Dedicato a Julian Beck
(1925-1985)
di Laura
Sansalone
© Laura Sansalone-ateatro, 2005
Antigone e Polinice.
In questo teatro ogni creazione viene
dalla scena,
trova la sua traduzione e le sue
origini
in un impulso psichico segreto che è
A. Artaud, Il teatro e il suo doppio.
Tra il 1966 ed il 1967 il Living
Theatre si dedica all’allestimento dell’Antigone
di Sofocle, basandosi sulla lettura che di essa aveva dato Brecht nel 1948.
Come avvenuto per Frankenstein, anche
la genesi di questo nuovo spettacolo è piuttosto complessa. L’approccio alla
tragedia non fu casuale, ma al contrario, il risultato di un forte interesse
per il tema e per le possibilità espressive che esso garantiva.
L’incontro con il testo risale
al 1961, anno in cui il gruppo si trova in Grecia in occasione della sua prima tournée europea. In una libreria di
Atene Beck e Malina hanno la fortuna di trovare, ed acquistare, la copia del Modellbuch di Brecht. Si tratta della
descrizione completa della prima esecuzione del rifacimento brechtiano,
avvenuta in Svizzera nel 1948. Racconta Pierre Biner:
“In una
libreria di Atene, Judith e Julian si comprarono nel 1961 durante la loro prima
tournée in Europa, il “Modellbuch” di Antigone stampato poco dopo la prima
mondiale della commedia a Coira, nel
I due capiscono subito di aver
un legame particolare con l’opera e si ripromettono di metterla in scena non
appena possibile. Continua Biner:
“Questo
album fotografico, che contiene il testo, le indicazioni di Brecht ed una
abbondante serie di fotografie dello spettacolo, li appassiona. Se esiste una
commedia, nella quale la disobbedienza civile viene celebrata, questa è proprio
l’Antigone”.[2]
De Marinis osserva che:
“era
forse inevitabile un incontro tra i due vessilliferi della protesta anarco-pacifista
e l’eroina archetipica della disobbedienza civile”.[3]
L’occasione di approfondire lo
studio dell’Antigone si presenta nel
1964, purtroppo a causa dell’arresto della Malina (e di Beck) che trova così il
tempo necessario per dedicarsi alla traduzione inglese dalla versione tedesca.
Essa nasce, dunque, in un clima di forte repressione e sofferenza, come
testimonia la stessa Malina:
“Allora
non esisteva ancora la versione inglese del testo di Brecht ed è stato in un
capitolo successivo della mia vita, quando ho dovuto scontare trenta giorni di
reclusione per vilipendio alla corte, nel ’64, che ho lavorato alla traduzione
del Modellbuch nella
Passiac County Jail.”[4]
L’accusa che costringe i Beck
alla detenzione è quella di oltraggio alla Corte. Racconta Judith Malina:
“Durante
il processo fummo arrestati tre volte dalla polizia municipale, eravamo
impossibili, facemmo di tutto per trasformarlo in un grande spettacolo,
portammo testimonianze molto spettacolari, […] noi oltraggiammo
Ecco instaurato il primo
parallelo tra la vita di Antigone e quella della sua interprete.
Il personaggio greco è
precursore di tutte le battaglie per l’affermazione del sé su tutti i sistemi
di potere e di controllo. Di lei dice
“E
Antigone è una delle immagini fondamentali e una delle principali fonti di
ispirazione della cultura di questo pianeta. E’ una precorritrice del movimento
di liberazione e rappresenta la volontà della donna di dimostrare la sua forza
e la sua indipendenza di pensiero e la capacità di opporre la sua propria
decisione contro il mondo, il governo, la corte: anche contro la gente se
necessario”.[6]
Antigone è, come la sua
interprete, un esempio eccellente di individualità anarchica e pacifista, data
la sua determinazione ad accettare il proprio destino, senza timore e senza
rendersi complice della violenza del mondo. Nel testo di Brecht ella chiede con
dolcezza al suo giudice assassino:
“Ora che
mi hai, puoi far di più che uccidermi?”
Con lei l’uso della violenza non
ha alcun effetto dal momento che non teme nulla, se non la rinuncia alla libertà.
La chiave di lettura che della
tragedia dà il Living Theatre, è del tutto originale per la sua impronta,
sempre più aderente alla propria poetica, di stampo artaudiano:
“Si
trattava di una produzione artaudiana di un testo brechtiano, che rispettava
moltissimo il testo di Brecht e tentava di esprimerlo attraverso l’azione
artaudiana.”[7]
Lo spettacolo appare, infatti,
nel complesso, come una fusione di istanze brechtiane, come quella di un teatro
epico impegnato politicamente, e di principi artaudiani, come la finalità
catartica del teatro. La messa in scena del gruppo anarco-pacifista evidenzia
il messaggio politico dell’opera e lo trasmette con inaudita e sorprendente
violenza. Si tratta ancora una volta di una violenza equiparabile alla
“crudeltà” artaudiana:
“Uso il
termine crudeltà nell’accezione di appetito di vita, di rigore cosmico, di
necessità implacabile, nel significato gnostico di turbine di vita che squarcia
le tenebre, nel senso di quel dolore senza la cui ineluttabile necessità la
vita non potrebbe sussistere; il bene è voluto, è la conseguenza di un atto; il
male è permanente.”[8]
Sia la versione brechtiana, sia quella
del Living escludono l’intermediario, rinunciando entrambe al lavoro diretto
sul testo greco, sfruttando invece la sua traduzione (quella di Holderlin per
Brecht, e quella di Brecht per il Living). La storia perde il carattere mitico
per divenire una storia di vita quotidiana. Con il dispiegarsi della
rappresentazione, si anima la trasposizione figurativa della tragedia.
Antigone è, come si vuol dimostrare, una vera e propria
partitura gestuale. La narrazione degli eventi procede come una successione di
fotogrammi così numerosi e ben sviluppati da far supporre che il testo
drammatico funga loro da colonna sonora. Judith Malina spiega le intenzioni
della sua regia:
“Si
trattava di esprimere esattamente coi nostri corpi quello che era il sottotesto
delle parole, in ogni momento […] Perché la pura restituzione del testo si
traduce in un’azione convenzionale, ma quella del sottotesto impone di
esplorare altre direzioni: di attraversare la gioia, il tremore, la paura, la
rabbia, la resistenza, la forza psichica, la sconfitta, l’orrore… tutto quello
che è sempre presente sotto le parole, il sottotesto, ed è il corpo che deve rappresentarlo.”[9]
E’ opportuno ricordare che gli
anni sessanta sono stati la culla di un vero e proprio dibattito culturale
sulla possibilità di riattualizzazione della tragedia. A lungo l’elite intellettuale ha ritenuto che una
reale riattualizzazione fosse impossibile, ma ben presto dovette confrontarsi
con le proposte innovative dei gruppi della sperimentazione teatrale, che
dimostravano l’esatto contrario.
Il punto di partenza delle
rivisitazioni dell’avanguardia è l’intento di recuperare l’elemento umano della
tragedia. In principio, infatti, essa aveva il gravoso compito di farsi
strumento di conoscenza interiore e di far nascere, attraverso la
rappresentazione, una coscienza tragica nello spettatore. Antigone del Living Theatre ha esattamente lo stesso scopo; citando
Beck:
“Cerchiamo
cambiamenti nella gente.”[10]
Brecht aveva dato alla tragedia
un’impronta decisamente politica, eliminando i riferimenti alla maledizione di
Edipo, e l’accento religioso evidenziato da Holderlin, dotando l’azione di
premesse del tutto inaspettate ed attualizzanti: la tragedia è scaturita ed
alimentata unicamente da motivi di ordine politico. La testimonianza di Biner
conferma:
“L’essenziale,
nell’adattamento di Brecht è il passaggio dal piano religioso a quello politico.
