Enigmas del Living Theatre
Dedicato
a Julian Beck (1925-1985)
di Carola Savoia
©
copyright Carola Savoia-ateatro, 2005
Il
seguente studio tenta di ricostruire le fasi di creazione e elaborazione
dell’ultima produzione teatrale realizzata dal Living Theatre nell’estate 2003
e intitolata Enigmas.
Il
lavoro di ricerca qui presentato è strutturato in quattro momenti principali,
scanditi dai diversi capitoli: nel primo capitolo si è cercato di delineare la
figura del fondatore del Living Theatre, Julian Beck, il quale ha avuto nel
corso della storia del gruppo un ruolo di primaria importanza (insieme con Judith
Malina) e che ancora oggi, a venti anni dalla sua morte, continua a fornire,
attraverso i suoi scritti, le sue opere pittoriche, le tracce che ha lasciato
negli animi di coloro che hanno lavorato e vissuto con lui, spunti di
riflessione, progetti e idee per nuovi spettacoli, per nuove esperienze. E
proprio questo è accaduto per Enigmas, nato da un nucleo di appunti
scritti da Beck poco prima di morire. Successivamente si è tentato di esporre i
fondamenti di una tematica, o per meglio dire, di un principio che ha sempre
accompagnato e ispirato il Living nella realizzazione di numerosi spettacoli e
che in Enigmas, più che mai, torna ad avere un’importanza di prim’
ordine: il concetto di rituale.
Nel
secondo capitolo si è cercato, invece, di ricostruire con la maggior precisione
possibile, nonostante le difficoltà di carattere pratico dovute alla non ottima
qualità del documento video su cui lo studio è basato, il testo e le azioni
dello spettacolo affinchè il lettore possa avvicinarsi adeguatamente al suo
contenuto.
Il
terzo capitolo prende in esame da un punto di vista critico i momenti che, a
giudizio dell’autrice, possono essere considerati di maggiore interesse, anche
in rapporto alle esperienze e agli spettacoli realizzati dal Living nel corso
dei suoi cinquanta anni di attività.
L’appendice
posta al termine della trattazione, invece, raccoglie una variegata
documentazione circa l’ultima produzione del gruppo: l’intervista a Judith
Malina e Hanon Reznikov realizzata in in collaborazione con la studiosa del
Living Theatre Anna Maria Monteverdi; di seguito viene poi presentata la
versione originaria del copione di Enigmas formalizzata da Hanon
Reznikov, ma successivamente modificata, in maniera assai consistente, nel
corso della fase di creazione collettiva, avvenuta nella sede italiana del
gruppo di Palazzo Spinola a Rocchetta Ligure; interessante, a tale proposito, è
il diario di lavoro o diario delle prove proposto di seguito nell’ultimo capitolo:
in esso si percepisce vivo e presente lo spirito creativo del gruppo, il senso di
collettività, l’impronta personale e unica di ogni attore, l’esperienza
registica di Judith Malina, il genio letterario di Hanon Reznikov. Infine,
l’ultima sezione di questo studio presenta una consistente appendice
fotografica sullo spettacolo. La qualità delle immagini può essere discutibile,
ma si tenga presente che le fotografie sono state realizzate da fermi immagine
del filmato stesso.
JULIAN BECK, SACERDOTE DI UN RITO
…E
quando Julian Beck, a seguito dell’incontro con Judith, si convinse a fare
teatro, ci arrivò da pittore; e i suoi interessi si orientarono, in un primo
momento, soprattutto sulla scenografia, come egli stesso affermava: “ anni per
abbellire l’immagine”.
La
curiosità lo trascinò alla fabbrica di illusioni di Broadway; andava a vedere
tutto e in teatro ci entrava con lo stesso spirito con cui entrava in sinagoga;
anzi per sua ammissione “vado in teatro invece che alla sinagoga. Non per venerare
ma per scoprire la via alla salvezza. Potrei trovare l’esperienza della mia
vita.”[1]
E una molla che lo spingeva era sempre “ il genio del popolo ebreo (non come
nazione) che riconosce il bisogno di santificare la vita attraverso il rituale,
il costante ricreare la santità, il genio di desiderare ardentemente l’unità,
evocando la presenza di Dio”.
Ma
come soddisfare tali esigenze nel mare artificioso e asettico di Broadway? Così
Judith e Julian abdicarono al ruolo di spettatori ansiosi ma non soddisfatti,
tanto da pensare di promuovere loro stessi il teatro diverso in cui credevano.
“Che può fare il teatro? Scendere in Egitto. Dagli schiavi.” Scriveva Beck, che
scelse così di rivestire i panni di un teatrante-sacerdote e di predicare
l’Anarchia come sua religione; egli ne recuperò le formule note, i rituali e ne
adottò il linguaggio. E con i toni e il vocabolario di un profeta, con gli
accenti ineluttabili dell’oracolo, il patriarca del Living dissertava; il suo fraseggiare
conosceva il lirismo, le iterazioni, l’enfasi, l’eccessività, il procedere ellittico,
l’ oscurità dei salmi.
L’investitura
di Beck a interprete sacrale ritorna anche negli spettacoli e come egli stesso
scriveva: “Io, noi andiamo a teatro, come facciamo quasi di certo, per cercare
salvezza, proprio come una congregazione religiosa che si raduna in templi,
chiese, moschee. L’attore svolge la funzione del sacerdote e deve quindi
guidarci in una cerimonia che conduce verso il successivo evolversi
dell’umanità, e non sempre più in fondo, entro i metodi fallimentari di una
civiltà in fallimento.”[2]
Il
rituale diventa quindi, per il Living, un mezzo attraverso cui percorrere la
via della trascendenza; la ripetizione (ma non solo) di un’ azione, di un
gesto, di un canto permette all’anima di staccarsi dalla realtà, di volare via
e raggiungere una qualche superiore forma di comprensione. Si verifica,
insomma, una sorta di trance che non è da intendere come un oscuramento delle
facoltà intellettive, ma al contrario, un’ illuminazione della mente sulla
conoscenza superiore. Il rituale permette di aumentare il proprio grado di
consapevolezza nella ricerca della verità.
E
in Enigmas proprio la ricerca della verità, il tentativo di raggiungere un
grado superiore di conoscenza, verso la salvezza (l’obbiettivo è, infatti,
ottenere risposte agli enigmi che la vita ci pone), è il filo che si snoda nel corso
dell’intero spettacolo, sotto la guida della figura dell’attore-sacerdote che impersona
Julian Beck. Potremmo dunque sottolineare come l’ultima produzione del Living
metta in pratica più che mai, sebbene seguendo, con ogni evidenza, la scia di
creazioni passate, il rituale come mezzo di esperienza collettiva che conduce
alla verità.
Il
rituale, come accennato poc’ anzi, ha molto a che fare con la ripetizione, ma non
sempre si limita ad essa: ci sono rituali, ad esempio, che consistono in una
singola azione che possiede un certo livello di astrazione dato dal ritmo, o dalle
implicazioni dell’azione poetica stessa, o dal modo in cui gli attori ed
eventualmente gli spettatori vi prendono parte, o da altri mezzi quali le luci
e
Nei
Mysteries[4],
ad esempio, vediamo Beck starsene seduto sul palco con le gambe intrecciate
all’indiana a scandire ieraticamente i versi-slogan-orazioni degli street-song
di McLow, ritmicamente ripetuti dal coro degli altri attori e del pubblico,
alla maniera di una liturgia cristiana o di un mantra; e nella scena
successiva è ancora lui che riunisce gli attori in cerchio per liberarsi
religiosamente in un altro unisono monodico. E la medesima scena dell’accordo
armonico ritorna nell’ultimissima parte di Enigmas, dove l’attore che
impersona Julian Beck (che diventa, durante lo spettacolo, presenza viva e polo
magnetico attorno al quale il Living si muove e agisce) assurge a officiante
del rito colletivo. Egli è dunque il sacerdote che conduce compagni e spettatori
attraverso l’impervio sentiero dell’“enigmatico viaggio”.
“Non
potrei mai negare - afferma Judith Malina - che tutto il nostro teatro sia
rituale. In Paradise Now la forma rituale era visibile molto
chiaramente. Ma anche Metodo Zero è un rituale dall’inizio alla fine.
Questo perché usa costantemente simboli e segni che si riferiscono alla realtà,
ma per rappresentarla attraverso delle azioni che sono più emblematiche che
realistiche. In questo consiste la forma rituale.”[5]
Evidente è dunque il rapporto che lega l’ultima produzione del Living con
numerosi spettacoli precedenti (dove forte era la presenza del rituale); in
modo particolare sono assai numerose le analogie con Mysteries and Smaller
Pieces, in cui delle azioni ripetitive, ritualistiche, piene di simboli
evocativi non del tutto comprensibili, non contengono una storia da raccontare,
ma sono il tentativo, attraverso il rituale drammatico, di trovare una qualità
redentrice della nostra vita. In Mysteries è chiaro il riferimento ai
misteri medievali e ancora prima a quelli delfici e greci. “Si tratta di forme
molto differenti, che contengono però molti elementi simili, individuabili a
partire dall’etimo della parola: misteri. Gli uni e gli altri hanno a che fare
in realtà con
Sia
in Mysteries sia in Enigmas, dunque, non è la trama a strutturare
il percorso, ma un collage di formule e riti tesi al raggiungimento di
un livello superiore di consapevolezza; la mente si apre a uno stato di trance
(al quale si arriva, come descritto, sia mediante la ripetizione di formule e
gesti, sia attraverso un processo di astrazione della realtà) e intraprende un
viaggio verso la salvezza.
E
in Enigmas, forse più che in qualunque altro spettacolo realizzato dal
gruppo, appare evidente da subito l’incontro con l’insondabile e con l’ignoto;
e solo attraverso pratiche misteriose e domande insolute si verifica la
possibilità della redenzione. E a tale proposito Julian Beck scriveva: “Il
teatro fa paura perché ha a che fare con i misteri e le domande misteriose. Per
secoli il teatro ha chiesto: chi siamo da dove veniamo dove andiamo.Ora
domanda: che cos’è dove sta andando cosa si può fare cosa sto facendo con la mia
vita in questo momento in cui il genio collettivo dell’umanità deve rispondere
alla domanda: come può soppravvivere il nostro pianeta?”[7]
E
potremmo concludere osservando come il Living Theatre, con la sua ultima
produzione, abbia cercato di portare a conclusione un percorso intrapreso dal
gruppo cinquant’anni fa e teso verso il raggiungimento della salvezza,
prediligendo l’unica pratica possibile, il rito per l’appunto, nel tentativo di
staccarsi dalla piccolezza a cui la quotidianità costringe ognuno di noi e
avvicinarsi alla soglia della verità. Significative appaiono dunque le parole
dello stesso Beck: “Crediamo in un teatro come luogo di un’esperienza intensa
tra sogno e rituale, nel corso della quale lo spettatore arriva a una
comprensione intima di se stesso, che vada al di là del conscio e
dell’inconscio fino alla comprensione della natura delle cose. E ci sembra che
solo il linguaggio della poesia possa arrivare a questo: solo la poesia o un
linguaggio carico di simboli e molto distante dal nostro linguaggio quotidiano
può condurci al di là del presente che non ha la chiave della conoscenza di
questi regni”.[8]
II. RICOSTRUZIONE DELLO SPETTACOLO
“Enigmas” è una creazione collettiva di Christian
Vollmer, Craig Peritz, Debora Mattiello, Gary Brackett, Hanon Reznikov, Ilaria
Lorusso, Johnson Antony, Judith Malina, Maria Nora, Mark Pujol, Mattias
Kraemer, Pina Ascione, Stefano Striano, Paola Della Ratta, Tom Walker.[9]
PROLOGO. JULIAN
AFFRONTA L’ENIGMA.
Gli attori sono
sul palcoscenico e, nel buio totale della sala, emettono dei suoni
inarticolati; sono suoni vocalici e consonantici, dapprima quasi sussurrati e
distinti temporalmente l’uno dall’altro, poi emessi con un tono di voce sempre
più alto. La durata di tale azione è di circa tre minuti e mezzo. Allo scadere
del terzo minuto, incomincia ad alzarsi una luce dal fondo che aumenta a mano
amano di intensità. La luce, dapprima debole e verdastra, diventa sempre piu
forte e, illuminando gli attori dal fondo della scena, ne disegna le sagome
scure. Essi sono seduti sul palco, inginocchiati ed accovacciati, con lo sguardo
rivolto verso il pubblico in sala; sempre immobili nelle loro posizioni,
aumentano progressivamente la frequenza ed il volume delle emissioni vocaliche,
fino al raggiungimento di un apice sonoro costituito da un urlo collettivo. Poi
è silenzio ed il palcoscenico e la sala tornano nel buio totale per qualche
secondo.
Intorno al
quarto minuto e mezzo di spettacolo, gli attori riprendono ad emettere suoni,
questa volta , però, di tipo gutturale. Ancora una volta i suoni aumentano di
frequenza e di volume; viene raggiunto nuovamente un climax, durante il quale
ogni elemento del gruppo produce, attraverso la voce, rumori di tipo diverso:
c’è chi sibila, chi grida, chi accenna un canto, chi si lamenta.
Successivamente, a partire da questo apice sonoro, si genera un accordo
vocalico della durata di qualche minuto. Intanto la luce dal fondo diveta
nuovamente più forte e più chiara.
Allo scadere
dell’ottavo minuto circa, un attore, completamente coperto da un mantello nero,
procede lentamente dal fondo della platea verso il palcoscenico, lungo il
corridoio centrale, mentre gli altri attori, ancora fermi nella posizione
iniziale, lo accompagnano con l’accordo vocalico.
