo Consolo, Matteo Curtoni, Rocco D'Onghia, Franco Loi, Alda Merini,
Raul Montanari, Aldo Nove, Renato Sarti, Tiziano Scarpa, Roberto Traverso.
La
musica
Considerato il successo
dello scorso anno Maratona di Milano ha rinnovato l'invito al gruppo
milanese
La Crus a creare la colonna sonora
dell'evento, eseguita dal vivo dallo stesso gruppo.
Le
date
Sabato 7, domenica
8, lunedì 9, martedì 10 e mercoledì 11 luglio:
Maratona di Milano
– Il Giorno dalle 19.00 – durata 6 ore circa
Giovedì
12 luglio: Maratona di Milano – Il Giorno e la Notte
replica
riservata all'Atm
Sabato 14 luglio:
Maratona
di Milano – Il Giorno e la Notte evento unico dalle 17.00 – durata
12 ore circa (fin verso le 5 del mattino, con colazione finale per i maratoneti
che arriveranno al traguardo di questo Theatre Rave)
Il
luogo
Anche il secondo
appuntamento con la Maratona di Milano avrà
come location l'Officina Generale Atm di via Teodosio 89.
Organizzazione
E' rinnovata la
collaborazione organizzativa con il Piccolo Teatro.
Biglietti
Lire 20.000 per
la Maratona dedicata al Giorno
Lire 30.000 per
la Maratonadelle Maratone di sabato 14 luglio.
Sito
Internet
Un sito Internet
seguirà la realizzazione del progetto in tutte le sue fasi. E' già
documentata la Maratona dedicata alla Notte (con i testi
degli autori, le immagini, le musiche, i commenti degli spettatori e dei
critici): l'indirizzo è www.maratonadimilano.it.
Promotori
& partner del progetto
Comune di Milano
- Cultura e Musei - Ministero per i Beni e le Attività Culturali
- Atm - Il Sole 24 Ore - Piccolo Teatro di Milano - Associazione Teatri
90 festival
Appuntamento al prossimo numero.
Se volete scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it
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