‘Il destino dell’uomo è l’uomo’.”[11]
La lettura che dell’Antigone fa il Living Theatre è in
questo senso esemplare. La catarsi è l’essenza stessa della rappresentazione,
che auspica in scena una sorta di rivoluzione pacifista che garantisca il concretizzarsi
di un modello alternativo, anarchico, dello stato. La città aristocratica greca
viene liberata dal Living dai suoi confini ristretti, e trasformata in un
prototipo di comunità anarchica. Il messaggio rivoluzionario di Antigone
risulta, così, rivolto ad un’ipotetica comunità universale. Come precisa
Dominique D’Ambrosio lo stesso ampliamento dell’idea della città era già
presente nella versione brechtiana:
“Nella
versione di Brecht alla Città aristocratica greca si sostituisce una concezione
più ampia della città stessa […] allargata ad un’idea generalizzata di
organizzazione sociale collettiva […]”.[12]
L’obiettivo di fondo dello
spettacolo, sia in Brecht, sia nel Living, risulta dunque la
responsabilizzazione dello spettatore. Per il gruppo guidato da Julian Beck e
Judith Malina l’intento si può raggiungere solo effettuando dei piccoli e
graduali mutamenti dentro di sé. La storia della coraggiosa figlia di Edipo è
un esempio eccellente di esistenza alternativa: guidata dall’amore e dalla libertà,
piuttosto che dalle leggi e dalla violenza. Antigone è pronta al sacrificio
purchè possa essere d’esempio alla comunità.
L’incipit della tragedia stabilisce subito, coerentemente con quanto
qui si vuole dimostrare, un rapporto particolare tra attori e spettatori.
Appare chiaro, sin dal primo momento, che il pubblico non è l’unico ad
osservare l’azione, e che l’attore non è il solo ad avere un ruolo preciso. Il
Living non intende narrare le vicende lontane di una eroina, o di un eccellente
malvagio, al contrario vuole rappresentare le vicende di uomini comuni, nonché
contemporanei, come dimostrano l’assoluta mancanza di costumi di scena e di
scenografia, come lo spettatore e l’attore.
Lo spettatore prende posto sulla
consueta poltroncina, ma si rende subito conto che non potrà goderne
L’ingresso degli attori avviene
all’improvviso, in silenzio, lentamente, con gli occhi fissi sul pubblico. I
loro sguardi sono cupi, inquisitori e decisamente accusatori, ma non nascondono
la paura.
Riempiono lo spazio circostante
con la semplice presenza e danno vita ad una serie di impulsi e di risposte. Si
palesa il ruolo determinante e creativo dei corpi che agiscono nella nudità
dello spazio scenico, arricchendolo, animandolo, plasmandolo come materia nelle
mani di uno scultore. Osserva Fernando Mastropasqua:
“Essi,
nel loro grave procedere, disegnano lo spazio della città, delle relazioni tra
di loro, tracciano i fili di una vita e di uno stato insieme […]”[13]
Il Living mima tutto ciò che è
detto nella tragedia, anche gli avvenimenti di cui Brecht dava semplice
notizia, a partire dalla morte dei due fratelli e dalla loro sepoltura, in
particolare quella di Polinice, intrapresa a dispetto dell’ordine tirannico e
ripetuta più volte simbolicamente nel corso della rappresentazione, alla
presenza stessa del cadavere in scena, cosa del tutto assente in Brecht, fino
ai passi più ermetici del coro. Come testimonia Biner:
“Il
Living mima tutto ciò che è detto compresi i passi più oscuri del coro. Gli
attori diventano un semplice materiale plastico”.[14]
Tutta la messa in scena gode
delle conoscenze pittoriche e scultoree di Julian Beck, cresciuto
artisticamente nei circuiti dell’avanguardia pittorica, emergendo per il suo
talento accanto a nomi importanti quale quello di Pollock, prima che in quelli
dell’avanguardia teatrale[15].
Così immagini di ogni tipo sono la fonte concreta dell’ispirazione scenica.
Basti pensare all’uso di immagini tratte dal retaggio figurativo greco o egizio
(Antigone in proscenio con le braccia incrociate sul petto in posizione da
faraone) nonché alla semplicità tutta figurativa dell’incipit dello spettacolo, che fa pensare ad una dimostrazione di action painting.
L’attrice che per prima entra in
scena, con passi lenti e silenziosi, si ferma dinnanzi alla platea con
l’espressione provocatoria che contraddistingue tutto l’inizio dello
spettacolo, poi muove ancora qualche passo prima di arrestarsi definitivamente.
La sua staticità provoca una
sorta di inquietudine nello spettatore. Si può parlare di vero e proprio
disagio, che diviene un preciso momento dello spettacolo, durante il quale lo
spettatore disorientato tenta in tutti i modi di rimanere ancorato al suo ruolo
passivo. Il Living Theatre, nell’eliminare completamente la distinzione tra
attori e spettatori, per mezzo di quel suo sguardo diretto, crea una serie di
reazioni e conseguenze tanto sul piano emotivo, quanto su quello culturale. Ciò
che realizza non è una vacua rappresentazione, ma vuole essere un esempio di
vita.
Sulla parallela, leggermente
avanzata, della linea tracciata dalla prima attrice, si muove un secondo attore
che si arresta vicino alla compagna nella sua medesima posizione e con il suo
stesso sguardo. Questa prima inquadratura mostra dunque i due attori
distanziati in profondità, ma su un piano vicino, fissi frontalmente al
pubblico. Nel frattempo anche un terzo attore ha preso posizione. La donna
riprende a muoversi, si dirige verso il proscenio e si ferma nuovamente al
limite del palcoscenico. La coreografia dà forma ad un triangolo.
I corpi dialogano in assoluto
silenzio. Instaurano una vera e propria danza. Il primo attore si accosta al
secondo, mentre l’attrice cammina verso sinistra lungo il proscenio; i tre
formano un gruppo. A questo punto lei retrocede mentre il primo attore avanza
superandola ed il secondo muove ancora qualche passo in avanti.
Il gioco simmetrico degli attori
è interrotto dall’ingresso, a sinistra, di un gruppo di persone, capitanate da
un vecchio, che si muove in fila indiana lungo il muro di fondo. Anche questo
secondo insieme di attori si dispone con snervante flemma in diversi punti del
palcoscenico. Il vecchio si arresta in posizione avanzata rispetto a tutti gli
altri; i due attori al suo seguito, un uomo ed una donna, rispettivamente
vicino al secondo uomo ed al centro. Lei non rimane fissa frontalmente al
pubblico, ma interrompe un istante la sua staticità per voltarsi, ed arrestarsi
nuovamente, di profilo, sempre guardando insistentemente il pubblico. Il
vecchio, che è l’unico a guardarsi intorno, si ferma solo quando raggiunge il
limite sinistro del palcoscenico. La donna di profilo lo segue, arrestandosi
qualche passo prima, quindi si allinea con la prima attrice.
Questi spostamenti lasciano il
giovane attore isolato sulla destra. E’ la prima concreta anticipazione del
dramma che sta per consumarsi. Quella figura isolata allude ad Antigone, la dissidente
che prende le distanze dalle leggi della sua città per far valere la propria
idea di giustizia.
E’ estremamente importante, in
questo incipit ed in tutta la
rappresentazione, il continuo disporsi in gruppi, spesso antagonisti, degli
attori: serve a rendere visivamente le relazioni che intercorrono tra i diversi
personaggi o gruppi sociali.
“Lavoriamo
sulle azioni fisiche e attraverso di esse esprimiamo i contenuti e le dinamiche
dei personaggi. E’ attraverso la costruzione delle azioni che vengon fuori le
reciproche posizioni: gli attori mi prendono, mi spostano, mi toccano, mi
portano via e in questo modo disegnano le dinamiche delle alleanze e dei
conflitti”.[16]
La separazione che si instaura
tra Antigone ed il resto della sua comunità, si riflette in quella che tiene
distante l’insieme della compagnia dal suo pubblico. Osserva Mastropasqua:
“Come il
dissidente
Altri due attori entrano da
sinistra, sempre al fondo del palco, e sempre in fila, e si sistemano al
centro.
Il grave silenzio è interrotto
improvvisamente dal suono angosciante di una sirena, la stessa che nella vita
avverte dell’imminenza di un attacco aereo. La statuaria posa degli attori si
scompone per consentire una nuova figurazione. Li ritroviamo accovacciati a terra,
con le mani giunte a protezione del capo: è la posizione consigliata come
difesa nei casi di bombardamento. Gli attori imitano con la propria voce il
sibilo della sirena e danno inizio ad una azione che sia sonoramente, sia
visivamente, risulta caotica ed inquietante. Molti sembrano essersi trasformati
in creature deboli, incapaci di sostenersi, crollano a terra uno dopo l’altro
come invertebrati, tutti nella stessa posizione. Alcuni rimangono, invece, in
piedi con atteggiamento impavido. Anche il vecchio è rimasto in piedi e si
aggira tra gli altri fieramente.
