Boris Vian era malato di cuore. Sapeva che avrebbe dovuto morire presto.
Aveva fretta di vivere. Non ha perso un attimo. Per salvarsi, per regolare
i ritmi cardiaci, ha progettato il primo pace-maker, ma come sempre era
in anticipo sui tempi.
Ha scritto: "Non m’interessa la felicità di tutti, ma la felicità
di ciascuno". Era "anti" (anti-militarista, anti-colonialista, anti-atomica,
anti-perbernisti, anti-imbecilli...). Aveva qualche ricetta patafisica
per migliorare il mondo. Ma la Patafisica è la scienza delle soluzioni
immaginarie.
Era amico di Eluard e Queneau. Ha firmato romanzi bellissimi, acidi e surreali,
divertenti e incazzati (un titolo? Sputerò sulle vostre tombe).
Sono finiti in tutte le storie della letteratura (anzi, della Letteratura).
Si era accorto che il mondo stava cambiando. Che aveva cambiato ritmo.
Dunque per viverlo e capirlo ci volevano altre cose, che ha capito e amato
subito, in anticipo sui tempi. La fantascienza (però i film di fantascienza
lo deludevano: non ha fatto in tempo a godere 2001, Incontri
ravvicinati e Guerre stellari). Il romanzo giallo e noir (ne
ha tradotti e scritti, con lo pseudonimo di Vernon Sullivan, il suo "alter
negro"). Il jazz (è stato uno straordinario critico, amico di Duke
Ellington e Miles Davis, e come lui suonava la tromba). Il rock & roll
appena nato (come cantante del gruppo Pizza Musicale si era ribattezzato
Fredo Minablo, cioè Fredo Teribbbile).
E’ autore di più di 400 canzoni. Piene di idee, di personaggi, di
storie, di poesia. In Francia le hanno portate al successo Juliette Grèco,
Brigitte Bardot, Magali Noël, Serge Reggiani. Le ascolti e capisci
che cosa vuol dire "una bella canzone". Sembra un carillon, è una
bomba a orologeria.
Poteva inventare quattro dei suoi spassosi e travolgenti rock & roll
in meno di venti minuti. Se si congratulavano con lui perché gli
veniva facile, si arrabbiava: "Non è un dono. Sono vent’anni che
lavoro per imparare a scrivere!". Al suo ritmo.
Ai tempi della guerra d’Indocina, quando hanno vietato il suo hit più
celebre, Il disertore, spiegava al censore: "Certo, è bello
morire per la patria - solo, non bisogna morire tutti".
Amava innamorarsi, incazzarsi. Amava ridere. Degli altri. Di tutto. Di
se stesso (è più difficile). Amava giocare con le parole
("forse servono proprio a questo"). Amava Brecht, Jarry, Villon. E la Banda
Bonnot, la celebre gang anarchica alla quale ha dedicato un musical.
Giangilberto Monti ama le canzoni di Boris Vian (sono due ingegneri, ma
questo non c’entra). Boris si esibiva nei club della Rive Gauche negli
anni ’50, Giangilberto ha registrato questo cd dal vivo, nella Milano degli
anni ’90. Come canta Giangilberto, ci senti dentro gli echi di quello che
è stato Boris, di quello che ha amato. Ci senti il gusto teatrale,
le incazzature, lo humour perfido, la voglia disperata di innamorarsi.
Ne abbiamo bisogno, in questi anni ’90.
Una dopo l’altra, magari riascoltandole, capisci che non sono soltanto
canzonette. Che non sono solo "belle canzoni". Sono qualcosa di più.
Servono per non crepare.
Presentazione del disco che Giangilberto Monti ha dedicato
alle canzoni di Boris Vian.