Le Buone Pratiche 2006
La questione meridionale del teatro
Napoli, Castel dell'Ovo, 7 dicembre 2006
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Il tavolo della presidenza: da sinistra, Franco D'Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino ascoltano la relazione di Antonio Taormina.
Uno scenario splendido come Castel dell’Ovo, circa 150 presenze, un dibattito ricco e articolato, un moderato uso del timer (per gli adepti: il mitico peperone è stato sostituito dal raffinato oggetto che Mimma Gallina ha portato dal Moma di New York). Questo è stata la terza edizione delle Buone Pratiche 2006. La questione meridionale del teatro. Alcune delle relazioni e delle Buone Pratiche sono già state pubblicate sul sito, altre lo saranno nelle prossime settimane e certamente anche il forum si arricchirà di interventi e repliche.
Ninni Cutaia del Teatro Mercadante e Rocco Laboragine del curcuito della Basilicata: al BPsud si è parlato molto della crisi del circuito lucano e delle possibili soluzioni.
Quelle che seguono sono solo alcune rapide impressioni generali, in attesa di ulteriori approfondimenti. Al di là dell’affluenza, un primo elemento significativo riguarda l’ampio spettro degli interventi: si sono incontrati amministratori, politici e gente di teatro, dal vicepresidente della Commissione Cultura della Camera onorevole Alba Sasso ai giovani artisti che lavorano al DAMM (il centro sociale napoletano), dai responsabili dei maggiori circuiti teatrali del Meridione a gruppi con il siciliano Mandara Ke.
Patrizia Ghedini tra Franco D'Ippolito e Oliviero Ponte di Pino.
Un secondo aspetto riguarda il clima costruttivo della discussione, ferma restando l’ovvia diversità delle posizioni e delle esigenze. E’ proprio questo l’obiettivo delle BP, di cui - visto che una edizione 2007 è pressoché inevitabile - ci sembra utile ribadire le linee guida (anzi, prendiamo in considerazione eventuali ospitalità per il prossimo anno). Quello che le Buone Pratiche possono e vogliono essere è - creare uno spazio di incontro indipendente e un’opportunità di libera discussione.
Perché questo avvenga in maniera costruttiva (e non dispersiva) è necessario creare le condizioni più adatte; in particolare, si tratti di: - facilitare la costruzione di una rete di rapporti e relazioni, anche al di là degli incontri;
- raccogliere e diffondere informazioni (oltre alle Buone Pratiche presentate e pubblicate sul sito, gli interventi di Giulio Stumpo dell’Osservatorio dello Spettacolo e di Patrizia Ghedini sull’iter della legge sullo spettacolo e sul rapporto Stato-Regioni in materia hanno offerto un punto di vista “in progress”, in continuità con BP2);
- fornire spunti di riflessione che possano innestare nuove progettualità (abbiamo lavorato su idee guida: nel 2004 la Banca delle Idee, nel 2005 La cultura come valore e nel 2006, appunto, La questione meridionale del teatro);
- costruire un’occasione pubblica di conoscenza, verifica e di incontro (ancora 1000 grazie agli organizzatori di questa tornata, in particolare Lello Serao e Luigi Marsano per l’impeccabile accoglienza, la disponibilità e la discrezione: capita di rado di trovare amici così);
- mettere (e tenere) a disposizione di tutti attraverso il sito www.ateatro.it il materiale raccolto, per stimolare ulteriori contributi, ma anche per sottoporre a verifica, nel corso del tempo, le Buone e le Cattive Pratiche che riusciamo a individuare (vedi per esempio il caso dei Teatri di Napoli, presentata come Buona Pratica due anni fa e al centro della riflessione di questa tornata, con un mix luci e ombre).
Giulio Stumpo dell'Osservatorio dello Spettacolo sorregge eroicamente le BPsud (o viceversa?).
Date queste “condizioni al contorno”, per quanto riguarda la discussione del 7 dicembre a Napoli possiamo provare a cogliere e rilanciare alcune indicazioni.
In primo luogo, la “questione meridionale” non è stata mai declinata - da nessuno - in termini di vittimismo e rivendicazionismo. Ci sono certamente delle differenze (anche clamorose) nella distribuzione dei consumi e delle risorse nel settore della cultura e dello spettacolo (vedi la clamorosa situazione del Molise denunciata da Stefano Sabelli); ma la questione è stata sempre affrontata nella sua complessità: perché c’è una distanza tra Nord e Sud (ma anche il Nord ha i suoi Sud, a cominciare dal Veneto); ma c’è anche quella tra Cemtro e Periferia (le metropoli e le periferie, le città e il territorio); e c’è infine - ed è un altro Sud - il nodo del giovani, il problema dell’accesso al sistema (e prima ancora della possibilità di sperimenarsi e di ottenere un minimo di visibilità).
In questo scenario, la transizione del sistema verso una base regionale è ovviamente un nodo centrale (e per questo l’impegno delle Regioni del Sud nella definizione della nuova legge è ovviamente determinante). Quella che è emersa con una forza inedita, questa volta, è la consapevolezza (da parte di tutti, dal vertice alla base) che l’attuale sistema di regole - a cominciare dal FUS - non è più adeguato: non solo crea barriere all’accesso pressoché insuperabili, ma non sembra neppure più in grado di garantire l’evoluzione e la stessa sopravvivenza del sistema così come si è sedimentato (e bloccato) in questi decenni.
Ancora più drammatica e urgente, in quest’ottica, appare la crisi dell’ETI: ridotta in pratica a costoso gestore di quattro sale, ha abdicato alle sua funzioni primarie e grava con un peso insostenibile sull’intera rete distributiva. La diffusa nostalgia del “Progetto aree disagiate” è solo un’ulteriore prova della necessità di una profonda riforma (o in alternativa della chiusura) dell’ETI. Più in generale, si tratta di inventare (o immaginare) un nuovo sistema di regole, di uscire dalla gabbia delle categorie. Un esempio tra tutti: nel documento dell'ANCRIT (Associazione Nazionale Compagnie e Residenze di Innovazione Teatrale) inviato da Luciano Nattino si chiede di inserire un apposito articolo per riconoscere una delle più proficue novità del sistema in questi anni, le residenze; questa è stata la strada seguita dal regolamento nel corso degli ultimi decenni per riflettere (o meglio inseguire) l’evoluzione del teatro italiano. L’intenzione è certo ottima, ma forse la maniera migliore di affrontare il problema non è la creazione di una nuova categoria ministerial-burocratica.
La sensazione diffusa è che gli attuali modelli siano inadeguati e che perciò sia necessaria una profonda riforma di sistema - e che questa riforma debba essere illuminata da dosi massicce di fantasia e di immaginazione creativa.
Beato tra le donne: nell'Antro di Virgilio, Luigi Marsano tra Costanza Boccardi e Mimma Gallina, felici dopo il raffinato buffet...
Perché oltretutto il teatro non può più restare chiuso nel suo specifico, quello dove lo rinserrano a doppia mandata le “categorie” e i “dati quantitativi”, ma deve confrontarsi con altri ambiti, per contaminarsi e arricchirsi: da un lato accettando il confronto con i nuovi media (come ha sottolineato Angelo Curti), e dall’altro misurandosi con la sfera del “sociale”, nelle sue varie declinazioni: solo per fare qualche esempio, i “teatri delle diversità”, le esperienze giovanili e dei centri sociali, il rapporto con il territorio e con la sua storia, la scuola e la formazione del pubblico. E’ una delle strade - certo non la sola - per arricchire di “valore” la cultura.
Un secondo aspetto riguarda l’evoluzione degli strumenti più adatti per individuare gli obiettivi del sostegno alla cultura e allo spettacolo (le linee strategiche di sviluppo); e in secondo luogo per valutare l’efficacia dell’investimento. E’ il nodo degli Osservatori della Cultura e dello Spettacolo, anch’esso evocato in numerosi interventi. Si tratta certamente di istituzioni utili e necessarie per una più efficace e trasparente gestione del denaro pubblico, ma anche in questo caso non mancano i rischi: da un lato quello di ridurre il problema ai suoi aspetti economico-statistici (con il rischio di mettere in secondo piano quali culturali e più specificamente artistici); dall’altro quello di subordinare l’attività a una forma ancora più sottile di controllo politico.
All’ordine del giorno, intimamente legato al problema dell’accesso, anche il nodo della formazione, che deve essere intimamente legato all’innovazione e alla ricerca. Anche in questo caso la crisi può essere una opportunità (anche di lavoro: per gli attori, ma soprattutto per tecnici e organizzatori...).
Da sinistra, Marina Rippa e Davide Iodice di liberamente, Saverio La Ruina di Scena Verticale e Sergio Longobardi di Babbaluck
Questo sono solo alcuni dei temi rilanciati dall’incontro di Napoli, ma possono già fornire una traccia per il futuro. Ma si possono - e si debbono - seguire anche altre tracce. Eccone un paio.
La notte prima dell’incontro del 7 dicembre è stato compiuto un furto a Piscinola, al Teatro Area Nord, quello di Lello Serao (il nostro ospite) e di Renato Carpintieri, lì c’è anche il set di uno dei nostri telefilm preferiti, La squadra. E’ stata divelta un’inferriata, sono stati portati via i computer e altre attrezzature. Il valore commerciale della merce rubata è pressoché nullo, il danno è grande (come sa chiunque abbia un pc con la memoria piena di doc, xls, jpg, mp3 eccetera), ma soprattutto quel furto tradisce la volontà di dare un segno (pochi giorni prima negli stessi locali era stato appiccato il fuoco alla biblioteca). Quel furto è una conferma - drammatica - del valore della cultura e del teatro.
E poi una frase di Antonio Neiwiller, grande artista napoletano scomparso, citata da Davide Iodice come snodo problematico di fronte alle difficoltà del presente, alle speranze e ai fallimenti: “Che senso ha se solo tu ti salvi?”. Una frase semplice, che esprime il senso profondo delle Buone Pratiche.
E alla fine, per riprendersi dalle fatiche della giornata, al Teatro Trianon a vedere la sceneggiata: 'O schiaffo con Pino Mauro, Oscar Di Maio, Antonio Buonuomo, regia di Carlo Cerciello.
PS Il dibattito napoletano può aiutare a capire anche quello che è successo all'incontro sullo specialemilano: per certi aspetti, Milano è più Meridione del Meridione...
PS2 le paparazzate sono di Mimma Gallina & Co.
Napoli, Sala Campana, Castel dell’Ovo, 7 dicembre 2006
Le Buone Pratiche approdano finalmente al Sud, a Napoli. Non è stato facile, come sanno bene i fedeli lettori di ateatro, ma ce l’abbiamo fatta e ne siamo molto felici: era importante e necessario, e siamo certi che questa terza edizione (per gli amici BP3/2006) sarà utile.
A novembre 2004 a Milano avevamo provato a tracciare nell’incontro la mappa, al di fuori di pregiudizi e luoghi comuni, di alcune opportunità per uscire dalla crisi del teatro italiano. Nel novembre 2005 a Mira (Ve), abbiamo discusso con alcune personalità non direttamente impegnate nel settore sul tema “Il teatro come servizio pubblico e come valore: lo spettacolo dal vivo tra economia, politica e cultura” e abbiamo lanciato la parola d’ordine l’1% del Pil alla cultura, che è stato accolto nel programma elettorale dell’Ulivo e di altre forze politiche (di tutto questo trovate ampia traccia negli archivi di ateatro).
L’edizione 2006 è centrata su un terzo tema, anche se riprenderemo e rilanceremo anche le sollecitazioni delle prime due edizioni.
Ci incontreremo il prossimo 7 dicembre 2006 a Napoli, Castel dell’Ovo (dalle 10,00 alle 19,00) per il nostro terzo appuntamento sul tema “La questione meridionale nel teatro” .
Un solo dato. Nel Sud e nelle Isole vive circa il 35% degli italiani; nelle stesse Regioni tutti gli indicatori delle attività culturali e dello spettacolo sono attestati tra ul 15 e il 20% (dato 2004).
La questione meridionale del teatro sta nel divario nord-sud dei finanziamenti pubblici alla produzione ed alla distribuzione, delle sale agibili, del numero delle recite programmate, ma non solo. Sta anche nella difficoltà di sviluppare politiche attive di contrasto delle povertà materiali (attraverso l’occupazione diretta ed il vasto indotto che produce) e immateriali (che attengono alla qualità della vita delle comunità e al capitale civico dei territori), ma non solo. Sta nella specificità del “pensiero meridiano” e nelle punte d’eccellenza e nei modelli organizzativi e artistici che funzionano, ma non solo. Sta pure nella condizione di solitudine della passione dei talenti che nessuna legge o regolamento potrà misurare ma che senza quei riferimenti normativi certi continuerà a produrre l’individualismo delle azioni e dei pensieri. E forse sta in altro ancora, nella necessità di un’utopia, di cui il teatro e gli uomini non possono fare a meno.
Porremo a tutti noi alcune domande:
- “come può contribuire il teatro al superamento della questione meridionale intesa come palla al piede del sistema Italia?”;
- “quale grado di consapevolezza ha raggiunto l’imprenditoria privata nel considerare la crescita culturale parte irrinunciabile ed imprescindibile dello sviluppo economico del territorio?”;
- “cosa comporta e che significa per il sistema teatrale italiano il sotto la media delle produzioni, delle recite, delle sale teatrali, degli spettatori, delle risorse pubbliche e private del teatro meridionale?”;
- “come dare continuità alle pratiche teatrali meridionali e regolare le relazioni fra istituzioni, Enti Locali, organismi distributivi e teatri e compagnie?”;
- “quali politiche locali teatrali promuovere mentre si vanno definendo i nuovi assetti Stato/Regioni, magari avviando proprio dal Sud una ricomposizione degli obiettivi strategici (come ripartire il FUS, a chi e perché, qual è l’ambito nazionale e qule la rilevanza regionale);
- “è ancora realisticamente perseguibile, e come, l’obiettivo lanciato nell’incontro di BP2 a Mira, e raccolto da quasi tutte le forze politiche nella scorsa campagna elettorale, di portare all’1% del PIL la quota del bilancio statale per la cultura?”.
Ci piacerebbe che l’incontro meridionale fosse anche capace, con il contributo di tutti i partecipanti, di immaginare un’utopia per il Sud, un pensiero alto, non misurabile, che accompagnasse le cose concrete che si possono fare e che si debbono fare e che possa restituire alle donne ed agli uomini meridionali il “sogno del bello”.
Apriremo inoltre una sezione sulle “buone pratiche 2006”. Invitiamo dunque operatori e amministratori a presentare ciò che di positivo e di replicabile hanno fatto o stanno facendo (per questa sezione sarà necessario inviare la propria “buona pratica” per iscritto a info@ateatro.it almeno 15 giorni prima dell’incontro di Napoli).
Presto pubblicheremo il programma dell’incontro e le notizie utili per organizzare il vostro viaggio ed il vostro soggiorno a Napoli (alberghi, b&b e ristoranti convenzionati). Le caratteristiche degli incontri restano quelle della prime due tornate delle Buone pratiche: assoluta indipendenza e libertà, autogestione e trasparenza, partecipazione gratuita, diffusione delle relazioni (sempre gratuita) sul sito www.ateatro.it, discussione aperta sia nel corso dell’incontro sia nei forum di www.ateatro.it.
Napoli e Castel dell’Ovo ci aspettano, dalle 10 alle 19 del 7 dicembre.
Le Buone Pratiche 3 La questione meridionale stanno prendendo forma.
Nei prossimi giorni metteremo sul sito altre info, news e alcune delle Buone Pratiche che verranno presentate nel corso dell’incontro. E naturalmente stiamo mettendo a punto il programma della giornata.
Siamo sicuri: sarà un incontro interessante, appassionante e appassionato!
Ma anche affollato.