Le ultime due persone ad entrare
in scena sono due donne che fanno il loro ingresso abbracciate, evidenziando da
subito il legame che le contraddistingue.
L’azione si fa ancora più violenta:
l’incursione aerea a cui la sirena, realizzata dalla voce degli attori,
continua ad alludere, è accompagnata da un attacco di terra.
Il grido di guerra è dato dal
vecchio, che si avvicina agli uomini rimasti in piedi esortandoli brutalmente
all’offensiva. E’ a questo punto che nello spettatore inizia a farsi strada una
prima ipotesi interpretativa del prolungato silenzio e dello sguardo
aggressivo, e allo stesso tempo impaurito, che gli attori hanno tenuto fino a
questo momento puntato su di lui.
Sul palcoscenico vive la città
di Tebe, in stato di allerta per il pericolo dell’attacco Argivo. La platea,
con le sue fila ordinate di uomini è, di conseguenza, la rappresentazione di
Argo e del suo esercito.
Lo spettatore deve aggiungere al
suo ruolo quello di abitante di Argo e dunque di nemico di Tebe. In questa
posizione diventa davvero difficile non prendere parte attiva alla vicenda,
tanto più che gli attori si scaraventano in platea e sferrano il loro attacco.
Gli appunti di regia della Malina indicano:
“Attacco
agli Argivi: gesti ostili verso gli spettatori seduti. Non troppo vicini a
loro, ma diretti in modo molto personale. Una gestualità stilizzata più che una
minaccia vera e propria. Non per provocare ma per spaventare […]”.[18]
L’area d’azione comprende il
palcoscenico e la sala, entrambi hanno un ruolo determinato in funzione della
storia e della sua più veritiera rappresentazione. La platea può contribuire
alla realizzazione di uno spazio sensibile, occupato non solo da individui
separati. Il Living aveva pensato di rendere l’offensiva del tutto credibile e
per questo ogni attore aveva il compito di scegliere uno spettatore contro cui
sfogare la propria rabbia. Nota Fernando Mastropasqua:
“La
guerra è cominciata e si racconta con le parole di Sofocle. Il mito antico
investe di verità lo scontro tra attori e spettatori. Per quanto la battaglia
rimanga sul piano della rappresentazione (gli spettatori impauriti, sbalorditi,
imbarazzati restano incollati alle sedie), tuttavia essa non è finta”.[19]
I gesti d’offesa compiuti dagli
attori nei confronti dello spettatore, con una gestualità che ricorda
sottilmente lo stile mimico giapponese, hanno l’intento di farlo sentire
disorientato ed in pericolo. L’incontro così personale con l’attore fa sì che
lo spettatore si senta solo pur avendo a fianco molti compagni di ventura. Scrive De Marinis:
“Sollevando
la questione della responsabilità personale e sviluppando questa idea a livello
della relazione scena-sala, il Living intende stringere nell’angolo lo spettatore,
sottraendogli le scappatoie abituali […] e obbligandolo a rendersi conto che
davvero, e non figuratamene, de te fabula narratur”.[20]
Il Living vuole compiere sul suo
pubblico lo stesso rito iniziatico che aveva già celebrato in Frankenstein, affinché possa affrontare
il nuovo cammino libero da ogni immagine precostituita del mondo. Citando
Mastropasqua:
“Presto
il disagio lascerà il posto alla paura, a un vago ma radicato senso di
pericolo. L’effetto è quello iniziatico di liberare il novizio da ogni sapere
precedente, da ogni certezza conquistata, affinché si prepari, svuotato, a una
nuova immagine del mondo.”[21]
Il teatro, così come il gruppo
anarco-pacifista lo intende, è essenzialmente una scelta di impegno attivo per
il cambiamento di sé e degli altri.
Tra i tebani si incomincia, ora,
a riconoscere Creonte, il vecchio, ed Antigone e Ismene, le due sorelle che
hanno calcato la scena abbracciate. Gli altri attori sono semplici cittadini o
soldati arruolati nell’esercito di Creonte, i cui ruoli si espliciteranno solo
nel corso dell’azione. Quelli di Antigone, di Creonte e di Polinice, sono,
infatti, i soli ruoli interpretati da un unico attore, mentre tutti gli altri
sono soggetti ad una sorta di rotazione determinata da esigenze di scena e narrazione.
I soldati sono spinti dal
tiranno alla guerra. L’idea della coercizione del potere è rappresentata dal
Living tramite la mimica di Creonte che afferra, da dietro le spalle,
l’attore-soldato per le mani, inducendolo ad un geometrico mulinare di braccia
accompagnato da un profondo affondo alternato sulle gambe. L’azione è
completata dalle grida sconcertanti del soldato a cui viene “data la carica”.
L’espressione, in inglese “winds up”,
è stata utilizzata a partire dalle indicazioni di regia dello spettacolo ed è
stata successivamente ripresa anche da diversi studiosi e critici.
Beck-Creonte dà la carica al soldato.
Tra coloro a cui viene data la
carica ci sono anche Megareo, che a differenza degli altri è l’unico a
sottoporsi spontaneamente al trattamento, ed Eteocle, che si fa invece condurre
all’estremità sinistra del proscenio, dove avviene questa sorta di rituale.
Polinice, preso per mano insieme al fratello da Creonte, non si presta al
trattamento, lo rifiuta e divincolandosi dalla presa del tiranno fugge via
rifugiandosi in platea. Descrivendo la scena in questione Cesare Molinari dice:
“Poi
Creonte ritorna verso il centro della scena, dove prende per mano Eteocle e
Polinice, ma solo il primo si lascia condurre nel punto ove avviene il solito
rito del ‘dare la carica’”.[22]
Quest’operazione sistematica
serve ad evidenziare l’asservimento dei soldati alla volontà del tiranno. Si
spiega in quest’ottica anche la fuga di Polinice, che rifiuta di servire la
guerra, sentita unicamente come pretesto per l’ascesa di Creonte.
Altra traduzione mimica
dell’asservimento è quella della castrazione. Mediante questa operazione il
popolo viene privato della propria forza e si rende complice della sua servitù.
Beck-Creonte userà quest’arma ogni volta che si intravede una possibilità di
ribellione, ma anche solo di presa di coscienza, del popolo al suo potere.
L’arruolamento porta Eteocle
direttamente incontro alla morte. Il suo corpo viene calpestato da un cavallo
da guerra. L’azione è interamente mimata dagli attori che si esibiscono in
suggestive figurazioni acrobatiche, che rendono efficacemente l’idea della
crudeltà della guerra e del destino del giovane soldato di Tebe. Infine, dopo
aver infierito sul corpo della vittima, ne trasportano il corpo senza vita in
processione. L’immagine ricorda quella di un uomo in croce, di un martire, e
traduce così l’onore che si è soliti riconoscere a chi è disposto a morire per
la patria.
Polinice ha assistito alla morte
del fratello, sconvolto ha lanciato un grido di dolore ed ha cominciato a
correre intorno alla sala nel tentativo disperato di raggiungere l’esercito
tebano. Giunto alle porte della città, rappresentate dai corpi sporti in
proscenio di Creonte e della guardia, viene a sua volta ucciso. Il tiranno lo
umilia castrandolo e strappandogli il cuore. Anche la sua vita termina con un
grido di dolore. L’importanza della presenza del suo corpo senza vita, lasciato
in scena per tutto lo svolgimento della rappresentazione, non si può
trascurare. Esso ricorda costantemente allo spettatore la brutalità del potere,
ed al sovrano l’impossibilità di liberarsi di chi si oppone alla tirannia.
Biner afferma:
“Il
perno di tutto lo spettacolo è il corpo di Polinice. Per due ore, l’attore che
interpreta questa parte (Echnaton) recita la sua morte, la sua rigidità sulla
scena. Egli la recita intensamente, sia in proscenio, sia in fondo al
palcoscenico, è costantemente posto sotto gli occhi dello spettatore.”[23]
Sia il grido di Eteocle, sia
quello di Polinice, provocano una reazione fisica nelle due sorelle, che al
primo si serrano tra loro ed al secondo, si separano irrimediabilmente.