L’attore coperto
dal mentello nero rappresenta (in questo momento dello spettacolo) Julian Beck.
Egli, giunto in prossimità del palco, si ferma rivolto verso i compagni, che
rappresentano il coro. Essi, ancora seduti ed inginocchiati sulla scena uno
accanto all’altro, ma protesi con il corpo e con lo sguardo verso lo spirito di
Julian, domandano:
CORO: “Qual è il
senso?”
A questo punto
l’attore-Beck risponde loro, indicando con la mano il pubblico:
BECK: “La chiave
sono loro!”
Gli attori che
rappresentano il coro, con gli occhi rivolti verso la platea e un’ espressione
di stupore e di sorpresa, lentamente si alzano e scendono in sala, tra il
pubblico. Nel frattempo l’accordo vocalico, che fino ad allora è stato
mantenuto vivo da alcuni attori accompagnando l’azione, termina
improvvisamente.
JULIAN: “Il sogno è
nella magia della sua forma, nel teatro, nella luce.”
“E’ un cancro.
Julian dopo sessanta anni vede il buio.”
JULIAN: “The light, yes, yes,..”
Buio.
Luce.
JULIAN: “To be or not to be?”
CORO: “Essere…”
Buio.
CORO: “O non essere?”
Luce.
JULIAN: “The light,
la luce, sì, sì…
Essere o non
essere?”
Buio.
CORO: “Julian
morì.”
La luce aumenta
progressivamente. Lo spirito di Julian Beck è scomparso.
CORO: “ Ci ha
lasciato qualcosa!
Ma cosa ci ha
lasciato?”
Gli attori che
rappresentano il coro velocemente salgono sul palcoscenico e si dirigono verso
il fondo della scena dove un telo nero è adagiato a terra. Due attori lo
raccolgono, mentre gli altri si dispongono uniformemente in posizioni statiche
tutt’ attorno, protesi e incuriositi verso il telo nero. Ognuno di essi
pronuncia parte dell’ultima battuta del quadro, mentre lo striscione viene
lentamente aperto verso il pubblico; una scritta a grandi lettere di colore
rosso si rende evidente, mentre gli attori si rivolgono, pronunciando tutti
insieme la parola “enigma” verso il pubblico. Poi è buio totale in sala e sul
palco.
CORO: “ Before our
light goes out
Prima che la nostra
luce svanisca
For the last time
Per l’ultima
To find out
Per capire…
…Enigma!”
Un attore, nella
zona destra del palcoscenico, viene illuminato dall’alto da una luce bianca. E’
in piedi con il braccio destro teso verso l’alto e lo sguardo fisso. Molto
lentamente, con gesti quasi impercettibili, inizia a spostare il peso del corpo
in avanti. Sempre lentamente, mentre il braccio destro scende rigido
perpendicolare al corpo, egli piega le ginocchia abbassandosi fino a toccare
terra; dapprima, raggiunto il suolo, si gira con il viso verso l’alto inarcando
la schiena e poi si dagia sul fianco sinistro in posizione fetale. L’azione
della caduta dura circa cinque minuti.
Gli altri
attori, intanto,sono inginocchiati nella parte buia del palcoscenico, rivolti
verso l’uomo che cade. Essi nell’oscurità sperimentano l’uso della voce creando
suoni che non rientrano nell’usuale gamma sonora. Principalmente emettono suoni
acuti e continui. Non appena l’attore-che-cade si rannicchia a terra in
posizione fetale, la luce diventa forte e bianca, ad illuminare tutto il palcoscenico,
e inizia un canto molto ritmato (costituito da quattro movimenti) che scandisce
il tempo. Durante il primo movimento, il più lento, gli attori-coro si alzano
da terra e, distribuendosi uniformemente sul palco, prendono una posizione (in
piedi) che mantengono per qualche istante (freeze), mentre pronunciano la
seguente battuta:
Il punto di
partenza è sempre un punto
A single point in time and space
Un singolo punto
nel tempo e nello spazio
The point is here and now
Il punto è qui e
ora
Here and now”
Riprende il
canto ritmato che scandisce il tempo (che viene tenuto dagli attori battendo i
piedi a terra). Il tempo più lento vede gli attori ancora immobili, ma al ritmo
del secondo, del terzo, del quarto movimento (che sono progressivamente più
veloci) tre attori lentamente cadono a terra. La luce si abbassa e si colora di
verde e di blu. Riprende nuovamente il canto: durante il primo tempo gli attori
sono fermi, ma il secondo movimento li vede ancora una volta prendere nuove
posizioni: durante il freeze (acuni istanti di immobilità) recitano ancora:
Il punto di
partenza è sempre un punto
A single point in time and space
Un singolo punto
nel tempo e nello spazio
The point is here and now
Il punto è qui e
ora
Here and now”
Riprende il
canto ritmato. Il secondo, il terzo, il quarto movimento scandiscono delle
azioni violente che alcuni attori esercitano sui compagni. Questi ultimi,
aggrediti, cadono a terra privi di vita. Il canto rallenta nuovamente il ritmo,
ma le uccisioni, le cadute, le morti continuano ad essere eseguite sul
palcoscenico, finchè, raggiunta l’immobilità, alcuni attori rimasti in piedi
pronunciano le loro battute (che sono i loro enigmi), poi muoiono e cadono
anch’ essi a terra.
CORO: “Perché voi,
perché noi, perché qui?”
Is it true that the black and white are fighting
colours? Why are they fighting? Fighting colours!”
Posso considerarmi
responsabile per te e non perdere la mia autonomia?
Come è possibile
essere intelligenti e ricorrere sempre alla guerre?
Dove è il punto?”
Un attore
inginocchiato a terra sul palco con il braccio destro teso verso l’alto (è il
medesimo attore protagonista, all’inzio del II quadro, della scena della
caduta) inizia a compiere dei gesti con le braccia e con le mani, con i quali
sembra voler tirare fouri dalle proprie viscere, dalla propria bocca qualcosa e
porgerlo agli altri attori seduti e inginocchiati immobili sul palco. Questi
ultimi accolgono il messaggio lanciato loro e, animandosi, rispondono
fisicamente allo stimolo. Essi sembrano voler afferrare, ingoiare, stringere
tra le mani quello spirito, quell’alito vitale che è uscito dal corpo del
compagno, verso di loro. Poi si contorcono, si agitano, si lamentano, ridono,
gridano, producono con la bocca un sibilo continuo, sempre con lo sguardo
rivolto verso l’attore che ha generato la comunicazione, come incantati da
quest’ ultimo. Alcuni si alzano, camminano sul palcoscenico, cercando un
contatto (anche fisico) con i compagni ed emettendo con la voce suoni di vario
genere (lamenti, sussurri, gemiti, sibili, risate…).
La luce si
abbassa e diventa verde. Gli attori sul palco continuano a contorcersi, a
ballare, ad interagire gli uni con gli altri e, muovendosi liberi da schemi,
legano i loro corpi gli uni agli altri, in flusso continuo ed omogeneo. Uno di
essi, intanto, inizia a suonare un’armonica e a provocare, con tale strumento,
un suono ininterrotto. Non c’è alcuna melodia. Gli altri attori continuano
l’azione sul palco, finché, ad uno ad uno, scendono in platea e, chi con la
voce, chi con l’armonica, intonano un accordo sonoro della durata di circa
sei/sette minuti. Esso raggiunge poi un apice di intensità durante il quale gli
attori, che si muovono nel buio della sala, avolgono con la musica,
coinvolgendolo, il pubblico. Successivamente un attore, appostato sotto il
palcoscenico, debolmente illuminato da una luce bluastra, pronuncia una battuta
in inglese; gli fa eco un’attrice che, dal lato opposto del palco, ripete le
medesime battute in italiano.
pendular, at night it slides backwards and in the grey
dawn briefly at 5:03
for a second it becomes a point, motionless.
Al mattino il
movimento è lineare, nel pomeriggio circolare, la sera
pendolare, di notte
procede a ritroso e nell’alba grigia brevemente alle 5:03
per un secondo
diventa un punto immobile.”
Altri due
attori, nascosti nella penombra della platea, recitano la loro battuta, sempre
nelle due diverse lingue.
CORO: “E’ questo il
punto.
This is the point
Art is radiant, death is an imaginary point that
vanishes into a line at 5:04
L’arte è radiante,
la morte è un punto immaginario che si dissolve in una
linea alle 5:04.”
L’ENIGMA DELLA
LINEA O DUALITA’: IL SIGNIFICATO E IL NULLA.
Buio totale, in
sala e sul palco. Dopo qualche istante delle deboli luci rossastre illuminano
gli attori, uniformemente distribuiti nei vari settori della platea. Essi, per
qualche minuto, eseguono il medesimo gesto: l’attore che parla sembra voler
tirare fuori dal proprio corpo una corda immaginaria e la porge ad un compagno;
quest' ultimo accoglie il messaggio tirando verso di sè la fune immaginaria,
mentre continua la battuta iniziata dal compagno. L’azione viene ripetuta
finchè tutti gli attori, coinvolti a due a due, vengono animati dal movimento.
Si crea così una catena di comunicazione.
CORO: “Bene,
allora
di che cosa
si tratta
è dentro
o fuori
e quando
saremo rinati
come
saremo diversi?
Bene
allora
di che cosa
si tratta
è fuori
o dentro
e quando
saremo rinati
come
saremo diversi?
Dopo qualche istante la luce si fa progressivamente più chiara e gli
attori, che si trovano ancora sparsi in mezzo al pubblico, iniziano a
pronunciare (tutti contemporaneamente) dei monologhi tratti da testi di varia
natura (romanzi, raccolte poetiche, testi teatrali, elaborati personali,
canzoni popolari…) e ad agire ricercando il contatto, il coinvolgimento fisico
del pubblico. L’azione, inoltre, prevede dei momenti in cui tutte le voci degli
attori si sovrappongono (si raggiungono, infatti, nel corso della scena, vari
picchi sonori), disorientando così l’attenzione degli spettatori, e dei momenti
in cui viene lasciato lo spazio, ad ogni singolo attore, di recitare il proprio
pezzo, la propria battuta chiave (i compagni parlano sottovoce, rallentano il
ritmo di azione). Molto è lasciato all’improvvisazione. Questa fase dello
spettacolo ha una durata di circa dieci minuti.
Johnson: “despite the fact that millions of you
wonderful viewers throughout the nation
are listening to this wonderful broadcast, I thank you
for your concern and
sympaty in our hour of peril. I primarily want to
concentrate my attention
and address those remarks solely for the benefit or our
departed near friends
who may be listening to the sound of my voice.”[10]
Debora: “ Dove sei?
Non ti sei mai accorta che ti svegliavi ogni mattina, ogni giorno
perché te ne sei
andato lontano per smaltire un carico di macerie…”
Mattias: “Absolute
energy, allora, arte, amore, ascoltiamo, aspettiamo, azione,
arrivederci…”
Pina: “Bonjour
madame, io mi chiedevo, come dire…siete onesta voi? Vi ho chiesto se
siete onesta. E
bella?”
Ilaria: “Ascolta.
Come un frutto di parole che soffia dalla pelle, come un sogno le cui
fragili vesti
cadono dal corpo della morte e alla fine arriva la resurrezione
Mr Shuzle!”
Tom: “This evening I destroyed many of my paintings
and drawings, over fifty of
Them. I feel clean and a little startled. This is the
first time in my life that I have
Ever been able to destroy my own work… I think now
that I shall be able to
Destroy more that I’m not now able to destroy and that
in the future I shall be
Able to destroy what is no good.[11]
Un attore canta una canzone popolare spagnola. Tutti insieme. Apice
sonoro.
Paola: “Il generale
ci ha detto, col dito nel buco del culo…”
Gary: “Sono Dio, il
vero Dio…”
Paola: “…il nemico
è di là, andate!”
Gary: “…sono un fan
di Dio, sono Apis[12]”
Paola: “…era per la
patria…noi siamo partiti”
Gary: “…sono un
egiziano, sono una pellerossa”
Paola: “…la patria
l’abbiamo incontrata, con il dito nel buco del culo!”
Gary: “…sono un
negro, sono un uomo cinese, sono un giapponese”
Paola: “ …ci ha
detto morite o salvatemi, col dito nel buco del culo!”
Gary: “ …sono uno
straniero, sono un inconoscibile”
Paola: “…col dito
nel buco del culo!”
Apice
sonoro. Tutti insieme.
Gary: “ …sono un
uccello del mare, sono un uccello della terra!”
Pina (cantando):
“ Come è bello il vino…rosso, rosso, rosso! Come nel mattino, come
dentro un fosso!”
Stefano: “ ma io
che sono colui che sta parlando, cosa sarò domani, il misterioso, il
morto, l’abitatore
di un magico e deserto mondo, senza prima, né dopo, né
quando, chiedo di
bere il tuo cristallino oblio. Essere, però non essere mai
stato.”
Debora: “ l’ho
vista io! L’ho amata in inverno e ho pianto. Il suo corpo è freddo.
Tua figlia
Fonestrena è morta, sì…”
Apice sonoro. Tutti
insieme.
Johnson: “ A bird flies. Slavery is abolished. The
word is teeming: anything can happen.
Sound movement. The telephone rings. Each person is in
the best sit. War
begins at any moment.”[13]
Mattias: “ Down direction, d’ oro…”
Ilaria: “Io voglio
lavorare a uno di quei treni, non voglio concludere false automobili e
non voglio nemmeno vendere
vestiti!”
Un attore canta una canzone popolare spagnola. Apice sonoro.
Paola: “…abbiamo
comprato le case col dito nel buco del culo!”
Debora: “ Ho sceso
dandoti il braccio almeno un milione di scale ed ora il nostro tempo
è vuoto.”