Perché ci sarà molta gente. Hanno già confermato la loro partecipazione, tra gli altri:
Alba SASSO, vicepresidente Commissione cultura della Camera
Nicola ODDATI, assessore alla cultura del Comune di Napoli
Rachele FURFARO, consulente per lo spettacolo della Regione Campania
Patrizia GHEDINI, dirigente settore spettacolo della Regione Emilia-Romagna
Michele TRIMARCHI, economista della cultura
Giulio STUMPO, Osservatorio dello Spettacolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Antonio TAORMINA, Ater Formazione
Carmelo GRASSI, presidente Anart
Ninni CUTAIA, direttore del Teatro Mercadante-Stabile di Napoli
Raimondo ARCOLAI, direttore del Teatro Stabile delle Marche
Alfredo BALSAMO, presidente e direttore del Teatro Pubblico Campano
Rocco LABORAGINE, direttore dell’Associazione Basilicata Spettacolo
e poi, in ordine sparso, tra gli altri
Teatro Kismet OperA
Cerchio di Gesso, Crest
Cantieri Koreja
Teatro Minino
Armamaxa
Crasc
La Bottega degli Apocrifi
Enzo Toma
Teatro Pubblico Pugliese
Scenastudio
Scena Verticale
Teatro Sybaris di Castrovillari
Teatro Rendano di Cosenza
Circuito Teatrale Calabrese
Teatro Segreto
Valentina Valentini (Università della Calabria)
Claudia Cannella (“Hystrio” e “Corriere della Sera”)
Giuseppe Cutino (Tutte le strade portano ad Alcamo)
Vito Minoia (Teatri delle Diversità)
Francesco D'Agostino (Quellidgrock)
Fanny Bouquerel
Giovanni Spedicati (Editrice Mongolfiera)
Danny Rose
Mario Nuzzo
Simone Ricciardello
Lia Zinno (Pantakin)
Fulvio Iannelli
Maria Rita Parisi
Ma questo è solo un primo elenco parziale: stiamo ancora raccogliendo adesioni e presenze, abbiamo in serbo qualche bella sorpresa!
Intanto, se volete iscrivervi (ma che dico, “volete”: dovete!!!) alle Buone Pratiche, cliccate qui.
Per quanto riguarda gli aspetti logistici, qui di seguito le info essenziali.
Coordinamento organizzativo
I Teatrini 081.19567674
Libera Scena Ensemble 081.5851096
Luca Grossi, Luigi Marsano, Lello Serao
www.ateatro.it - teatridinapoli@fastwebnet.it
Dove dormire, se non avete parenti a Napoli
Alberghi che hanno disponibilità di stanze doppie per i giorni 6 e 7 dicembre:
Hotel Cavour P.zza Garibaldi, 32 (tel 081.283122) stanza doppia 90 euro
Hotel Nuovo Rebecchino C.so Garibaldi, 356 (tel 081/5535327) stanza doppia 100 euro
Grand Hotel Oriente Via A. Diaz, 44 (tel 081.5512133) stanza doppia 140 euro (chiedere di Ciro)
Hotel San Marco Calata San Marco (tel 081.5520338) stanza doppia 130 euro
Ci sono ottimi Bed and Breakfast un po’ più economici che si possono contattare direttamente sul sito www.rentabed.com .
Cosa fare la sera del 6 e del 7 dicembre?
C'è una certa disponibilità di posti riservati ai partecipanti di BP3 per la pomeridiana di mercoledì 6 dicembre alle ore 21.00 dello spettacolo Questo buio feroce di Pippo Delbono al Teatro Mercadante. Chi fosse interessato può segnalarlo iscrivendosi all'incontro.
Per la serata del 7 dicembre abbiamo chiesto a tutti i teatri napoletani di mettere a disposizione qualche biglietto per i partecipanti a BP3 in modo che ognuno possa scegliere in libertà quale spettacolo vedere e confermarlo in piena autonomia.
Presto pubblicheremo l'elenco dei teatri che hanno aderito alla nostra proposta e degli spettacoli in programmazione.
E' tempo di mettersi in ascolto.
E' tempo di fare silenzio dentro di sé.
E' tempo di essere mobili e leggeri,
di alleggerirsi per mettersi in cammino.
E' tempo di convivere con le macerie e
l'orrore, per trovare un senso.
Tra non molto, anche i mediocri lo diranno.
Ma io parlo di strade più impervie,
di impegni più rischiosi,
di atti meditati in solitudine.
L'unica morale possibile
è quella che puoi trovare,
giorno per giorno,
nel tuo luogo aperto-appartato.
Che senso ha se tu solo ti salvi.
Bisogna poter contemplare,
ma essere anche in viaggio.
Bisogna essere attenti,
mobili,
spregiudicati e ispirati.
Un nomadismo,
una condizione,
un'avventura,
un processo di liberazione,
una fatica,
un dolore,
per comunicare tra le macerie.
Bisogna usare tutti i mezzi disponibili,
per trovare la morale profonda
della propria arte.
Luoghi visibili
e luoghi invisibili,
luoghi reali
e luoghi immaginari
popoleranno il nostro cammino.
Ma la merce è merce,
e la sua legge sarà
sempre pronta a cancellare
il lavoro di
chi ha trovato radici e
guarda lontano.
Il passato e il futuro
non esistono nell'eterno presente,
del consumo.
Questo è uno degli orrori,
con il quale da tempo conviviamo
e al quale non abbiamo ancora
dato una risposta adeguata.
Bisogna liberarsi dall'oppressione
e riconciliarsi con il mistero.
Due sono le strade da percorrere,
due sono le forze da far coesistere.
La politica da sola è cieca.
Il mistero, che è muto,
da solo diventa sordo.
Un'arte clandestina
per mantenersi aperti,
essere in viaggio ma
lasciare tracce,
edificare luoghi,
unirsi a viaggiatori inquieti.
E se a qualcuno verrà in mente,
un giorno, di fare la mappa
di questo itinerario;
di ripercorrere i luoghi,
di esaminare le tracce,
mi auguro che sarà solo
per trovare un nuovo inizio.
E' tempo che l'arte
trovi altre forme
per comunicare in un universo
in cui tutto è comunicazione.
E' tempo che esca dal tempo astratto
del mercato,
per ricostruire
il tempo umano dell'espressione necessaria.
Bisogna inventare.
Una stalla può diventare
un tempio e
restare magnificamente una stalla.
Né un Dio,
né un'idea,
potranno salvarci
ma solo una relazione vitale.
Ci vuole
un altro sguardo
per dare senso a ciò
che barbaramente muore ogni giorno
omologandosi.
E come dice un maestro:
"tutto ricordare e tutto dimenticare."
L’altro sguardo: per un teatro clandestino. Dedicato a T. Kantor (1993)
Un ringraziamento a Marina Rippa che ci ha inviato il testo di Antonio.
Tutta dedicata al sud ed alla “questione meridionale” questa edizione delle buone pratiche, l’ormai classico appuntamento organizzato dalla rivista telematica Ateatro.
Nella meravigliosa ambientazione di Castel dell’Ovo, a Napoli, si sono succeduti diversi interventi suddivisi in tre aree tematiche distinte: il primo argomento è stato proprio l’analisi della situazione del sud attraverso i resoconti quantitativi ed alcune esperienze raccontate dai diretti interessati; una parte dedicata al racconto di buone (e cattive) pratiche istituzionali; un segmento conclusivo di interventi come al solito relativi ai racconti di buone pratiche appartenenti alla così detta Banca delle idee, ovvero esempi di interventi teatrali artistici o organizzativi che hanno dimostrato un buon riscontro.
Come ogni anno l’introduzione è stata affidata ai tre “padroni di casa”: Oliviero Ponte di Pino, che ha raccontato l’esperienza delle due passate edizioni e lo spirito che anima questi incontri, ovvero il desiderio di diffondere idee, suggestioni, proposte che possano essere ripetibili e che costituiscano lo stimolo per la fondazione di reti o sistemi. Sull’abbrivio di quanto detto Mimma Gallina ha perfezionato l’analisi mettendo in rilievo due aspetti: la necessità che la cultura possa essere intesa come motore di sviluppo e quindi il bisogno che la ricognizione dello stato dell’arte possa essere anche tradotto in termini di modelli da seguire; e d’altra parte un commento sul progressivo diradarsi delle Idee messe in circolo nei diversi anni in cui questa iniziativa si è dipanata. A Franco D’Ippolito è toccato invece introdurre l’argomento specifico dell’incontro, evidenziando con rigore alcuni dei punti fermi che sono poi ricomparsi nell’arco della giornata. Innanzi tutto il fatto che l’esistenza di una questione meridionale non escluda il contemporaneo sviluppo di una settentrionale e che quindi non vi sia in questo momento un modello, magari nordico, che applicato alla realtà del sud potrebbe garantire sic et simpliciter buoni risultati: l’attenzione di D’Ippolito si è concentrata sulla solitudine del sud, sulla mancanza completa di un sistema di sviluppo e di una progettualità, sull’assenza di un concorso agonista di enti regionali o locale (tranne pochissime eccezioni), sul bisogno che il fervore riconosciuto alla produzione artistica del sud non venga interpretato solo come una questione socio-antropologica (a questo proposito ha fatto esplicito riferimento ad un recente articolo di Renato Palazzi sul Domenicale) ma come risposta ad un totale abbandono. L’analisi poi si è fatta immediatamente tecnica grazie alle parole di Giulio Stampo (Osservatorio dello spettacolo), che citando alcune indagini statistiche ha rilevato la consistente sperequazione d’investimenti fra centro e periferie, a fronte di una distribuzione dei fondi che non tiene per nulla conto delle differenze territoriali, ma spesso si basa su criteri poco riconoscibili o traducibili. D’altra parte, rispetto alle assegnazioni del Fus ha ricordato che non essendoci alcun commento sui dati di riferimento, essi diventano assoggettabili a qualsiasi critica e quindi difficilmente interpretabili o verificabili; cosa quest’ultima che paradossalmente potrebbe rendere già raggiunto l’obiettivo dell’1% del Pil alla cultura, punto di discussione che venne valutato nella seconda edizione delle buone pratiche.
A questo punto è intervenuto l’assessore Oddati che, dopo i ringraziamenti di rito, ha voluto confermare l’appoggio completo del comune ai progetti che stanno cercando di recuperare una situazione sociale difficile grazie all’intervento artistico, con esplicito riferimento al progetto dei Teatri di Napoli e ad Errevuoto. In riferimento agli incidenti che sono successi durante i giorni precedenti la manifestazione in alcuni dei luoghi che stanno portando avanti tali progetti, ha giustamente osservato che il riconoscimento dello svolgimento di una funzione passa non solo dalla conferma e dal sostegno ma anche dall’avversazione, e quindi che non possono essere considerati tout court come fallimento di un’operazione culturale. Le altre osservazioni sono state in merito al ruolo del sistema pubblico e alla necessaria convergenza fra sistema pubblico e privato.
Sul sistema pubblico si è concentrata anche l’attenzione dell’intervento di Alba Sasso, che, a partire da un commento sulla finanziaria e sulle prospettive, ha descritto un desolante quadro di solitudine degli artisti, di mancanza di un osservatorio che sappia valutare l’assegnazione dei fondi, di sterilità del consolidato sistema di distribuzione dei fondi sulla base dei risultati di gestione conseguiti. Il fatto che l’intervento pubblico spesso vada a consolidare situazioni preesistenti tende a tagliare fuori le idee innovative e quindi a conservare chi ha già avviato un percorso creativo e artistico. Anche in questo intervento sono stati sollevate alcune perplessità sull’attività dell’Arcus e dell’Eti e si è confermato il bisogno di una sinergia fra stato e regioni.
Il testimone è poi passato a Nicola Viesti che ha valutato il discorso dal punto di vista artistico, ovvero di un fermento culturale spesso invisibile e sotto traccia, e di un ritorno degli artisti al sud generato da una situazione grave generalizzata, in cui quindi incontrare le difficoltà altrove oppure affrontarle in casa propria fa pendere la bilancia in quest’ultima direzione. Un altro problema è la distanza che si è generata fra le strutture preesistenti e gli artisti delle nuove generazioni, distanza che ha favorito la nascita di nuovi spazi e l’incremento dell’attività dei centri sociali, generando però parimenti un’ulteriore dispersione. L’intervento insomma ha voluto sottolineare che la situazione del sud può essere assimilata, con le dovute contestualizzazioni, ad un problema più diffuso e capillare. Rachele Furfaro ha posto l’attenzione sullo sviluppo culturale nella regione Campania e sui risultati ottenuti grazie anche ad una spinta sostenuta dalle istituzioni, propulsione che però rischia di diventare lettera morta se non accompagnata da una concertazione attenta con lo stato. Patrizia Ghedini, una delle persone che ha partecipato con contributi sempre molto interessanti e puntuali a tutte le edizioni delle buone pratiche, ha lamentato il fatto che purtroppo la proposta di legge è tutt’altro che in divenire dato che diversi anni di bozze e progetti non hanno portato da alcuna parte. In questo momento vi è una certa attenzione del governo, favorito dall’interesse dell’onorevole Montecchi che ha preso molto a cuore la situazione, ma le prospettive non misurano certo la distanza da una legge in mesi. E’ importante che si faccia una severa revisione dei criteri del Fus abbattendo la discriminazione derivante dalla non trasparenza di alcune assegnazioni e dirimendo il problema delle valutazioni quantitative e qualitative.
L’intervento di Angelo Curti è stato un invito ad alzare lo sguardo e cercare nuove forme di relazione con il pubblico, a stimolare una connessione diretta con il mondo dell’informazione e della formazione, in modo da evitare la costante vampirizzazione dei contenuti culturali da parte di alcuni media decerebranti. In opposizione con quanto espresso da altri ha affermato che il problema delle risorse non è la loro disponibilità in quanto non è vero che non vi siano, ma la loro gestione, che in questo momento è generica ed approssimativa.
A questo punto si sono succeduti alcuni brevi interventi su situazioni specifiche: Claudio Ascoli ha parlato della propria esperienza nomade e la necessità che il ritorno sia mettere a disposizione della città un’idea nuova, pura, e a tal proposito cita la bella Itaca di Kavafis; Roberto Roberto che, sulla scorta dell’osservazione che al sud manchi un vero e proprio centro didattico per l’arte, sta attuando un progetto di formazione che vedrà impegnati artisti di diverse nazionalità; Costanza Bocciardi, sempre sul tema della formazione, è intervenuta ribadendo l’assoluta necessità di creare centri che diano strumenti e possibilità alle nuove generazioni, creando però al contempo possibilità di visibilità per gli artisti formati; Bruno Leone con un pregevole intervento teatrale ha raccontato la “parabola del castel dell’ovo” e, aiutandosi con alcune marionette, ha portato i saluti di Virgilio e Partenope; Vincenzo Cipriani ha proposto la completa revisione del CCNL in termini di tutela reale del lavoratore, grazie anche ad una razionalizzazione delle regole sugli oneri fiscali e contributivi, che spesso costituiscono il 60% del costo di una produzione, e l’introduzione di un meccanismo di detrazione fiscale pari a quella delle spese sanitarie, per chi acquista un biglietto; in una parentesi Mimma Gallina ha esposto i rischi di una costruzione legislativa troppo lunga nel tempo che poi legiferi sulla base di situazioni relative a molti anni indietro e quindi non più attuale; Ninni Cutaia ha seguito le suggestioni dell’intervento precedente evidenziando che il sistema è ormai collassato e quindi va ridisegnato con competenza e con autorevolezza, sia da parte degli operatori, sia da parte dei responsabili istituzionali, i quali devono diventare anche dei mediatori culturali; Carmelo Grassi riprendendo il discorso sulle istituzioni ha evidenziato l’utilità di fare sistema e “rete”ed introdotto il discorso della “distribuzione creativa”, ovvero la capacità di destrutturate le regole e gli scambi proponendo soluzioni e situazioni alternative; Rocco Laboragine, con esplicito riferimento alla Basilicata, ha criticato fortemente un sistema che è dipeso dalle feste e sagre patronali non creando una formalizzazione professionale, ma autorizzando tutti a fare tutto, ed ha sottolineato come cattiva pratica la pretesa di costruire un equilibrio di distribuzione di risorse sulla base di un tessuto e di una richiesta culturale, permettendo quindi uno sbilancio irreparabile dei pesi e delle misure. L’unica buona pratica, estremizzando, è stato l’approccio con i personaggi politici, reso obbligatorio dalla situazione vigente. D’altra parte ha sottolineato che queste cattive pratiche hanno determinato la nascita di giovani compagnie e di nuovi teatri, anche se il teatro in Basilicata rischia ora di essere un’esperienza a breve termine. A questo proposito D’Ippolito ha affermato che è intenzione della Puglia mettersi in contatto con la Basilicata per discutere della situazione e trovare una soluzione comune. Alfredo Balsamo ha chiesto se vi sia la possibilità di elaborare un documento che, a partire dall’esperienza del convegno, getti le basi per una riflessione da estendere a tutto il territorio. Lello Serao è poi intervenuto riferendo di una comunicazione di Luciano Nattino sulla nascita dell’Ancrit e sulla necessità che si formalizzino nuovamente le categorie abbandonando quelle ormai desuete di Produzione, Promozione, Formazione e Distribuzione. A questo punto è stata la volta di Antonio Taormina che ha riferito sull’importanza dell’attività degli Osservatori Regionali, perché si possa arrivare ad una valutazione seria e specifica della situazione delle regioni in cui essi sono attivi; il lavoro degli osservatori si basa su una valutazione dei bisogni effettivi e della capacità di erogazione del servizio, ed è svolto in collaborazione con enti diversi; in questo momento stanno nascendo nuovi osservatori a Bolzano, in Veneto ed in Lazio. E’ intervenuto anche Respello dell’Agis il quale ha evidenziato ancora come sia fondamentale un lavoro preciso da parte degli osservatori perché si possa procedere verso la creazione di nuovi criteri di valutazione.