Il sentimento, qui come in tutto
il lavoro del Living Theatre, è anticipato e filtrato attraverso l’uso del
corpo. Si nota che la distanza fisica tra le due sorelle traduce il loro
contrasto ideologico.
Ismene ode per prima il grido
straziante di Polinice, si volta e lo vede senza vita in proscenio, ma
istintivamente si rivolta verso Antigone: ha paura di affrontare la realtà.
Ancora un grido; Antigone alla
vista del fratello morto prende immediatamente la sua decisione. Entrambi i
suoi fratelli sono rimasti uccisi sul campo di battaglia di una guerra ingiusta
ed ora una legge tirannica impedisce che uno di loro venga sepolto. Per la
giovane protagonista del dramma il monito non può essere ascoltato. Nulla e
nessuno possono impedirle di onorare Polinice così come la tradizione insegna.
Il rito della sepoltura presso i
Greci prevedeva che il corpo ricevesse una triplice libagione ed il suo
compimento era considerato un diritto del defunto ed allo stesso tempo anche un
dovere nei confronti degli dei.
Tuttavia il gesto di Antigone
non deriva dal desiderio di compiere il volere degli dei, ma da quello di far
valere la propria volontà, ed il suo amore fraterno, al di sopra di qualsiasi
legge. E’ un vero e proprio atto di ribellione.
A questo punto Judith Malina
recita i primi versi di liaison, che
chiudono il prologo e danno inizio alla tragedia:
“Antigone,
la figlia di Edipo, andò a raccogliere polvere per coprire il corpo di Polinice
che il tiranno infuriato aveva gettato ai cani e agli uccelli”.
E’ significativa la scelta fatta
dal Living Theatre di utilizzare le parole di liaison di Brecht, che avevano un chiaro intento straniante, per
metterle in bocca agli attori che ne pronunciano a turno una parte nella lingua
del pubblico, con l’intonazione e la pronuncia più corrette possibili. Tutti i
versi di anticipazione di ciò che avverrà sulla scena di Antigone vengono tradotti in preziose azioni mimico-recitative, che
risultano così come poste tra parentesi e oggettivate tra una cesura e l’altra.
La recitazione di questi passi interrompe, infatti, di continuo l’azione
drammatica riducendola ad una serie di episodi. Il risultato è di nuovo lo
straniamento.
Così, come i versi recitati in
italiano ci hanno annunciato (la presente analisi dello spettacolo fa
riferimento alla rappresentazione filmata da Spedicato a Bari nel 1980), la
prima scena della tragedia vede Antigone intenta nell’atto di raccogliere la
polvere che le serve per onorare il corpo del fratello con la sepoltura.
La regia della Malina
intensifica notevolmente il “gesto” di Antigone. Mentre in Brecht era previsto
che la polvere fosse raccolta in una brocca di ferro, qui è il corpo stesso
dell’attrice che si fa recipiente. Con ampi movimenti delle braccia ella
solleva la polvere e la porta alla bocca alternativamente con l’una e l’altra
mano, accompagnando l’azione con singhiozzi di inspirazione e con una
espirazione allo stesso modo fortemente enfatizzata. Dando questo grande
rilievo all’atto della respirazione, la regista sembra voler evidenziare il
tentativo di Antigone di trasmettere un soffio di vita al corpo del fratello.
Nell’intenzione dell’attrice si può, inoltre, ipotizzare la volontà di
comunicare se stessa al di sopra di qualsiasi concetto astratto. Perché il
messaggio è la presenza stessa dell’artista, che in qualità di essere umano si
rivolge ad altri uomini. Risoluzioni come questa infrangono ogni possibilità di
separazione tra l’attore ed il suo pubblico, che non può sottrarsi a ciò che
gli viene offerto così direttamente e candidamente. Descrivendo l’episodio
Biner dice:
“Il
corpo è diventato recipiente. Antigone fa finta di deporre nella sua bocca ciò
che raccoglie in ginocchio da terra. L’assorbimento si fa con una inspirazione
dolorosa (“ha…”), perché il corpo entra in contatto con una materia morta, e
con una comoda respirazione (“he…”), perché la vita del corpo si comunica alla
materia morta.”[24]
Antigone raccoglie la polvere al
fondo della scena, ma ciò non è sufficiente a garantire l’ intimità del rito.
Ismene, accorsa nel tentativo di
distogliere la sorella dall’azione che la condannerà inevitabilmente a morte,
osserva atterrita i gesti della sorella che si fanno sempre più frenetici e
convinti mentre le rammenta le sofferenze che ancora, senza tregua, si
abbattono sulla loro stirpe. Ismene non vuole ascoltare e si tappa le orecchie.
Sul palcoscenico tutti gli
attori presenti si suddividono in gruppi che danno vita a quattro figurazioni
allegoriche. Un gruppo è formato da attori che dormono, un altro da quelli che
si coprono gli occhi, un terzo da quelli che si tappano le orecchie e l’ultimo
da quelli che tacciono. Gli attori mimano in questo modo le proprie reazioni
emotive, tutte ugualmente di rifiuto, quasi di omertà, alla vista dell’atto di
disobbedienza di Antigone.
Il dialogo tra le due sorelle
continua e si sofferma sul racconto della morte dei due giovani labdacidi, che
viene puntualmente mimato. Dapprima è rivissuta la morte di Eteocle; Antigone
riproduce lo scalciare del cavallo che lo ha colpito a morte e calpestato. Poi
solcando con agitazione la scena mima la fuga di Polinice e ritornando vicino
alla sorella si lascia cadere rigidamente su di lei, che a sua volta riproduce
i gesti della violenza esercitata da Creonte sul corpo del soldato dissidente.
A questo punto Antigone costringe Ismene ad avvicinarsi al corpo del fratello e
le piega persino la testa di modo che non possa sottrarsi alla triste visione,
come aveva fatto in precedenza. Poi la obbliga ad aiutarla a sollevarlo, mentre
cerca di convincerla anche verbalmente al rifiuto del proclama:
A:
“Vorrei che mi aiutassi.”
I: “In
quale cimento?”
A: “Per
ricoprirlo.”
I:
“Colui che è stato ripudiato dalla città?”
A:
“Colui che la città ha tradito.”
I:
“Colui che pose mano alla rivolta?”
A: “Sì.
Mio fratello e anche il tuo.”[25]
Il dialogo tra le due sorelle
mette in evidenza la loro diversa concezione della vita. La regia della Malina
amplifica il contrasto già evidente nello scambio di battute trasportandolo sul
piano visivo. Il messaggio verbale deve essere immediatamente dimostrato
formalmente, ovvero trascritto scenicamente.
Il corpo privo di vita di
Polinice viene usato come un vero e proprio oggetto della contesa. Dapprima
giace in terra, poi Antigone ne solleva un braccio e lo cinge intorno al collo
di Ismene dalla quale pretende, per il momento, aiuto e comprensione. Insieme
lo sollevano, ma con il susseguirsi delle battute iniziano a passarselo l’un
l’altra, tenendo Ismene le parti della città ed Antigone quelle del fratello.
Il corpo di quest’ultimo diventa a sua volta l’immagine del dovere, della
responsabilità accettata o rifiutata.
Attraverso l’uso dei loro corpi le
due attrici riescono a ritrarre i caratteri dei personaggi che interpretano.
Ismene, che si rivela fragile ed incapace di osare, soccombe sotto il peso del
corpo di Polinice, mentre rimprovera alla sorella di agire in modo
sconsiderato, nonché di ignorare la debolezza che è propria di ogni donna e che
impedisce, dunque, di sfidare l’autorità maschile. Antigone, al contrario,
rimane ben salda sulla sua posizione, sia sentimentalmente che fisicamente. Il
suo atteggiamento è fiero e l’unico inchino che è disposta a fare è quello nei
confronti dell’amato fratello che giace in terra e di cui si prende cura con
gesti precisi ed affettuosi.
Le parole che ha udito l’hanno
indispettita e perciò, prendendolo per un braccio, solleva leggermente il corpo
di Polinice, così da liberare Ismene dalla pressione da esso esercitata. Poi le
intima di andarsene e lo fa con una violenza tale da far scaturire nella mente
della vulnerabile sorella l’idea dell’imminenza dello scoppio di una bomba: per
questo si allontana di scatto e si accovaccia nella canonica posizione di
difesa.