Mattias: “ Italia,
Ilaria, isola, incompleta, immaginazione, Inter- Milan, Inzaghi,
importante…”
Craig: “ It’s dark out, Jack! The stations out there
don’t identify themselves.”
Johnson: “[…]”
Apice sonoro. Gli attori parlano tutti insieme mantenendo un volume di
voce molto alto. Uno di essi canta una canzone spagnola. L’intensità delle
emissioni vocaliche si abbassa muovamente per permettere ad alcuni attori di
recitare le proprie battute.
Debora: “ Dicono
basta! I muri non sentono, pochi bambini hanno le orecchie premute
contro le lamiere.”
Stefano: “ ma io
che sono colui che sta parlando, che cosa sarò domani, il misterioso, il
morto, l’abitatore
di un magico e deserto mondo senza prima né dopo né
quando, chiedo di
bere il tuo cristallino oblio. Essere, però non essere mai
stato.
Mattias: “Napoli,
Nora, non nasconderti, Nagasaki…”
Ilaria: “ Mr Johnson!”
Apice sonoro. La voce di un attore che canta una canzone popolare
spagnola spicca sulle altre.
Paola: “ Chi è
morto la sotto? Bismarck col dito nel buco del culo!”
Christian: “ La
morte è il non poter comunicare!”
Apice sonoro. Tutti
insieme.
Tom: “ Still can’t adjust to a lifetime’s lack of
time.”
Gary: “ Why not,
dear? Già l’uccello terrificante così scuro e silente…”
La luce si abbassa gradatamente. Buio in sala e sul palco. Un attore,
nascosto nell’ombra della platea, recita alternativamente in italiano ed in
inglese frammenti dell’Amleto di Shakespeare. Il palcoscenico, intanto, viene illuminato da
un occhio di bue solo nella zona centrale, dove è stato eretto un telo nero (tenuto
teso da due attori mediante asticelle di legno); gli attori (che sono nascosti nella parte buia del palco) entrano a
turno nel cerchio di luce e mimano azioni di vario genere (ossia: ridere,
ballare, aggredire, uccidere, pregare, meravigliarsi, scappare, correre,
trascinare, cantare, salutare, baciarsi, arrabbiarsi, chiedere aiuto,
sorreggere,…). La luce delimita il raggio di azione. Il rumore di una
pellicola, che scorre a vuoto in un vecchio proiettore, accompagna il
carosello, mentre l’attore- narratore continua a pronunciare il suo monologo.
L’azione dura circa cinque minuti.
CORO: “Ci vuole qualcosa
di più di una fantasia, tempo, illusione, parlami, parlami,
oh!
E’ tempo che parli!
Allora,
ditemi voi, chi fabbrica più forte del muratore, del carpentiere o del
falegname?
Il becchino! Le case che fa lui durano fino al giorno del Giudizio.
Tutto
ciò che vive deve morire, passando dalla natura all’eternità. Le
circostanze
inquinano, io scoprirò dove è nascosta la verità , fosse anche
nascosta
nel centro della terra.
How noble in reason, how
infinite in faculties. In form and moving, how
espress and admirable. In
action how like an angel, in apprehension, how like a
god.
Cos’è
un uomo se deve impiegare tutto il suo tempo solo a dormire e a
nutrirsi?
Una bestia, nient’ altro! Certo colui che ci fece con un’ indolenza così
vasta,
capace di guardare il prima e il dopo, non ci chiede cosa hai fatto, e
libera
la gioia perché ammuffisse in noi senza essere usata, certo il senso che
non
è, è un mezzo per farci vedere il movimento, certo questi sensi sono
paralizzati:
occhi senza tatto, tatto senza vista, orecchie senza mani e gli occhi
impolverati
senza niente. E ora sono brame di inno alla gioia che come dolce
campagna
rompe gli acri, strisce fuori tempo e quella forma impareggiabile,
quel
ritratto di gioventù fiorente alla ricerca di non appassire, qualcosa nella sua
anima
su cui siede covando la sua malattia.
[…]
Così
la faccenda ci rende tutti importanti. Io non penso niente, non ho visto
niente,
niente!
Sono
parole che non appartengono a te, manterrai sempre le promesse. C’è
molta
musica, una voce eccellente in questo piccolo organo, parole, parole.
Mi
sono perso dentro e chiuso nella memoria e tu stesso ritroverai la chiave
e
riecco lui stesso faccia quello che può.
Il
gatto miagolerà, e il cane avrà il suo giorno.”
L’attore che impersona Julian Beck, con il capo coperto da un mantello
nero, entra nel cerchio di luce e, volgendo le spalle al pubblico, con il braccio
destro abbassa il telo nero che fungeva da sfondo durante l’azione e dietro
scopre dei corpi distesi a terra, privi di vita. Una ragazza grida l’ultima
battuta dell’Amleto (atto V, scena II. La battuta è pronunciata, nel testo di
Shakespeare, da Fortebraccio):
CORO: “Sollevate quei
corpi! Uno spettacolo come questo si addice ad un campo di
Battaglia,
ma qui è del tutto improprio. Avanti, che i soldati sparino!”
Nel frattempo alcuni attori sollevano e portano in processione, fino
al limite del palcoscenico, il corpo di un compagno morto, poi lo ripongono
nuovamente a terra. Si sente uno squillo di tromba. Buio totale in sala e sul
palco.
L’ENIGMA DEL PIANO O TRINITA’: PRIMA, ORA E DOPO.
Si sente il suono cupo di strumenti australiani chiamati “digeridoo”.
Tom Walker, l’attore che in alcuni momenti dello spettacolo ha impersonato
Julian Beck, ora rappresenta Picasso intento alla creazione di un’ opera. Essa
è viva ed esce prepotentemente dalla testa del pittore; nel buio si sentono dei
lamenti, dei versi quasi inumani. Una debole luce di colore blu illumina il
palco e scopre l’attore- artista modellare i corpi dei suoi compagni in
posizioni plastiche. Il tableau vivant, attraverso i gesti di Picasso, prende
progressivamente forma. Egli, contemporaneamente, pronuncia le sue battute:
PICASSO-BECK: “ Di
cobalto, sì…
Bianco
d’ argento, silver light
Poi,
un colore della terra, un uomo distrutto, mostro di guerra,
carbonato
di piombo,
una
donna, madre, sorella, figlia, terra, donna naturale,
tristezza,
sofferenza…soldato!
Morte
lì, morte! Lacca, scià di Persia, donne innocenti,
vedo
bruciare, all’ultimo momento, l’alba di cromo aranciato,
yellow,
red, fire!…ma…non è finito?
La luce si fa via via più forte e colora il fondo di verde e di rosso.
Alcuni attori (che si trovavano in platea) salgono sul palcoscenico portando
con sé persone del pubblico a cui è stato chiesto quali elementi debbano essere
aggiunti alla composizione di Picasso perché possa essere considerata completa; alcuni propongono di comprendere nel
tableau la disperazione della solitudine, altri il metallo, altri le pietre e
le macerie, altri le energie, altri ancora il sangue, ed infine alcuni
propongono al pittore di non dimenticare la buona speranza. Guidati, anzi
plasmati dall’attore- Picasso attori e pubblico prendono posizione nella grande
opera vivente, che si sviluppa occupando quasi tutto il palcoscenico. Essa ha
anche una componente sonora. Gli attori che vi prendono parte, infatti,
accompagnano la creazione con rumori provocati mediante la voce.
CORO: “No! Non è finito!
Manca la disperazione della solitudine!”
PICASSO-BECK:
“Manca la disperazione, la disperazione della solitudine… è vero!
Bianco,
oro, argento…”
CORO:
“Manca il metallo!”
PICASSO-BECK:
“Metallo, sì… nero d’amore, più bianco, silver light, rosso… sì!”
CORO:
“Mancano le pietre e le macerie!”
PICASSO-BECK:
“ Mancano le pietre e le macerie… grigio, bianco e nero… blu di Prussia…”
CORO:
“ Mancano le energie!”
PICASSO-BECK:
“Energie… rosso, vermiglione cinabro…”
CORO:
“ Maestro, manca il sangue!”
PICASSO-BECK:
“ Il sangue, sì… il sangue…”
CORO:
“ Manca la buona speranza!”
PICASSO-BECK:
“ La buona speranza, sì… Bianco, nero, grigio…
Una
goccia di luce verso l’orizzonte… più celeste, verde…il giallo di Napoli, sì,
si…
Sì!
Ora è completo!”
L’operazione di composizione dura circa cinque minuti. Poi alcuni
attori, sempre immobili nelle loro posizioni, pronunciano le loro battute,
mentre i suoni inarticolati ripetuti ritmicamente dai compagni continuano ad
accompagnare l’immagine del tableau.
CORO:
“ La vita è un sogno che continuamente svanisce nel tempo.
Sappiamo
che non abbiamo molto tempo prima di doverci confrontare con la
Sfinge.
Lei ci porrà
Possiamo
conoscerla fino a quando non sapremo qual è la domanda!”
Improvvisamente gli attori tacciono, ponendo fine al suono che (provocato
dalle loro voci) accompagna il tableau vivant. L’attore-totem della
composizione pronuncia una battuta a cui fa eco il coro:
CORO:
“Queste sono tre cose silenziose: la neve che cade, l’ora prima dell’alba, la
bocca aperta di qualcuno appena morto.
Quando
saremo rinati, come saremo diversi?”
L’ENIGMA DEL CAMPO O IL QUADRUPLO:
LA PERFEZIONE = DUALITA’ QUADRATO
Il tableau si scioglie. Gli attori scendono in paltea. In pochi
istanti si distribuiscono uniformemente in tutta la sala, che, dapprima immersa
nel buio, viene progressivamente illuminata da una luce lievemente rossastra.
Gli attori, per mezzo di lunghi nastri di raso rosso, dividono la platea in
settori, creando una griglia cartesiana appena sopra le teste degli spettatori.
CORO:
“ Il vaso di Pandora.
La
cosa misteriosa che continua a riapparire
avvolta
e legata, ma respira
come
Proteo capace di cambiare forma, ma sempre legata e avvolta.”
Gli attori, tenendo strette in mano le cime dei nastri, si muovono
ripetutamente da destra a sinistra, lungo i quattro corridoi che circondano la
platea, elencando una serie di enigmi. La griglia cartesiana si muove sopra le
teste degli spettatori.
CORO:
“ L’enigma del teatro
L’enigma
degli agenti investigatori di Rouen
L’enigma
di Eva
L’enigma
dell’inerzia segreta
L’enigma
della musica elettrica
L’enigma
della pace
L’enigma
della vita e della morte
L’enigma
di Dido sul rogo
L’enigma
del lato sinistro del corpo
L’enigma
della forma e della sostanza.
Gli attori si fermano. Inizia un sibilo continuo, provocato con la
bocca da alcuni di essi. Un’ attrice pronuncia la battuta:
CORO:
“ Se le bombe non possono incendiare, come può farlo il teatro?”
Un attore incomincia un conto alla rovescia. Contemporaneamente i
compagni camminano velocemente in platea, in mezzo al pubblico, lungo il
percorso perpendicolare e parallelo tracciato dal nastro rosso. Si crea un
clima di allarme, di emergenza.
CORO:
“Quarantacinque, quarantaquattro, quarantatrè, quarantadue, …
Emergenza!
I cavalieri caricano su di noi! Ci stiamo consumando.
Deperimento.
Trentanove,
trentotto, trentasette, trentasei,…
Questa
è la vita quotidiana: applichiamo la parola emergenza quando si
accelera.
Trentuno,
trenta, ventinove, ventotto…
Duemilatre:
non è ciò che non sappiamo, è ciò che non tentiamo
Ventisette,
ventisei, venticinque…
L’unico
teatro possibile è il teatro di emergenza
Ventiquattro,
ventitrè, ventidue, ventuno, venti…
Teatro
del cambiamento, dell’emergenza, della sollevazione…
Diciannove,
diciotto, diciassette…
Quando
sentiamo l’emergenza, la sentiremo davvero.
Quando
sentiamo l’emergenza, agiremo
Quando
agiremo cambieremo il mondo
Tredici,
dodici, undici,…
Un
teatro di reazione
Dieci,
nove, otto…
Il
teatro dell’emergenza, vera menzogna e gli spettatori sono morti.
Sette,
sei…
Lo
spettatore, l’ideatore
Il
teatro diventa vita
L’emergenza
è la verità
Cinque,
quattro, trè, due, due, due, due…
E’
dentro o fuori?
E’
dentro o fuori?
E’
dentro o fuori?
E’
dentro o fuori?
E’
dentro o fuori?
Quattro attori, con il nastro rosso, danno forma ad un quadrato
attorno al settore anteriore sinistro della platea, e, al ritmo delle voci
degli altri attori, pronunciano una serie di affermazioni che vedono la
contrapposizione tra ciò che avviene dentro e ciò che avviene fuori. I compagni
riprendono le posizioni fisse lungo i corridoi della platea mentre continuano a
trattenere le cime dei nastri che disegnano la griglia.
CORO:
“ E’ dentro o fuori?
E’
dentro o fuori?
Dentro
è il terrore di notte nella città, fuori c’è la chiave
Dentro
c’è il lavoro, fuori una grande miseria
Dentro
c’è lo sporco, fuori il resto ti sporca
Dentro
si mangia bene, fuori si mangia la spazzatura
Dentro
è l’estremo della rivoluzione esteriore, fuori sono io che devo liberarmi
Dentro
c’è la storia, fuori solo il tempo
Dentro
siamo tutti uguali, fuori c’è la mafia
Dentro
c’è la mafia, fuori c’è un’ altra voce
Dentro
il mondo inginocchiato dalla crisi economica, fuori lo spettro della
marcia
razzista nutre la bestia umana
Dentro
c’è la resistenza, fuori la rivoluzione
Dentro
c’è la jiad, fuori i […] israeliani
Dentro
c’è lo spazio, fuori c’è la luce
Dentro
c’è la speranza anarchica, fuori il teatro della vita
E’
dentro o fuori?