Vi sono stati poi una serie di altri interventi e testimonianze: Clara Gepia ha raccontato della situazione palermitana a partire dalla reazione vivace e attiva della popolazione all’indomani delle tristemente famose stragi, e della creazione di cantieri culturali molto presenti sul territorio, fino ad arrivare ad un’attualità penalizzata dalla mancata stabilizzazione e da un confronto minimo con le strutture amministrative; la situazione attuale vede però, come reazione a quanto successo, la collaborazione di cinque enti teatrali per la creazione di un cartello che si interfacci alle istituzioni; sempre da Palermo Giuseppe Cutino ha introdotto formule diverse per l’analisi del problema, ovvero l’urgenza del fare teatro e del vedere teatro, che contamina artisti e pubblico in un preciso tentativo di ritrovare una dimensione culturale e condivisa, l’importanza dell’insegnamento e della formazione sia rispetto ad un pubblico, sia dedicata agli insegnanti perché possano con cognizione di causa e con gli strumenti opportuni introdurre i propri allievi al teatro, la capacità di resistere alla mancanza di strutture creando isole di espressione artistica, citando a questo proposito la felice esperienza della rassegna Quintessenza; Roberto Ricco ha basato il suo intervento sul bisogno che il teatro si confronti con un territorio, non solo in quanto bacino di pubblico potenziale ma anche come espressione di una necessità da cogliere e trasformare; Marina Ripa e Davide Iodice hanno portato una testimonianza amara dell’esperienza napoletana, il fallimento di un’iniziativa culturalmente e socialmente importante a causa della mancata presenza di un referente politico determinato ed unico, dell’incapacità dei gruppi, gravati dalle necessità del sopravvivere, di creare un consorzio, una gestione collettiva, uno spettacolo comune. L’esperienza della legalizzazione delle occupazioni degli spazi occupati, in considerazione del fatto che questa è stata la prima tappa del progetto napoletano, non ha garantito la minima stabilità creativa. L’unico segnale positivo di Iodice è stato relativo al nuovo progetto di creazione di una casa di produzione indipendente grazie alla collaborazione di diverse strutture di ricerca nazionali. Anche il tono di Stefano Sabelli, a parte il racconto della positiva esperienza del Teatro di Ferrazzano, è stato molto critico e rassegnato, in quanto la realtà molisana non presenta alcuna prospettiva di sviluppo ed è costantemente assorbito dalla regione Abruzzo. Il ministero sembra completamente ignorare il Molise, ricusando sistematicamente ogni richiesta di finanziamento. Il riferimento all’Associazione Teatrale Abruzzo e Molise ha reso necessario un chiarimento da parte di Mimma Gallina che ha spiegato che è l’Ente pluriregionale più vecchio e doveva costituire un prototipo per i costituendi circuiti. Questa anzianità ha pesato moltissimo per quanto riguarda l’assegnazione dei contributi garantendo ingenti sovvenzioni a fronte di risultati quantitativi molto bassi. L’intervento di Maria Luigia Bove è stato incentrato sulla realtà calabrese e sulla nascita, grazie alla sinergia fra Province, Agis, Università, Regione e Comuni, di due strutture teatrali dal nome comune Campus Teatri: l’obiettivo è coinvolgere la popolazione studentesca, che in questo momento frequenta poco le sale, all’interno di un progetto di fruizione diffusa del teatro. Marcello Cappelli e Ivano di Modica hanno invece raccontato dell’esperienza siciliana di teatro sul territorio a partire dalla situazione drammatica della costa augustana distrutta dalla presenza di un polo petrolchimico fra i più grandi in Europa; l’industrializzazione ha in parte cancellato alcune tradizioni rendendo molto impegnativo il loro lavoro che ha determinato la creazione di una rete con zone omologhe, Marghera e Brindisi fra tutte, ed ha avuto una forte valenza in termini di formazione del pubblico. Ileana Sapone ha lanciato un appello significativo, ovvero la creazione di una rete fra tutti gli uffici stampa teatrali che possa superare due empasse attuali molto rischiosi: il forte dilettantismo e l’estrema provvisorietà delle attività di promozione, comunicazione e marketing. Nel novero delle buone pratiche è stata citata da Mario Nuzzo, autore del presente articolo, anche la rivista Eolo ed il suo lavoro sul Teatro Ragazzi e sulle politiche del Teatro, in quanto esempio di una critica militante e non condizionata, frutto di una rete di operatori trasversali che grazie al coordinamento di Mario Bianchi investigano il territorio alla ricerca di suggestioni più o meno interessanti, e soprattutto terreno di resistenza attiva e fervente. Un altro racconto è pervenuto da Sergio Longobardi ed altri due occupanti del Damm di Napoli, un centro sociale che ha offerto gratuitamente per dieci anni alle giovani compagnie gli spazi per provare. I risultati sono stati molto soddisfacenti sia in termini di aggregazione sia rispetto agli obiettivi creativi perseguiti: in alcuni casi gli spettacoli hanno conseguito anche diversi riconoscimenti a livello nazionale, cosa che ha dato fiducia sugli stimoli e sulle attività che possono nascere dalla struttura. In questo momento il Damm è gestito da dieci compagnie che collaborano per il suo sviluppo, costituendo già una comunità a partire dalla quale sviluppare ulteriori reti. Un elemento molto importante è l’attività sociale e l’attenzione al teatro come strumento di diffusione culturale e di aggregazione popolare, senza il quale esperienze come il Damm perderebbero parte del loro senso.
Giunti alla conclusione degli interventi i tre moderatori hanno cercato di tirare le conclusioni su quanto detto durante la giornata ovvero sulla comune disaffezione nei confronti del sistema delle regole, sulla necessità di valutare altri sistema teatrali come ad esempio le residenze, sull’opportunità di intervenire sull’Eti rifondandolo radicalmente, sull’importanza della formazione del pubblico e degli artisti, sul bisogno di un osservatorio preparato che sia frutto di una collaborazione responsabile fra operatori ed istituzioni, sulla specificità del sud rispetto ad alcune esperienze ma sulla generale espressione di problematiche che sono in realtà diffuse nel territorio nazionale, sulle reti e sulla loro sempre maggiore urgenza (ed in questo senso è stato citato Antonio Neiwiller ed il suo “Che senso ha se solo tu ti salvi”), ed infine sul legittimo sospetto che le istituzioni siano costretti ad una illegittima coerenza nel momento in cui scelgono determinate strutture rispetto ad altre, dal momento che forse non hanno alcuna alternativa che sostenere l’esistente.
Insomma molte, moltissime suggestioni anche se l’effetto maratona ha un po’ penalizzato la discussione e l’articolazione delle varie proposte. Concordo anche io sul fatto che sia necessario, a partire da questi incontri, produrre documenti che possano essere punti di partenza per riflessioni ed azioni congiunte e mirate. Ben vengano le buone pratiche o la banca delle idee in quanto proposte ma, come in ogni migliore impresa produttiva che non può fermarsi ad un istinto conservativo preminente, è necessario a questo punto un cambio di passo ed un impulso operativo secondo me maggiore. Anche dal punto di vista della partecipazione, al di là delle difficoltà per alcuni di raggiungere le località in cui si sono svolte le varie edizioni, questa di Napoli è stata sicuramente la meno ragguardevole; si sono cioè raggiunte punte di più di un centinaio di presenti, ma si ha spesso avuto la sensazione che fossero in sala solo quelli iscritti a parlare e quindi necessariamente partecipanti. La lodevole iniziativa di Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino e Franco D’Ippolito ha comunque e sempre il merito di offrire un panorama dettagliato e preciso rispetto alle testimonianze che vengono riportate.
Un’ipotesi di ripartizione delle competenze (e delle risorse) fra Stato e Regioni, con conseguente definizione di nuovi parametri e criteri di assegnazione delle sovvenzioni ai soggetti teatrali potrebbe far perno sulla dimensione e sull’età dell’impresa.
Si tratta soltanto di un’ipotesi di studio contenuta nel mio libro Teoria e tecnica dell’organizzatore teatrale (Editoria & Spettacolo, Roma, 2006).
Nella vita delle imprese, come in quella delle persone, c’è un’età critica:l’età dello sviluppo, in cui si possono rompere delicati equilibri, come rovinare ciò che di buono si è fino ad allora fatto. Lo studioso statunitense L.E. Greiner sostiene che ci sono cinque fasi nella vita di un’impresa, ognuna delle quali destinata a favorire lo sviluppo ma a concludersi con una crisi, la quale impone una riorganizzazione per “fare il salto” alla fase successiva. Nella prima fase (di start up, impresa giovane e piccola) è fondamentale l’apporto di creatività a cui si accompagna una centralizzazione del comando ispirato a spontaneità ed informalità dell’organizzazione, che va in crisi però appena lo sviluppo dell’impresa entra nella seconda fase. Al comando si sostituisce l’autorità di un’abile direzione che farà crescere l’impresa sino alla successiva crisi di autonomia, che risulta indispensabile in un organismo non più tanto piccolo da potersi consentire l’esercizio di un’autorità completa su tutte le decisioni da prendere. La terza fase è segnata così dall’uso della delega, con affidamento di funzioni e di responsabilità ai singoli componenti dell’impresa. Questa fase porta con il successivo crescere dell’impresa ad una crisi del controllo sulle singole autonomie, risolto rinforzando nuovamente l’autorità gerarchica e sviluppando il coordinamento fra i singoli. La quarta fase di sviluppo incontra poi il punto di crisi nella burocratizzazione dei processi che trova soluzione nella collaborazione orizzontale fra i livelli di responsabilità ed in quella verticale all’interno di ogni unità funzionale. Il processo di crescita potrebbe provocare un’ulteriore crisi che Greiner non definisce. Ciò che interessa in questa visione della crescita dell’impresa è la tesi secondo la quale “le problematiche organizzative e gestionali risentono del rapporto fra dimensione ed età dell’impresa, variabili fra cui sussisterebbe un rapporto di proporzionalità diretta” .
La Regione potrebbe sostenere, attraverso le Province ed i Comuni, le nuove compagnie nel primo quinquennio di attività, finalizzando l’intervento finanziario allo start up e monitorando annualmente la crescita professionale artistica ed organizzativa attraverso l’Osservatorio Regionale dello Spettacolo.
I soggetti che avessero raggiungo gli obiettivi di start up (definiti chiaramente dall’ordinamento regionale e declinati di volta in volta nel provvedimento di assegnazione del finanziamento ad ogni singola realtà), potrebbero essere affidati, per i successivi cinque anni, al sostegno dello Stato per il consolidamento dell’impresa, dal punto di vista artistico, organizzativo ed economico-finanziario. L’obiettivo del secondo quinquennio sarebbe quello di favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro ed una sempre maggiore capacità di autofinanziamento da parte delle imprese, attraverso la verifica di alcuni indicatori quali, per esempio, il rapporto fra entrate proprie e sussidi pubblici e la programmazione pluriennali degli spettacoli per la produzione, o l’incremento del pubblico e l’allargamento del bacino d’utenza per le attività di ospitalità e distribuzione.
Dopo i primi dieci anni, i soggetti potrebbe accedere ad un finanziamento misto Stato-Regioni, in cui lo Stato sostiene l’attività extraregionale e quella internazionale, mentre la Regione, direttamente, favorisce il ricambio (non solo generazionale) degli artisti, dei tecnici e degli organizzatori all’interno dell’impresa, consentendo così l’ingresso nel sistema di nuovi talenti e di nuove energie e, contemporaneamente, limitando il proliferare di realtà piccoli e deboli destinate, come accade oggi, a stazionare troppo a lungo ai margini.
Si tratta, evidentemente, di un approccio assolutamente nuovo che potrebbe costituire una base di confronto per riformulare le regole del sostegno pubblico con la necessaria fantasia che i tempi richiedono.
VENERDÌ 1 DICEMBRE e VENERDÌ 2 DICEMBRE 2006,
a Torino e al Castello di San Sebastiano Po, si sono tenuti rispettivamente:
il Convegno Nazionale:
LE RESIDENZE TEATRALI PER IL RINNOVAMENTO DEL TEATRO ITALIANO
oltre lo sguardo originario
e la Tavola Rotonda
RESIDENZE TEATRALI COME RISPOSTA DI SISTEMA
interfaccia tra operatori, istituzioni e comunità locali
Sono stati due intensi giorni di dibattito e di confronto fra operatori di diverse regioni italiane, istituzioni pubbliche, rappresentanti di fondazioni bancarie, rappresentanti dell’Osservatorio Culturale del Piemonte.
VENERDÌ 1° DICEMBRE
Introduzione di Gimmi Basilotta per Associazione Piemonte delle Residenze (che riunisce 12 Residenze piemontesi)
Intervento che ha proposto i temi del dibattito:
- valorizzazione dell’esperienza delle Residenze a livello nazionale;
- superamento del limite temporale dato alle stesse dalla normativa;
- identità delle Residenze regionali e loro differenziazione dalle esperienze di Permanenza artistica in un teatro svolta da alcuni organismi;
- ulteriore rafforzamento della Multidisciplinarietà anche in accordo con organismi di danza e musica;
- collaborazione con i Circuiti per la definizione di una progettualità senza sovrapposizioni;
- concertazione con la Regione per una programmazione delle ulteriori Residenze in Piemonte.
Sono seguiti:
Saluto di Fiorenzo Alfieri, Assessore Comunale alla Cultura
Intervento di Gianni Oliva, Assessore Regionale alla Cultura
Altri interventi:
- Lello Serao: I Teatri di Napoli (anche per conto dell’Assessore alla Cultura del Comune di Napoli) che ha illustrato il progetto napoletano di rete delle Residenze;
- Fabio Biondi: L’arboreto di Mondaino - Rimini (con proiezione video);
- Ferruccio Merisi di Pordenone
- Nevio Alzetta, Consigliere regionale della Regione Friuli, che hanno sottolineato l’urgenza, anche per la loro Regione, di legiferare in materia;
- Andrea Rebaglio della Fondazione bancaria Cariplo, che ha illustrato il bando in itinere per il sostegno ad esperienze di Residenza in Lombardia;
- Cristina Favaro dell’Osservatorio Culturale del Piemonte, che ha illustrato il lavoro fin qui svolto di verifica dell’attività delle Residenze piemontesi;
- Marco Chiriotti, dirigente settore spettacolo Regione Piemonte, che ha illustrato le tappe della formazione delle Residenze e i provvedimenti fin qui adottati a sostegno delle Residenze Piemontesi nonché la ratio alla base di tali provvedimenti.