Nell’ultima parte del dialogo,
Antigone rammenta che il corpo del fratello è abbandonato in pasto agli
uccelli. Immediatamente quattro attori si separano dai gruppi allegorici e si
trasformano in avvoltoi. Poggiano grottescamente sulle gambe piegate, muovono
lentamente le braccia divaricate e tentano di avvicinarsi al morto. Antigone li
respinge con gesti di repulsione. I corvi si allontanano istintivamente: la
donna, che non teme la morte, è più forte di loro.
Si nota come in questa messa in
scena l’espressione gestuale si leghi serratamente con il dialogo. Solo in
apparenza, perciò, Antigone
costituisce una sorta di armistizio nei confronti della parola. Pur basandosi
integralmente sul testo brechtiano, la recitazione è oltremodo straniante e non
potrebbe rendersi indipendente dall’elemento corporeo.
L’episodio si chiude con il coro
degli anziani che annuncia la vittoria di Tebe. Durante questo primo canto si
delinea lentamente la struttura dei gruppi.
Antigone è tornata sul fondo
della scena e ha ricominciato a raccogliere la polvere, mentre una voce fuori
campo intona su una melodia jazz “Forget
the war”.
Uno dei quattro gruppi si
scioglie ed i suoi componenti si cingono, immaginariamente, il capo con corone.
A questo punto tutti gli attori in scena iniziano a muoversi lentamente, danno
l’impressione di essersi appena risvegliati da un lungo sonno, agitano le
braccia come se stessero nuotando o dovessero farsi largo nella boscaglia. Si
muovono a fatica e sono instabili: molti cadono in terra, si rialzano e così
proseguono fino all’arrivo di Creonte. I quattro che si sono incoronati lo
attendono in proscenio: sono gli anziani. Tenendosi per mano alzano le braccia
in un gesto che viene ripetuto come di riflesso anche da alcuni attori rimasti
alle loro spalle (il popolo).
Il tiranno rientra a Tebe in
sella al suo cavallo (mimato da un attore), ma prima ancora di ricongiungersi
con i suoi fidi inciampa nel corpo di Polinice. Con quest’immagine il Living
Theatre non perde l’occasione di ricordare che non è possibile eliminare, o
anche solo dimenticare, coloro che si ribellano all’ingiustizia. Di fatto la
vista dell’“obiettore” irrita Creonte, che si sofferma qualche istante sul suo
corpo gesticolando stizzosamente.
Poi prosegue e si assicura la
sudditanza dei vecchi castrandoli. L’eco della castrazione dei saggi si propaga
tra il popolo: alcuni cittadini cadono in terra e assumono la posizione di
difesa.
Creonte inizia il resoconto della
battaglia, fieramente racconta di numerose vittime tra le file di Argo, i cui
corpi giacciono abbandonati ai rapaci. Gli attori-avvoltoi scendono di nuovo
tra il pubblico, facendolo sentire in mezzo alla morte. Sul palcoscenico i
gesti del tiranno alludono, invece, alle vittime che la guerra ha disseminato
tra i tebani: Polinice, Antigone attorniata dagli avvoltoi, uccelli che si
nutrono di carne morta, ed in lontananza l’eco di un nuovo grido. E’ un tipico
esempio della stratificazione di significati che il tipo di comunicazione
adottato dal Living consente.
Nonostante ciò gli anziani,
accecati dal potere del sovrano e resi sordi dal suono delle sue parole
altisonanti, incoronano Creonte e lo portano in trionfo, trasformandolo in una
sorta di trofeo.
Mentre il corpo di Eteocle
riceve gli onori che spettano ad un eroe, Antigone compie l’atto proibito della
sepoltura.
Una guardia ha il compito di
comunicare al tiranno l’accaduto. La struttura di questa scena è un esempio
dello sforzo richiesto al pubblico per comprendere il rapporto tra i gesti e
Quando il soldato arriva di
corsa per informare Creonte del fatto che qualcuno ha osato trasgredire il suo
ordine, lui è già vicino al corpo di Polinice e manifesta già la sua ira. Per
questo il pubblico ha difficoltà a capire come mai se il tiranno è già sul
luogo del reato abbia bisogno dell’arrivo della guardia per venire a conoscenza
del fatto. Esiste una giustificazione logica alla costruzione dell’azione:
Creonte è irritato dalla presenza-vicinanza del corpo perché esso è per lui una
fonte di preoccupazione dalla quale non riesce a liberarsi.
La scelta del Living Theatre è
quella di provocare delle reazioni nel pubblico, anche se a discapito
dell’immediatezza del messaggio. Ciò significa rivalutare il ruolo dello
spettatore, a cui non si vuole più somministrare “pillole indorate”, ma
garantire la consapevolezza necessaria ad attuare cambiamenti reali, cosa che
si conquista solo tramite una partecipazione autentica. L’uso del corpo ha un
ruolo fondamentale ai fini del processo:
“La
centralità del corpo dell’attore consente comunque, nel corso dello spettacolo,
un passaggio di energia al singolo spettatore, che viene a sua volta mobilitato
in vista di un cambiamento esistenziale, di una conversione laica.”[26]
La scena prosegue mostrando la
reazione del tiranno e del popolo alla notizia. Tutti sono spaventati e
tremanti. Dal momento che le giustificazioni della guardia e le parole del coro
alludono ad un intervento divino, quest’immagine sembra tradurre la paura degli
spiriti o quella di aver offeso gli dei.[27] In
effetti anche Antigone assiste al dialogo tra Creonte e la guardia senza essere
scorta, proprio come se il suo corpo fosse invisibile.
In un secondo momento la guardia
si serve del corpo di Antigone per mimare il racconto della sepoltura: la fa
salire sui suoi piedi ed incomincia a muoversi con ampi passi laterali lungo il
corpo di Polinice, mentre lei compie gesti indecifrabili, con occhi strabuzzati
e la bocca a forma di “o”. Il fatto che Antigone compia gesti misteriosi, si
lega alla teoria della guardia che l’accaduto abbia una giustificazione
sovrannaturale.
Non appena la fanciulla si
libera dalla morsa del soldato, ripete il gesto della triplice libagione di
terra sul cadavere, che si conclude con la citazione dell’occhio di Dio (il
triangolo formato dalle mani della Malina posizionate all’altezza della
fronte).
Creonte rifiuta l’idea
dell’intervento divino e si scaglia indignato contro il popolo, disposto ad
arco sul fondo della scena e poi si rivolge agli anziani, con una violenta
requisitoria contro Polinice, per rimproverarli di considerare gli dèi capaci
di prendere le difese di un vile.
Recitano i versi di liaison:
“Il
tiranno ingiuria la guardia e tutti gli altri”.
Il passaggio successivo è
particolarmente significativo dal punto di vista del movimento e
dell’interazione col pubblico. E’ inaugurato dal coro degli anziani che mette
in guardia dai pericoli insiti nell’atteggiamento spietato dell’uomo pronto ad
assoggettare un altro uomo. Il messaggio è particolarmente caro al Living
Theatre; tutti gli attori, eccetto la guardia, Polinice ed Antigone, scendono
tra il pubblico a braccia aperte in un simbolico abbraccio. Quando i versi
parlano dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ogni attore si rivolge
personalmente ad uno spettatore e, trovandosi faccia a faccia con lui, recita a
gran voce i versi, quasi come se volesse imprimerglieli sulla pelle. Poi tutti
si voltano verso il muro, al riparo dagli sguardi della platea, e cedono alle
lacrime.
Sul palcoscenico, nel frattempo,
Antigone ha ripetuto l’atto di ribellione, ma questa volta la sentinella
incaricata di vegliare sul corpo di Polinice la coglie sul fatto. La sua prima
reazione è di solidarietà: pur afferrandola per un braccio non usa contro di
lei la forza, rimangono fermi a fissarsi negli occhi per un lasso di tempo
abbastanza lungo, poi
L’incontro tra Antigone ed il
tiranno si risolve visivamente su piani opposti, che evidenziano l’antagonismo
tra i due personaggi. Con l’arrivo del messo, tutti gli attori tornano sul
palco e si dispongono in due gruppi : a sinistra gli anziani e a destra il
popolo. Creonte, che è l’ultimo a ritornare in scena, si dispone dietro il
gruppo omogeneo degli anziani, che lo sostiene oltre che moralmente anche
fisicamente. Inizia l’interrogatorio e subito la sentinella rivela: “è stata
lei”. Lanciata l’accusa corre a sollevare il corpo di Polinice, ma Antigone pretende
che sia lei stessa a farsene carico. Chiaramente il suo gesto corrisponde
all’intento di manifestare, anche di fronte al tiranno, la legittimità del suo
atto, nonché il proprio coraggio. Dopo aver fatto due giri intorno alla scena
depone proprio nel suo centro, in direzione della profondità, il corpo, che
delimita così un al di qua ed un al di là nello spazio.