E’
dentro o fuori?
E’
dentro o fuori?”
Gli attori cambiano posizione. Quattro di essi si pongono agli angoli
di un quadrato formato nella zona posteriore destra della platea. Ancora una
volta, entrando ed uscendo con il corpo dalla figura geometrica delineata dal
nastro, gli attori enunciano una serie di domande enigmatiche. La parte
restante della sala, per tutta l’azione, rimane divisa in sezioni dalla griglia
cartesiana; il nastro rosso, infatti, continua ad essere tenuto teso da alcuni
attori situati lungo i corridoi laterali.
CORO:
“ E’ dentro o fuori?
E’
dentro o fuori?
Qui
e ora altri americani sono morti….
Questa
lotta politica cannibalizzata e sempre sopra i toni ha stancato gli
Italiani?
La
guerra è giusta, ma ha commesso tanti errori
Via libera alle riforme!
You, stupid white reject,
fuck you!
Questa
figura nera cosa fa qui in questo teatro tutto bianco?
Fuck
you!
Perché
non ritorni in Africa subito?
Cosa
nasconde una risata? Cosa nasconde una battaglia? Cosa nasconde il
Silenzio
dell’universo?
Perché
c’è la vita?
Qualcuno
può dirmi perché alcuni pensano che io vivo una vita bianca, altri
invece
una vita nera e io sto solo lottando per vivere una vita mia?
Qual
è il significato di questa sofferenza?
Now what colour are you,
because nobody mixed me to you anyway…giusto?
Un
enigma è un labirinto! Siamo infatti creature in un labirinto!
Per
quanto tempo possiamo continuare a vagabondare?
Il
teatro assomiglia ad un laborinto perché assomiglia alla vita!
Is there or is there not a
way how […] this labour?”
Terminata l’azione, l’attore che impersona Julian Beck, coperto
nuovamente da un lungo mantello scuro e illuminato da una luce blu, pronuncia
dal palco un breve monologo[14] e propone ai compagni di cercare la soluzione
degli enigmi enunciati durante il corso dello spettacolo nel pubblico. Quest’ultimo
diventa la chiave di volta dell’intera rappresentazione.
BECK:
“Dove sono adesso, da quale parte dell’universale verità? Quando questa poesia
sarà finita, questo accordo, specificherò la sua portata graduale nel tempo e
nello spazio, come Napoli, 5 Ottobre 1976.
Dove
sono io? Sono un punto scarsamente visibile nel pointinismo, sono un saracco
elettrico nel grande arazzo di pietra, il quanto di tempo, sono l’inbita forza
della libertà nelle protuberanze, nel sacco avvolto.
Se
potrò liberarmi saprò dove sono.
Dov’è
la chiave? Domanda a loro! Domanda a loro!”
Gli altri attori si trovano in platea. Invitati dall’attore- Beck,
essi si rivolgono dunque al pubblico e iniziano, dedicandosi ognuno ad un diverso
settore della platea (che è ancora divisa in sezioni dalla griglia cartesiana
delineata dal nastro), a discutere con esso riguardo una possibile soluzione
agli enigmi proposti. Ogni persona può dare il proprio contributo allo sviluppo
dello spettacolo, proponendo la propria personale risposta alle domande
insolute. Il tempo che viene dedicato a questa esperienza di discussione
colletiva è di circa quindici minuti. Dopodichè gli attori invitano le persone
ad alzarsi dalle loro poltrone e a pertecipare, riunite in gruppi, al movimento
della grande ruota. Essa prevede la realizzazione di un movimento rotatorio
all’interno della sala, sulle note di
un sound piece. La ruota gira. Ognuno è libero di proporre un gesto che
viene prontamente accolto e ripetuto dal proprio gruppo. Il suono stridulo di
un sassofono e il suono cupo di strumenti africani accompagnano l’azione finale
(che dura circa cinque minuti).
Poi la ruota si ferma, ma il canto di pace, sebbene ad un volume
basso, continua ad accompagnare l’ultima battuta dell’attore- Beck, che si
trova ora in piedi sul palco.
BECK:
“Spirito, luce scivolosa, la luce scivolosa dispersa nell’amarico, nel capitale
errante,
scivolando dentro due buoni cuori…
…
ti invoco, come un amante, rendici liberi!
Dobbiamo
veleggiare oltre la gravità, oltre il genio della quiete medievale,
oltre
le collettività armoniose e l’accordo anarchico-comunista.
Spirito,
duetto d’amore,
quella
luce scivolosa che è solo visibile…
solvente
di strutture, di tensione, di schegge armonizzate e di masse senza
radici.
Ci
stiamo perdendo in un terreno di polvere, poi ci irrigidiamo senza
transizione…
Suscita la luce scivolosa e solo per amore, solo per amore…
Mi
sento la mente inaridita!”[15]
L’attore-Beck intona un accordo vocale a cui partecipano gli attori ed
il pubblico. Buio in sala.
OSSERVAZIONI CRITICHE
In
Enigmas il Living Theatre attinge, per la creazione dello spettacolo, ad
una raccolta di scritti lasciati da Julian Beck, fondatore del gruppo nel 1947[16],
insieme con Judith Malina. Tali appunti elaborano, infatti, un progetto per una
rappresentazione sul tema dell’enigma, della domanda insoluta a cui ognuno di
noi si trova di fronte nel corso della vita stessa. Un consistente nucleo di
riflessioni circa questo argomento è raccolto nel testamento artistico che
Julian portò a compimento pochi mesi prima di morire[17]:
Theandric. Quest’ultimo documento è il risultato di anni e anni in cui
Beck rimuginò, purificò, ridefinì ciò che aveva consumato la sua intera esistenza:
il Teatro. Da quando, nel marzo del
La
ricerca del divino e l’enigma del mistero della vita sono dunque temi che
ritroviamo costantemente nelle opere dell’ultimo Beck; egli avverte la mancanza
di tempo, avverte l’avvicinarsi della fine e sente l’esigenza di avere le
risposte a quelle domande che lo hanno tormentato nel corso della sua
esistenza, a quegli enigmi, insomma, che minano la serenità di ogni essere
umano dotato di coscienza. E non a caso la struttura stessa di Theandric è oscura, quasi enigmatica: “oscura non per amore di confusione”, dice
Judith Malina “ ma per far sì che il lettore risolva ciascun enigma e sciolga
ogni contraddizione lungo il sentiero che conduce dall’ oscurità all’illuminazione.
Dal buco nero dell’auditorium teatrale all’esplosione di luce sulla scena.
Dagli oscuri miasmi della mente inibita all’ascesa sublime del Verticalista”[20].
Beck continua a lavorare, a scrivere anche sul letto di morte al Mount Sinai
Hospital; fino all’ultimo lavora alla messa a punto di L’Archeologia del Sonno e si dedica alla stesura degli appunti per
un nuovo spettacolo[21]. E
riguardo i progetti per un nuovo spettacolo, in una nota a se
stesso datata 13 marzo 1984, Beck dice: “Idealmente ora mi piacerebbe trovare
un nuovo stile di recitazione. Mi piace quello che abbiamo, quello che abbiamo
sviluppato. Nessuno lo ascolta più, nessuno lo può vedere. E’ stato accettato,
come lo stile di un poeta, ma la persistenza di uno stile in teatro non è
possibile per tutto il periodo prolungato di una vita di rappresentazione. Il
pubblico vuole la novità, si nutre di novità, lo facciamo tutti – ciascuno di
noi, lo sappiamo, e nel lavoro abbiamo procurato la varietà della forma, nella struttura,
nell’invenzione, non abbastanza però nello stile della recitazione. Lo stile
che abbiamo inventato fu una novità; adesso però dobbiamo andare oltre… Propongo
di tentare di farlo in questo nuovo lavoro… Ma non ha nulla a che vedere con un
semplice trucco.”[22]
Egli, dunque, scrive, discute con i compagni, lavora e medita intensamente,
spinto dai limiti che la vita gli impone; si fa avanti la necessità di capire,
di affrontare il mistero della vita e della morte: “Voi che dormite,
svegliatevi! E’ stato a lungo il grido. Ma io grido Dormite, dormite!
Tuffatevi nella notte, percorrete a grandi passi il labirinto della mente,
trovate il minotauro e procuratevi la risposta, confondete la sfinge, liberate
la città dall’angelo sterminatore e confondete
Unico
mezzo attraverso cui arrivare alla verità, alle risposte è ovviamente il
teatro; il rifiuto della Morte è il tema, il Teatro il sentiero prescelto: “Il teatro,
come l’oracolo di Delfi, è una sacerdotessa in trance che dà la risposta”,[25]
scrive Beck. E proprio questo percorso hanno tentato di praticare i compagni di
Beck con la realizzazione dei suoi ultimi progetti, di quello spettacolo che
egli stesso aveva con tenacia immaginato e programmato. Enigmas è
infatti un viaggio attraverso gli abissi della mente, un groviglio di domande
di carattere metafisico, un tentativo di ricerca verso la conoscenza della
verità sul tema della vita e della morte.
Il
seguente nucleo di enigmi in forma poetica proposti da Beck costituisce il
fondamento da cui parte la riflessione del gruppo:
“L’enigma
del lato destro del cuore
l’enigma
della caduta delle statue
l’enigma
della musica elettrica
l’enigma
dell’acqua della giovinezza
l’enigma
di Sara, il serpente
l’enigma
della domenica pomeriggio
l’enigma
della follia totale
l’enigma
di Dido sul rogo
l’enigma
della connessione mancata
l’enigma
dell’inerzia segreta
l’enigma
dell’opera d’ arte
l’enigma
degli agenti investigativi di Rouen.”
L’enigma
della fortuna sceglie gli enigmi della rappresentazione, tra le dodici possibilità.
Il pubblico fa la parte dell’investigatore che risolve il problema e scopre le
risposte.
Anche
in Enigmas, infatti, il Living adotta l’ormai noto metodo del free theatre: il coinvolgimento e la partecipazione del pubblico rappresentano il punto
focale dell’intero spettacolo, poiché nel pubblico stesso è riposta la speranza
della soluzione agli enigmi proposti. Solo l’intervento e la libertà d’azione di
quest’ultimo permettono allo spettacolo di giungere a una conclusione: la
chiave di volta del complesso intreccio di domande insolute è contenuta nel vissuto,
nell’esperienza, nella conoscenza e nella volontà di comunicare del pubblico.
Significativo, a questo proposito, è ricordare un pensiero poetico di Beck che
troviamo tra le pagine di La vita
del teatro:
“L’Elettricità Statica:
Chiavi. Fare chiavi è il compito dell’artista.
Nascondere le chiavi è il compito dei carcerieri.
Aprire
le porte - solo il popolo può aprirle.”[26]
E il compito degli attori in Enigmas è proprio questo: proporre gli enigmi e
sollecitare la partecipazione del pubblico all’enigmatico viaggio;
questa è l’unica via di salvezza, l’unica possibilità di conoscere la risposta.
Questa sera si recita a soggetto (1955) fu il primo
dramma, dopo Faustina (1952) che mirò chiaramente a coinvolgere il
pubblico, seppure attraverso l’espediente del teatro nel teatro. Anche in Many Loves e in The
Connection
(entrambi del 1959) il gruppo abbatteva la quarta parete e stimolava la
partecipazione diretta del pubblico mediante questo trucco drammaturgico. Ma il
Living non scelse quegli spettacoli perché si avvalevano di simili espedienti;
il messaggio fu sempre quello di coinvolgere, toccare, impegnare il pubblico,
senza limitarsi a mostragli qualcosa. La missione era ed è ancora oggi quella
di spingere il pubblico ad uno stato di consapevolezza, mescolando gli attori
con gli spettatori nell’intento di eguagliare, unificare, avvicinare
maggiormente tutti alla vita.
Anche negli spettacoli realizzati dal Living nel
periodo successivo, in modo particolare Paradise Now, ma anche in Mysteries (durante il quale il
gruppo si era cimentato, per la prima volta, in un esperimento di free
theatre,
a Parigi nel clamoroso happening per il ventennio della rivista Sipario) emergeva sempre più
prepotentemente l’esigenza della partecipazione del pubblico all’evento
teatrale. Gli spettacoli, ormai elaborati sulla base dell’equazione
recitazione-vita, implicavano la necessità di raggiungere gli spettatori,
muoverli, chiedere la loro partecipazione. E a tale proposito Beck scrive:
“Osservare soltanto e non agire: essere ridotti a meno che vita: naturalmente
la società della lettura lineare tende in questa direzione. E’ tempo di
muoversi.”[27]
Il
concetto di coinvolgimento del pubblico nell’azione teatrale è stato adottato
dal Living grazie al contributo teorico, in tale senso, di Artaud “Noi
sopprimiamo la scena e la sala, sostituendole con una sorta di luogo unico,
senza divisioni né barriere di alcun genere, che diventerà il teatro stesso
dell’azione. Sarà ristabilita una comunicazione diretta tra spettatore e
spettacolo, tra spettatore e attore, perché lo spettatore, situato al centro
dell’azione, sarà da esso circondato e in essa coinvolto.”[28]
L’ultima produzione del Living, Enigmas, è
stata messa in scena in occasione della mostra organizzata dalla Fondazione
Morra dedicata all’attività del Living Theatre[29],
realizzata presso l’incantevole scenario di Castel Sant’ Elmo, nella città di
Napoli. Il forte trecentesco ha ospitato la prima mondiale dello spettacolo il
27 Settembre 2003 (è stata realizzata una sola replica, il giorno successivo).
I tredici interpreti che vi hanno partecipato
appartengono in parte allo storico nucleo del Living Theatre, in parte si
tratta di ragazzi molto giovani alla prima esperienza con il gruppo.[30]
Lo spettacolo è una creazione collettiva, metodo di lavoro adottato per la
prima volta dal Living in Mysteries and Smaller Pieces (1964) e poi messo
a punto a partire dal periodo del cosiddetto nomadismo europeo; periodo
che vide la nascita dell’ensamble Living, ispirato ai principi
comunitari e di attivismo creativo del filosofo anarchico americano Paul
Goodman[31]
e a quelli di mutuo appoggio, solidarietà e autorganizzazione di
Kropoktin[32].
