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Due spettacoli di Aldo Giovanni & Giacomo
I corti (1996)
Dopo anni di gavetta, dopo i fortunati passaggi a Su la testa!, Cielito Lindo e nel Circo di Paolo Rossi (con l'esilarante numero degli acrobati bulgari), Aldo, Giovanni & Giacomo hanno finalmente sfondato l'anno scorso con le fortunate macchiette di Mai dire gol, soprattutto con la geniale invenzione del Tafazzi.
Per chi ancora non lo sapesse, Tafazzi è quel tifoso dell'Inter in calzamaglia nera, piccolo e con i baffetti, che gode a darsi le bottigliate sui coglioni. Perché fa ridere un tizio che si pesta i genitali? Un po' perché vedere uno più sfigato di noi, si sa, fa sempre piacere; lo diceva anche Hobbes, che peraltro aveva una visione un po' riduttiva del comico: "Gli uomini ridono delle debolezze altrui, al paragone delle quali le loro abilità vengono poste in rilievo e valorizzate". Poi va a toccare (con tutta la pesantezza possibile) una zona del corpo considerata tabù, e da sempre c'è chi ride solo a sentir dire "Cacca". Ma il demenziale autolesionismo di Tafazzi, come certi gesti dadaisti, può essere letto a molti livelli. Per esempio, potrebbe anche rappresentare l'Everest della stupidità. Il grado zero, il punto di non ritorno dell'autoironia. Mentre qualche sociologo postmoderno, dopo attenta osservazione della situazione politica, culturale e mediatica del Bel Paese, sostiene che Tafazzi sia il miglior autoritratto dell'italiano anni Novanta.
Tafazzi ritorna, come flash finale e sintesi conclusiva, nello spettacolo teatrale del trio, I corti, ovvero una sequenza di sketch scritti con gli immancabili Gino e Michele (con la collaborazione di Paolo Rossi, Giancarlo Bozzo e Carlo Turati) e curato e omogeneizzato, per quanto riguarda la regia, da Arturo Brachetti. I corti, che al Ciak di Milano sta collezionando una serie di pienoni, evitano con cura (e giustamente) la tentazione della satira politica, ma anche quella della satira sociologica e di costume implicita nelle loro tipiche finte, pasticciate e inconcludenti litigate. Ci sono anche qui delle pseudo-discussioni: ma questa volta tra il trio e una loro petulante spettatrice (Marina Massironi), specialista in esegesi iper-intellettuali delle stupidaggini di Aldo Giovanni & Giacomo.
Con ritmi da varietà televisivo e una mimica di essenzialità fumettistica, puntano piuttosto su una comicità senza tempo, dove c'è sempre uno stupido (di solito Aldo Baglio, il "terrone") a far da perno alla situazione, come nelle classiche gag dei fratelli De Rege con il "Vieni avanti cretino": i tre gemelli nel pancione che si chiedono cosa fare da grandi, la pantomima sull'Arca di Noè, la gita in montagna, la missione nell'astronave, l'improbabile irruzione del Conte Dracula in Sardegna, la sgangherata parodia del circo, sono lo spunto per numeri costruiti con precisione e divertimento. E forse questi Corti offrono un modello per superare una comicità fatta oggi in Italia soprattutto di monologhi e macchiette.
Tel chi el telùn (1999)
Aldo, Giovanni e Giacomo, dopo i loro successi televisivi e cinematografici sono ormai una garanzia, contesti come testimonial da sindaci e assessori. Il loro nome in cartellone è una garanzia sufficiente per lanciare una nuova mega-struttura, un tendone da 2000 posti vicino alla stazione Garibaldi. È lì che ha debuttato il loro nuovo spettacolo, Tel chi el terùn.
Fare uno spettacolo comico in un tendone non è un'idea nuova, neppure per AG&G, che qualche anno fa avevano preso parte all'avventura del Circo di Paolo Rossi. Ora il progetto sembra aver preso una forma finanziariamente più equilibrata. Anche perché il trio, anche in questa occasione, si muove con agilità tra i vari media. Il prologo di questo spettacolo teatrale è una gag cinematografica, che racconta uno scombiccherato avvicinamento al tendone; nel corso della serata, poi, il video viene utilizzato in diverse occasioni: per seguire l'azione in quinta, oppure per duplicare quello che avviene sui due palcoscenici principali, quello dove agiscono gli attori e quello dov'è sistemata l'orchestra (nell'estate del mambo, AG&G hanno scelto lo swing dei Good Fellas); e infine perché lo spettacolo con l'inserimento di vari ospiti nelle diverse serate avrebbe già una destinazione televisiva ed è stato oggetto di una contesa tra Mediaset e Raidue con il rischio che alla fine, a furia di veti incrociati, finisca da qualche altra parte.
Tuttavia, pur tenendo presente l'abilità nel proiettarsi sul piccolo e sul grande schermo, va detto che la comicità di Aldo Giovanni e Giacomo ha una matrice prettamente teatrale: a cominciare dall'enfasi sul mimo e sul controllo gestuale che si è andato via via affinando, soprattutto nell'irresistibile; e poi nella struttura a gag, a numeri chiusi, che ricorda il varietà e l'avanspettacolo. Anche i rapporti interni tra i personaggi richiamano il numero dei clown, con lo scontro tra l'impacciato (in genere Aldo) e il cattivo (questa volta in genere Giacomo, con Giovanni spesso a mediare, e altrettanto spesso a cambiare gli equilibri). Ma la cattiveria esplode davvero quando il trio trova un "esterno" da malmenare nella serata del debutto il ruolo è stato volonterosamente assunto da Antonio Cornacchione: è in queste occasioni che i tre brutti, cattivi e simpatici attori riescono a dare il meglio di sé, con ritmi e tempi assai efficaci. Non c'è dubbio che queste gag collettive, dopo ondate di comici monologanti, abbiano avuto un effetto di gradevole novità, contribuendo al successo del trio.
Al mondo dell'avanspettacolo rimandano anche l'assoluto disimpegno dei testi e delle situazioni, e il punto di partenza per le invenzioni comiche (oltre agli autori Aldo, Giovanni e Giacomo e Massimo Venier, figurano tra i collaboratori gli immancabili Gino & Michele per i testi e Arturo Brachetti per la regia, e i trucchi da illusionista) è spesso la parodia: vengono presi di mira i kolossal mitologici (nella prima irresistibile scenetta), i telefilm polizieschi (ma trasferiti in Brianza con i Busto Garolfo Cops, un altro cavallo di battaglia), i serial di ambiente medico tipo E.R., la moda new age. Insomma, un orizzonte televisivo e sociologico sbeffeggiato con leggerezza, ritrovando la struttura delle vecchie barzellette sceneggiate.
Mentre negli intermezzi la vamp Marina Massironi si diverte a canticchiare le più viete barzellette su Pierino e sui Carabinieri. Ma il finale è, ancora una volta, un irresistibile numero tutto teatrale, giocato sulla mimica: la noia e l'irritazione dei tre maschi di fronte alle letture poetiche dell'ispirata Massironi.
copyright Oliviero Ponte di Pino 2000
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