La sentinella continua il
racconto dell’arresto, interpretando alternatamente anche il ruolo di anziano.
Narrando della tempesta di sabbia che aveva consentito ad Antigone di agire
indisturbata, il gruppo dei vecchi, compatto come un vero e proprio organismo,
ed il popolo, cadono in un sonno profondo.
Antigone, distaccata dai due
gruppi, ripete il gesto della sepoltura. Il riproporsi di questa azione in
momenti diversi della rappresentazione consente di sostenerne l’efficacia
permanente e di evidenziare la rottura che ha prodotto all’interno di un
equilibrio sociale fino a quel momento basato sul terrore.
Risvegliatasi la sentinella lascia
il gruppo degli anziani e rimbalzando tra questo ed il popolo continua il
racconto, facendo rivivere sotto gli occhi di tutti il momento dell’arresto.
Riprende, infatti, le braccia di Antigone con la stessa pacatezza di prima,
quasi volesse suscitare nello spettatore un senso di pietà nei confronti della
donna, poi rientra nel gruppo degli anziani.
Segue il monologo di Antigone
che rivendica il diritto degli uomini di opporsi alle leggi di altri uomini.
Distesa sul corpo di Polinice indirizza le sue parole al pubblico, voltando
talvolta il capo in direzione del tiranno, che al termine del suo discorso si
distacca dal gruppo per sollevarla ed invitarla a pentirsi. Lei si oppone,
rimanendo in ginocchio apre le braccia e dichiara a testa alta: “questo è un
esempio”, poi torna a sdraiarsi. L’affermazione trasforma l’atto d’amore di una
sorella[28] nei
confronti del fratello in un affronto politico e sociale. Come osserva Judith
Malina:
“Tutto è
inutile con lei, perché lei è totalmente libera e indipendente. Antigone è un
esempio perfetto di individualità anarchica. Se fosse stata altrettanto brava
come organizzatrice anarchica avrebbe portato il popolo dalla sua e avrebbe
distrutto il potere anziché permettere che il potere distruggesse lei.”[29]
Antigone sente la sua morte come
necessaria, perché è fiduciosa che il suo esempio verrà ripreso, in quanto
capace di scuotere gli animi e di manifestare la possibilità concreta della
ribellione. Esiste, però, un’altra giustificazione del suo gesto, ovvero la sua
validità, il fatto che la legge che la ostacola è indiscutibilmente ingiusta.
Ecco cosa significa il capo alto della Malina sdraiata sul corpo di Polinice.
Di fatto il tiranno le intima la
morte, ma lei non ne è affatto spaventata e così discredita il potere del suo
giudice. Creonte, disarmato, cerca l’aiuto degli anziani che rispondono
avanzando in un unico gruppo mostruoso. La perdita del potere si traduce in un
marcato difetto fisico: il tiranno zoppica, continua ad inciampare sul corpo di
Polinice, mentre i vecchi sono costretti a smorfie di dolore.
I due antagonisti si contendono
l’appoggio degli astanti. Antigone si rialza e si rivolge al popolo convinta di
trovare in esso un possibile sostenitore della sua causa, ma si ritrova di
fronte ad un muro umano: tutti le danno le spalle, mentre lei a braccia aperte,
rivolgendosi anche agli anziani, rimane nuovamente sola. Pesano
sull’atteggiamento dei cittadini le intimidazioni di Creonte, che vediamo
infierire sul corpo di Polinice insieme agli anziani e poi aggirarsi tra la
gente, che non appena incontra il suo sguardo cade a terra. Il tiranno fa terra
bruciata intorno a sé, solo Emone, Ismene e Tiresia hanno ancora la forza di
tenere la testa in alto, ma si coprono gli occhi, le orecchie e la bocca: è
troppo tardi, i tebani si sono rovinosamente piegati al potere.
Antigone e Creonte sono rimasti
in piedi attorniati da un intero popolo in ginocchio della cui condizione
miserevole si accusano ora reciprocamente. Ma il tiranno deve rinunciare alla
disputa quando Antigone sentenzia:
“Chi usa
violenza contro il suo nemico si volgerà e userà violenza contro il suo stesso
popolo.”
Queste parole risvegliano tutti
gli attori che si rialzano ripetendole, chi per intero, chi scegliendone una
parte. Antigone e Creonte si uniscono al coro, amalgamandosi alla massa degli
attori. Ciò significa che per un momento neanche l’irragionevole tiranno ha
potuto negare l’esattezza di quelle parole. Dopo qualche istante, però, egli si
ricongiunge agli anziani per rimettere in moto la macchina dello stato: il
gruppo avanza verso Antigone alla quale basta un cenno per farlo sgretolare.
Creonte, caduto a terra con i suoi, continua da questa posizione il suo
discorso che assume i toni di un capriccio. Poco dopo la macchina si ricostituisce
per sferrare un nuovo attacco contro Antigone, ma lei pronuncia noncurante
persino parole di disprezzo nei suoi confronti.
In questa scena la divisione in
gruppi contrapposti che ha caratterizzato finora lo spettacolo si disperde.
Quando la dissenziente osa affermare che sarebbe meglio per il popolo sedere
tra le macerie di una casa familiare, piuttosto che alloggiare nelle abitazioni
del nemico col tiranno, tutti gli attori si riuniscono in un unico gruppo al
centro della scena. Dall’apice della costruzione Creonte esalta l’ordine divino
dello stato, ma Antigone invoca sentimenti più umani, piuttosto che divini:
così il gruppo si disperde.
Interviene Ismene, desiderosa di
non rimanere sola al mondo e perciò intenzionata a condividere con la sorella
“L’Antigone di Brecht è la tragedia del ‘Troppo tardi!’.
Antigone arriva troppo tardi, come Ismene, come Emone.”[30]
Antigone viene imprigionata dai
corpi di alcuni attori che la tengono lontana da Ismene che ancora
“è
fragile ed ha bisogno di molto coraggio”.[31]
Il distruggersi ed il
progressivo ergersi delle barriere dà vita ad una sorta di danza caratterizzata
da un moto ondeggiante che fa pensare anche all’impossibilità di recludere uno
spirito libero.
Creonte ordina l’esecuzione, che
si compirà in concomitanza con l’inizio dei festeggiamenti in onore di Bacco.
Le sue movenze sono grevi, quasi meccaniche, del tutto opposte a quelle dolci e
pacate della sua avversaria. Beck-Creonte ha tutta l’espressività che
caratterizza le maschere. Il suo volto è costantemente deformato da espressioni
esagerate, ora di cattiveria, ora di insana follia, ora di euforia. La
necessità di ricorrere alla maschera, anche se solo virtualmente, si può
spiegare ricordando le parole di Mastropasqua:
“Alla
maschera si accompagna il terrore. Spesso il suo comportamento è aggressivo e
violento. Anche quando si ha confidenza con lei è difficile reprimere un
brivido.”[32]
A questo punto della
rappresentazione Creonte assume la maschera di Bacco, che gli viene imposta
dagli anziani prima di essere condotto in trionfo ai piedi di Polinice e di
dare inizio ai festeggiamenti per la vittoria.
La celebrazione è interrotta
dall’intervento di Antigone ed Emone, figlio del tiranno e promesso sposo della
figlia di Edipo. A lui sono affidati i versi sulla rivolta che agita gli animi
a causa della sorte di Antigone. L’arrivo dei due giovani ai lati del corpo di
Polinice (l’uno parte da sinistra, l’altra da destra, per incontrarsi al centro
dove ai piedi del disertore era stato posizionato il trono di Creonte)
destabilizza il sovrano. I due sollevano Polinice. Trovandosi faccia a faccia
con colui che rappresenta il suo più grande fallimento Creonte cade per terra.
E’ come se l’immagine si ribaltasse: adesso è il tiranno che giace in terra
come morto, mentre tenuto per le ascelle Polinice viene trasportato fino al
muro di fondo: il disobbediente cammina al di sopra delle leggi (Creonte).