Collettivizzazione delle funzioni ed eliminazione delle gerarchie e dei ruoli
dentro e fuori il teatro, lasciando uno spazio di espressione alle capacità
creative di tutti i componenti del gruppo. Tra le pagine de La vita del
teatro troviamo le riflessioni di Julian Beck sulla maniera di “inventare”
un nuovo teatro che dia spazio a tutte le menti di un collettivo:
“Creazione
collettiva: un gruppo di persone che viene insieme. Non c’è l’autore su cui
adagiarsi che ti strappa l’impulso creativo. Distruzione delle sovrastrutture
della mente. Così arriva
Il
metodo di creazione collettiva, come accennato poc’anzi, viene per la prima
volta sperimentato dal Living per lo spettacolo messo in scena nel
E
anche Enigmas viene realizzato dal gruppo secondo la tecnica della
creazione collettiva. Judith Malina, a tale proposito ricorda:
“Lo
spettacolo è nato da un nucleo di appunti che Julian ci ha lasciato. Julian ed
io parlammo a lungo di questo progetto, forse per più di un anno. Purtroppo
Julian non riuscì a vedere realizzato questo nuovo spettacolo, perché di lì a
poco, era il 1985, ci lasciò. Il Living, però, ha deciso di riprendere in mano
questi appunti e di realizzare l’ultimo progetto di Julian. Nel marzo del 2003 abbiamo
incominciato a discutere, lavorando collettivamente, su questa nuova
messinscena; ora stiamo ancora cercando di definire la struttura dello
spettacolo.”[34]
Le
idee nate dal gruppo sono state formalizzate poi da Hanon Reznikov[35],
che ha fornito l’adeguata cornice strutturale e concettuale dello spettacolo;
esso è organizzato in cinque quadri, ognuno dei quali, a parte il prologo,
affronta un determinato enigma.
Reznikov
tuttavia è stato autore solo di una prima provvisoria redazione del testo (la
struttura e il testo stesso sono stati modificati dagli attori e dalla regista nel
corso della preparazione dello spettacolo).[36]
La
regia dello spettaccolo è di Judith Malina.
La
sala teatrale in cui è avvenuta la messinscena di Enigmas è situata
all’interno del trecentesco forte angioino di Castel Sant’Elmo; si tratta di
una sala all’italiana abbastanza capiente (duecento posti circa). La
scenografia prevista dal gruppo per la messinscena dello spettacolo è nulla; il
palcoscenico spoglio fa mostra di sé per tutta la durata dell’evento teatrale,
mentre il fondale bianco si colora alternativamente di blu, di verde, di rosso.
Unici oggetti scenografici utilizzati dagli attori nel corso dello spettacolo
sono uno striscione nero e un nastro di raso rosso. La scelta di non preparare
una scenografia per lo spettacolo, come è noto, non è nuova per il Living. Il
gruppo ha mirato alla realizzazione dei suoi spettacoli non avvalendosi di
alcun elemento superfluo o decorativo; la scena da sempre viene utilizzata come
pura scultura, libera dalle convenzioni artificiali, perché “la scenografia è
interessante solo quando è il doppio di ciò che sta accadendo”.[37]
Da Mysteries and smaller pieces (con l’eccezione di Frankestein e
di Les Bonnes) la scenografia intesa come uso di un involucro
costituito, ma anche di attrezzi e accessori, scompare dagli spettacoli del
Living, per ridursi ai semplici corpi degli attori, un intrico di gesti e di
architetture fisiche, in un ritorno ai puzzle di Jackson Pollock. E lo stesso
Beck, ne La vita del teatro afferma: “
Il
Living accoglie così la teoria postulata da Craig, regista e teorico inglese
degli inizi del Novecento, il quale nella sua idea di rinnovamento del teatro,
propone una drastica eliminazione del superfluo (realismo, scenografia dipinta,
recitazione manieristica), una chiara separazine dei ruoli di regista e
drammaturgo ed infine una scena semplificata in cui tutti gli elementi della
rappresentazione devono essere subordinati a un’unica legge dinamica
compositiva: il movimento. Scena semplificata, movimento, supermarionetta: la
teorizzazione di Craig (definito da Artaud “liberatore del teatro”) sembra
quindi anticipare alcuni dei temi del nuovo teatro di Artaud. E anche nella
realizzazione dell’ultimo spettacolo il gruppo ha scelto di portare avanti il
metodo di lavoro intrapreso molti anni addietro, tenendo presenti, a tale
proposito, le parole di Beck: “Se la scenografia non può dire allo spettatore qualcosa
che la scena nuda può dire meglio, non farla: l’ornamento superfluo distoglie
la concentrazione dal centro, la maggior parte dei manierismi e dei principi
morali del ceto medio sono ornamenti destinati a distogliere la concentrazione
dal centro delle cose.”[39]
Per
quanto riguarda l’illuminotecnica[40],
Enigmas è uno spettacolo caratterizzato da un significativo uso
simbolico delle luci. Esse sottolineano i momenti di raccordo tra una scena e
l’altra creando continuità, ma non solo: suggeriscono al pubblico la chiave
interpretativa di talune scene. Una luce blu, ad esempio, accompagna le
epifanie dello spirito di Beck, sottolineando in tale modo, la natura divina e
mistica dell’apparizione. Nei momenti di maggiore concitazione, di ritmo
serrato d’azione, la luce è di colore rosso, emblema, in questo caso, della
creatività e della vita che prende forma; la luce verde sottolinea i momenti di
passaggio diventando simbolo di cambiamento.
Analogamente
in Paradise Now l’unico artificio di cui il gruppo fece uso fu
l’alternarsi dei colori delle luci (blu pieno, verde pieno, arancio pieno,
etc…) per ciascuno dei gradini percorsi, effetto non solo di grande
suggestione, ma significativo nel sostenere le intenzioni della compagnia: la
ricerca dei colori cambiava infatti il senso della prospettiva e rifrangendosi
sui corpi ne mutava
L’accompagnamento
sonoro in Enigmas, come in gran parte degli spettacoli realizzati dal
Living, è affidato quasi esclusivamente all’espressione vocale degli attori (e
degli spettatori, che partecipano al sound piece e all’accordo finale).
Già in Antigone, in Frankestein e soprattutto
in Paradise Now il contesto musicale si alimentava dell’uso
della percussione delle mani sui corpi, come della percussione palatale, della
inspirazione, della semplice emissione dei fiati. In Paradise Now,
per esprimere il raggiungimento dell’armonia, il mezzo più usato diventava il
coro senza parole, già asceso a simbolo dell’accordo universale in una
scena dei Mysteries. E lo stesso
accade anche in Enigmas: la scena finale, infatti, prevede la
realizzazione della grande ruota, durante la quale il pubblico e gli attori
insieme intonano un canto ripetitivo (un mantra), un canto di pace, che
esprime la gioia dell’esito positivo raggiunto dalla performance, prima
di concludere con un intenso e coinvolgente accordo vocalico. Il puro suono[42]
è riproposto in Enigmas, così come veniva già utilizzato in in Paradise
Now, come esperienza e come mezzo di identificazione psicologica. Tutto Paradise Now, infatti, può essere letto come una partitura musicale; soppressi ormai
i dialoghi, le scarne parti parlate si riducono all’enunciazione di formule per
cambiare il mondo, o all’accorato richiamo al pubblico, o a domande-risposte di
puro carattere rituale; tutte ugualmente ritmate e riducibili a meri valori
musicali. Appare dunque evidente la non estraneità della teoria indiana della
possibilità di spiritualizzazione dell’energia (Mahamantra) attraverso la
trascendentale vibrazione del suono; alla massima purificazione del suono nel
raggiungimento dell’armonia totale, corrisponderebbe cioè un tipo di vibrazione
particolare che si identifica con il mantram della divinità e che servirebbe a mettere
in moto le comunicazioni psichiche trascendentali.
In Enigmas, i suoni che non nascono da un uso estremo delle
voci degli attori e dalla percussione dei loro corpi, ma che vengono generati
da strumenti musicali, accompagnano rari frammenti dello spettacolo. Il suono
malinconico delle armoniche a bocca sottolinea il momento di passaggio tra L’enigma
della linea, o dualità: il significato e il nulla e L’enigma
del piano, o trinità: prima, ora e dopo, mentre il suono cupo di strumenti di
origine australiana (digeridoo) accompagna la creazione del tableau
vivant (ne
L’enigma
del piano o trinità: prima, ora e dopo). La grande ruota accoglie nel suo movimento
circolare anche le note di un sassofono suonato però, in maniera particolare:
il musicista, infatti, non dà origine ad alcuna melodia, ma provoca, soffiando
all’interno dell’oggetto musicale, un suono stridulo e continuo[43].
Il curatore delle musiche di Enigmas è lo statunitense Alvin
Curran, una delle figure più interessanti della musica contemporanea. La sua
curiosità l’ha portato sempre a sperimentare le più varie possibilità di
produzione musicale, senza mai credere a suggestioni spettacolari o divistiche,
ma al contrario creando la sua affascinante musica in un’ atmosfera rilassata e
collaborativa. Nato nel 1938, Curran fa musica dall’età di cinque anni, quando
iniziò a prendere lezioni di piano, per passare ben presto al jazz; ha studiato
musica alla Brown University e poi a Yale con Elliott Carter, che
riconoscendone il talento lo porta con sé a Berlino come assistente.
Insofferente dell’ambiente accademico, Curran gira l’Europa e si stabilisce poi
in Italia. Tra il 1965 e il
Il
suo stile parte spesso da elementi minimi, oggetti sonori trovati nel corso dei
suoi viaggi, per costruire paesaggi musicali di grande respiro, con un uso naturale
e non feticistico delle risorse elettroniche, sempre usate con uno scopo
preciso, non casualmente sperando che le loro grandi potenzialità producano
qualcosa di accattivante o interessante. In un montaggio sonoro che lentamente trascolora
dall’una all’altra atmosfera arpe eoliche, tubi di plastica, campanacci di
mucca, voci di bambini si succedono producendo risonanze e suggestioni. Egli
stesso ha così descritto questo processo: “Il suono può apparire nella mia
testa, o nelle mani, piedi, gola stomaco o fuori dalla mia finestra, magari
ogni giorno alla stessa ora. Un accordo, qualche nota, un treno che passa, un
sogno, una premonizione, una vecchia armonica. Spesso c’è più di un suono e
quelli nuovi possono rianimare quelli vecchi, immagazzinati per essere usati in
un altro momento. Così in genere ci sono varie e diverse ossessioni che abitano
tutte inseme negli affollati e disordinati appartamenti del mio cervello,
aspettando che io riesca a trovare il lievito giusto per farli crescere e
diventare un essere musicale completamente nuovo.”
Come ha scritto Tim Page, Alvin Curran esplora i
misteriosi confini tra suono e musica attraverso una combinazione di
determinazione yankee e temperamento lirico mediterraneo. Alvin Curran ora è
titolare della prestigiosa cattedra di composizione del Mills College, creata
dopo il soggiorno americano di Darius Milhaud e a lui intitolata. La sua
capacità di combinare tensione di ricerca, equilibrio con la natura e memoria
della storia è fondata su una profonda empatia con le profonde necessità
dell’animo umano.
Per quanto riguarda il Living Theatre, è
significativo ricordare che Curran è legato da rapporti professionali e di
amicizia al gruppo. Nel 1984, l’anno prima della sua morte, Beck lavora a
fianco di Curran alla realizzazione di una registrazione audio in cui le
musiche dell’artista statunitense accompagnano testo e voce di Beck. Tale
componimento è intitolato Julian. E’ evidente come quest’ opera appaia, già nel
titolo, come una sorta di memoriale in onore di Julian Beck. E non a caso il
gruppo ha scelto Alvin Curran affinchè curasse le musiche di Enigmas che può essere
interpretato come una sorta di omaggio reso dal Living Theatre al suo
fondatore.
Durante
il primo quadro dello spettacolo (Prologo, Julian affronta l’enigma), al
termine della scena in cui gli attori, nel buio, pronunciano suoni
inarticolati, appare, muovendosi dal fondo della platea verso il palcoscenico,
una figura coperta da un mantello nero: è lo spirito di Julian Beck[44].
Esso è illuminato (e lo sarà per la maggior parte delle apparizioni che
avverranno durante lo spettacolo) da una tenue luce blu-azzurra. La scelta di
avvolgere la figura dello spirito con questo colore, assume chiaramente un
valore simbolico:
“Azzurro
è il colore che gli uomini chiamano divino
è
la luce della verità che spunta sull’ignoranza
è
il colore santo
è
la corrente che guida gli uomini al Polo
è
la luce della luna che illumina i cospiratori sulle colline
è
la chiarezza della destinazione
è
il sangue delle vene sulla via del cuore
è
il freddo
è
il lamento e il magnete
è
l’inspirazione dell’aria.”[45]
Così
il Living, in Paradise Now, interpretava il colore azzurro[46].