SABATO 2 DICEMBRE 2006
Introduzione di Luciano Nattino – Presidente ANCRIT
(vedi relazione)
Rappresentanti di organismi teatrali nazionali intervenuti al dibattito:
Labros Mangheras - Tib di Belluno
Andrea Cresti - Teatro Povero di Monticchiello
Massimo Munaro - Teatro del Lemming di Rovigo
Davide D’Antoni - Coordinamento Residenze Lombardia
Renzo Boldrini - Giallo Mare Minimal Teatro di Empoli
Antonella Questa – LAQ-prod di Torino con Residenza in Francia
Maria Cristina Ghelli - Teatro delle Donne di Firenze
Gabriele Ciaccia - Teatro dei Colori di Avezzano
Francesco D’Agostino - Quellidigrock di Milano
Luigi Marsano - I Teatrini di Napoli
Alessandra Rossi Ghiglione - Master Teatro Comunità dell’Università di Torino
Franca Graziano - Moto Perpetuo di Pavia
e altri organismi presenti:
Florian di Pescara (teatro stabile di innovazione)
Teatro degli Acerbi di Asti
Teatro Blu di Varese
più rappresentanti delle Residenze Multidisciplinari del Piemonte
e gli ospiti del giorno precedente.
Non è facile dare una sintesi degli interventi svolti, ciascuno dei quali ha evidenziato sia le proprie esperienze sia singoli aspetti del dibattito.
In generale c’è stato:
- apprezzamento per l’iniziativa;
- vitale necessità di costruzione delle Rete Nazionale delle Residenze;
- evidenziazione degli attuali limiti normativi a livello nazionale e di molte Regioni;
- più sottolineature del carattere progettuale e artistico delle Residenze, non di mero servizio a un territorio (anche se il territorio è fondamentale per il progetto artistico);
- affermazione della volontà di concorrere al rinnovamento della scena italiana e alla modifica delle attuali norme che regolano il sostegno pubblico al teatro;
- necessità di una visione nazionale dell’attività delle Residenze con scambi, incontri e relazioni anche con altre esperienze europee.
L’impegno con cui ci si è lasciati è plurimo:
- rinnovare in altra Regione l’incontro tra sei mesi;
- promuovere (anche attraverso l’ANCRIT e l’ASTRA) l’idea di formazione della Rete Nazionale delle Residenze;
- promuovere in ogni Regione una normativa ad hoc;
- ribadire in sede nazionale l’urgenza di profonde modifiche all’attuale sistema di sostegno.
Contributo alla Tavola Rotonda di LUCIANO NATTINO – Presidente ANCRIT (Associazione Nazionale Compagnie e Residenze di Innovazione Teatrale)
C’è un teatro che “gira” e un teatro che si insedia.
Il primo mette in circuito le opere; il secondo punta sull’incontro, sul rapporto scena/platea. Il primo dà la priorità alla visibilità dei prodotti; il secondo favorisce i processi e i percorsi artistici.
Il primo si concentra sullo spettacolo, il secondo si dà come atelier aperto per attori e spettatori.
C’è bisogno di entrambi. E sono parecchi i teatranti che, nel corso della loro attività, percorrono entrambi gli ambiti.
Lo svecchiamento del teatro e dei teatranti passa anche da qui.
Da un superamento delle “categorie” e delle “funzioni”, da un riconoscimento reciproco tra i vari fronti teatrali, dalla capacità di esplorare nuove pratiche e di proporre nuove regole: etiche, deontologiche, normative del sostegno pubblico.
Negli ultimi quindici/vent’anni si sono insediate nel nostro Paese delle nuove forme di stabilità teatrale per un lavoro complesso di produzione, di ospitalità e di promozione sui terreni dell’innovazione (nuovi linguaggi e contesti, giovani spettatori, nuova drammaturgia, teatro sociale o di comunità, ecc.).
Ci riferiamo sia a quelle riconosciute dal MBAC (Ministero Beni e Attività Culturali), come “Teatri Stabili di Innovazione”, sia a quelle riconosciute da diverse Regioni ed Enti Locali come “Residenze Teatrali” (o altre denominazioni) che l’ANCRIT intende tutelare e valorizzare.
Le Residenze sono nate allo scopo di favorire ulteriormente l’insediamento teatrale sul territorio nazionale per raggiungere nuovi pubblici, creando una forma “leggera” di stabilità utile al riequilibrio del sistema teatrale italiano (nei rapporti Nord/Sud e zone servite/zone disagiate), al rinnovamento della scena italiana (evidenziando le già operanti connessioni con le altre arti sceniche, con quelle visive, con la poesia, la letteratura, l’antropologia, la scienza, ecc.) per un teatro attento al ricambio generazionale e che trova non in sé ma nel rapporto con la società la necessità della propria esistenza.
Una risposta dunque non solo “di servizio” ai territori ma che crea nuove polarità culturali e artistiche basata su modalità gestionali snelle ed originali e in quadri di sostenibilità delle risorse sia per la particolarità dell’insediamento in Comuni piccoli e medi sia, soprattutto, come atteggiamento etico.
“Sostenibilità” (nelle arti sceniche come in economia) significa infatti equilibrio tra investimento e ricaduta sociale e, soprattutto, equità verso il futuro, assicurando opportunità alle nuove generazioni di artisti e di spettatori, vincendo le rendite di posizione e creando un sistema di sostegno pubblico fondato su meccanismi trasparenti, chiari e semplici.
Da anni si avverte la necessità di una modifica profonda delle attuali modalità di intervento statale nei confronti del teatro e delle altre arti sceniche.
Tale intervento va fondato su una rete complessa (condivisa tra Stato e Regioni) di monitoraggio dell’arte scenica nel suo vario manifestarsi e del suo rapporto con gli spettatori e la società (non solo il "pubblico" dunque), con il mondo degli studi e della ricerca, ecc.
In questo senso non è più rinviabile la creazione di un Osservatorio Nazionale delle Arti Sceniche con personale qualificato a svolgere compiti di verifica, stimolo, dialogo con gli organismi teatrali (e di danza e musica) per dare un supporto indispensabile ai comitati di valutazione del sostegno pubblico e agli stessi organismi teatrali.
Tale Osservatorio Nazionale potrebbe funzionare anche come ente di promozione dell’eccellenza artistica italiana in ambito europeo (e viceversa). L’Osservatorio potrebbe nascere dalle ceneri dell’ETI (la cui attuale e mera funzione di gestore di sale teatrali va superata al più presto) o da un’iniziativa ex novo anche pensando ad una riformulazione interna al Dipartimento Spettacolo del MBAC.
Va altrettanto superata, e celermente, la vecchia divisione tra: produzione, distribuzione, promozione, formazione, di cui in passato si sono fatte interpreti le “categorie” (o le “associazioni teatrali di categoria”) il cui ruolo attuale è in forte declino.
Sono oggi innumerevoli gli intrecci e i passaggi tra una funzione e l'altra riscontrabili nell'attività di molti soggetti teatrali e caratterizzanti la loro vitalità e “ricchezza”.
Peraltro sono anche aumentate a dismisura le autodefinizioni funzionali e di tipologia teatrale.
Per questo vanno creati nuovi meccanismi di sostegno dell’attività teatrale che valutino ogni soggetto teatrale in sé, nella complessità della sua azione e nella specificità del contesto territoriale in cui opera, e non come facente parte di un’area funzionale stabilita nel tempo (con budget “storico” di area) o di nuove “gabbie” definite in futuro.
Fondamento del sistema di sostegno pubblico in campo scenico è la qualità del lavoro svolta da ogni soggetto come criterio di accesso al sistema stesso, con requisiti professionali di base (versamento oneri sociali con soglie minime).
Tale qualità, a livello nazionale, va certificata non da una generica Commissione (che fino ad oggi ha operato sporadicamente e senza strumenti di supporto) ma da un Comitato permanente formato da personale dell’Osservatorio sopradetto, del Dipartimento Spettacolo del MBAC e da un numero limitato di esperti (al massimo tre) non coinvolti direttamente in attività teatrali e disponibili a un lavoro frequente e intenso.
Vanno resi oggettivizzabili i criteri di qualità del lavoro artistico lasciando pochissimo spazio (se non nullo) alla discrezionalità. Solo così si può dare dignitosa soluzione al “buco nero” della valutazione, oggi per niente trasparente e troppo esposta a rischi di arbitrio.
Nell’attuale normativa già esistono dei criteri di qualità abbastanza validi quali: impiego di artisti giovani, lavoro nelle zone “obiettivo uno”, drammaturgia italiana, ecc.
Essi fanno parte però, impropriamente, della “quantità”, in quanto considerati incentivi volti ad aumentare gli oneri sociali versati.
Tale “quantità” inoltre (composta da oneri e incentivi) può oggi, ai fini della sovvenzione, aumentare ulteriormente o diminuire fino a zero da un giudizio finale “di qualità”. E ciò è davvero un’assurdità. Che senso ha infatti aver creato dei criteri di qualità, oggettivi e verificabili, se poi un giudizio discrezionale (sempre sulla “qualità”) può annullarli?
Ecco perché pensiamo che in futuro, il soggetto artistico ammesso al sistema di sostegno (attraverso la valutazione qualitativa di accesso), può solo vedere aumentare, ai fini della sovvenzione, la propria base quantitativa attraverso i criteri qualitativi predefiniti.
Va infine ribadito che solo la triennalità degli investimenti (positivamente sperimentata dal precedente governo di centrosinistra) è garanzia di un reale e qualificato sviluppo dei settori artistici. Ovviamente parliamo qui di una triennalità fondata sulle nuove regole non sul perpetuarsi del confuso passato e delle “storiche” rendite.
Queste (e altre) proposte debbono servire per un radicale ripensamento delle modalità di intervento dello Stato nel settore delle arti sceniche. Non sono più possibili piccoli aggiustamenti.
E’ certo necessaria una legge nazionale che possa dare sviluppo al sistema (chiarendo anche il ruolo delle Regioni) ma è auspicabile che essa sia “leggera” e capace di autoriformarsi nel corso della sua vita, che non pretenda di imbragare un tessuto mobile e attento alle celeri modificazioni della società.
In attesa di essa occorrerà nell’immediato un confronto serrato tra il Governo e gli operatori, investendo la politica e la cultura, per mettere mano fin dalle prossime scadenze alle nuove regole da adottare, capaci di portare a nuovi scenari di sviluppo dell’attività artistica.
Un breve passo indietro
Nel 1992, come tutti sanno, Palermo ha vissuto dei conflitti che si sono risolti in eventi tragici quali le stragi di mafia Falcone e Borsellino. Secondo Ugo Morelli, curatore del volume Il teatro e la città (Guerini e Associati), saggio sulla riapertura del Teatro Massimo di Palermo, la rinascita culturale della città affonda le sue radici proprio in quei tragici eventi che Palermo ha subito. La “rinascita” palermitana è infatti da considerarsi frutto dell'elaborazione di un lutto o più lutti.
Questi hanno dato vita ad un reazione spontanea fatta di volontariato, di iniziative libere che poco a poco si organizzano e che riescono a determinare le scelte politiche dei cittadini.
Anzi, lo stesso progetto politico degli anni a venire nasce da quella che viene definita un “esplosione emotiva” della città rispetto agli avvenimenti tragici di cui è stata teatro.
Sono gli anni (dal 1993 al 2000) in cui è sindaco Leoluca Orlando. Il lavoro che il Comune di Palermo fa in quegli anni ha le radici in questa storia. E', nelle intenzioni e nelle ambizioni, un progetto culturale complesso, che vuole essere un riscatto etico della città attraverso la cultura, il cui simbolo diviene la riapertura del Teatro Massimo.
Il Teatro Massimo, fino al '97 è una sorta di enorme cadavere al centro della città, continuamente esposto allo sguardo di tutti e al tempo stesso negato nella sua funzione. Citando nuovamente Morelli, che accentua la valenza simbolica della chiusura e della riapertura del teatro, “una città con un teatro chiuso è una città che non è in grado di concedersi l'ironia, l'elaborazione del dramma che essa rappresenta, la divergenza e l'illuminazione”, una chiusura del dibattito vitale della città e alla vita stessa, una incapacità alla relazione con il mondo.
In quegli anni Palermo è stata posta all'attenzione dell'Italia e dell'Europa con una molteplicità di iniziative: il Festival del '900, il Festino di Santa Rosalia, la creazione della Cittadella dell'Arte ai Cantieri Culturali alla Zisa, il Festival estivo Palermo di Scena, il progetto Shakespeare di Matteo Bavera e Carlo Cecchi al Teatro Garibaldi, per citare le più importanti. Spesso ci si è rammaricati che quelle iniziative non hanno avuto la forza di resistere al mutare dei contesti politici, anche se a mio parere il processo cominciato nel '92 ha portato dei cambiamenti irreversibili: alla richiesta sempre maggiore di cultura come diritto. Chi ha sperimentato e vissuto quegli anni, ha maturato una necessità e un bisogno di cultura con cui le amministrazioni devono necessariamente confrontarsi.
Il teatro ai giorni nostri. Premessa
E' impossibile dar conto di tutti gli accadimenti e le compagnie teatrali a Palermo, alcune delle quali sono già alla ribalta sui giornali nazionali ed altre cominciano ad essere riconosciute.
Ho scelto di dare un quadro parziale ma rappresentativo di uno spaccato della vita culturale di Palermo. Le strutture “storiche” della città, che operano da decenni in ambito teatrale, in seguito ad una drastica decurtazione dei finanziamenti, si sono riunite nel dicembre 2005 in un “Cartello dei 5 teatri d'arte” per porsi come interlocutori degli Enti Locali sulle questioni di politica culturale della città. Mi sembra importante tenere d'occhio l'operato di questi cinque teatri (ormai una certezza nell'ambito palermitano) come esempio di Buone Pratiche perché nonostante la riduzione del volume dei finanziamenti che hanno subito negli anni, sono riusciti a continuare se non a moltiplicare le attività. Inoltre il fatto di riuscire a trovare un'intesa per una causa comune in una città come Palermo, dove le risorse sono esigue, non è un'impresa da poco.
I cinque teatri in questione sono: il Teatro Garibaldi diretto da Matteo Bavera, La Compagnia Figli d'Arte Cuticchio di Mimmo Cuticchio, Il Teatro dei Quartieri di Franco Scaldati, il Teatès di Michele Perriera, il Teatro Libero diretto da Beno Mazzone. In seguito ad una serie di iniziative a cui ha dato vita il “Cartello” sono stati ottenuti i finanziamenti dal Comune di Palermo (alla cui guida c'è attualmente Diego Cammarata) che ha firmato un protocollo d'intesa con i cinque teatri.
La parola ai cinque teatri
Secondo Matteo Bavera è evidente che tutto lo sforzo sulla cultura si è completamente perso, non c'è più nessuna certezza e nessun dialogo. Cifre alla mano, dal miliardo degli anni passati il Teatro Garibaldi ha visto una drastica riduzione delle risorse.
Questa povertà ha fatto guadagnare un metodo di lavoro, cercando cose meno costose, ma moltiplicando le attività. Sono state fatte produzioni dirette e co-produzioni (gli esempi più eclatanti sono Querelle di A. Latella co-prodotto insieme al N.T.N., che ha rappresentato il lancio europeo di Latella, e La Simia di E. Dante, co-prodotta insieme al CRT e alla Biennale di Venezia).
La salvezza per il Teatro Garibaldi è venuta anche dall'Unione Teatri d'Europa, che ha permesso di fare tournée e spostamenti e di guadagnare dalle vendite di spettacoli sempre invitati al festival dell'UTE.
Il cartello dei cinque teatri d'arte è stato, secondo Bavera, un elemento politico e di dibattito che ha costituito un incontro tra personalità artistiche e la nascita di nuove collaborazioni: ha quindi avuto un carattere di lotta e di cultura. Il progetto culturale del Garibaldi è comunque quello di affiancare al lavoro con i grandi nomi del Teatro Europeo (Peter Brook, Patrice Chéreau ma anche Jean René Lemoine) sia le produzioni e le scommesse su giovani talentuosi di Palermo (Davide Enia, Emma Dante, Giuseppe Massa, Rosario Tedesco), sia il lavoro di maestri riconosciuti come Franco Scaldati (con cui è stata prodotta La gatta di pezza che ha debuttato a Düsserdolf).
Per quanto riguarda i progetti futuri a giugno e luglio il teatro sarà impegnato con il Filottete di Vincenzo Pirrotta che inaugurerà la stagione prossima.
E' prevista inoltre una “spettacolarizzazione” del restauro con un libro fotografico e un film di Raul Ruíz. Entro dicembre 2007 dovranno infatti essere conclusi i lavori di restauro realizzati con i fondi ottenuti attraverso il programma europeo Agenda 2000, che non modificheranno la struttura del teatro. Verranno realizzati un palco e gradinata smontabili e spostabili, in modo da garantire la massima flessibilità allo spazio. Il Teatro Garibaldi, fa notare Bavera, racchiuderà in sé per le caratteristiche architettoniche gli elementi del teatro greco, di quello elisabettiano e del teatro all'italiana. Un vero modello di teatro contemporaneo per dar seguito a quella che Bavera considera la terza vita del teatro Garibaldi.