Polinice è risorto: il Living proclama la definitiva vittoria del bene sul
male, della vita sulla morte.
L’immagine successiva è di
grande efficacia. Traduce l’idea che la rovina dei potenti si abbatte su molti.
Judith Malina ne dà una lettura estremamente chiara e convincente:
“[…] in
questo momento di Antigone il popolo si divide e l’intera struttura della
società cade a pezzi alla caduta di Creonte, come dice il verso: “Quando i
grandi cadono non lo fanno da soli ma cadono su tanti” […] Che meravigliosa
immagine teatrale: il popolo col re al vertice, e quindi la caduta del re e la
disintegrazione della società rappresentata dal popolo che cade sotto il vento
prodotto dal franare della piramide.”[33]
Gli attori sciolgono ogni gruppo
e si spargono sulla scena in posizioni di equilibrio estremamente precario.
Creonte si rialza e abbattendo per prime le figurazioni dei vecchi, sale in
groppa ad uno di loro, sostenuto dagli altri due, e come su un carro trionfale
si aggira per la scena facendo crollare tutto ciò che, pur pericolante, non è
ancora caduto. Gli attori rotolano verso il fondo e ricostituiscono la
struttura che abbiamo visto al centro della scena al momento del dialogo tra
Antigone ed il tiranno e che Molinari ha definito “testuggine a due piani”:
“Allora
tutti rotolano verso il fondo, ove ricostituiscono la compatta testuggine a due
piani. Il canto riprende: Creonte viene assorbito dalla testuggine e poi
sollevato in alto, come in un’epifania divina, dietro di essa, sulla quale poi
rovina, componendola […]”. [34]
In seguito al crollo gli attori
convergono al centro della scena e riutilizzano l’immagine di Frankenstein in cui si trasformavano in
onde del mare. In effetti anche quello che si sta abbattendo sullo stato è una
sorta di ciclone. Sulle loro braccia ondeggianti Antigone ed Emone posano il
corpo di Polinice.
Si mostra tutta l’abilità fisica
di cui gli attori del Living Theatre sono capaci, nonché il lavoro d’ensemble che sta dietro alla creazione
delle figurazioni. L’attore che interpreta Polinice mantiene, qui come per
tutta la durata della rappresentazione, una straordinaria rigidità, pur essendo
trasportato di braccia in braccia, mostrando l’assoluta consapevolezza del suo
corpo e del gruppo. Judith Malina racconta:
“In Antigone l’ensemble funziona realmente come un corpo: un corpo fatto di tante persone, ma
un corpo:che trema, che si muove verso ciò che ama e si allontana da ciò che
teme. L’uso totale del corpo tende a colmare la distanza fra espressione fisica
e significato verbale.”[35]
Polinice sulle onde del
mare.
Il corpo viene infine riportato
nella posizione di partenza, dove la sorella lo rassetta e gli si adagia accanto,
come se fosse la sua amante, pronta a morire per non separarsi da lui. Il
movimento delle onde accompagna tutta la scena tra Creonte ed il figlio,
complici le parole del canto che ad esso fan riferimento, seguendo il ritmo
della narrazione.
Il tiranno non è disposto
all’indulgenza, non intende ascoltare le preghiere del figlio, che assume
perciò un atteggiamento fiero e paragona il suo governo ad una nave che affonda
e ad un carro rovesciato. I corpi degli attori interpretano la metafora.
Creonte imbestialito, con il
volto ancora deformato dalla maschera, simboleggiata dai palmi aperti delle
mani che incorniciano il volto, avanza verso di lui e condanna a morte la sua
compagna. La replica di Emone è irriverente: come ad Antigone era bastato un
solo gesto per cacciare gli avvoltoi o per far cadere in pezzi la macchina
dello stato, anche a lui basta un cenno per tenere lontano il padre.
Abbandonato il tiranno, si
dirige dove giacciono i corpi dei due figli di Edipo, li risolleva e si sistema
con loro sul fondo della scena in posizione totemica.
Ha inizio la festa in onore di
Bacco, che già Brecht aveva fatto coincidere col momento della condanna di
Antigone. Da questo momento sul palcoscenico si scatena una danza, dal ritmo
ossessivo, la cui intensità varia in rapporto a quella della narrazione e che
l’accompagnerà fino a quando il messo informerà dell’imminente disfatta di
Tebe. Un attore scandisce il tempo colpendosi il ginocchio con una mano e
facendo schioccare la lingua: l’effetto che provoca questa ritmicità distorta e
piuttosto volgare è fastidioso. E’, però, una dimostrazione della musicalità
del corpo. La danza coinvolge quasi tutti gli attori che si muovono all’interno
di uno spazio delimitato in due zone, tuttavia penetrabili, dai corpi di due
coppie di anziani inginocchiati. In prospettiva la loro disposizione incornicia
una zona vuota che conduce là dove riposa il corpo di Polinice vegliato dalla
sorella. E’ come se attraversando con lo sguardo il corridoio immaginario
costruito dagli anziani, si giungesse alle porte di un tempio.
Inizialmente Ismene non
partecipa, ma coinvolta da un ballerino si lascia trasportare dalla sensualità
ebbra della danza.
Antigone, condotta in
sacrificio, irrompe nel festeggiamento con un urlo ed un gesto carico di forza
che spinge i danzatori verso il proscenio; poi attacca ancora una volta gli
astanti, rivolgendosi in particolare agli anziani che alzatisi hanno preso
parte alla danza, mettendone in caricatura l’atteggiamento. Alle parole “vi
compiango” la danza si arresta per un istante ed Antigone cela il suo volto
dietro le mani.
Il gesto della sepoltura è
ripetuto ancora una volta prima dell’ingresso di un nuovo personaggio:
l’indovino Tiresia, che entra in scena facendosi largo tra gli ebbri ballerini,
mentre Antigone, Emone e Polinice si sistemano sullo sfondo per formare una
sorta di simulacro delle colonne della vittoria, che si ergono in occasione dei
trionfi. Testimonia Biner:
“il Living per far ben risaltare il carattere illusorio di questa
vittoria, erge sullo sfondo un simulacro di una di queste colonne. Si tratta di
una specie di monumento funebre patetico, la cui idea deriva tanto dai
monumenti che si trovano nei cimiteri quanto dalle colonne totemiche a tre
piani degli indiani del Nord-America: Polinice, in piedi, con gli occhi chiusi,
tiene fra le sue braccia, col capo rovesciato, Antigone, dalla bocca aperta,
essa stessa poggiante sulle ginocchia di Emone accucciato con le braccia
incrociate, e la testa all’altezza delle ginocchia di Antigone.”[36]
La pregnanza significativa di
questa figurazione è strabiliante: la colonna celebrativa è formata dal corpo
di tre ragazzi morti per difendere la libertà e protestare contro l’assurdità
della guerra. Tramite uno studio attento delle dinamiche del corpo e delle sue
possibilità espressive, la ricerca, e l’invenzione, di un’espressività corporea
in grado di consentire la rappresentazione del mondo e di tutte le sue
manifestazioni, il Living può comunicare un messaggio così profondo racchiudendolo
in un'unica immagine.
Tiresia profetizza eventi
sfavorevoli per la città provocando l’immobilità sulla scena: tutti i ballerini
si arrestano. Creonte è l’unico che segue, ma con passi larghi ed incerti,
tant’è che inciampa sulla colonna di Antigone abbattendola, l’indovino che si
sposta sulla scena. I due si arrestano al centro della scena, dove l’indovino
inizia il suo racconto. Lo sostiene un seggio, realizzato dal corpo di un
attore inarcato dietro di lui e le cui gambe formano due lunghi braccioli. In
risposta il tiranno chiama con un gesto tre anziani che si posizionano a
formare un trono regale, che lo lascerà però cadere quando Tiresia gli
attribuirà la responsabilità della decadenza di Tebe. La fondatezza delle
accuse porta gli anziani, e tutti gli uomini, ad allontanarsi ed addirittura a
mostrarsi ostili nei confronti del re. Le donne, invece continuano a danzare.
Si forma una nuova macchina
mostruosa, con l’indovino in piedi al centro, col braccio teso a simboleggiare
un cannone, che si ribella a Creonte costringendolo a buttarsi a terra.