E in Enigmas la luce azzurra diventa l’espediente per rendere l’idea di
incorporeità dello spirito. La figura di Julian Beck è avvolta così da un’aura
di misticismo; egli non è più corpo, ma spirito, immerso nella conoscenza della
verità. Egli appare, invocato, agli amici, ai compagni, al pubblico per
suggerire il viaggio da intraprendere verso la conoscenza; egli rappresenta appunto
“la luce della verità che spunta sull’ignoranza”[47],
è “la chiarezza della destinazione”. Egli, avendo oltrepassato la soglia della
vita materiale, possiede ora le risposte alle domande, agli enigmi che tormentano
l’esistenza di ogni essere vivente; perciò Beck assurge, in questo spettacolo, a
guida, a sacerdote del rito per il raggiungimento della liberazione dalla
schiavitù del non conoscere. Egli propone ai compagni di aprire il vaso di
Pandora perché intuisce che in esso è la liberazione, la risposta.[48]
E
lo stesso Beck, a proposito della comunicazione con gli spiriti ne La vita
del teatro scrive: “…comunicazione con gli spiriti che elargiscono il
coraggio e la forza per sopravvivere, per aggrapparsi un po’ più a lungo a una
vita crudele”. E infatti lo spirito di Julian, materializzandosi in teatro,
esorta, o meglio, guida i compagni e il pubbico alla ricerca delle soluzioni
agli enigmi che la vita continuamente pone davanti a ognuno di noi, alla ricerca
del senso dell’esistenza; questo è lo scopo dell’“enigmatico viaggio”[49]
che gli attori, insieme con il pubblico intraprendono.
Non
a caso le prime parole, le prime frasi di senso compiuto che riecheggiano in
teatro sono pronunciate dallo spirito di Beck; solo lo spirito può, in questo
momento dell’esperienza collettiva ossia all’inizio dell’enigmatico viaggio,
quando ancora nulla è stato compreso, nessuna domanda ha avuto risposta,
parlare di ciò che è oscuro e inconoscibile. Egli ha superato il limite terreno
della vita e forse, spirito, ha trovato le risposte che da sempre, in vita ha
tentato invano di raggiungere. Ma i compagni, il pubblico brancolano nel limbo
dell’inconoscibile, nell’incertezza, nel mare di enigmi che insidiano la
capacità di pensiero, rendendo così impossibile la comprensione del mondo, dei
fatti, della vita stessa. Egli stesso invita gli attori a ricercare la verità,
a trovare la chiave.
Interessante è osservare la forte analogia che lega
l’ epifania di Julian Beck con l’apparizione di un altro spirito, forse il più
noto nella storia della drammaturgia teatrale: lo spirito del padre nell’Amleto
di Shakespeare. La ricerca della verità (sebbene nel dramma shakespeariano
sia guidata dal desiderio di vendetta) è la strada che entrambe le figure esortano
i posteri a percorrere. Essi sono spiriti e giungono dall’aldilà per
permettere, a chi è rimasto, di trovare una via di uscita dalla soffocante
consapevolezza del non conoscere. E i parallelismi tra Enigmas e il
dramma shakespeariano sono tutt’ altro che ipotetici: il testo dell’Amleto
viene adottato, opportunamente rielaborato, dal Living per la realizzazione di
alcune parti dello spettacolo. Sin dall’inizio, Shakespeare è presente nelle
battute pronunciate dallo spirito, il quale, infatti, ripete più volte “ To be
or not to be?”; con questa domanda, enigmatica per eccellenza, immediato e
automatico è il rimando del pubblico al dramma di Amleto. Ma perché il gruppo
ha scelto di ispirarsi, in alcuni passaggi dello spettacolo, all’opera di
Shakespeare? E’ possibile trovare una risposta tra le pagine di Theandric: “La tragedia di Amleto” scrive Julian Beck, “è la tragedia
dell’intelletto. Tutte le ellissi della mente, i suoi improvvisi abissi. E’ il
fallimento dell’intelletto che non riesce ad evitare
E
anche Enigmas vuole essere un viaggio attraverso gli abissi, i labirinti
della mente umana alla ricerca di una risposta; in Enigmas il tentativo, lo
sforzo collettivo di attori e pubblico è quello capire, di superare il limite,
la barriera che ci allontana dalla conoscenza pura; ed è proprio questo limite
umano oltre al quale è difficilissimo (se non impossibile) andare che
rappresenta la “tragedia dell’intelletto”. E Beck, nelle sue Domande (1963)[51],
ancora riguardo Amleto, scrive:
“Le
domande di amleto sono la sua gloria o la sua tragedia?”. E’ giusto dunque
inseguire la chimera della verità, della conoscenza, delle risposte al mistero
della vita o si rischia di sprofondare, invischiati tra i labirinti della
mente, tra gli abissi dell’io, nel mare della follia? E osserviamo come Enigmas
con le sue domande, con la sua speranza, sia il tentativo di oltrepassare
la banalità del quotidiano, di uscire dalla cecità dell’esistenza per scuotere
le coscienze, mettendo a repentaglio la finta serenità di ognuno di noi. La
tragedia di Amleto è simbolo di viaggio interiore attraverso le profondità, i
labirinti della mente. E il Living, appoggiandosi sui significati simbolici che
la figura di Amleto porta con sé, seppure a livello inconscio, avvicina il pubblico
all’ idea della ricerca interiore, di analisi intima dell’io. L’obiettivo è di
trovare la chiave che aprirà la porta della conoscenza, che permetterà di
capire il significato dell’esistenza stessa. E Beck, comparendo come spirito
nel Prologo, invita i suoi compagni a intraprendere questo viaggio
proprio guardando alla comunicazione con il pubblico; “La chiave sono loro!”
afferma indicando la platea (egli ripeterà questa battuta nuovamente nella
parte finale dello spettacolo[52],
che si rivela quindi organizzato secondo una struttura circolare, ad anello.)
Da questo momento in poi, fino alla fine dello spettacolo,infatti, il pubblico
rappresenterà la sorgente a cui attingere, nel tentativo di conoscere la
verità, nel tentativo di capire.
Poi
lo spirito scompare, lasciando sul palcoscenico il mantello nero che poco prima
indossava, sul quale è scritta, con i colori della bandiera anarchica[53],
la parola “enigma” e che rappresenta, simbolicamente (è infatti una parte di sé
che affida ai compagni), l’eredità spirituale lasciata dal fondatore del Living
Theatre al gruppo e a tutta l’umanità.[54]
Prima che lo spiraglio di luce generato dall’epifania di Beck svanisca, prima
che l’ultima possibilità di capire vada perduta, attori e pubblico sono invitati
a spingersi oltre, a intraprendere il viaggio della rivelazione. E concludendo,
si potrebbe affermare che Enigmas raccoglie, a circa venti anni dalla
morte di Beck, le potenzialità contenute nel testamento artistico del
fondatore, nel tentativo non solo di rendere omaggio al compagno, al marito,
all’uomo, ma anche nella speranza di portare a un compimento positivo il
percorso artistico e spirituale intrapreso da Julian negli ultimi anni della
sua vita e bruscamente interrotto dalla morte.
INTERVISTA A
JUDITH MALINA E HANON REZNIKOV
Porto Venere, 1° agosto
2003[55]
Domanda:
"Sappiamo che state lavorando ad un nuovo spettacolo. Di che cosa si tratta?"
Judith: "Si,
lo spettacolo a cui stiamo lavorando è basato su un nucleo di appunti che Julian
ci ha lasciato; parlammo molto di questo progetto Julian ed io, forse per più
di un anno discutemmo riguardo alla realizzazione di uno spettacolo. Poi Julian
morì.
Per lungo tempo ho
desiderato riprendere i suoi appunti, creare quello spettacolo di cui avevamo
molto discusso. Da marzo di quest'anno stiamo lavorando collettivamente proprio su questo nucleo di
appunti.”
D.: "Quale
tema affronta il nuovo spettacolo?"
Judith: "Il
nucleo attorno a cui nasce lo spettacolo è l’enigma. Ma bisogna distinguere bene
tra ciò che è enigma, puzzle, riddle: la domanda che pone la
Sfinge, quello è un enigma! L’enigma è profondo, è una sfida, è una domanda a
cui spesso non c'è soluzione. Julian ci ha lasciato poco materiale scritto; gli
appunti su cui si basa il nostro lavoro comprendono dodici enigmi, che sono
anche frasi molto poetiche. Per esempio Julian cita l'enigma del lato destro
del cuore, l’enigma della domenica pomeriggio.
Ognuno di noi ha un
suo enigma; ogni attore ha un diverso vissuto, diverse idee, diversi enigmi.
Hanon ha, come sempre, la funzione di unire le varie parti dello spettacolo, in
questo caso legare i vari enigmi.
In questo momento,
comunque stiamo ancora cercando di dare una forma, una struttura allo
spettacolo."
D.:"Che ruolo,
che importanza ha ricoperto e continua ad avere per il Living il teatro politico?"
Hanon: “Il teatro
politico ha avuto sempre, durante tutta la storia del Living, un ruolo di primo
piano. Prendiamo per esempio l’Antigone: ogni volta che lo spettacolo è
stato ripreso e rappresentato dal gruppo è stato estremamente significativo ed opportuno.
Come quando lo rappresentammo in Polonia nel periodo in cui era attivo il movimento
politico allora clandestino di Solidarnosc: rappresentammo Antigone una
domenica mattina in una birreria, nella più assoluta clandestinità.
Il pubblico che
assistette alla rappresentazione è l’attuale governo della Repubblica Ceca. Era
molto pertinente l’Antigone in quell’occasione, sembrava scritta per
loro. Altrettanto significativo fu rappresentare l’Antigone nel 1982 durante
l'invasione del Libano. Anche in quell'occasione lo spettacolo fu vissuto come
una lettura del presente. L'obbiettivo del Living è sempre stato e continua ad
essere quello di voler cambiare insieme con il flusso dei cambiamenti storici.
Vogliamo rimanere living,
viventi. Con tutti i problemi del mondo, non c’è motivo di perdere
E’ uno spettacolo
creato senza parole, è una sequenza di scene, di azioni nelle quali è solamente
indicato il tipo di testi a cui fare riferimento. Si tratta delle testimonianze
dei partigiani di Rocchetta. I testi sono stati inseriti tardi nello sviluppo
dello spettacolo. Speriamo di poter continuare a portare in giro questo
spettacolo, anche in Italia."
D. "Anche in Enigmas
sarà coinvolto il pubblico? In che modo?"
Judith: "Anche
in Enigmas, come in ogni nostro spettacolo, ci sarà il coinvolgimento del
pubblico. Gli spettatori saranno invitati a risolvere gli enigmi proposti dagli
attori, ma anche i propri enigmi. Stiamo però ancora cercando una struttura dinamica,
un intreccio che ci permetta questa operazione. Probabilmente in Enigmas ci
sarà anche il protagonista della domanda enigmatica per eccellenza: Amleto.
Egli è portatore dell'enigma più conosciuto della storia del teatro.”
D." Sappiamo
che avete avuto problemi per quanto riguarda la vostra sede a Rocchetta. Come
credete che evolverà la situazione?"
Hanon:" La
nostra condizione è problematica: abbiamo un’ intimazione di sfratto e non abbiamo
risorse. La situazione non è chiara. La provincia di Alessandria ha tempo fa
approvato un protocollo in cui era previsto un aiuto economico per il sostentamento
del nostro gruppo, ma il tutto si è arenato per opera del Comune.
Secondo la giunta
comunale il Living costituisce un peso economico insostenibile per la piccola
comunità. Molto probabilmente la risposta a questa
dura opposizione
sta nei cambiamenti di tipo politico che hanno interessato il piccolo centro...
Non siamo desiderati. Speriamo comunque, se la nostra "resistenza" a
Rocchetta non dovesse andare buon fine, di avere la possibilità di mantenere
una sede in Italia. Vorremmo continuare a mantenere i due poli Usa-Italia. Come
ama dire spesso Judith: "L'Italia ci ama , ma l'America ha bisogno di noi".
La nostra partenza per gli Stati Uniti è prevista per Ottobre. Rimarremo negli
Stati Uniti per otto mesi l’anno e quattro in Italia, al contrario di come
abbiamo fatto finora. E poi Abbiamo comprato un terreno per costruire un nuovo
teatro, avrà duecento posti. I lavori sono già cominciati. Lo inaugureremo tra
marzo e maggio prossimo. E’ a Manhattan sulla 49°, nel cuore di New York a pochi passi da
Broadway. I soldi li abbiamo avuti da sovvenzioni, ma soprattutto da un’
eredità dei genitori di Julian. Vi aspettiamo!”
DAL
DIARIO DELLE PROVE:
Rocchetta Ligure, 27 Agosto 2003
ORE 10.00: DISCUSSIONE COLLETTIVA
Il gruppo fissa l’obiettivo del lavoro della
giornata: impostare le due scene finali (contenute in: L’enigma
del piano o trinità: prima, ora, dopo; e in L’enigma del campo, o il quadruplo:
la perfezione= dualità quadrato)[56]
dello spettacolo.
Judith ricorda agli attori: “ Uno dei nostri più
grandi enigmi è: “perché facciamo la guerra? Perché la gente è buona e fa la
guerra?” È una grande contraddizione. Quando cadiamo sotto l’enigma del male
che non possiamo risolvere, cadiamo e troviamo le domande, gli enigmi. Ognuno
domanda il suo enigma cercando poi di portarlo attraverso tutto lo spettacolo.
E’ l’impegno di ognuno di noi. Possiamo anche decidere di cambiare l’enigma, se
non siamo convinti: ricordate che nulla è mai definitivo. Possiamo cambiare
idea anche dopo tre o quattro repliche. La domanda deve essere qualcosa che
deve seguirci, è la nostra figura che contiene il nostro carattere nascosto.