Elisa Cuticchio, moglie di Mimmo Cuticchio che collabora a vari livelli alle attività della compagnia Figli d'Arte Cuticchio, ritiene un fatto simbolicamente importante il fatto che il Comune di Palermo abbia ufficializzato attraverso il protocollo d'intesa il contributo totale (per i cinque teatri) di 400.000 euro. Dal punto di vista strettamente economico il contributo è esiguo ma ratifica l'importanza e la necessità dell'attività dei “5 teatri”.
Questo finanziamento permetterà di proseguire le attività della compagnia fino a febbraio circa, attività che consistono in una trentina di spettacoli per le scuole, visite guidate del laboratorio dei pupi e del teatrino a scolaresche, turisti, ospiti della città, mentre a gennaio ci saranno una serie di spettacoli di “cunto” nelle scuole.
L'attività finanziata dal Comune finirà a febbraio ma la compagnia riuscirà a portarla avanti fino a maggio.
E' importante per Elisa sottolineare come il lavoro della Compagnia (e di tutti e cinque i teatri del “Cartello”) siano riusciti a continuare le loro attività anche in momenti in cui i finanziamenti degli Enti Locali sono stati sospesi, grazie anche ai finanziamenti del Ministero con il quale partirà una rassegna di Opera dei pupi accostata al Teatro di Figura e la “Scuola per pupari e cuntisti” per 20 allievi di tutta Italia (in collaborazione con Accademia D'Arte Drammatica Silvio d'Amico).
Lisa Ricca, legale rappresentante della compagnia Teatès e moglie di Michele Perriera, scrittore e regista siciliano (che quest'anno ha anche ricevuto il premio dell'Associazione Nazionale dei critici), ritiene che il finanziamento ottenuto attraverso il “Cartello” dei 5 teatri sia importante affinché possa continuare l'attività della scuola di teatro che dal '79 è a Palermo una realtà molto importante. La scuola di Perriera, che ha uno sguardo “etico” sul teatro, ha “sfornato” moltissimi attori e registi.
Il finanziamento ricevuto è stato di 80.000 euro, a malapena sufficiente per coprire i costi della scuola. Per Lisa Ricca sarebbe fondamentale, oltre all'attività della scuola, che Michele Perriera potesse produrre uno spettacolo all'anno, affinché le giovani generazioni possano conoscere quello che viene considerato un patrimonio culturale per la storia della città.
Franco Scaldati non ha voglia di parlare di politica culturale e finanziamenti. Mi parla invece del successo che ha avuto il suo spettacolo, Rosolino, storia di personaggi sgangherati che ricostruiscono una Palermo dimenticata (prodotto dalla sua compagnia in collaborazione con il Palermo Teatro Festival, e le Orestiadi di Gibellina), per di più con un pubblico inusuale per i suoi spettacoli.
Mi dice che sicuramente non sarà più alla guida del Festival Gibellina.
La cosa importante è che gli sembra che Palermo sia sufficientemente viva, e che il fermento non si fermi mai (n.d.a: per le attività e la poetica di Franco Scaldati vedi ateatro 98).
Secondo Beno Mazzone, direttore artistico del Teatro Libero, l'unico dato di novità rispetto al passato è il fatto che queste 5 realtà che da più di trent’anni operano a Palermo abbiano deciso un minimo comune denominatore, un principio di unione. Il “Cartello” esprimerà ad alta voce punti di vista sulle politiche culturali e continuerà a interpellare gli Enti Locali.
Nelle ultime settimane è emrsa l'idea di dare una struttura più forte a questo “Cartello” e di stabilire una serie di iniziative di riflessione pubblica nei vari teatri.
In precedenza c'erano stati dei tentativi di censimento di compagnie professionali e non (che in Sicilia sono moltissime). Si era creato una sorta di “sindacato” con il compito di stabilire una circuitazione in Sicilia. Il tentativo è fallito dopo qualche anno.
Secondo Beno Mazzone, la politica culturale a Palermo non è lungimirante da più dieci anni a questa parte. Anche in passato il Comune di Palermo non ha investito nelle strutture e non è riuscito a rendere stabili le iniziative che aveva lanciato. Questo è dimostrato per esempio dalla fine ingloriosa dei Cantieri Culturali alla Zisa, dovuta non solo alla gestione attuale ma anche a quella precedente. La politica culturale palermitana ha il respiro corto e i fatti teatrali sono sempre episodici, non si riesce mai a stabilizzarli. Il lavoro del “Cartello dei 5 teatri” è quello di cercare elementi che possano unire e non dividere coloro i quali fanno teatro da tempo a Palermo, per innalzare il livello professionale e la qualità dell'offerta culturale in città.
Non a caso, forse, tra i talenti più affermati del nuovo teatro italiano spiccano i messinesi Spiro Scimone e Francesco Sframeli e la palermitana Emma Dante, che proprio di recente ha debuttato col suo Cani di bancata, in cui il fenomeno mafioso viene analizzato attraverso ambigui riti di appartenenza. Non a caso tra le personalità prepotentemente emergenti vanno inseriti i siciliani Davide Enia e Vincenzo Pirrotta, i calabresi Dario De Luca e Saverio La Ruina, fondatori del gruppo Scena Verticale, il pugliese Mario Perrotta. E lasciamo da parte la Napoli di Enzo Moscato o di Arturo Cirillo, che rientra in una sfera a sé stante.
Persino i vincitori del Premio Scenario della scorsa stagione, Gaetano Colella e il non-vedente Gianfranco Berardi, autori e interpreti del testo rivelazione Il deficiente, in cui si scambiavano i ruoli di finto e vero cieco, sono entrambi di Taranto. E già si stanno affacciando altri nomi, come quello di Tino Caspanello, autore, attore, regista che arriva da Pagliara, in provincia di Messina, e con la sua compagnia Pubblico Incanto ha presentato a Milano due interessanti testi, uno dei quali nel 2003 era tra i vincitori del premio Riccione.
Si può dire che da qualche anno a questa parte il laboratorio, la fucina creativa della nostra scena sia inequivocabilmente il Sud, dal punto di vista geografico e non solo geografico. Certo, anche Carmelo Bene era profondamente, visceralmente figlio della sua Lecce, che gli dava stimoli espressivi e insopprimibili radici culturali: ma lui aspirava a una purezza, a una sorta di classicità sovra-nazionale. Gli artisti di cui si è detto sono invece i cantori dei pregi e dei difetti della propria terra, ne utilizzano le cadenze, ne svelano i guasti, attingono a piene mani alle sue memorie.
Come si spiega questo fervore, questa vitalità espressiva in luoghi per altri aspetti segnati da piaghe sanguinose? A differenza di quanto avveniva fino a poco tempo fa nella cosiddetta “Romagna felix”, qui è difficile parlare di favorevoli circostanze ambientali, di investimenti in qualche modo mirati, di proficuo sostegno delle istituzioni. In alcune aree dell’Italia meridionale non mancano o non sono mancati i fondi per il teatro, basti pensare ai ricchissimi festival cui abbiamo assistito a Palermo: ma sarebbe difficile, probabilmente, parlare di una vera politica culturale.
Scimone e Sframeli, tanto per fare un esempio, si sono formati alla Civica di Milano, la Dante è maturata tra Roma e Settimo Torinese. L’unico che non può fare a meno di Palermo e del suo stadio è Davide Enia, che però prova in casa perché non riesce ad avere neppure una sede provvisoria. Gli spettacoli di Vincenzo Pirrotta sono stati prodotti dal Centro Teatrale Bresciano o dallo Stabile di Roma, quelli del suo quasi omonimo Perrotta dal Teatro dell’Argine di Bologna. Scena Verticale è riuscita a creare un bel festival nella natia Castrovillari, ma ha rischiato di non poterne fare più nulla per un rovinoso taglio dei finanziamenti.
E’ più utile, di sicuro, interrogarsi sull’influenza di certe innate componenti estetiche, partendo dalla fondamentale questione del linguaggio: in un Paese tradizionalmente privo di un’autonoma lingua teatrale come è il nostro, in un Paese che da sempre oscilla tra l’astratta perfezione del verso dell’Alfieri e la scrittura ingegnosamente esasperata e artificiale di Testori, ogni parlata dotata di una qualche sua implicita forza naturale è destinata a imporsi, a incidere profondamente sulle dinamiche della scena.
Rispetto agli accenti veneziani e più ancora partenopei che da sempre hanno sorretto i comici italiani, il siciliano o il calabrese hanno qualcosa di ruvido e appartato, sono la voce di minoranze escluse dalla Storia, con una loro intatta carica di estraneità che spiazza e aggredisce le platee. Soprattutto rispetto al napoletano sostanzialmente piccolo-borghese di Eduardo, questi dialetti hanno echi arcaici e remoti che evocano di per sé un oscuro sentore di tragedia.
Quest’eco di incolmabili distanze riesce spesso ad accendere l’immaginario dello spettatore anche là dove sfugge il senso delle singole parole, un po’ come avveniva per gli spettacoli in polacco di Kantor. Da Giancarlo Cauteruccio, che ha tradotto Beckett in un aspro calabrese, al giovane Pirrotta che ha raccontato l’Orestea nello stile incalzante con cui vengono di solito descritte le gesta dei Paladini, si è visto che quando alla comprensione razionale si sostituisce il puro ritmo l’autore certo non ne risente. Il che vale ancor più per narratori come Enia o Perrotta, cui serve una materia verbale malleabile dalla quale trarre ulteriori suggestioni sonore.
Ma ovviamente il problema non è solo in una scelta di vocaboli: l’arretratezza economica, la posizione defilata rispetto ai processi della modernità fanno sì che in queste aree si conservino intatte delle antiche tecniche espressive che altrove, se anche mai si fossero sviluppate, non sarebbero in alcun modo sopravvissute. Soprattutto la cultura siciliana, come ha confermato l’ultima proposta ancora in fieri di Enia, Studio # 1, concentra una gamma di risorse alquanto varia e preziosissima per il lavoro dell’attore: si pensi solo ai canti rituali, alle nenie, ai lamenti funebri.
Quando, negli spettacoli della Dante, entrano gli strepitosi fratelli Mancuso con le loro cantilene etniche si è irresistibilmente trasportati in altre epoche e ad altre latitudini, un effetto che, con tutto il rispetto, non verrebbe certo suscitato dall’orchestra Casadei. E poi c’è la tradizione del cunto - una particolarissima modalità di emissione vocale che altera vertiginosamente l’andamento della recitazione e lo stesso costrutto sintattico della frase – o la dizione sghemba dei pupari, che con le loro intonazioni artefatte, coi loro voluti strafalcioni praticano una forma di straniamento spontaneo che sarebbe piaciuto a Brecht.
C’è poi una forte vena antropologica per cui gli spettacoli che arrivano dal Sud, se non attingono ad antichi miti, se affrontano la realtà contemporanea tendono in genere a riflettere una società degradata, squassata da miserie e distorsioni, che non appena approda al palcoscenico acquista il risalto di una livida denuncia: il microcosmo meridionale, così come viene analizzato dai suoi stessi figli, è sì oggetto di feroce sfruttamento, ma anche dominato dalla sottocultura televisiva, dalle mode, dai dettami di un ottuso consumismo. La sua condizione travalica dunque i confini locali, diventa metafora di un disagio più ampio che ci investe tutti.
Soprattutto il tema del nucleo famigliare, coi suoi eccessi e le sue contraddizioni, risulta centrale negli spettacoli di Emma Dante, di Scena Verticale, di Enia, dello stesso Berardi, che utilizzava lo spunto della cecità per evidenziare i rapporti di sopraffazione reciproca che univano tre fratelli: per questi artisti il teatro diventa un formidabile osservatorio sui mali della famiglia patriarcale con le sue oppressioni millenarie, con le sue segrete violenze, coi suoi delitti d’onore, ma anche sul declino della famiglia odierna con le sue piccole soperchierie, coi suoi vizi inconfessabili, coi suoi ordinari impulsi di sottomissione dei più deboli.
E infine la cultura del Sud con la sopravvivenza di tante usanze millenarie - anche a volersi guardare dal folklore – si dimostra uno straordinario arsenale di immagini, di suoni, di gesti carichi in sé di enigmatici archetipi: come si è potuto constatare anche in quest’ultima regia della Dante - ma non solo nel lavoro della Dante - basta portare alla ribalta un certo repertorio di ceri accesi, di lumini, di ex-voto, di statue di madonne, tracce di una religiosità barocca e pagana, permeata di elementi tribali, e l’effetto teatrale è immediato e irresistibile, un effetto teatrale che nessun’ altra tradizione nazionale potrebbe mai suggerire.
Bancone di Prova è un progetto creativo che riunisce 4 giovani autori teatrali (Magdalena Barile, Elena Cattaneo, Sarah Chiarcos e Tommaso Urselli), coordinati dalla regista Maria Antonia Pingitore.
La disponibilità dei gestori di un locale in Brera, il Take Away ci ha fornito il luogo, un luogo insolito, ma inserito nel contesto urbano e che ci ha imposto un rapporto diretto con il pubblico e l'impossibilità di pensare a grandi messe in scena, visto lo spazio esiguo.
Al principio avevamo pensato di puntare sul luogo dandoci un tema, da cui il titolo “Bancone di Prova”. Ma il passo seguente, partendo proprio da questo primo titolo, ci ha portato a ragionare sugli obiettivi.
Prendendo ispirazione dall’esperienza di “Città in condominio” (da cui alcuni degli autori di Bancone arrivano), volevamo però creare una situazione sostanzialmente differente; ci siamo chiesti cosa ci aspettavamo da quest’esperienza e soprattutto cosa ci riuniva intorno a questa proposta.
La risposta è stata il teatro.
Ecco allora l’obiettivo: scrivere per il teatro, scrivere pensando alla scena.
La proposta si fa ambiziosa: abbiamo chiesto a ognuno di scrivere un testo completo, di pensare ad un testo per la scena che avesse la rappresentazione come fine.
Il luogo si è trasformato allora in un vero “Bancone di prova”: spazio di verifica in cui, con appuntamenti settimanali, la dinamica del testo è presentata sotto gli occhi del pubblico, che partecipa e diviene strumento per un reale confronto. Il progetto si è espanso fino a richiedere un impegno costante di energie e di tempo che ha coperto l’arco dell’anno.
Le serate sono stati momenti di lavoro e non di presentazione finale. Chi ha assistito alle serate era cosciente che ciò che vedeva non era uno spettacolo, ma un lavoro fragile ed incompleto, una prova affidata alla parola, all’attore e alla lettura.
Abbiamo chiesto a chi ascoltava di rispondere con un’opinione, possibilmente costruttiva, di restituirci ciò che avevano sentito, perché gli autori potessero ancor più aderire al linguaggio della scena, per poi essere proposti a registi e strutture produttive.
Il prossimo anno abbiamo intenzione di ripetere e perfezionare l’esperienza, convinti della necessità che si scrivano sempre più testi per il teatro, ma soprattutto convinti che solo attraverso la pratica della scena gli autori possano crescere e, perché no, invadere tutte le scene nazionali
Bancone ha cominciato anche a proporsi come stimolo per eventuali azioni congiunte con altri autori, registi, attori, compagnie, associazioni e teatri al fine di aumentare la presenza di testi di autori italiani viventi nel teatro italiano.
Le tappe
Il primo incontro interno si è tenuto il 13 giugno 2005 al fine di presentare le linee del progetto agli autori partecipanti, riuniti attorno a questa prima esperienza fra gli ex-allievi della “Paolo Grassi” ed alcuni autori che avevano partecipato a “Città in Condominio”.
Il primo appuntamento aperto si è svolto presso il Take Away il 17 ottobre 2005, dove di fronte a un pubblico di amici abbiamo presentato le linee narrative che gli autori avrebbero sviluppato nei testi.
Nel secondo appuntamento gli autori, a volte coadiuvati dalla collaborazione di qualche amico attore, hanno letto in due serate, il 28 novembre e il 5 dicembre 2005, le prime scene dei loro testi.