Tiresia, che si è staccato dalla formazione, subisce lo stesso attacco e cade
tra le gambe del tiranno non ancora pentito. Spaventato, poi, si allontana
rifugiandosi nel fondo della scena dove rimane immobile.
La macchina si trasforma in una
piramide rovesciata: gli attori si tengono saldamente dalle spalle. Quello al
vertice affronta direttamente Creonte, ormai annientato, che rotola, scandendo
i tempi del discorso, fino al proscenio, dove rimane presso che esanime. Qui
invoca febbricitante il figlio Megareo, ancora impegnato nella battaglia la cui
vittoria è stata proclamata troppo presto.
Da Argo ritorna un messo ad
annunciare la morte di Megareo e la disfatta di Tebe. Nell’annunciare la notizia
il messo esala l’ultimo respiro cadendo sul corpo del padre: un’altra morte
pesa, anche fisicamente, su Creonte.
Parte del resoconto è narrato in
platea: Megareo, con gli attori-soldati, discende tra il pubblico sulle spalle
di un compagno, mimando la conduzione della battaglia. Il cavallo del
comandante inizia a retrocedere quando la guerra volge al termine. Gli attori
ritornano sul palcoscenico, dove si conclude il racconto ed anche la vita di
Megareo, ucciso non dagli argivi, ma dai tebani.
Il tiranno lo chiama con un
prolungato lamento, che si trasforma in invocazione ad Emone, accompagnato
dall’oscillazione del suo corpo che sembra così trasformarsi in una campana che
suona a lutto, mentre continua la danza e la sirena d’allarme ha ricominciato a
suonare.
Sono nuovamente tutti a terra.
Creonte si dirige in ginocchio da Emone, ma quando giunge lo trova già morto.
Antigone, Polinice ed Emone sono
gli unici in piedi sulla scena: sono sopravvissuti perché hanno resistito alla
violenza piuttosto che perpetuarla. Dopo essere rimasto fermo, quasi impietrito
davanti al corpo del figlio, il tiranno lo solleva sulle spalle e rimane curvo
sotto il peso della morte.
Il corpo di Megareo è ora in
proscenio, al posto di quello di Polinice. La sconfitta è ormai totale. Con la
veste insanguinata di Emone il tiranno mostra la fine della guerra e le sue
sorti disastrose. Il coro termina con parole di speranza, pronunciate, però, in
tono di terrore.
Il Living Theatre conclude la
rappresentazione avanzando verso il proscenio recitando l’ultimo verso della
tragedia. Scavalcato il corpo di Megareo rimane in silenziosa immobilità a
fissare il pubblico. Lo spettacolo si chiude circolarmente ricreando la
situazione dell’incipit. Guardare lo
spettatore, significa, per un attore, lasciar cadere completamente la maschera,
uscire dall’ipocrisia che è in un certo senso il tratto caratteristico del suo
lavoro, ed offrirsi per quel che è. Spiega Mastropasqua:
“Uomini
contro uomini, questo è l’incipit dell’Antigone. Trafitti dallo sguardo degli attori, gli
spettatori non saranno più gli stessi […]. Cedendo la maschera, con lo sguardo
puntato verso gli spettatori, gli attori del Living ristabiliscono la potenza
della maschera […]. Perdendo il teatro, lo obbligano a rinascere.”[37]
Gli applausi del pubblico sono
spari che costringono gli attori a retrocedere terrorizzati. Dimostrano la
rinuncia dell’auditorio ad abbandonare il proprio ruolo passivo e a rendersi
artefici di un mondo diverso.
Gli attori “colpiti” dagli applausi.
E’ difficile, ciò nonostante,
dichiarare il fallimento della rappresentazione. La testimonianza di Biner
conferma i risultati del mezzo e del metodo di comunicazione che il Living
Theatre ha adottato per concedere all’utopia la possibilità di concretizzarsi:
“Uscendo dall’Antigone, uno
spettatore ha detto a Judith e Julian: ‘Quando la troupe è venuta, inorridita,
verso di noi, il pubblico, noi di Argo, per un ultimo combattimento, ho creduto
di avere un fucile in mano e che stavamo realmente per farci fuori a vicenda.
Allora mi ha colto l’orrore’.”[38]
Questo è lo spettatore ideale
del Living Theartre, perché attraverso il contatto instaurato durante la
rappresentazione è riuscito a percepire la violenza che paralizza la vita e si
è reso conto che esiste la possibilità di fermarla: la violenza non genera
necessariamente altra violenza. Il gesto di Antigone è un esempio.
[1] P. Biner, Il
Living Theatre, Bari, De Donato, 1968, p. 147.
[2] Ibidem.
[3] M. De Marinis, Il
nuovo teatro 1947-1970, Milano, Bompiani, 1987, p. 219.
[4] C. Valenti, Conversazioni
con Judith Malina, Milano, Elèuthera, 1998, p. 171.
[5] Ibidem, pp. 140-141.
[6] C. Valenti, Conversazioni…,
cit., p. 170.
[7] Ibidem, p. 173.
[8] A. Artaud, Il
teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 2000, p. 217.
[9] C. Valenti, Conversazioni…,
cit. , p. 173.
[10] J. Beck, Theandric, Roma, Socrates, 2000, p. 98.
[11] P. Biner, Il
Living…, cit., p. 151.
[12] D. D’Ambrosio, La
tragedia greca nella sperimentazione dell’avanguardia teatrale americana degli
anni sessanta, in “Biblioteca Teatrale”,
n. 55/56, Roma, Bulzoni, 2000, p.
140.
[13] F. Mastropasqua, Guardare lo spettatore: L’incipit dell’Antigone del Living Theatre, in
F. Mastropasqua, Maschera e rivoluzione, Pisa, BFS, 1999, p. 119.
[14] P. Biner, Il
Living…, cit., p. 154.
[15] Di Julian Beck come pittore scrive il figlio
Garrick: “Nonostante la sua sia stata senza dubbio una vita di teatro, Julian
ha realizzato più di 1500 quadri ad olio, disegni a pastello, lavori a
inchiostro e collage. Senza contare tutti gli schizzi, i disegni a penna e le
diapositive per le scenografie delle produzioni del Living Theatre”. In J. Beck, Theandric, cit., p. 361.
[16] C. Valenti, Conversazioni…,
cit., p. 174.
[17] F. Mastropasqua, Guardare lo spettatore, cit., p. 119.
[18] J. Malina, Antigone. Note di regia e disegni, in
J. Beck, - J. Malina, Il lavoro del Living Theatre, materiali1952/1969,
a cura di F. Quadri, Milano, Ubulibri, 1982, p. 199. La traduzione è di C.
Valenti, in C. Valenti, Conversazioni…, cit.,
p. 174.
[19] F. Mastropasqua, Guardare lo spettatore…, cit.,
p. 118.
[20] M. De Marinis, Il
nuovo teatro 1947-1970, Milano, Bompiani, 1987, p. 220.
[21] F. Mastropasqua, Guardare lo spettatore…, cit., pp. 120-121.
[22] C. Molinari, Storia di Antigone, Bari, De
Donato, 1977, p. 191.
[23] P. Biner, Il
Living…, cit., p. 164.
[24] P. Biner, Il Living Theatre, cit., p. 163.
[25]J. Malina, sophocles’ Antigone,
[26] A. Ghiglione - C. Rivoltella (a cura di), Altrimenti il silenzio, Milano, Euresis,
1998, p. 137.
[27] J. Jacquot, Les voies de
[28] Judith Malina ha voluto far emergere una punta di
erotismo nell’amore provato da Antigone nei confronti del fratello, cogliendo
così uno dei significati più celati dell’opera sofoclea.
[29] C. Valenti, Conversazioni…,
cit., pp. 170-171.
[30] P. Biner, Il
Living…, cit., p. 151.
[31] Ibidem, p. 163.
[32] F. Mastropasqua (a cura di), Maschera e rivoluzione, Pisa, BFS, 1999, p. 9.
[33] C. Valenti, Conversazioni…,
cit., p. 175.
[34] C. Molinari, Storia
di Antigone…, cit. , p. 201.
[35] C. Valenti, Conversazioni…,
cit., p. 175.
[36] P. Biner, Il
Living Theatre, cit., p. 161.
[37] F. Mastropasqua, Guardare lo spettatore…, cit., pp. 123-124.
[38] P. Biner, Il
Living…, cit. , p. 96.