Cadiamo perché siamo combattivi.”
Poi
il gruppo discute riguardo la scena del carosello (contenuta in: L’enigma
della linea o dualità: il significato e il nulla); si cerca di trovare
delle soluzioni al problema delle luci, dello screen e degli effetti
visivi che si creano tra luci e ombre.
Poi il gruppo discute della scena della caduta
delle statue (in: L’enigma del punto o l’unità: tempo- spazio), tentando di tenere
presente che l’ambiente in cui verrà realizzato lo spettacolo è molto grande:
lo spazio a disposizione in cui il gruppo potrà agire sarà notevolmente
superiore a quello della sala prove di Rocchetta. Ognuno degli attori, a turno,
espone i propri dubbi, le proprie perplessità sulla scena.
Gli attori decidono infine di discutere e lavorare sul
terzo quadro dello spettacolo: (L’enigma del piano, o trinità: prima, ora e dopo).
Ancora una volta l’obiettivo è proporre una
riflessione sul tema della guerra; come gruppo politico il Living da sempre ha
lavorato su questa problematica.
Hanon propone che la scena contenga macchine
militari in movimento; l’azione di guerra potrebbe terminare con la creazione
di un tableau ispirato a Picasso. Il nucleo centrale è costituito da una sorta di
triangolo in cui l’elemento superiore è il mostro, la bestia (ossia la
violenza), l’elemento in basso rappresenta l’uomo, la figura di profilo a media
altezza è una donna che urla.
Gli
attori insieme con Judith e Hanon esaminano brevemente le soluzioni proposte
per l’ultima scena; essa rappresenta la liberazione, l’estasi finale.
Judith ricorda agli attori che le macchine da
guerra si trasformano, nella scena successiva, in un quadro ispirato a Picasso;
bisogna dunque mantenere, in entrambe le scene, uno spirito combattivo. Il
quadro è ispirato a Guernica, ma non deve essere Guernica. Ciò che conta è lo
spirito del quadro, che deve essere colto e trasmesso dagli attori al pubblico.
Mattias Kraemer propone che in questa scena si
faccia uso di una lingua inventata, che rappresenta la lingua della violenza; è
una lingua incomprensibile, che inoltre è in forte contrasto con la perfezione
della lingua inglese presente nella scena precedente, durante la lettura di
parti dell’Hamlet di Shakespeare. Questa lingua potrebbe diventare Italiano nel momento
in cui la composizione è completa.
Si valuta la possibilità di inserire elementi del
pubblico all’interno del tableau vivant.
Judith chiede agli attori di riflettere sul
significato di questa scena: “Cosa vogliamo dire con questa scena?”.
Il gruppo inizia poi una lunga discussione sulla
possibilità di fare cenno, durante lo svolgimento dello spettacolo, nella scena
immediatamente precedente il tableau ispirato a Picasso, della questione cecena e
dell’episodio dell’occupazione del Teatro di Mosca da parte dei terroristi[57]. I
punti di vista degli attori sono molteplici e complessi; la discussione si
accende. Alcuni sostengono che potrebbe essere significativo accennare alla
questione cecena, altri si dichiarano contrari sostenedo che non si può parlare
di quell’evento senza contestualizzarlo in maniera corretta e precisa, solo
dopo aver studiato a fondo tutti gli aspetti storici, religiosi, politici. La
scelta di rappresentare un’ azione facendo riferimento a quel fatto potrebbe
rivelarsi estremamente superficiale. Sarebbe un epediente, un trucco, un
inganno nei confronti degli spettatori e soprattutto un insulto per la gente
coinvolta in quel conflitto. E’ sbagliato schierarsi a priori contro l’operato
dei terroristi ceceni; le motivazioni di un simile gesto sono profonde e
complesse; non si può pensare di esprimere un giudizio così semplicistico e
superficiale. Non si può avere la presunzione di porsi come giudici di una tale
complessa situazione.
Judith esprime la sua opinione: “Dobbiamo
considerare che noi siamo potenzialmente anche dalla parte dei terroristi.
Abbiamo comprensione di quelli che fanno l’orrore, anche se non vogliamo
l’orrore. E’ più sottile, a mio giudizio, fare riferimento, nella scena, a
questa nostra comprensione per ogni posizione, piuttosto che schierarci
apertamente contro, nell’atteggiamento di giudici.”
Gary propone di fare riferimento ad un altro
conflitto attuale, come è accaduto in Paradise Now[58]; sarebbe interessante,
in questa scena, cercare il coinvolgimento del pubblico.
Paola
chiede se sia giusto usare l’evento del Teatro di Mosca come simbolo.
Judith
risponde che si tratta di tragedie umane. Non significa, forse, facendo uso di
eventi simili come simboli, denigrare la tragedia umana di chi li vive in prima
persona? Non è una storia astratta, ma è realtà. Dunque o si studia in maniera
molto approfondita la questione oppure non la si sfiora neppure. Judith
ribadisce la sua posizione contraria all’utilizzo, all’interno dello
spettacolo, dell’episodio al Teatro di Mosca. L’idea del passaggio dalla
violenza alla creazione artistica può essere realizzata in altro modo. Non è
necessario fare riferimenti all’evento di Mosca.
Mattias legge Peter Brooke.
Gary propone di creare una sorta di collage leggendo (mentre ognuno
degli attori, scendendo in platea cerca il coinvolgimento, nel tableau, di singoli elementi del pubblico) dei frammenti di articoli tratti dai
quotidiani del giorno in cui avverrà
ORE 14.00 PROVE IN PIEDI.
Gli attori discutono la realizzazione, in senso
concreto, della figura triangolare formata dai corpi di tre attori (Mattias,
Ilaria, Stefano), che costituisce il nucleo base del tableau
vivant.
Gli attori provano varie soluzioni di combinazione, di intreccio dei loro
corpi.
Mattias propone che le tre figure, che nascono
dalla creatività dell’artista (Tom Walker), diano l’impressione di uscire
concretamente dalla sua testa; poi il pittore inizia la composizione
dell’opera.
Gli attori provano l’azione, vagliando varie
possibilità di realizzazione.
Si discute, successivamente, della possibilità di
legare direttamente la scena del tableau con la scena del carosello (contenuta in: L’enigma
della linea o dualità: il significato e il nulla), rappresentando
l’ultima scena dell’Amleto di Shakespeare; è una scena cruda.Tutti i morti
sono distesi a terra.
Craig legge la fine dell’Amleto di Shakespeare.
Il gruppo discute il problema del sottofondo
musicale per il tableau. Vengono vagliate varie proposte:
1.
il tableau può essere accompagnato da un canto di pace (Mark);
2.
il tableau prende vita mentre gli attori leggono frammenti di notizie dai
quotidiani (Gary);
3.
il tableau si forma mentre si continua la lettura in Inglese di parti dell’Amleto, creando così una sorta
di continuità con la scena precedente (Craig);
4.
si può fare uso, durante la realizzazione dell’opera, di un linguaggio
inventato (Mattias).
Enigmas rappresenta l’ultimo
traguardo raggiunto dal Living; portatore, nella sua complessità, di una lunga
eredità artistica, esso sembra malinconicamente concludere un ciclo, un
percorso lungo più di cinquant’ anni.
L’ispirazione al passato è infatti fortissima e
costantemente presente nelle tecniche di lavoro adottate dal gruppo per la
realizzazione dello spettacolo; come si è potuto valutare nel corso
dell’analisi critica presentata, esse delineano un metodo di lavoro che può essere
definito, sebbene in ossimoro con la natura stessa del Living, storico.
Ritornano infatti in Enigmas la creazione collettiva, il coinvolgimento del
pubblico, il rituale, l’assenza di una struttura narrativa, le composizioni di
corpi, gli esercizi di biomeccanica. L’eco di spettacoli passati è
indiscutibile: in modo particolare, come sottolineato poc’anzi, un ruolo di
primaria importanza spetta a Mysteries and Smaller Pieces. Da questa esperienza
il Living ha tratto sia la struttura complessiva (priva di un assetto narrativo
e costituita da quadri apparentemente slegati gli uni dagli altri) sia una
serie di immagini e scene significative che ne caratterizzano l’impostazione
ritualistica.
E mentre Mysteries and Smaller Pieces ha rappresentato per il
Living Theatre un importante punto di svolta, poiché ad esso è riconducibile
tutto quello che è stato successivamente realizzato dal gruppo[59], Enigmas, testimone della
ricerca artistica e delle esperienze teatrali passate, segna un punto di arrivo
per il gruppo e sancisce , in qualche modo, la conclusione di un percorso.
Anche Paradise Now assume un ruolo di rilievo nella creazione
di Enigmas; come già osservato,
esso è fortemente presente nell’ultima produzione sia per quanto riguarda il
costante e analogo ricorso a formule e riti, sia per l’uso particolare e
simbolico delle luci, sia per l’uso inconsueto dei corpi e delle voci degli
attori.
Il rituale, presente nella maggior parte delle
produzioni del Living, rappresenta, com’è noto, il mezzo attraverso cui
percorrere la via della trascendenza e raggiungere
Concludendo,
è importante ricordare ancora una volta il ruolo di primaria importanza che,
nel corso di quest’ultima produzione, la figura di Julian Beck riveste: egli,
in qualità di spirito evocato dai compagni, rappresenta una guida ultraterrena,
una sorta di Virgilio che accompagna il pubblico e il gruppo attraverso le
insidie di un viaggio enigmatico e misterioso. Egli è la luce guida, è il faro
che permette ai compagni di non perdersi nel mare di dubbi e domande insolute,
e di trovare quindi la via per la salvezza.
L’illuminante
presenza di Beck è riscontrabile, come si è già osservato nel corso della
precedente analisi critica, in maniera assai evidente anche nel testo dello
spettacolo, costellato di frammenti di suoi scritti, di sue poesie, di suoi
pensieri e meditazioni. Si è infatti ampiamente dimostrato, nella precedente
analisi, come il gruppo si sia soprattutto ispirato all’ultima opera del
fondatore: Theandric. In esso, che è
unanimamente considerato come il suo testamento artistico e spirituale, sono riscontrabili
continue riflessioni sul tema della morte e della presenza del divino
nell’umano; scrive a tale proposito Judith Malina: “...E con un arabesco finale
intitolò il suo ultimo libro Theandric perché
voleva suggerirci l’idea del divino che è dentro di noi. Come Prometeo con la
sua canna carica di fuoco, Julian ci mostra come possiamo dare nuova forma alla
terra e rafforzare con la nostra energia innata la spinta disinibita verso i
nostri sogni più folli che spezzeranno il fardello che portiamo sulle spalle.”[60]
E, con ogni probabilità, l’obiettivo che ha guidato
la compagnia nella creazione di Enigmas è stato proprio quello di portare a compimento un
percorso filosofico- spirituale intrapreso da Beck nell’ultimo periodo della
sua vita e bruscamente interrotto dalla morte. Non si dimentichi, inoltre, come
quest’ ultima produzione abbia rappresentato, in qualche modo, un mezzo attraverso
cui ricordare la figura geniale dell’uomo, del compagno, del maestro,
dell’artista Julian Beck.
Appare suggestivo ricordare, infine, un pensiero
che troviamo tra le pagine di Theandric e con il quale ci sembra di poter identificare,
oggi, lo stesso Beck: “La figura che possiede la risposta si allontana ancora e
ancora o muore lasciando solo tracce, frammenti che noi dobbiamo ricomporre
come archeologi che tentano di ricostruire il segreto del passato.”[61]
LE IMMAGINI
Prologo: Julian affronta l’enigma. “ Che cosa ci ha
lasciato?”
L’enigma del punto o
l’unità: tempo- spazio. L’enigma della
linea o dualità. Azioni violente
La caduta delle statue
L’enigma della linea, o dualità: il significato e
il nulla. “ Sollevate quei corpi! Uno spettacolo come questo si addice a un
campo di battaglia!”
L’enigma del piano o trinità: prima, ora e dopo. Picasso
compone la sua opera, coinvolgendo elementi del pubblico.
L’enigma del piano, o trinità: prima, ora e dopo. Il
tableau vivant.
L’enigma del campo, o il quadruplo: la perfezione= dualità
quadrato. L’enigma del teatro.
L’enigma del campo o
il quadruplo: la perfezione = dualità quadrato. Lo spirito di Beck esorta gli
attori a cercare la risposta nel pubblico.
L’enigma del campo o
il quadruplo: la perfezione = dualità quadrato. Il pubblico prende parte alla
grande ruota.
L’enigma del campo o il quadruplo: la perfezione=
dualità quadrato. L’accordo vocalico.
Gli attori
ringraziano il pubblico al termine dello spettacolo.
[1] J. Beck, La vita del teatro, Torino,
Einaudi, 1975. Pag. 8.
[2] J. Beck, Teatro e Rivoluzione contenuto in Il
Lavoro del Living Theatre (materiali 1952-1969), a cura di F. Quadri,
Milano, Ubulibri, 1982.
[3] C. Valenti, Conversazioni con Judith Malina,
Milano, Elèuthera, 1995. Pag.103.
[4] Judith Malina a proposito di Mysteries and
Smaller Pieces afferma: “E’ una serie di rituali integrati che conduce a
una sorta di misterioso appello per un nuovo rapporto tra attore e spettatore.”
C. Valenti, Conversazioni con Judith Malina Milano, Elèuthera, 1995.
[5] C. Valenti, Conversazioni con Judith Malina ,
Milano, Elèuthera, 1995. Pag 106.
[6] C. Valenti Conversazioni con Judith Malina,
Milano, Elèuthera, 1995. Pag.145.