Il 6, 13 e 20 marzo i testi sono stati presentati in forma quasi completa, che ci ha portato a fissare una scadenza per la chiusura della scrittura al 27 aprile.
Il 24 giugno 2006 in occasione de La Notte Bianca abbiamo presentato, presso la Cavallerizza del Teatro Litta (con replica il 26 giugno presso la Scuola d'Arte Drammatica “Paolo Grassi”) i seguenti testi in forma di mise en espace:
“Manuel e Miranda”
di Magdalena Barile
“Fuori servizio” (in forma di video)
di Anna Siccardi
“Canto errante di un uomo flessibile”
di Tommaso Urselli
In occasione della Giornata del Teatro organizzata dalla Provincia di Milano il 29 ottobre 2006 Bancone di Prova ha organizzato presso la Scuola d'Arte Drammatica “Paolo Grassi” una Tavola Rotonda dal titolo “Cosa c'è di nuovo? L'autore è vivo?”. In serata, sono stati presentati in forma di lettura i testi: “Canto errante di un uomo flessibile” di Tommaso Urselli, e “Manuel e Miranda” di Magdalena Barile; in forma di mise en espace “Ospiti”di Sarah Chiarcos.
Informazioni: banconediprova@gmail.com
Ne “Le origini di un attore” PierGiorgio Giacchè si domanda «Che senso ha dire dov’è nato un attore? Di quell’attore che si dice e si vuole sempre nomade e abitante una terra di nessuno?» Ha ragione, eppure questo non è del tutto vero quando l’attore è nato a Napoli. E io sono nato a Napoli nel 1950 e a Napoli ho fatto teatro molti anni, prima di abbandonarla volontariamente nel 1985.
Da allora sono in Toscana o meglio a Firenze, dove ha preso vita la mia buona pratica, di cui vi parlo oggi.
La buona pratica
Con la mia compagnia, i Chille de la balanza, nata a Napoli nell’ormai lontano 1973, ho ri-dato vita negli ultimi dieci anni ad un pezzo di città, San Salvi: l’immenso ex- manicomio di Firenze. Il “luogo San Salvi” è un fenomeno unico nel panorama fiorentino (e non solo); nonostante le migliaia di spettatori che ogni anno lo frequentano con una forte appartenenza e assiduità, non è un teatro, non è un laboratorio, non è uno spazio espositivo, né un punto di incontro; forse è tutto questo insieme e ancora di più: una casa dove convivono produzione ed ospitalità nel segno del rigore e della contemporaneità. Un giornalista l’ha recentemente definito “repubblica indipendente delle Arti”, e la vita di San Salvi, pur se così correlata a quella dei Chille, è infatti percepita da tutti come una “cosa pubblica”, aperta al mondo esterno. Chi viene a San Salvi sa a cosa va incontro…e si fida di quanto gli si propone! Quando alcuni anni or sono si ipotizzò una nostra promozione e trasferimento altrove, in pochi giorni oltre tremila persone manifestarono pubblicamente la loro opposizione e imposero alle istituzioni la prosecuzione del progetto artistico.
Non voglio qui quasi nulla dirvi delle cose fatte a San Salvi (dal Centro Antonin Artaud, alla Trilogia della vita - con gli eventi Kamikaze, Macerie e Paure in occasione dell’11 settembre, dal lavoro su Dino Campana - che proprio nel padiglione in cui lavoro fu rinchiuso prima del definitivo internamento a Castelpulci - a quello su Kafka, dagli special events come Calendimaggio, Giornata mondiale della Poesia, Ferragosto a San Salvi, 1° dicembre…per finire al recentissimo progetto su Cesare Pavese); in questo lavoro di Teatro del luogo, ha forse maggior rilievo – e qui ritorna Napoli, le mie radici, la mia cultura – spendere piuttosto qualche riga sul rapporto con il pubblico. Alla frequente domanda “il pubblico cos’è?”, io rispondo: «Indubbiamente è, intanto, l’altro. Proprio perché sono particolarmente chiuso ho necessità di un incontro con l’altro; non so se ne ho bisogno perché l’altro come si dice banalmente spiega me stesso; penso di averne necessità perché sono talmente legato alla mia terra, alla mia solitudine che ho un disperato bisogno dell’incontro. Il pubblico è anche la “piccola cosa” che dà senso ai grandi voli; forse è anche lo specchio, un modo di guardarsi dentro. E’ difficile per me capire cos’è, non lo so cos’è, in fondo non mi sono mai posto il problema di capire cos’era. So che c’è. E’ un po’ come un figlio, come un amore, come un genitore: io non so cos’è, non so cos’è mia madre, non lo so proprio, però c’è, è qualcosa che c’è.
La mia vita è il teatro, semplicemente e soltanto un teatro degli affetti. Nel senso che l’unica cosa che renda possibile tutto questo insieme impossibile, questo dis-equilibrio permanente, esplosivo, ridondante che è il teatro è una vita di affetti. Come fai altrimenti a vivere tutto questo? Che possibilità hai di mettere rigorosamente insieme uno smembramento, uno svuotamento, un tornare dentro, uno star leggero, un danzare, un perdersi, un non accontentarsi, un non accumulare nulla, un continuo buttare via e rifondare? Come fai, se non hai la sicurezza, nel tuo corpo, di un affetto che ti invade? Ma l’affetto è faticoso, richiede attenzione costante e continua, tensione, dedizione, quotidiana costruzione di una traiettoria comune che parta dalle proprie radici. »
Il ritorno a Itaca – La partenza. Perché sono andato via.
Ora però è il momento di capire come io viva l’essere solo oggi qui a Napoli e cosa nei fatti impedisca il mio (ma non solo il mio!) ritorno a Itaca.
Ero partito più di vent’anni fa da questa città splendida, contraddittoria, che amo profondamente nella sua contraddizione, e l’unico modo per me di andare via era trovare un opposto. Avevo forse bisogno di una maggiore solitudine: a Napoli è difficile essere soli!
Nello stesso tempo a Napoli era (è?) anche difficile fare, agire al di là della continua emergenza, era quasi impossibile non impegnare il proprio tempo che nella continua ricerca dell’interlocutore giusto: bisognava capire che la regola dominante era l’assenza di regole e che ogni artista doveva cercare di ingrandire la propria fetta di torta, essendo immodificabile la torta stessa. Fortunatamente, però, questo fenomeno che in parte si è purtroppo diffuso sull’intero territorio nazionale (spesso mi trovo a dire che in tempi di crisi, l’intera Italia si è napoletanizzata) era accompagnato da tante esaltanti e positive energie.
Ma torniamo al mio periodo napoletano.
Scrive Costanza Lanzara (Il teatro dei Chille) «A Napoli, nel lontano 1973, in via Port’Alba al numero 30, nel quartiere universitario, una scritta su due neon sovrastava l’entrata di un teatro sotterraneo: “TEATRO, COMUNQUE”. Una virgola a segnare il limite, la soglia su cui sospendere un sostantivo che abbracciava un universo di creazione - il teatro -, verso un avverbio che avrebbe segnato la traiettoria del loro percorso: - comunque -. “Comunque” al di là di ristrettezze economiche, “Comunque” come impegno politico, quando portare “Majakovsky a New York” per le strade della città napoletana significava indurre le forze di polizia a credere che fosse necessaria la loro presenza per proteggere gli attori. “Comunque” come un destino o un’ossessione che ha profondamente segnato Claudio, unico dei tre figli e dei tanti cugini della famiglia a seguire le orme artistiche del padre Antonio e soprattutto dello zio Nello.
Fu leggendo un vecchio testo, in copia anastatica, di Luigi Molinaro del Chiaro “Canti popolari raccolti in Napoli” che Ascoli trasse l’ispirazione per la nuova iniziazione. Chille de la balanza, in italiano ‘Quelli della bilancia’. Ovvero gli antichi venditori di frutta e ortaggi del Seicento che giravano tutti i giorni per i mercati del centro storico muniti delle loro stadere, le bilance appunto, catturando i racconti del popolo e gli aneddoti più stravaganti e li riproponevano la sera nelle osterie davanti a un bicchiere di vino.
Era una stagione di lotta, di impegno politico, ma nonostante questo di leggerezza, di divertimento.(…)
Intanto continuava il percorso rigoroso di ricerca: iniziò il lavoro di scrittura scenica su Pulcinella, figura emblematica del retroterra culturale partenopeo che Claudio coltivava in sé. Una lettura retrospettiva del lungo percorso ascoliano di creazione teatrale può cogliere, nei tratti che compongono il Cetrulo di Acerra, un sottile filo rosso che è sempre rimasto sotteso alla trama creativa ed esperienziale del regista napoletano. In Pulcinella, infatti, si può leggere, svincolandolo dalla funzione di presunta caratterizzazione dell’anima napoletana che in esso si specchia, l’immagine archetipica del trickster, strano personaggio emarginato e peregrinante, frequentatore di sporcizie e oscenità, ma allo stesso tempo eroe fondatore, donatore di beni e generoso demiurgo. Pulcinella, come il trickster, fa ridere di se stesso e della sua inadeguatezza, che è poi maschera della sua inquietante alterità, dicendo in tal modo l’impossibilità di un’alternativa radicale del disordine al sistema dei valori culturali. Il teatro come soglia liminale della percezione conflittuale dell’abolizione del limite ha sempre rappresentato per Ascoli, nel rapporto individuo-società, il campo di esplorazione del disordine mortifero e genesico, che la creazione lascia erompere da sé. Senza mai scegliere per uno solo dei due poli egli ha incessantemente proposto nei suoi spettacoli la contraddizione-in-vita dell’esistenza umana, fino a connotarla come condizione di felicità. Ecco, quindi, che Pulcinella-trickster si muove leggero tra Dio e il diavolo, la vita e la morte, candidamente osceno, sa essere furbo e sciocco allo stesso tempo, maestro nell’uso del nonsenso, del discorso alla rovescia, irriverente verso ogni forma di istituzione; tutti elementi che ricompariranno, a tratti, nel gioco profondo della vita artistica di Claudio Ascoli. (…)
Se di Napoli portò via qualcosa con sé fu l’ammaestramento corporeo di dar voce alle sensazioni fisiche, di instaurare con esse un dialogo che fosse la modalità conoscitiva che condiziona l’approccio al mondo. Ciò che, in fondo, preconizza il corpo dell’attore artaudiano del quale Ascoli sentirà presto il fascino travolgente. Il corpo nella sua immediatezza sensibile così lungamente sollecitato dagli odori, i colori, i sapori, della sua Napoli era e sarà sensorialità della conoscenza, lo strumento di appaesamento nell’altrove topico e utopico. »
Il ritorno a Itaca – L’impossibile ritorno: il tradimento e il senso di colpa.
Perché allora - per di più partendo da simili premesse, e credo che questo destino non riguardi solo me, ma accomuni tanti artisti nati a Napoli e che altrove hanno trovato una loro compiutezza - l’impossibile ritorno? E tutto ciò mentre la città soffre, tra i tanti mali, proprio della mancanza di esperienze nuove e al tempo stesso antiche, capaci di relazionare e coniugare l’humus partenopeo con diverse visioni e modi d’essere?
E’ difficile rispondere: io credo – tra le molte cause - che ogni partenza da Napoli sia sempre stata vista, percepita dalla città (dai napoletani) come una sorta di tradimento imperdonabile e che al tempo stesso che gli artisti “emigrati”, pur nella consapevolezza della giustezza della scelta fatta, continuino a vivere un inconfessato e immotivato senso di colpa.
Lo stallo di questa surreale situazione oggi, nel perdurare e nell’aggravarsi della questione meridionale anche in campo teatrale, impone finalmente un comune, inedito sforzo di novità.
Il ritorno a Itaca – Un invito alla città e…ai napoletani come me, definitivamente lontani da Napoli.
Ritengo, e come me molti compagni teatranti e operatori culturali che lavorano con successo in tutt’Italia, che sia giunto il momento di un nostro ritorno ad Itaca, di un ritorno che porti umilmente con sé le esperienze vissute altrove, rendendole disponibili all’incontro e alla verifica con la Napoli di oggi: un incontro consapevole delle tante differenze-divergenze che potrebbero manifestarsi e che il nostro essere napoletani dovrebbe (forse) meglio capire ed interpretare.
Solo allora, dopo aver contribuito o provato a contribuire ad una possibile, necessaria nuova nascita della città, ri-partire da Napoli per andare…altrove, poiché – come dice Giacché «…l’attore è sempre nomade e abitante una terra di nessuno»: e ciò finalmente potrebbe valere anche per un attore napoletano.
Caro Oliviero,
il teatro è la mia vita da quando ho 16 anni, ho molto viaggiato e lavorato, poi sono tornato nella mia città, Napoli, 10 anni fa.
Bella, vitale, spesso feroce, insopportabile, ma con gemme di teatro e umanità rare eppure... strutture insufficienti e sciatte, una borghesia festaiola, autoreferenziale ed indifferente al muro che separa due città, che non si parlano, non si cercano.
Istituzioni incapaci di innovarsi, di andare oltre i rinascimenti di facciata di lottare la corruzione diventata un dato di fatto “faut faire avec”.
E tante persone di talento e buona volontà, senza mezzi, disperate, emarginate.
Nel 2002 ho portato per la prima volta in questa città Peter Brook con Le Costume.
Un successo enorme ma la politica non ha gradito la sua poca visibilità...
Nasce il Mercadante e questa volta offro alla mia città la cooproduzione di Tierno Bokar: massima esposizione mediatica, grande pubblico, incontri, workshop.
Ma i politici scottati e incapaci di rapportarsi come comuni mortali disertano, intervengono timorosi, non gradiscono. La direzione del teatro segue i suoi padroni.
Si organizza il numero 0 di un festival internazionale delle arti sceniche... a scopo elettorale. Partecipo con una piccola sezione autonoma e di qualità: Oida, Houben, Karunakaran.
E c’è molto da soffrire.
Vinco un progetto di formazione con la Regione Campania: su 270 progetti sullo spettacolo arriviamo 1° del teatro e 3° in graduatoria.
Ho messo insieme 8 partner prestigiosi con un patto: i soldi vanno tutti al corso ed è un esperimento di alta qualità. Arrivano 150 candidati, scuola dell’obbligo e passione: 4 giornate di selezione per 26 fortunati.
Arrivano dai politici le raccomandazioni... Non se ne parla proprio... Il prezzo sarà alto.
Corpo docente di massimo livello: attori di Brook, insegnanti di Lecoq e poi Renata Molinari, Egum Teatro, e maestri napoletani.
Andiamo con tutti gli allievi a Parigi ospiti della vicepresidenza dell’Ile de France e di Brook e di Mnouchkine.
A Napoli debuttiamo con tutti gli allievi al Teatro Nuovo con Napucalisse con la regia di Virginio Liberti e Annalisa Bianco.
Successo di pubblico, pochissima visibilità mediatica. I politici disertano, i direttori dei teatri cittadini anche.
Hanno paura di qualcosa che non possono controllare.
Solo Teatri Uniti è al nostro fianco, alleato e non padrino.
Se venite a Napoli, siete i benvenuti, abbiamo bisogno di aiuto, ma abbiate il coraggio di parlare con verità.
Io sono disponibile ad intervenire, ma non sono un mediatore.
Un abbraccio
Roberto Roberto
Laila srl si costituisce nel 2005 come strumento operativo dell’Associazione Culturale Alf Laila - laboratorio di ricerca e creazioni teatrali. Alf Laila nasce nel 1998 a Verona da un gruppo di artisti che si prefiggono di svolgere attività teatrali, con la creazione di reti internazionali. Nel 1999 concentra le sue attività in Campania dove trasferisce la sede sociale ed organizza stages per attori diretti da M. Dioume, R. Roberto e M. Pegoraro. Nel 2000 dà vita ad un progetto biennale di formazione, ricerca e produzione teatrale denominato LABORATORIO KOLTES, con la direzione artistica di Mamadou Dioume. Nascono due spettacoli teatrali da testi di B.M. Koltès prodotti dal NuovoTeatroNuovo di Napoli: Quai Ouest regia M. Dioume; La Notte Poco Prima Delle Foreste regia M. Pegoraro.
Nel 2001 Roberto Roberto e Ludovica Tinghi si recano a Parigi dove stabiliscono un contatto da cui nasce una salda amicizia con il C.I.C.T. - Théâtre des Bouffes du Nord, la Compagnia Teatrale di Peter Brook. Elaborazione del progetto PETER BROOK A NAPOLI a Città della Scienza, con i contributi della Regione Campania, del Comune di Napoli e della Provincia di Napoli ed il patrocinio dell’Ambasciata di Francia in Italia. Per la prima volta arriva a Napoli, nel maggio del 2002, uno spettacolo del grande regista inglese: Le Costume dal testo di Can Themba, una testimonianza sull’apartheid in Sudafrica con quattro eccezionali interpreti di origine africana. Tutto esaurito tutte le sere. Ampio riscontro su stampa e TV.
Nonostante il successo l’associazione, in un contesto che vede il fiorire di eventi e manifestazioni d’immagine al servizio di personalità politiche non sostenute dal suffragio popolare, è spinta a trasferirsi a Roma e qui continua la sua attività internazionale mentre prepara stages a Napoli per i suoi associati con artisti del calibro di Hassane Kassì Kouyaté, Bruce Myers, Yoshi Oida, Jos Houben, Lilo Baur, Michele Millner etc. Produce il video istituzionale “Progetto Telemaco” per il Dipartimento di Salute Mentale di Giugliano in Campania – ASL NA2.
Con la nascita del Teatro Mercadante, Alf Laila elabora e cura il progetto PETER BROOK – MERCADANTE con lo spettacolo Tierno Bokar che, per il teatro pubblico di Napoli, rappresenta un battesimo internazionale di grande prestigio.
Dal rapporto di stima e collaborazione con Teatri Uniti, il ritorno a Napoli dell’associazione e l’ideazione, la produzione e l’organizzazione della sezione Il Respiro del Teatro all’interno del Festival Napoli ScenaInternazionale.
Nel 2004 Alf Laila elabora il Progetto FORMA AZIONE SCENA - corso di formazione per attori e registi nel campo teatrale - POR Campania 200-2006. Due anni dopo, su 270 progetti è 3° in graduatoria, 1° del teatro. Curato e coordinato dall’associazione prende il via come progetto pilota in ATS con: Gesco, Città della Scienza, Istituto Francese, Teatri Uniti, Premio Troisi, Le Nuvole, l’Ape.
Nel 2006 Laila coproduce con Teatri Uniti lo spettacolo De Ira-Viaggio all’Averno di Francesco Saponaro, testi di Igor Esposito, con Licia Maglietta, Peppino Mazzotta, e Napucalisse con la regia di Egumteatro in collaborazione con Forma Azione Scena
Il primo censimento nazionale su “Teatro e Disagio” a cura della Associazione Culturale Nuove Catarsi editrice della Rivista “Teatri delle diversità” in collaborazione con Università di Urbino, Ente Teatrale Italiano, ENEA, Compagnia “Diverse Abilità” ha valorizzato un settore di intervento vitale ed in continua crescita.
Il primo rilevamento, certamente non esaustivo ed in continuo aggiornamento, ha individuato circa 180 gruppi e compagnie che svolgono attività con soggetti svantaggiati/disagiati, provenienti in gran parte dall’Italia centro-settentrionale.
Tenterò di tracciare un identikit dei gruppi che hanno accettato di rispondere all’indagine, sottolineando come al Sud e nelle isole siano inferiori le opportunità di diffusione delle esperienze, ma non il loro valore qualitativo (riporterò alcuni esempi).
* Condirettore della Rivista “Teatri delle diversità” – Docente di Teatro di Animazione ed Economia dello Spettacolo all’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, dove dirige, dal 1987, l’esperienza del Teatro Aenigma.
promotori: ass. cult. Interno 5 - ass. cult. Officinae Efesti
informazioni: tel. +39 3402633527 - +39 3382754788 e-mail: internocinque@libero.it - officinae_efesti@email.it
In seguito ad una attenta analisi del disegno di legge regionale “Disciplina degli interventi regionali di promozione dello spettacolo”, ampiamente condivisibile nella vocazione espressa dai suoi principi generali, sentiamo di dover manifestare forte preoccupazione in merito alla disciplina dei requisiti e delle modalità di accesso ai finanziamenti regionali, in quanto essi appaiono escludenti e discriminanti di realtà e soggetti che riteniamo siano stati negli ultimi anni fucina di idee e di progetti culturalmente validi ed innovativi e che abbiano apportato un contributo determinante alla cultura e allo spettacolo nella Regione Campania.
Tale realtà è rappresentata da associazioni culturali spesso costituite da giovani under 30, quei giovani cui troppo spesso si fa demagogicamente riferimento, salvo ignorarne poi le reali e concrete esigenze.
Avvertiamo, pertanto, l’urgenza di stimolare una riflessione ed un confronto che dovranno tradursi in una necessaria modifica ed una più ampia interpretazione, in particolare, dei punti A e C dell’articolo 10 del suddetto disegno di legge. Il requisito della personalità giuridica, infatti, con le troppo onerose conseguenze in termini economici (costituzione di società di capitali, tasse di iscrizione in albi e registri), imporrebbe una brusca ed inevitabile battuta d’arresto alle iniziative di tutte le associazioni di giovani già operanti sul territorio regionale. Tale requisito è già presente nella legge regionale n. 7 del 14 marzo 2003 che disciplina l’intervento pubblico per le attività culturali. «Concedere la personalità giuridica è competenza della prefettura per le associazioni e gli istituti che vogliono agire sul piano nazionale; di un ufficio regionale (DPR 361/2000) per quelli che vogliono limitarsi ad agire in Campania. L’ufficio fornisce l’elenco della parecchio costosa documentazione necessaria (due copie, una in bollo, di atto costitutivo e statuto, la relazione sull’attività, i bilanci, elenco dei soci, autocertificazione penale). La sorpresa amara che arriva al punto tre ove si prescrive di esibire ”una relazione sulla situazione economico-finanziaria dell’ Ente corredata da una perizia giurata di parte qualora l’Ente sia in possesso di beni immobili nonché di una certificazione bancaria comprovante l’esistenza, in capo all’Ente stesso, di un patrimonio mobiliare”. Quanto bisogna possedere per fare cultura? Lo deciderà la Commissione Prefettizia cui spetta di esaminare la domanda. Ma quanti hanno presentato la domanda hanno già saputo per vie non tanto misteriose che devono depositare fino a 100.000 euro bigliettoni, quasi 220 milioni delle vecchie lire. La norma parla chiaro: ci vuole il possesso di beni immobili e pure una certificazione bancaria. In pratica, si escludono dai contributi regionali e si condannano a morte un notevolissimo numero di associazioni che svolgono attività culturali minimali, in molti casi d’eccellenza, costituenti un prezioso tessuto educativo e di civilizzazione, di ricerca artistica e di spettacolo» .
L’attività di spettacolo costituisce il secondo requisito indicato come indispensabile per l’accesso ai suddetti finanziamenti, e dovrebbe essere triennale e documentata. Pur intravedendo a tal proposito un’apertura maggiore rispetto all’ abroganda legge regionale n. 48 del 6 maggio 1985, che enuncia criteri tassativi per la documentazione delle attività di spettacolo, intendiamo interpretare questo moto nuovo, con la possibilità di documentare le attività con articoli di giornale, documenti attestanti concessioni di contributi istituzionali, partenariati nazionali ed internazionali, pubblici e privati, e materiale video-fotografico, che spesso costituiscono la prova concreta della qualità, del successo e dell’impatto sociale delle diverse iniziative. Riteniamo, pertanto, che il legislatore regionale non possa e non debba, in questa fase di momentaneo stallo, vanificare l’opportunità di confrontarsi con le istanze di tutti coloro che svolgono, di fatto, attività culturale e di spettacolo.
www.appellospettacolocampania.org
Premessa
Lo spettacolo dal vivo è un fattore strategico per la crescita sociale ed economica del territorio, un motore della crescita collettiva che richiede un ruolo politico forte, presente, continuativo.
Il suo sviluppo, la sua crescita, la sua stabilità dipendono dall’equilibrio degli interventi pubblici destinati alla promozione dell’offerta e della domanda di spettacolo dal vivo, attuati con visione strategica, regole certe, coordinamento.
La Regione Campania finalmente si appresta ad approvare un disegno di legge regionale in materia di interventi regionali di promozione dello spettacolo dal vivo.
Scopo dei nostri incontri è stato quello di commentare e discutere in un contesto di collaborazione con le Istituzioni esteso a tutti gli operatori del settore, il nuovo disegno di legge sullo spettacolo della Regione Campania, con particolare attenzione alla salvaguardia del mondo dell’associazionismo culturale che da sempre ha contribuito e contribuisce alla creazione ed alla diffusione di significativi progetti culturali e di spettacolo.
Il nostro obiettivo è stato ed è quello di contribuire al dibattito tra il nostro settore, che non sempre si sente pienamente rappresentato ed ascoltato, e le Istituzioni competenti.
RILIEVI COMUNI AL DISEGNO DI LEGGE
Nel corso dei numerosi incontri succedutisi fino ad oggi e che hanno visto la partecipazione attiva di un numero rilevante di soggetti promotori e produttori di spettacolo presenti su tutto il territorio regionale, si sono evidenziati alcuni rilievi comuni al disegno di legge. Essi sono riassumibili in:
- abolizione della richiesta della personalità giuridica
- abolizione della richiesta del riconoscimento ministeriale e/o dello Stato come parametro di accesso
- individuazione di parametri di accesso quantitativi (numero recite, giornate lavorative,ecc.) compatibili e specifici alla realtà territoriale ed al tessuto regionale e non estrapolati da leggi e regolamenti dello Stato o di altre regioni d’Italia
- individuazione di parametri di accesso compatibili alla realtà regionale di ogni singolo settore, ovvero non possono valere identici parametri quantitativi per musica, danza, teatro, così come per festival, rassegne, circuiti, compagnie, o anche per musica classica o sperimentale o altro
- individuazione di modalità di accesso che garantiscano stabilità e continuità allo sviluppo del settore, senza per questo soffocare le piccole e medie associazioni, i giovani, la sperimentazione, la tradizione, la conservazione, la ricerca
PROPOSTE
Le proposte al disegno di legge, che sono state messe all’evidenza della VI Commissione Cultura del Consiglio Regionale della Campania grazie ad un accurato lavoro di incontri ed audizioni promosso dalla Presidente Luisa Bossa sono:
- abolizione della richiesta della personalità giuridica e del riconoscimento ministeriale
- stabilire parametri quantitativi di accesso che NON siano equiparati per nessun settore e per nessun comparto a quelli individuati dai regolamenti del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali;non si comprenderebbe infatti il ruolo delle politiche culturali regionali in relazione a quelle nazionali.
Inoltre si evidenzia al legislatore che le specificità territoriali dei settori musica,teatro,danza si differenziano al loro interno in comparti quali tradizione, innovazione, sperimentazione e che parametri quantitativi identici risultano essere incompatibili.
- riconoscere e valorizzare le attività professionali nei settori del teatro, della musica, della danza senza distinzione di generi (così come da proposta di legge – principi fondamentali per lo spettacolo – art 117 comma 3 della Costituzione)
- ricercare misure che favoriscano l’accesso al credito regionale
- ricercare misure di sostegno che comprendano convenzioni regionali con ENPALS, SIAE, gli Uffici Comunali per le Affissioni ,l’ Ufficio Stampa Regionale
- istituire griglie di accesso differenziate e compatibili per ogni singolo settore e comparto
- istituire start-up per i giovani
- stabilire tempi certi per l’approvazione dei progetti che garantiscano la stabilità e la continuità della programmazione
- stabilire la concessione di un acconto del 50% del contributi assegnato
- stabilire tempi certi per la liquidazione del contributo con possibilità di fruire di anticipi,così come previsto dai programmi quadro dell’Unione Europea
- rendere la rendicontazione del contributo snella e congrua all’erogazione del contributo stesso
- istituire l’Osservatorio Regionale con compiti di vigilanza, monitoraggio e controllo delle attività (così come per le Regioni Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Marche)
- rendere disponibili spazi regionali, provinciali e comunali alle attività di spettacolo dal vivo
- rivolgere particolare attenzione alla contemporaneità, alla ricerca, ai giovani, alle espressioni di spettacolo fino ad oggi meno tutelate come le espressioni artistiche giovanili, la musica italiana contemporanea, jazz e musica d’improvvisazione, la danza ed il balletto, le espressioni di ricerca ancora oggi trascurati dalle politiche pubbliche nazionali.
Tali proposte che ad oggi risultano essere state acquisite con sensibilità ed attenzione dalla VI Commissione Cultura del Consiglio Regionale della Regione Campania,ci auguriamo siano sostenute e rispettate da tutto il Consiglio Regionale e ci auguriamo inoltre che grazie alla discussione della legge interna al Consiglio Regionale,si possa rispondere in maniera sempre più attenta alle proposte ed alle richieste del settore.
Inoltre nei punti di competenza che riguardano i regolamenti attuativi della legge e durante la stesura degli stessi richiediamo un confronto fattivo e propositivo con le istituzioni competenti.
La rivista era nata all’inizio degli anni 2000 all’interno di un progetto dell’ETI come supporto informativo e di approfondimento del Teatro ragazzi. Dal 2005 è autonoma e finanziata solo da alcune realtà del teatro ragazzi (circa trenta) che si abbonano con 100 euro ciascuna ed è supportata a livello tecnico dal Teatro di Piazza e Occasione.
L'intento di Eolo è quello di creare un osservatorio sulla qualità artistica in un segmento nel quale ci sono spinte contraddittorie, stretto tra eccellenze artistiche e scarsa visibilità. Abbiamo creato una rivista che fosse il punto di riferimento rispetto alle produzioni e gli eventi del teatro. Eolo funziona a tutti gli effetti come la rivista del Teatro Ragazzi. All'interno di questo contenitore ci sono 6 critici che, con Mario Bianchi che ne è il direttore, scrivono recensioni andando a vedere i progetti e segnalando festival ed eventi interessanti. Questo è un modo per chi ha una visione esterna all'ambiente di capire cosa succede nel mondo del Teatro Ragazzi e soprattutto di essere informati su alcuni eventi topici, come ad esempio i Festival. Nel suo piccolo Eolo ha questa funzione stimolante e interessante anche per l'immediatezza: il redattore scrive la recensione e l'intervento va direttamente on-line. Non è gestita con dei criteri come dire lenti, è uno strumento molto dinamico ed efficace.
Su “news” si possono trovare informazioni su convegni, manifestazioni, incontri che hanno come tema il teatro-ragazzi. Su “recensioni” troverete recensioni non solo di spettacoli ma anche di festival e manifestazioni varie.
Su “e-brezze” apriremo i forum con interventi sulle varie problematiche che interessano il settore.
“Stelle lontane” invece segnala libri mostre, brani tratti da libri, film anche pensieri che hanno a che fare con l’infanzia.
Su ” Festival” ci saranno i programmi dei festival e delle vetrine più importanti del panorama italiano “specificatamente” ma non solo di teatro ragazzi.
Sono stati anche creati gli “Eolo Award” un premio che la rivista assegna ogni anno attraverso le segnalazioni di operatori e critici.
Infine c’è una pagina di link con le compagnie, i centri e le persone che sostengono "eolo" e con altre riviste, siti e realtà di interesse nazionale.
Nonostante il momento difficile
Sì, bisogna nonostante tutto andare avanti. Andare avanti nonostante le difficoltà finanziarie divenute insormontabili, gli scambi che minano alla radice il sistema del mercato e dimostrano la grande fragilità del cosi detto settore, la ripetizione di stilemi, andare avanti nonostante la mancanza di visibilità, sì bisogna andare avanti.
Eolo come in passato, più del passato vuole dare il suo piccolo contributo a questa resistenza non piagnucolosa che da anni molti appassionati operatori stanno portando avanti contro tutto e contro tutti. Per affermare che il teatro ragazzi esiste ed è fiero di esistere con le sue specificità ma anche con la consapevole forza di appartenere alla grande tradizione del teatro europeo.