[7] J. Beck La vita del teatro, Torino,
Einaudi, 1975.
[8] P. Biner, Il Living Theatre , Bari, De
Donato,1968. Pag.11.
[9] La seguente ricostruzione si riferisce alle
riprese effettuate da Carola Savoia durante la seconda replica dello spettacolo
(28 settembre 2003), presso Castel Sant’ Elmo a Napoli. Il testo non corrisponde
alla versione originaria del copione (si veda appendice). Esso è stato modificato
nel corso della costruzione dello spettacolo stesso.
A causa della non ottima qualità dell’audiovisivo alcune battute
risultano incompresnsibili, e vengono indicatenella seguente ricostruzione con:
[…]. Le frasi in corsivo sono una descrizione della scena a cura dell’autrice.
I titoli che scandiscono i vari quadri dello spettacolo appartengono
alla suddivisione proposta dallo stesso Living Theatre.
[10] Il testo a cui Johnson fa riferimento è tratto da
“The day of absence” di Douglas Turner Ward.
[11] Il testo di Tom è tratto dal diario di Julian
Beck: 15 settembre 1952.
[12] Apis era una divinità dell’Antico Egitto. Animale
simbolo era il toro.
[13] Le parole pronunciate da Johnson sono state
scritte da Christian Vollmer.
[14] Canzone della rivoluzione #139 di Julian Beck.
[15] Il testo finale recitato dall’ attore-Beck è La
Canzone della Rivoluzione #116 di Julian Beck.
[16] L’atto di costituzione venne ufficializzato
davanti a un notaio il 26 aprile 1948.
[17] Theandric è stato scritto in gran parte tra
il 1975 (c’è un’annotazione del 1974) e il 1985.
[18] I Beck vennero a conoscenza della terribile
diagnosi durante le prove di L’Archeologia del Sonno.
[19] J. Malina, Un quaderno di esplosioni,
introduzione a Theandric di Julian Beck, Roma, Edizioni Socrates,
1994.
[20] J. Malina, Un quaderno di esplosioni
introduzione a Theandric di J. Beck, Roma, Edizioni Socrates. Pag.15.
[21] “…dal suo letto di morte al Mount Sinai Hospital
ha scritto le sue ultime poesie, raccogliendo attorno gli amici, facendo
progetti, facendo progetti anche per il futuro. Non ha mai rinunciato al futuro
finchè non è morto. E’ stato sempre un guerriero, ed è morto combattendo per la
sua vita e per
[22] J. Beck, Theandric, Introduzione di E.
Bilder, Roma, Edizioni Socrates,1994. Pagg.19-20.
[23] J. Beck,Theandric, Roma, Edizioni
Socrates,1994. Pag. 199.
[24] J. Beck,Theandric, Roma, Edizioni Socrates,
1994. Pag. 207.
[25] J. Beck, Theandric,
Roma, Edizioni Socrates, 1994.
Pag. 212.
[26] J. Beck, La vita del teatro, Torino,
Einaudi, 1975. Pag.103.
[27] J. Beck, La vita del teatro, Torino,
Einaudi, 1975. Pag 67.
[28] A. Artaud, Il teatro della crudeltà, Primo
manifesto contenuto in Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi,
2000. Pag 211.
[29] La mostra, intitolata Labirinti dell’
immaginario (Napoli, Castel Sant’ Elmo, 3 luglio-28 settembre 2003)
ospitava un consistente nucleo di documenti relativi all’attività del Living:
fotografie, registrazioni video di spettacoli, documentari, locandine,
scenografie, appunti, lettere di Judith Malina e Julian Beck; una sezione della
mostra era interamente dedicata alle opere pittoriche di Julian Beck. L’evento
comprendeva anche installazioni di artisti contemporanei che, in qualche modo,
sono stati artisticamente influenzati dall’ opera del Living.
[30]“ Quando qualcuno viene da noi e ci dice che
desidera unirsi al Living Theatre, noi gli assegnamo un compito: deve farci
capire in qualche modo che noi abbiamo bisogno di lavorare con lui, che lui ha
tanto da mostrarci e da darci che non vogliamo vivere senza di lui e siamo
pronti a passare i prossimi dieci o venti anni insieme.E questo compito
consiste nell’ esprimere il più chiaramente possibile il ruolo che l’ artista
può svolgere nella lotta del popolo…questo non significa che debba avere già un
lungo retroterra di esperienze. Si può trattare di ragazzi di diciassette,
diciotto anni: persone molto giovani che hanno già intuito però che è possibile
realizzare gli ideali di libertà e di pace e una migliore organizzazione dell’
esistenza…” afferma Judith Malina: C. Valenti, Conversazioni con Judith
Malina, Milano, Eulèuthera, 1995. Pag. 230.
[31] Il riferimento è al libro di P. e P. Goodman Communitas,
Bologna, Il Mulino, 1970. Paul Goodman nel corso degli anni Sessanta è stato un
punto di riferimento del movimento di protesta giovanile. Tra i temi indagati
dal filosofo anarchico americano: lavoro e vita comunitaria in una
ridefinizione su base neofunzionalista e un’ ottica decentrata degli
spazi urbani, descolarizzazione della società (Cfr. P. Goodman, Individuo e
comunità, a cura di P. Adamo, Milano, Elèuthera, 1995).
[32] “Né il potere schiacciante dello Stato centralizzato,
né gli insegnamenti dell’ odio reciproco e di lotta spietata che dettero,
ornandoli degli attributi della Scienza, dei gentili filosofi e sociologi, non
hanno potuto distruggere il sentimento della solidarietà umana, profondamente
radicato nell’ intelletto e nel cuore dell’ uomo, e fortificato da un’
evoluzione anteriore. Ciò che è il prodotto del progresso dai suoi primi
periodi non potrebbe essere dominato da uno degli aspetti di questo stesso
progresso. E il bisogno di reciproco aiuto e di mutuo appoggio che aveva
trovato un ultimo asilo nello stretto cerchio della famiglia, o tra i vicini
dei quartieri poveri delle grandi città, nei villaggi, o nelle associazioni
segrete degli operai, s’ afferma di nuovo nella stessa nostra società moderna,
e rivendica il suo diritto di essere, come è sempre stato, il fattore
principale del progresso. P. Kropotkin, Il mutuo appoggio ai nostri giorni,
Roma, p.104. Il concetto di “mutuo appoggio”, analizzato secondo una
prospettiva storica ed evoluzionistica, è elaborato da Kropotkin nel 1890 e
pubblicato in forma di articoli raccolti nel 1902 nel volume Il mutuo
appoggio: un fattore di evoluzione.
[33] J. Beck, La vita del teatro, Torino,
Einaudi, 1975. Pag. 96.
[34] Intervista a Judith Malina e Hanon Reznikov, Porto
Venere (La Spezia), 1 agosto 2003. L’intervista è stata realizzata da Annamaria
Monteverdi e Carola Savoia. Si veda l’appendice.
[35] “Fin dalla sua entrata nel gruppo, Reznikov
diventa lo scrittore, reinterpretando il metodo di composizione collettiva del
Living. Da subito i suoi testi nascono da un periodo di discussione e di
confronto sugli argomenti tra tutto l’ ensemble, durante il quale
Reznikov cerca di ottenere il massimo dei contributi prima di passare al
momento solitario della creazione testuale. E’ un processo cosciente e
razionale di scrittura colletiva che permette di superare, attraverso la figura
di un “ostetrico” che segue il parto nelle sue fasi più difficili, i confini e
i limiti del soggetto-individuo creatore.” Introduzione a cura di E. Risso e S.
Tavella a: H. Reznikov, Quattro spettacoli del living Theatre. Il Metodo
zero – Anarchia – Utopia – Il complesso capitale, Lecce, Manni, 2000. Pag.
6.
[36] Non esiste, infatti, una redazione definitiva del
testo realizata dal gruppo. L’unica redazione esistente è quella che viene
presentata in questa tesi di laurea, nel capitolo II. Essa è stata redatta
dall’autrice a partire da una registrazione video effettuata durante la seconda
serata (28 settembre 2003) di spettacolo.
[37] J. Beck, La vita del teatro, Torino,
Einaudi, 1975. Pag. 82.
[38] J.Beck, La vita del teatro, Torino,
Einaudi, 1975. Pag 81.
[39] J. Beck, La vita del teatro,Torino,
Einaudi, 1975. Pag. 82.
[40] In Enigmas le luci sono state curate da
Gary Brackett.
[41] J. Beck, Addosso alle barricate contenuto
in: K. H. Brown, La prigione, Torino, Einaudi, 1967. Pag. 12.
[42] Concetto elaborato dal musicista John Cage e
successiavamente adottatto dal Living.
[43] Il canto che accompagna la grande ruota è di Alvin
Curran e si intitola “The crossing”. E’ un ritornello composto nel 1970.
[44] E’ impersonato da Tom Walker.
[45] Tratto dal testo di Paradise Now, a cura di F.
Quadri, Torino, Einaudi, 1970. Pag. 143.
[46] Paradise Now è un viaggio spirituale e un
viaggio politico, un viaggio interiore e un viaggio esteriore. Il viaggio è un’
ascesa verticale verso la rivoluzione permanente (
[47] Lo spirito di Julian rappresenta infatti la luce,
la speranza della conoscenza della verità, del senso dell’ esistenza. Si noti,
a tale proposito, la battuta pronunciata dal coro al termine del prologo: “
Prima che la nostra luce svanisca, per l’ultima volta, per capire… Enigma!”.
[48] “La cosa misteriosa che continua a riapparire.
Avvolta e legata, ma respira, come Proteo capace di cambiare forma ma sempre
legata e avvolta. Il vaso di Pandora” da: J. Beck, Theandric, Roma,
Edizioni Socrates, 1994. Pag. 139. Questo pensiero viene ripreso e ripetuto dal
coro in Enigmas, L’enigma del campo o il quadruplo: la perfezione=dualità
quadrato (cap II pag.19).
[49] Così è stato definito da Judith Malina lo
spettacolo Enigmas.
[50] J. Beck, Theandric, Roma, Edizioni
Socrates, 1994. Pag. 278.
[51] J. Beck, La vita del teatro, Torino,
Einaudi, 1975. Pag 21.
[52] Sarà infatti ripetuta nella parte finale dello
spettacolo, prima della discussione collettiva tra attori e pubblico (si veda
Cap. II, pag. 16 e pag 38).
[53] Il rosso e il nero. A proposito di questi due colori
Beck scriveva (seppure riferendosi alla cerimonia di possessione praticata
dalle popolazioni brasiliane chiamata Kimbanda, dove Exù è Satana): “Exù
è il rosso. I suoi colori sono il rosso e il nero. E’ il grido della
gente per lo spirito della rivoluzione. E’ l’ invocazione delle forze oscure
antioppressione, è la cerimonia in cui si convoca Satana, capo della rivolta
nel cielo della classe dominante. Nasce dal riconoscimento del male sfrenato e
dalla decisione di trionfarvi sopra per aiutare a liberare la gente dalla
miseria eterna, invocazione al genio maligno di Belzebub per riordinare il
mondo, è la rappresentazione di un’ antimoralità liberata, una morale in cerca
di una realtà più solida di quella prevalente, che ci asservisce tutti…e’ la
cerimonia del popolo represso. E’ la mappa della loro rivoluzione. E’ la vera
espressione di un sogno popolare: teatro disperato pieno di speranza…” J. Beck,
La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975.
[54] La battuta che gli attori del coro affermano e
infatti: “Ci ha lasciato qualcosa! Ma cosa ci ha lasciato?” Si veda cap II
pag.17.
[55] L’intervista è stata realizzata da Annamaria
Monteverdi e Carola Savoia, presso l’Hotel Belvedere di Porto Venere in
provincia di La Spezia.
[56] Si veda cap. II pag. 33 e seguenti.
[57] Il teatro Dubrovka di Mosca il 23 ottobre 2002 fu
occupato da terroristi ceceni. Poco dopo l’ inizio del secondo atto del musical
Nord-Ost
novecentoventidue persone furono prese e tenute in ostaggio per cinquantasette
ore. I terroristi (il commando di cinquanta persone era costituito da uomini
armati di kalashnikov e di bombe a mano e da diciotto donne) chiedevano che la
guerra in Cecenia fosse immediatamente fermata; se ciò non fosse accaduto entro
una settimana tutti gli ostaggi sarebbero stati uccisi. Le richieste degli
ostaggi non furono accolte e la situazione si diresse verso un punto di non
ritorno. L’Alpha Force, la squadra antiterrorismo russa, si introdusse nei
sotterranei del teatro e mezz’ora prima dell’assalto, dopo avere realizzato un
buco in un muro del teatro, iniziarono a pompare gas soporifero per mettere
fuori gioco i terrosristi. Disorientati dal gas e dall’improvviso attacco i
ribelli non riuscirono a dare l’ordine alle donne di far saltare in aria
l’edificio. Succesivamente si verificò una sparatoria che causò l’uccisione di
tutti i cinquanta ceceni e la morte di centoventinove ostaggi.
[58] In Paradise Now il Living faceva
riferimento alla guerra in Vietnam.
[59] Afferma Judith Malina: “…quel momento ha segnato
per noi l’inizio del teatro non di finzione, del teatro in cui l’attore
interpreta l’attore, allo stesso modo in cui Kandinskij capì, guardando i
pagliai di Manet, che il quadro non aveva come soggetto i pagliai, ma
[60] J. Malina, Un quaderno di esplosioni,
introduzione a J. Beck, Theandric, Roma, Edizioni Socrates, 1994. Pag.
14.
[61] J. Beck, Theandric, Roma, Edizioni
Socrates, 1994. Pag. 192.