Per affermare che è capace ancora di produrre ricerca, eventi irripetibili, che è capace di svincolarsi in modo sempre più autonomo dalla didattica parlando in modo poeticamente consapevole anche ai bambini più piccoli, spesso dimenticati dalle ultime creazioni. E che soprattutto è ancora capace nonostante tutto di porre l’infanzia al centro del suo percorso non solo come condizione mentale in cui tutto dalla creatività è reso possibile ma soprattutto come luogo da salvaguardare contro ogni speculazione dei così detti adulti.
Per questo Eolo vuole essere non solo una ragnatela di informazioni su quello che avviene in questo campo nel nostro paese sottolineandone le valenze più positive, ma vuole contribuire al dibattito sulle problematiche con degli appositi forum, vuole creare una critica militante che è esistita solo sporadicamente, raccogliendo tutte quelle intelligenze propositive che in modo più attento hanno seguito da vicino il teatroragazzi magari cercando di scoprirne delle altre.
“Campus Teatri” (teatro, danza, musica, cinema-nuovi media e arti visive) è un complesso multidisciplinare per gli spettacoli e le manifestazioni culturali, all’interno della cittadella dell’Università della Calabria.
Assumerà la forma giuridica della fondazione, i cui soci fondatori saranno l’Università della Calabria, l’Università Mediterranea, l’Università Magna Grecia, la Regione Calabria, il Comune di Rende e l’AGIS Calabria, le Province, il comune di Cosenza, Una Fondazione Bancaria …)
Consta di due teatri, due cinema,un anfiteatro, nonché di una serie di altri spazi, servizi e pertinenze;
un primo teatro ( piazza Molicelli) è già pronto (siamo in attesa del permesso di agibilità) ha una capienza di 300 posti con due adiacenti porticati (per circa 395 mq di superficie coperta).
- Il complesso multifunzionale denominato provvisoriamente Piazza Vermicelli, in via di completamento,. comprende :Due Cinema (due sale n°255 posti ciascuna)
Un teatro (750 posti)
Cavea (teatro all’aperto);
.Il “Campus Teatri” è territorialmente ubicato in modo strategico. Esso, infatti, sorge non solo nell’area universitaria collegata dal punto di vista logistico al resto del territorio ma, soprattutto,in un’area che prevede la realizzazione di un centro commerciale, di un ristorante, di un bar, di un asilo nido, del polo tecnologico che ospiterà le aziende spin-off dell’Università della Calabria, e degli spazi per le associazioni studentesche. Tutto ciò consente realisticamente di ipotizzare che intorno ai luoghi di spettacolo si possa creare un bacino culturale in cui si integrino attività commerciali, come la ristorazione, e altre funzioni legate sia al tempo libero che al lavoro, fruibili sia dalla popolazione universitaria (docenti, personale tecnico-amministrativo e studenti), che potrà beneficiare di più luoghi e opportunità di vita sociale e condivisione di esperienze culturali, che per la popolazione del territorio circostante.
Altrettanto rilevante è il fatto che le attività culturali e di spettacolo di “Campus teatri” trovano nell’offerta formativa del corso di laurea in DAMS e Comunicazione un contiguo e immediato riferimento in quanto terreno di esperienza e di conoscenza, nonché di studio per lo sviluppo di progetti musicali, attività concertistica e operistica, attività di teatro, danza, cinema, produzione radiotelevisiva.
2 Consumo culturale e produzione in Calabria
Il progetto intende avviare in Calabria un intervento culturale che sia nel contempo di ricerca, di formazione, di produzione e circolazione di spettacoli,ipotesi che si sperimenta per la prima volta in Calabria.
Negli ultimi trenta anni si è potuto constatare il persistente divario fra nord e sud Italia rispetto ai finanziamenti pubblici destinati alla produzione e alla distribuzione, oltre che nel numero di spazi agibili per lo spettacolo.
Per quanto concerne la domanda e l’offerta di spettacolo in Calabria, il sistema è caratterizzato da una offerta scarsa e poco diffusa sul territorio, concentrata per lo più in alcune città capoluogo, con una certa prevalenza territoriale in provincia di Cosenza, nonché da una bassa affluenza di pubblico, la più bassa in Italia (cfr. Bollettino Ufficiale della Regione Calabria dell’1 settembre 2005, Parti I e II, n.16).
Gli ultimi dati ufficiali disponibili, relativi al 2003, sulle attività teatrali, musicali e di danza, indicano il perdurare di una situazione di grave arretratezza che conferma stabilmente la regione all’ultimo posto di ogni graduatoria, generalmente al di sotto della metà della media delle altre regioni meridionali, che pur ricoprono gli ultimi posti a livello nazionale. Un numero di rappresentazioni (concerti e spettacoli) pari a 2.060 nell’anno 2003, che rappresenta una frequenza di 102 spettacoli ogni centomila abitanti, contro una media nazionale di 319 e una media delle regioni meridionali di 181 ogni centomila abitanti. Il numero di biglietti venduti equivale a 16.330 per centomila abitanti, rispetto al Dato medio delle regioni meridionali che è di 26.574.
In particolare su 16 stabili pubblici solo 2 si trovano nelle regioni del Sud; su 14 stabili privati che assorbono risorse totali di 12 milioni di euro, tre si trovano al sud assorbendo risorse per 2 milioni di euro (di cui 1 milione di euro alla Fondazione Teatro di Napoli).
Il divario è ancora più evidente nella spesa per il teatro privato (compagnie) e nell’esercizio teatrale (teatri). Su 154 compagnie solo 40 hanno sede al Sud (di cui 23 in Campania) mentre su 47 prime istanze sono state accolte per il sud 17 domande (di cui 10 in Campania).
Così l’esercizio con 42 teatri di cui solo 10 sale si trovano al Sud (di cui 7 a Napoli).
Uno sguardo alla sperimentazione e ai centri di innovazione, fa emergere che sono 16 gli stabili di innovazione finanziati con un totale di circa 5 milioni di euro, di cui 5 sono al sud (2 in Campania, a Napoli) per una spesa di 1.361 mila euro.
La stessa proporzione si ritrova nella stabilità ragazzi: su 20 soggetti 3 sono nel Sud (Napoli, Puglia e Sardegna).
Anche per quanto riguarda le piccole associazioni di promozione su 45, 6 sono al Sud, come pure su 36 festival, 14 sono al sud di cui 7 sono soltanto in Sicilia. Per quanto riguarda la distribuzione, i circuiti che assorbono risorse per circa 6 milioni di euro, la situazione è più bilanciata visto che su 17 circuiti 8 sono al sud (di cui solo due a Napoli).
Altre carenze documentate e tipiche del sud d’Italia sono la scarsità di operatori, la carenza complessiva di strutture, di centri, di stabilità pubblica e privata, di innovazione, nonché la presenza di zone scoperte dalla distribuzione e caratterizzate dalla scarsità di sale teatrali riconosciute.
La popolazione studentesca proveniente da zone prive di strutture e attività culturali si trova, infatti, ad affrontare diversi ostacoli generati da fattori quali la distanza, la carenza di collegamenti, la carenza di informazione e la inesistente stimolazione da parte del territorio.
3 Finalità culturali della Fondazione
La struttura plurima dedicata al teatro, al cinema, alla musica, alla danza e ai nuovi media, che sorge per volontà dell’Università della Calabria, intende assolvere al compito di potente stimolatore culturale, in termini di ricerca, formazione, offerta di spettacoli nei confronti non soltanto della crescente popolazione studentesca universitaria, ma anche e soprattutto verso il territorio..
Nello specifico il “Campus teatri”, intende:
- offrire una possibilità di partecipazione diretta alla cultura dello spettacolo, nelle sue varie forme e mezzi espressivi, ad una considerevole popolazione giovanile ( sono più di 31.000 studenti iscritti alla sola Università della Calabria ) che ha scarse opportunità di fruizione diretta dello spettacolo sia dal vivo che riprodotto;
- porsi come polo culturale dedicato alla musica, al teatro, alla danza e alle immagini in movimento (cinema e nuovi media), rispetto ai comuni limitrofi all’Università, alla Provincia e alla Regione.
- coinvolgere istituzioni nazionali (es. il Ministero dei Beni Culturali) e internazionali in grado di garantire attraverso i contributi finanziari, la distribuzione di spettacoli (l’Eti), le attività formative (il Formez), i progetti speciali (la CEE) una reale possibilità di realizzare nel campus di Arcavacata un Polo delle Performing Arts .
Uno dei risultati che la costituenda Fondazione “Campus teatri” mira a ottenere, attraverso il pieno funzionamento delle attività culturali programmate, è il superamento della marginalità dell’area in fatto di consumi culturali. In particolare:
- formare nuove figure professionali, tenendo conto della professionalità da creare e da formare per la gestione delle attività culturali dei teatri del Campus e delle forze produttive del territorio (es. musicisti, cineasti, attori, registi, danzatori, etc.…);
- incrementare la fruizione culturale;
- potenziare i flussi di cassa in termini di spesa in attività di spettacolo per abitante;
- riqualificare gli operatori dei settori oggetto di intervento.
La Buona Pratica che Danny Rose intende proporre all’interno del dibattito sullo spettacolo al sud ha come scenario la campagna di Ceglie Messapica, una cittadina dell’entroterra brindisino, al confine tra il Salento e la Valle d’Itria.
Danny Rose organizza da quattro anni la rassegna Voglia di Storie presso la Masseria Lo Jazzo, un antico complesso circondato da trulli, restaurato con attenzione filologica, attorno al quale si estende un vasto terreno incolto che presenta le caratteristiche tipiche della macchia mediterranea. Si tratta di un luogo fortemente suggestivo che, a differenza di realtà similari, è utilizzato esclusivamente per attività artistico-culturali, essendo particolarmente adatto ad accogliere e sperimentare nuove forme artistico-organizzative.
Fin dalla prima edizione l’obiettivo principale di Voglia di Storie è stato quello di differenziarsi da molti festival estivi che spesso si presentano come semplici vetrine, per lo più indirizzate agli addetti ai lavori; l’alternativa che Voglia di Storie propone è quella di essere un luogo da abitare insieme, dove riunire la molteplicità delle arti e incontrarsi, sapendo fin dal principio che sarà necessario avere il coraggio di osare, sia nelle scelte sia nelle formule organizzative, per poter dare voce effettiva alla contemporaneità. Voglia di Storie ha creato negli anni un dialogo forte con il territorio e con il pubblico, cercando di offrire proposte nuove, a livello artistico e di fruizione, portando ciò che non c’era, ascoltando le istanze profonde e imparando ad accogliere. La filosofia dell’accoglienza e dell’incontro sono fondamentali in ogni azione di Danny Rose.
La struttura di Voglia di storie si fonda sull’individuazione di una parola-chiave, ogni anno diversa (l’amore, la molteplicità, la responsabilità), a partire dalla quale vengono costruiti dei links; per declinare il tema, vengono utilizzati i diversi linguaggi: dal teatro alla musica, dal cinema alla scultura, dalla letteratura alla cucina. Il senso profondo dei links è quello di indagare la realtà, senza chiudersi nell’autoreferenzialità dello spettacolo, ma aprendosi a mondi che comunque ci appartengono come le scienze, le arti applicate, l’economia, la sociologia.
L’utilizzo dei links e il rapporto con “saperi altri” sono tratti peculiari della poetica di Danny Rose per cui l’arte, in ogni sua forma, deve sempre essere uno strumento per capire e raccontare la contemporaneità.
Fino alla scorsa estate, Voglia di storie occupava un arco temporale ristretto; dal 2007, invece, le varie iniziative verranno proposte lungo tutto l’anno, proprio per permettere alle persone che abitano quei luoghi di continuare ad avere questo punto di riferimento culturale. Ciò permetterà a Danny Rose, a livello organizzativo e di found raising, di avere un ventaglio di possibilità e di interlocutori maggiore, per numero e per identità, diversificando la proposta. La via che si intende perseguire è quella che porta e porterà sempre più a stringere delle collaborazioni multiple, accomunate da simili obiettivi comunicativi e territoriali, eleggibili non solo all’interno delle istituzioni pubbliche, ma anche e soprattutto nel privato.
In conclusione, Voglia di Storie è un luogo da abitare, dove sarà sempre possibile confrontarsi con il nuovo, in ogni sua forma, dove la parola nuovo significa innovazione, ma anche recupero di un sapere.
L’inconveniente beneventano nel rinvio della tappa al Sud delle Buone Pratiche 2 è evidentemente parte esso stesso della “questione meridionale in teatro”. Una questione in cui a punte di eccellenza e di efficienza organizzativa si accompagnano equivoci gattopardiani, laddove importanti aperture al confronto civile e culturale con strati sempre più ampi di popolazione si interrompono ad opera di improvvisi individualismi. Ma pur sempre una questione di cui vale la pena il teatro italiano si occupi seriamente, senza forzature e con lo stesso interesse mostrato per le patologie del fare teatro al Sud.
In un saggio dal titolo provocatorio Abolire il Mezzogiorno (Laterza, 2003), l’economista Gianfranco Viesti scrive:
Si guarda sempre e solo alla strada che c’è da percorrere e mai al fatto che si è iniziato a camminare, alle possibilità che ci possono essere, al pericolo che ci si possa fermare.
E’ per questo che affermiamo con convinzione che sì, la questione meridionale in teatro sta nel divario nord-sud dei finanziamenti pubblici, delle sale agibili, del numero delle recite programmate, ma sta anche (e forse negli ultimi anni, soprattutto) nella specificità del “pensiero meridiano”, nei modelli organizzativi ed artistici che funzionano, nella passione dei nuovi talenti, in una nuova necessità del teatro.
Pensare il sud vuol dire allora che il sud è il soggetto del pensiero: esso non deve essere studiato, analizzato e giudicato da un pensiero esterno, ma deve riacquistare la forza per pensarsi da sé, per riconquistare con decisione la propria autonomia…….. Significa non pensare più il sud o i sud come periferia sperduta e anonima dell’impero, luoghi dove ancora non è successo niente e dove si replica tardi e male ciò che celebra le sue prime altrove. (Franco Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, 1996).
Vorremmo creare le condizioni per porre a tutti noi alcune domande:
- “a cosa può servire il teatro nel superamento della questione meridionale intesa come “palla al piede” del sistema Italia?”;
- “quale grado di consapevolezza ha raggiunto l’imprenditoria privata nel considerare lo sviluppo civile parte irrinunciabile ed imprescindibile dello sviluppo economico del territorio?”;
- “cosa comporta e che significa per il sistema teatrale italiano il “sotto la media” delle produzioni, delle recite, delle sale teatrali, degli spettatori, delle risorse pubbliche e private del teatro meridionale?”;
- “come dare continuità alle pratiche teatrali meridionali e regolare le relazioni fra istituzioni, Enti Locali, organismi distributivi e teatri e compagnie?”;
- “quali politiche locali teatrali promuovere mentre si vanno definendo i nuovi assetti Stato/Regioni, magari avviando proprio dal Sud una ricomposizione degli obiettivi strategici (come ripartire il FUS, a chi e perché, qual è l’ambito nazionale e quale la rilevanza regionale).
La campagna elettorale che pervade ormai i livelli più diversi della comunicazione ci impone di cedere il passo all’invadenza presidenziale ed alle disquisizioni botaniche. Torneremo dopo il 9 aprile a confrontarci fra di noi ed a sollecitare alle istituzioni qualche risposta alle domande che da tempo avanziamo. La speranza (e qualcosa anche di più, la necessità) è che potremo dialogare (anche polemicamente) con un governo più serio e sobrio, meno volgare e presuntuosamente ignorante, più civilmente responsabile e capace di non smentirsi a parole e nei fatti di ora in ora (il che non è facile, bisogna ammetterlo, ci vuole una “certa” arte).
Dopo Benevento si sono candidate ad ospitare intorno a maggio 2006 le BP2 Sud altre città meridionali, Napoli, Cosenza, Catania, Palermo e Cagliari. Stiamo valutando le condizioni organizzativo-logistiche di ogni situazione e la disponibilità degli Enti Locali a darci una mano. Da meridionale del gruppo insisto. E molto presto mi auguro che riusciremo ad ufficializzare la tappa al Sud. Non per facili illusioni consolatorie, quanto per credibili prospettive di sviluppo.
Franco D’Ippolito
P.S. Ho appena letto Napoli siamo noi di Giorgio Bocca (Feltrinelli, 2006) e sono ancora più convinto che della “questione meridionale” è tempo che se ne facciano carico i meridionali.